Ecco a cosa serve il cavallo di Troia del dialogo. È dai tempi del Concilio che una parola truffaldina, furbesca, scelta apposta per ingannare l’interlocutore in buona fede, si è insinuata nel nostro linguaggio ed è "Dialogo"
di Francesco Lamendola
È dai tempi del Concilio che una parola truffaldina, una parola furbesca, una parola scelta apposta per ingannare l’interlocutore in buona fede, si è insinuata nel nostro linguaggio e ha finito per diventare così invasiva, così imprescindibile, da aver condizionato tutto il nostro modo di pensare: la parola dialogo. È una di quelle parole dal’aria innocente, simpatica, politicamente corretta, alle quali sembra difficile dire di no, perché si passerebbe automaticamente per dei cattivi, e, quel che è peggio, per dei soggetti irragionevoli, che rifiutano persino i fondamenti minimi e indispensabili della convivenza civile. Se non si accetta di dialogare, dove andremo a finire? E come sempre in questi casi, quasi nessuno si prende il disturbo di andare a vedere in che senso venga utilizzata questa parola: perché la verità è che una parola acquista significato a partire dal contesto in cui viene utilizzata, e dall’universo di significati condivisidei quali è l’espressione.
Infatti, una parola ingiuriosa può assumere una valenza perfino affettuosa, o viceversa, a seconda di chi la pronuncia, a chi si rivolge, e della situazione in cui entrambi si trovano. Le parole-truffa, invece, le parole della neolingua, utilizzate apposta da chi parla con lingua doppia, con lingua di serpente, giocano sul filo dell’ambiguità: possono voler dire una cosa, ma anche un’altra, completamente diversa: a quel punto, chi è padrone del linguaggio – della stampa, della televisione, della pubblicità – decide come utilizzarla, ora per circuire e ingannare l’interlocutore sprovveduto, e piegarlo ai propri disegni inconfessabili, ora per brandirla come una clava sul capo del nemico, al fine di screditarlo, diffamarlo, ridurlo al silenzio – il che, nel tipo di società in cui viviamo, è la stessa cosa che ridurlo all’impotenza.
A cosa serve il cavallo di Troia del dialogo?
Dialogare, dunque: ma che bella cosa; come si fa a non essere d’accordo? Eppure, il trucco c’è. Il dialogo presuppone dei requisiti di base, che, se non ci sono, lo rendono pericoloso, o, nel migliore dei casi, perfettamente inutile. Ad esempio: se i due interlocutori non conoscono una parola delle reciproche lingue, come fanno a dialogare in maniera approfondita e non equivoca di questa o quella questione specifica? Potranno intendersi solo sulle cose minime, e solo in forma generica. Oppure, se i due interlocutori hanno ciascuno un’idea totalmente diversa di cosa sia il dialogo; meglio ancora, se uno dei due non sa proprio che cosa sia, che succederà, al momento in cui si parleranno? Se, ad esempio, la sola forma di interlocuzione che un soggetto conosce è sottomettere o essere sottomesso, mentre l’altro è convinto che si possa sempre trovare, con la buona volontà, un punto d’incontro e una qualche forma di mediazione, è ovvio che il supposto dialogo finirà in un disastro. Oppure, nel caso più fortunato, non darà esito alcuno. Tanto va detto per eliminare eventuali malintesi: non è che si voglia negare il valore del dialogo; si vuol mettere in dubbio che dialogare sia sempre possibile, che sia sempre utile, che sia sempre fruttuoso. Poniamo il caso che io faccia naufragio in un’isola abitata da una tribù di cannibali, e che cerchi di dialogare con loro. Per prima cosa, naturalmente, comprese le loro intenzioni nei miei riguardi, tenterò di convincerli che uccidere il prossimo per mangiare le sue carni non è una cosa ben fatta, e che dovrebbero lasciar perdere. Ma essi, quasi certamente, non avranno l’equivalente della mia parola ”prossimo”, perché le parole sono il frutto della civiltà alla quale si appartiene, e ogni civiltà sviluppa un proprio linguaggio, che si può tradurre in termini di vocabolario, ma non si può tradurre, se non molto imperfettamente, in termini di significato. Ed ecco l’importanza dei requisiti di base: se quei cannibali non hanno la nozione di “prossimo”, o se non ce l’hanno nel senso che le do io, non troveranno alcuna valida ragione per non uccidermi e mettermi in pentola, perché io sarò, ai loro occhi, solo una potenziale fonte di cibo. Ebbene, per la parola “dialogo” vale lo stesso ragionamento. Se “dialogo “ significa imporre all’altro un concetto che è sotteso alla parola stessa, e che io ho chiaro nella mente, ma lui no, allora sto barando al gioco. Questo è quel hanno fatto i neomodernisti al Concilio: hanno parlato di dialogo, ma in realtà quel che intendevano, e volevano far passare nella coscienza delle persone, erano il relativismo e l’agnosticismo.
Dio distrusse Sodoma per il peccato dei suoi abitanti, checché ne dica monsignor Galantino.
Un classico esempio dell’uso truffaldino della parola “dialogo” si trova anche nella squallida vicenda dell’opera Polaroid, una scultura di Emanuele Giannelli che rappresenta due uomini che si baciano sulla bocca, in atteggiamento fortemente sensuale, che ha fatto bella mostra di sé nella chiesa di San Martino a Serravezza, in provincia di Lucca, nel contesto dell’esposizione tradizionale della rassegna Anteprima Cibart, che ha disseminato di opere tutta la zona e anche la chiesa. Il parroco, Hermes Luppi, non ha trovato assolutamente nulla da ridire sul fatto di porre la scultura dentro la chiesa, a due passi dall’altare col Santissimo, e a meno di un metro da una scultura col volto del Cristo. Anzi, si è detto fiero della sua scelta, che è, secondo lui, un inno alla tolleranza, e ha pure affermato che nemmeno i suoi parrocchiani sono stati contrari, benché questo non sia affatto vero, visto che sono state proprio le loro proteste, anche in rete, a indurre i responsabili della mostra, più saggi di lui, a ritirare l’opera. La quale, peraltro, è andata poco lontano: appena fuori della chiesa, a qualche metro dall’ingresso, dove chi entra ed esce dal sacro edificio può comunque continuare ad ammirarla, se così si può dire. Ecco come l’arista ha commentato la vicenda e la decisione di spostare la sua opera nel sagrato della chiesa (riportato da Il Tirreno, edizione della Versilia, il 23/07/2018):
Non posso dire di esserci rimasto bene, questo è ovvio, ma devo ammettere che quanto è successo è una vittoria di ciò che io definisco arte. (…)
Sono contento che il parroco abbia deciso di difendere la scelta ma capisco anche che per non creare problemi è stato opportuno mettere la scultura altrove. Ma questa decisione è comunque una vittoria dell’arte: quello che faccio con il mio lavoro è provocazione. Ma non in senso scioccante, voglio che il termine rimanga nei termini semantici: voglio provocare una reazione, un dialogo. E in questo caso c’è stato, in qualche modo c’è stata una reazione a una provocazione. Quello che volevo rappresentare era l’essenza di un bacio, di un amore, poco importa se si tratta di due uomini. (…)
L’unico rammarico che ho è il fatto che nel 2018 ancora siamo qua a parlare di omosessualità negli anni 80 ero nei miei 20 anni e i miei amici gay dovevano andare a Londra o a Berlino per farsi le loro storie e per vivere in maniera serena la propria condizione. È evidente che esiste ancora molto da fare sul tema.
Dante pone all'Inferno i sodomiti, violenti contro la natura, sotto una pioggia di fuoco.
Prendiamo atto che lo scultore si riserva di definire cosa è arte e d’includervi, ovviamente, la sua opera, anche se l’affermazione chequanto è successo è una vittoria di ciò che io definisco arte sa più di ideologia, anzi, di rivalsa ideologica, che di arte. I grandi artisti non hanno mai ragionato in questi termini; Michelangelo o Raffaello non si sarebbero mai sognati di definire una vittoria dell’arte il fatto che un certo committente apprezzasse le loro opere al punto da voler esporre dei soggetti erotici (e omofili) in un luogo consacrato. I loro nudi, in confronto, erano casti, perché si adeguavano alla richiesta della committenza. Lui ha fatto il contrario: ha preteso di far entrare in una chiesa cattolica un’opera che inneggia apertamente a ciò che, per la morale cattolica, è male. Certo, aveva dalla sua l’approvazione del parroco e il silenzio (secondo noi colpevole) del vescovo. Ma anche quel parroco, evidentemente, non si è preoccupato del bene delle anime dei fedeli, ma delle sue convinzioni ideologiche. Per lui la pratica omosessuale (si badi alla distinzione: la pratica, che è un peccato, non la tendenza, che è una prova) è una cosa lecita, anzi bellissima, e dunque via con il bacio di due uomini dentro la chiesa, pur sapendo benissimo, visto che è un prete cattolico, quel che la Chiesa pensa e insegna in proposito. Il Catechismo della Chiesa cattolica è molto chiaro al riguardo, nei tre paragrafi che se ne occupano:
2357 - L’omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un’attrazione sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso. Su manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile. Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni (cf Gn 19, 1-29; Rm 1, 24-27; 1 Cor 6,9-10; 1 Tim 1,10), la Tradizione ha sempre dichiarato che “gli atti omosessuali sono intrinsecamente disordinati” (Sacra Congregazione perla Dottrina della Fede, Dich. “Persona humana”, 8; AAS 68 ([1976] 85). Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati.
2358 - Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione.
2359 - Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente, e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana.
E se il catechismo non basta, c’è pure il Nuovo Testamento; san Paolo, nella Lettera ai Romani, è ancora più esplicito (1, 18-32):
In realtà l'ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell'ingiustizia, poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità; essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell'incorruttibile Dio con l'immagine e la figura dell'uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili. Perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen.
Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s'addiceva al loro traviamento. E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d'una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa.
Poi sempre san Paolo, sintetizzando al massimo, nella Prima lettera ai Corinzi (6, 9-10):
O non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio.
E se il Nuovo Testamento non basta, ecco i santi, a cominciare da san Bernardino da Siena (Predica XXXIX delle “volgari”):
I delitti che vanno contro natura, ad esempio quelli compiuti dai sodomiti, devono esser condannati e puniti ovunque e sempre. Quand’anche tutti gli uomini li commettessero verrebbero tutti coinvolti nella stessa condanna divina: Dio infatti non ha creato gli uomini perché commettessero un tale abuso di loro stessi. Quando, mossi da una perversa passione, si profana la natura stessa che Dio ha creato, è la stessa unione che deve esistere fra Dio e noi a venire violata.
E santa Caterina da Siena (Dialogo della divina Provvidenza, cap. 124):
Come dice la Sacra Scrittura, i sodomiti erano pessima gente e fin troppo peccatori. San Pietro e san Paolo condannano questo nefasto e turpe peccato. Difatti la Scrittura denuncia l’enormità di una tale sconcezza con queste parole: ‘Lo scandalo dei sodomiti e dei gomorrani si è moltiplicato e il loro peccato si è troppo aggravato’. Pertanto gli angeli dissero al giusto Loth, che aborriva massimamente le turpitudini dei sodomiti: ‘Abbandoniamo questa città, etc. ’ (…) La Sacra Scrittura non tace le cause che spinsero i sodomiti a questo gravissimo peccato e che possono spingere anche altri. Leggiamo infatti nel libro di Ezechiele: ‘Questa fu l’iniquità di Sodoma: la superbia, la sazietà di cibo ed abbondanza di beni, e l’ozio loro e delle loro figlie; non aiutarono il povero e il bisognoso, ma insuperbirono e fecero ciò che è abominevole al mio cospetto; per questo Io la distrussi’ (Ez. 16, 49-50). Di questa turpitudine mai abbastanza esecrata sono schiavi coloro che non si vergognano di violare la legge divina e naturale.
E sant’Antonio da Padova (Sermoni, parte prima):
Il senso della sessualità è condurre l’uomo e la donna l’uno all’altra e con ciò assicurare all’umanità progenie, bambini, futuro(…) Tutto il resto è contro il senso più profondo della sessualità.. Ed a questo dobbiamo restare fedeli, anche se al nostro tempo non piace. Si tratta della profonda verità di ciò che la sessualità significa nella struttura dell’essere umano. Se qualcuno presenta delle tendenze omosessuali profondamente radicate… allora questa è per lui una grande prova, così come una persona può dovere sopportare altre prove. Ma non per questo l’omosessualità diviene moralmente giusta, bensì rimane qualcosa che è contro la natura di quello che Dio ha originariamente voluto.
Ma Gesù Cristo, obiettano i neoteologi alla James Martin e i neopreti alla Hermes Luppi, non ha mai condannato la pratica omosessuale. Falso. Non ha forse detto (Luca, 10, 12): Io vi dico che in quel giorno Sodoma sarà trattata meno duramente di quellacittà? Il che vuol dire che i sodomiti vanno comunque all’inferno. E inoltre ha detto (Marco, 9, 43-48):
Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che esser gettato con due piedi nella Geenna. Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue.
Ma Bergoglio riceve le coppie sodomitiche con tutti gli onori, baci e abbracci.
Ecco a cosa serve il cavallo di Troia del dialogo
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