-Ponte Morandi: una tragedia annunciata. A Genova stanno morendo 60 milioni di italiani e questo lo dobbiamo a coloro che continuano a ripeterci che dobbiamo rispettare i parametri europei, che dobbiamo morire per Maastricht
di Paolo Becchi
Una nuova grande tragedia si è abbattuta sulla mia città, Genova. Non bastavano le alluvioni e le ferite ancora aperte. Crolla ora un ponte in autostrada, mentre in un cielo cupo si sente il continuo borbottare di tuoni. La pioggia insistente trasforma il Polcevera in un fiume di lacrime. Lacrime come quelle scorgano ora dai miei occhi, mentre cerco di scrivere queste poche righe, a pochi chilometri da dove è avvenuto il disastro, da dove si stanno contando morti e feriti. I pompieri cercano ancora tra le macerie di salvare vite umane. Angeli. Il dolore è muto. La città è muta, chiusa nel suo dolore.
Il ponte Morandi. Ha una sua storia, la si studiava a Genova persino a Scuola, negli istituti per geometri e non solo a Genova forse. Una grande opera degli anni Sessanta. Momento flettente, carichi distribuiti, analisi delle sollecitazioni, calcoli perfetti, buoni materiali per il tempo, acciaio e calcestruzzo, per la precisione calcestruzzo armato precompresso, rinforzi più del necessario. Opera arditissima, simbolo architettonico di un’Italia che con la sua liretta era grande, con una tecnologia all’avanguardia, rispettata in tutto il mondo.
Ma è un po’ come per i video: puoi farne di bellissimi ma se li facevi su nastro magnetico non potevi tener conto del fatto che i nastri si smagnetizzano. Cosa voglio dire? Non ha senso prendersela con quel ponte, i responsabili delle morti non sono gli ingegneri che lo hanno costruito cinquanta anni fa. Il tempo divora tutto, anche l’acciaio. E quando il processo di carbonatazione erode il materiale non c’è intervento di manutenzione che tenga. Il ponte non è neppure andato in risonanza. Anche di questo Riccardo Morandi aveva tenuto conto. Stanco di vivere il ponte è semplicemente collassato.
Il ponte era servito alla città e aveva fatto la sua storia. Bisognava inventarsi qualcosa di nuovo: andava abbattuto e forse rifatto. O andavano pensate altre soluzioni adeguate ai tempi. E già, ma per fare tutto ciò ci vogliono i soldi, e noi le lirette per fare tanti investimenti pubblici non le abbiamo più. Noi siamo soggetti al «vincolo esterno» e gli imbecilli sui giornali continuano persino a scrivere che tutto questo è un bene.
Ecco, in ultima istanza sono loro i responsabili di quello che è avvenuto. A Genova stanno morendo sessanta milioni di italiani e questo lo dobbiamo a coloro che continuano a ripeterci che dobbiamo rispettare i parametri europei, che dobbiamo morire per Maastricht. Ecco, ora cominciamo a contare i morti.
L’ingegno umano fa le pentole. Non è il diavolo che deve metterci i coperchi.
Fonte: https://paolobecchi.wordpress.com/2018/08/15/genova-ponte-morandi-una-tragedia-annunciata/ del 17 Agosto 2018
Genova-Ponte Morandi: una tragedia annunciata
di Paolo Becchi Libero
Come si e’ arrivati a Genova
Partiamo dall’inizio. Perché una società strategica per gli italiani, con un fatturato annuo di oltre 6 miliardi di euro e introiti certi – che sono aumentati vertiginosamente negli anni com’era prevedibile – sia stata ceduta ad imprenditori privati ?
Facciamo un passo indietro: e’ il 1992 il Cartello finanziario internazionale mette gli occhi e le mani sul nostro paese con la complicità e la sudditanza di una nuova classe politica imposta dal Cartello stesso. Il loro compito è quello di cedere le banche ed i gioielli di Stato italiani ai potentati finanziari internazionali anche attraverso il filtro di imprenditori nostrani.
- E’ l’anno della riunione sul Britannia quando il gotha della finanza internazionale attracca a Civitavecchia con uno yacht della Corona inglese. Sono venuti a ridisegnare il capitalismo in italia a danno degli italiani, a fare incetta delle nostre migliori aziende e ad arruolare quelli che saranno i loro fedeli servitori al Governo del paese a cui garantiranno incarichi di prestigio: il maggior beneficiario sarà Mario Draghi ma tra i più servili Prodi, Andreatta, Ciampi, Amato, D’alema. I primi 3 erano già entrati a pieno titolo nelle organizzazioni del capitalismo speculativo anglo/americano che aveva deciso di attaccare e conquistare il nostro paese con l’appoggio di spietate banche d’affari come la Goldman Sachs che favorirà gli incredibili scatti di carriera dei suoi ex dipendenti: Prodi e Draghi prima e Mario Monti dopo.
Bisognava passare alle aziende di Stato, l’attacco speculativo di Soros che aveva deprezzato la lira di quasi il 30% permetteva l’acquisto dei nostri gioielli di Stato a prezzi di saldo e così arrivarono gli avvoltoi.
La maggior parte delle nostre aziende statali strategiche passò in mano straniera o comunque fu privatizzata. Ma la cosa più eclatante fu che l’IRI (istituto di ricostruzione industriale) che nella pancia alla fine degli anni ’80 aveva circa 1000 società, fiore all’occhiello del nostro paese fu smembrata e svenduta con la complicità del suo Presidente storico Romano Prodi (dal 1982 al 1989 e durante un periodo tra il 1993 ed il 1994) che fu premiato dal Cartello che favorì la sua ascesa alla Presidenza del Consiglio in Italia e poi alla Commissione Europea. A sostituirlo come Presidente del Consiglio in Italia e a continuare il suo lavoro di smembramento delle aziende di Stato ci penserà Massimo D’Alema che nel 1999 favorirà la cessione, tra le altre, di Autostrade per l’Italia e Autogrill alla famiglia Benetton, che di fatto hanno, così, assunto il monopolio assoluto nel settore del pedaggio e della ristorazione autostradale. Una operazione che farà perdere allo Stato italiano miliardi di fatturato ogni anno.
Le carte ci dicono che in quegli anni il Presidente dell’IRI era tale Gian Maria Gros-Pietro.
Lo conoscevate ? Io credo di no. Invece il Cartello finanziario speculativo lo conosceva bene e nel 2001 lo convocò alla riunione del Bilderberg in Svezia, indovinate insieme a chi ? Insieme a Mario Draghi e ad un certo Mario Monti entrambi saranno ampiamente ripagati dal Cartello stesso che in futuro riuscì a piazzare Draghi alla Banca d’Italia e poi alla BCE e Mario Monti dalla Goldman Sachs alla Commissione Europea e poi a capo del Governo (non eletto) in Italia.
E che cosa ne è stato di Gian Maria Gros Pietro ? qui viene il bello. Qui arriviamo al tema di questo post.
Gian Maria Gros-Pietro, che già nel fatidico 1992 era Presidente della Commissione per le Strategie industriali nelle privatizzazioni del Ministero dell’Industria, nel 1994 diviene membro della Commissione per le Privatizzazioni istituita indovinate da chi ? da Mario Draghi. Ora capite come lavora il Cartello finanziario speculativo per mettere tentacoli ovunque e per far si che ci sia sempre un proprio esponente nei ruoli chiave. Ma non finisce qui. Come abbiamo visto nel 1997 Gross Pietro è Presidente dell’Iri mentre viene organizzata la cessione a prezzi di saldo di Autostrade per l’italia che avverrà nel 1999 col passaggio al Gruppo Atlantia s.p.a, controllata da Edizione srl, la holding di famiglia dei Benetton.
Gros-Pietro firma la cessione.
Ora immaginate l’inimmaginabile.
Cosa accade nel 2002 ? Gian Maria Gros-Pietro, dopo aver gestito la privatizzazione dell’Eni andrà a presiedere per quasi 10 anni indovinate che cosa?… proprio la Atlantia S.p.a, la società alla quale solo tre anni prima, come dipendente pubblico, aveva svenduto la gestione dei servizi autostradali italiani.
Le jeux sont fait.
A questo punto proviamo a leggere i termini del contratto di concessione della rete autostradale. Mi dispiace cari amici. Non si può. Sono stati coperti da segreto di Stato manco si trattasse di una riservatissima operazione militare.
Ma com’è stato svolto in questi anni il servizio di manutenzione ordinaria da parte dei concessionari di Autostrade per l’Italia ?
La macabra risposta è descritta nei tragici eventi di Genova e non solo.
Leggendo quanto emerge dalla relazione annuale (2017) sull’attività del settore autostradale in concessione pubblicata sul sito del Ministero e dei trasporti si evince una crescita esponenziale del fatturato (quasi 7 miliardi) e dei pedaggi. In calo solo gli investimenti (calati addirittura del 20%) e la spesa per manutenzioni in controtendenza rispetto alla logica che dovrebbe prevedere un aumento dei costi della manutenzione contestualmente all’aumento del traffico. Ma la sicurezza degli automobilisti è stata messa in secondo piano rispetto alla massimizzazione dei profitti già di per se abnormi.
E com’è andata invece con gli interventi straordinari ad opera dei Ministeri preposti ?
Non c’erano soldi da destinare ad interventi straordinari seppur richiesti dagli esperti a causa dei vincoli di bilancio da rispettare e imposti dal pareggio di bilancio.
Quali vincoli ? Quelli europei. E da chi sono stati imposti questi vincoli ? dal Trattato di Maastricht del 1992, da quello di Lisbona del 2007 e dal pareggio di bilancio in costituzione del 2011. E chi li ha voluti ? Indovinate ? Nell’ordine Romano Podi, Massimo D’alema, Mario Monti, con l’appoggio esterno di Mario Draghi.Torna la cricca al completo.
Ma non erano quelli che insieme partecipavano alle organizzazioni del Cartello finanziario speculativo che voleva far crollare il nostro paese ?
Esattamente. Il cerchio si chiude.
Solidarietà alle vittime di Genova. Per il crollo del ponte autostradale.
Solidarietà agli italiani per il crollo annunciato e pianificato del loro paese.
Parte del testo è tratta dal libro/inchiesta La Matrix Europea di Francesco Amodeo
https://www.maurizioblondet.it/20747-2/
D’Alema dice qualcosa di sinistra (2015)
(Hanno sempre saputo, e tenuto bordone)
da Senso Comune,
Le autostrade italiane sono le più care d’Europa. In Germania, Olanda e Belgio sono pubbliche e gratuite. Il 70% delle concessioni se lo spartiscono il Gruppo Atlantia (#Benetton), che controlla #Autostrade per l’Italia -3.000 km- e il #GruppoGavio, 1.200 km.
La promessa di investimenti fu sbandierata dal Governo D’Alema, privatizzazione nel 1999: “lo #Stato non può spendere in investimenti, bisogna fare quadrare i conti pubblici, il privato investirà”.
Intanto i #Benetton nei primi sei anni di concessione hanno visto quadruplicato il valore dell’investimento iniziale, mentre Gavio l’ha visto moltiplicarsi per 20. Come hanno fatto? Semplice: aumento delle tariffe e taglio degli investimenti.
Se invece si va a vedere nell’ultima relazione del #MinisteroDeiTrasporti si scopre che per l’anno 2016 il valore degli investimenti è il 20% in meno, mentre la spesa per le manutenzioni è calata del 7% rispetto al 2015. [6/9] Il risultato è che mentre fra il 2012 e il 2016 sono stati distribuiti dividendi per 1,5 miliardi (e nel solo 2017 arriviamo a 972 milioni) le infrastrutture italiane invecchiano e solo dal 2013, i casi di ponti crollati in #Italia sono stati ben 10.
Come fanno notare molti esperti, la rete infrastrutturale italiana (strade, ponti, autostrade) risale a 50/60 anni fa e necessita di manutenzione continua e di un massiccio rinnovamento, come nel caso dei ponti in cemento armato, il cui ciclo di vita è ormai al termine.
Non è accettabile che dei 30mila km di strade provinciali il 52% sia chiuso perché considerato non sicuro e che in altri casi le strade non si chiudano nemmeno perché non ci sono i soldi per la segnaletica.
erve un vigoroso piano di investimenti pubblici per ammodernare le nostre infrastrutture e mettere in sicurezza il territorio da alluvioni e terremoti. Un progetto simile ci darebbe maggior sicurezza, centinaia di migliaia di posti di lavoro ben pagati…
Commento di Alberto Bagnai:
Molto utile per gli stupidi che non afferrano l’ovvio nesso fra austerità e privatizzazioni (scambiare l’impossibilità autoinflitta di investimenti pubblici con la presunzione necessariamente smentita di investimenti privati). Già, ma se non lo capiscono, è inutile spiegarglielo.
https://www.maurizioblondet.it/dalema-eurocritico/
Così hanno svenduto i beni nazionali e hanno fatto Bingo!
Dalla privatizzazione di Autostrade agli affari con il gioco d’azzardo. Come una classe politica ha venduto il paese e riemepito le sue tasche e quelle degli amici
Lo scontro tra il governo Conte da una parte, Austrotrade (Benetton ecc.), dall’altra, riporta alla memoria gli anni in cui lo Stato italiano mise in vendita molti dei suoi beni nazionali.
Negli anni Novanta, specie dopo il crollo della DC e del PSI, si alternano al potere coalizioni di centro-sinistra; dal 1996 al 2001 c’è l’Ulivo di Romano Prodi, costituito in buona parte dall’ex PCI, divenuto poi PDS e infine DS, con una operazione di maquillage di tutto rispetto, avviata con grandissimo tempismo, cioè allorchè cadevano i muri, finivano i dittatori alla Ceausescu, e tutti venivano a sapere di quali orrori grondasse il mondo comunista.
Ci si potrebbe aspettare, se il concetto di sinistra ha ancora un senso, una politica sociale, che privilegi il pubblico sul privato, che, senza giungere allo statalismo bolscevico, conservi allo Stato poteri e prerogative sue proprie.
Invece non è assolutamente così: il colosso dell’IRI (l’Istituto per la Ricostruzione Industriale fondato dal duce, che controlla una bella fetta dell’economia del paese) viene svenduto, pezzo per pezzo, passando gradualmente da circa 500.000 dipendenti ai 108.970 del 1999, alla definitiva messa in liquidazione del 30/6/2000.
I gioielli dello Stato, quelli attivi e quelli in passivo, vengono venduti, o svenduti secondo i punti di vista,con una facilità ed una leggerezza incredibili; chi li vende ha una grandissima possibilità: ridisegnare, ai danni dello Stato, il capitalismo italiano. Parole come capitalismo, mercato, privati, non sono più, per la sinistra, che non disdegna neppure gli incontri con Cuccia, parole sataniche: occorre farci i conti, occorre, se possibile, creare nuove alleanze.
Il ’92 è l’anno della svolta, ma è nel 1993-94, con Romano Prodi nuovamente presidente dell’IRI, che vengono vendute ben due Bin, il Credito Italiano (Credit), una vera e propria tigre, e la Banca Commerciale Italiana (Comit), oltre all’IMI (tutto tra il dicembre 1993 e il febbraio 1994, con una velocità straordinaria). Nello stesso periodo di fuoco vengono vendute le finanziarie Italgel e Cirio-Bertolli-De Rica; per quanto riguarda il settore agroalimentare, un settore tradizionalmente importante per la nostra economia, Mauro Bottareli ricorda che dopo il ’92 lo Stato vendette agli stranieri, specie inglesi e americani: Locatelli, Invernizzi, Buitoni, Galbani, Negroni, Ferrarelle, Peroni, Moretti, Fini, Perugina, Mira Lanza e tante altre. Tra il ’93 e il ’94 viene venduta la SME, le vetrerie Siv dell’Efim, il Nuovo Pignone dell’Eni… Nel 1994 vengono venduti Acciai Speciali Terni; nel 1995 Ilva Laminati Piani e Italimpianti; nel 1996 Dalmine…
Nei processi di Mani Pulite di tutto ciò non vi è traccia, a parte un interrogatorio di Di Pietro a Prodi, nel luglio 1993, durante il quale al professore bolognese viene chiesto con veemenza a quali partiti il suo Istituto abbia dato soldi. Ma poi non succede più nulla. Viene invece processato e condannato Franco Nobili, entrato all’Iri nel dicembre 1989, dopo sette anni di gestione Prodi: finisce in carcere, poi agli gli arresti domiciliari, perché un suo dirigente s’era sentito silenziosamente autorizzato a pagare una tangente postuma. Eppure, durante la sua breve gestione, all’Iri non succede pressochè nulla di rilevante!
Successivamente il nuovo boom di vendite è proprio quando Prodi passa dalla Presidenza dell’IRIall’improvvisa notorietà al grande pubblico e alla Presidenza del Consiglio: la tattica è già stata studiata: bisogna vendere.
“Smonterò il paese pezzo per pezzo“, dichiara il 17 gennaio 1998, in un celebre discorso in provincia di Lecce. Detto, fatto: “gli anni più ricchi delle privatizzazioni italiane sono state il ’97 e il ’98 quando gli incassi superarono i 20 miliardi di euro” (Corriere della sera, 5/12/2003). Da grande manager, dietro le quinte, a capo del governo, la politica di Romano è sempre quella: prima gli fruttava “solo” relazioni e contatti importanti, in seguito gli permetterà di continuare su questa strada e di abbassare il rapporto tra debito pubblico e Pil, presentandosi come il grande economista, in realtà a spese dello Stato.
La copertura mediatica è data dai grandi giornali, di Agnelli e De Benedetti, che urlano alla necessità di modernizzare il paese, privatizzando. Si assiste al paradosso che la destra, sempre accusata dalla sinistra, demagogicamente, di essere seguace di un “liberismo selvaggio”, è ora rimproverata di essere statalista e di ignorare non solo la Thatcher ma anche Adam Smith.
E’ Massimo Giannini, sulla prima de la Repubblica di De Benedetti, a sostenerlo, in un articolo dove, tra l’altro, scrive: “In fondo la sinistra di governo è obbligata dalla globalizzazione a fare dell’efficienza, del mercato, delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni il nucleo duro del suo riformismo…La vera anomalia è la destra…La cultura di mercato, per la destra, è un puro gadget, un ‘usa e getta’ elettorale. Quando il Polo ha governato nel ’94, non una sola azienda pubblica è stata alienata. Il cavalere-premier arrivò al punto di raccontare una balla in diretta TV: ‘Non cederemo la Stet, nemmeno la Thatcher ha privatizzato le telecomunicazioni’ Peccato che proprio la vendita di British Telecom sia stato il fiore all’occhiello della Signora Maggie” (la Repubblica 17/11/’98).
Nel 1999, con il governo D’Alema, il Tesoro decide di privatizzare il monopolista elettrico Enel; lo stesso anno si chiude con la cessione da parte dell’IRI di Autostrade: il 30% va alla Edizione Holding dei Benetton (Corrieredella Sera, 5/12/2003)*.
Coi governi dell’Ulivo la liberalizzazione è talmente selvaggia, che le USL, Unità sanitarie locali, divengono ASL, e cioè aziende; che i presidi delle scuole divengono manager; che si diffonde come non mai il lavoro interinale e vengono creati i cosiddetti co.co.co; soprattutto, per dire la più divertente, quando il patrimonio statale non è più disponibile per essere venduto, viene liberalizzato il gioco d’azzardo.
Pur di fare soldi, infatti, ci si getta in un affare poco nobile: la creazione delle sale Bingo. Sono oltre 400, create nel 2001, e garantiscono introiti immensi. Sentiamo casa scrive il quotidiano cattolico “Avvenire“( 1/7/2001): “mai visti tanti uomini vicini ai DS davanti alle cartelle del Bingo. La metà delle sale pronte ad aprire saranno gestite da chi è in qualche modo legato alla Quercia. Duecentododici sale su quattrocentoquindici. Più della metà. Un business che va dai settanta ai centocinquanta miliardi l’anno per sala. Difficile resistere. I ‘D’Alema boys’ hanno fatto tombola prima ancora che si cominciasse a giocare. Hanno fondato una società, la Formula Bingo, e fatto il lavoro migliore. I frutti si sono visti. Già, ma perché D’Alema boys? A loro il nome non piace. Ma come sanno tutti nessuno può sceglierselo. Sta di fatto che lo staff di Formula Bingo vede alla vicepresidenza Luciano Consoli (militante PCI sezione Trastevere) e nessuno può negare che sia un amico dell’ex presidente del Consiglio diessino. Così come non passa inosservata la sede della società: Via San Nicola de Cesarini al 3, Roma. Nello stesso palazzo dove si trovano gli uffici di ‘Italianieuropei’, la fondazione creata da D’Alema…”.
Mesi prima, il 20/1/2001, sempre Avvenire specificava che Formula Bingo “è posseduta per metà da una banca, la London Court, a sua volta guidata da un vecchio amico di D’Alema, Roberto De Santis. Così amico che è stato lui a cedere al leader diessino la fin troppo nota barca Ikarus. Ma la London Court ha un altro azionista al 50%, la Chance Mode Italia, il cui patrono è un altro amico di d’Alema, Luciano Consoli…”.
L’accusa arriva anche da sinistra. Marco Travaglio, allora autore di libri anti Berlusconi e giornalista de l’Unità, durante un raduno ad una convention girotondina, parlando del governo D’Alema si lascia scappare una frase piuttosto imbarazzante: “Quelli sono entrati a Palazzo Chigi con le pezze al culo, e ne sono riusciti ricchi”. Perché queste accuse? Per la missione Arcobaleno, i rapporti con Colaninno, l’inchiesta sulla Banca del Salento, e i“D’Alema boys”, “imputati di improvvisa fama e ricchezza”(Corriere della Sera, 16/1/2004). Pronta la replica degli interessati: D’Alema annuncia una querela…forse… Pasquale Cascella, ex portavoce di D’Alema, lamenta “la cultura politica e giornalisticache esprime Travaglio“, dimenticando che è quella che ne ha fatto un eroe della sinistra anti-berlusconiana, e un suo collega all’Unità.
Ma prima o poi i nodi vengono al pettine, e qualcuno oggi ricomincia a parlare di nazionalizzazione di alcuni beni fondamentali del paese, come Autostrade, o di lotta al gioco d’azzardo, che arricchisce pochi e distrugge molti. Vedremo cosa accadrà.
*”Dando un’occhiata ai bilanci si può avere un’idea di quanto ci guadagni Autostrade: nel 2017 su 3,9 miliardi di ricavi il margine lordo è stato di 2,4 miliardi, oltre il 50% di redditività. Eppure dagli ultimi conti di Autostrade emerge un calo degli investimenti operativi sulle infrastrutture in concessione: dai 232 milioni del primo semestre del 2017 ai 197 del primo semestre 2018.” (Corriere della Sera, 16 agosto 2018)
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