ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 22 agosto 2018

Solo quattro pagine strappalacrime?

Lettera del Santo Padre Francesco
al Popolo di Dio




Città del Vaticano, 6 maggio 2014
Francesco bacia la mano a don Michele de Paolis, prete pro omosessuali, oggi defunto


Con questo titolo papa Francesco ha pubblicato, il 20 agosto 2018, un’accalorata esortazione ad impegnarsi contro il diffondersi nella Chiesa dei cosiddetti “abusi sessuali, di potere e di coscienza commessi da un numero notevole di chierici e persone consacrate”.

Il filo conduttore di questa lettera è ancora la riprovazione e la vergogna per la “sporcizia” che “c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui!”; parole pronunciate nel lontano 2005 dall’allora Cardinale Ratzinger alla nona stazione della usuale Via Crucis al Colosseo e qui riprese da Francesco.
E subito stupisce il fatto che da allora siano passati 13 anni e due papi e ciò nonostante si continui a parlare della stessa “sporcizia”. Evidentemente qualcosa non quadra.

Ogni buona madre di famiglia sa che la “sporcizia” si spazza via con energici colpi di scopa e con uno straccio imbevuto di acqua e detergente seguito dal necessario disinfettante. Ma nella Chiesa attuale chi è preposto alle pulizie, in 13 anni pare che abbia ignorato questo elementare compito. O non sa fare le pulizie o non ha tempo per farle; ed è inutile che poi si batta il petto e inviti il “popolo di Dio” a fare altrettanto come se si trattasse di una disgrazia improvvisa sopraggiunta dall’esterno, magari ad opera di qualche malintenzionato.

Lungo questo filo conduttore, papa Francesco afferma con vergogna e pentimento, comecomunità ecclesiale, ammettiamo che non abbiamo saputo stare dove dovevamo stare …Abbiamo trascurato e abbandonato i piccoli”.
La trama è sempre la stessa: chi doveva pulire non ha pulito, ma la responsabilità, la vergogna e il pentimento sarebbero dell’intera “comunità ecclesiale”. Come dire che il pastore negligente e trascurato, che ha lasciato le pecore in balia dei lupi, non avrebbe alcuna colpa… la colpa sarebbe del gregge di pecore… stolte!

Così che “Oggi siamo interpellati come Popolo di Dio a farci carico del dolore dei nostri fratelli feriti nella carne e nello spirito”. Come dire che i lupi hanno azzannato e sventrato le pecore… mentre il pastore zufolava e ammirava le farfalle … ed allora tutto il gregge deve farsi carico della loro morte.
Al punto che “è necessario che ciascun battezzato si senta coinvolto nella trasformazione ecclesiale e sociale di cui tanto abbiamo bisogno… Invito tutto il santo Popolo di Dio all’esercizio penitenziale della preghiera e del digiuno secondo il comando del Signore”.
Penitenza, preghiera, digiuno per il “santo Popolo di Dio”, mentre il pastore continua a zufolare e ad inseguire le farfalle.
Invero uno strano modo di fare il pastore… andate avanti voi, che io ho da fare.

E questo perché “l’unico modo che abbiamo per rispondere a questo male che si è preso tante vite è viverlo come un compito che ci coinvolge e ci riguarda tutti come Popolo di Dio. Questa consapevolezza di sentirci parte di un popolo e di una storia comune ci consentirà di riconoscere i nostri peccati e gli errori del passato con un’apertura penitenziale capace di lasciarsi rinnovare da dentro”.
Passi, se si trattasse del “plurale maiestatis”, ma papa Francesco ha rifiutato da sempre l’uso di tale modo di esprimersi, quindi è ovvio che qui scarica sull’intera comunità dei fedeli, sulle pecore, l’onere che è invece proprio del pastore.
Chiediamo perdono per i peccati propri e altrui” – continua il Papa -  “Un digiuno che ci scuota e ci porti ad impegnarci nella verità e nella carità con tutti gli uomini di buona volontà e con la società in generale per lottare contro qualsiasi tipo di abuso sessuale, di potere e di coscienza”.
E qui rimane ancora oscura la causa della “sporcizia”, come se “qualsiasi tipo di abuso” venisse dalla luna, come se si trattasse di qualcosa di estraneo alla “comunità ecclesiale” e alla “società”.

In queste quattro pagine strappalacrime ci sono tante belle parole, tante buone intenzioni, ma mancano alcune cose essenziali, senza le quali tutto il discorso si trasforma in un risuonare di cembali (cfr. I Cor. 13, 1), nonostante la parola “carità” abbondi nel testo. Infatti, la vera carità esige la verità e la verità è che la “sporcizia” fa parte integrante di questo mondo attuale senza Dio e senza morale, mondo al quale la neochiesa nata col Vaticano II ha aperto colpevolmente le porte lasciando che in essa penetrasse ogni sorta di bruttura e ogni sorta di laidezza.
Continuare a parlare dei chierici e dei consacrati che si danno a pratiche nefande e contro natura, corrompendo giovani e meno giovani, inconsapevoli o consenzienti, senza neanche accennare al fatto che il trasbordo inavvertito della “sporcizia” dal mondo alla Chiesa è la causa prima del male denunciato, significa rendersene complici se non addirittura promotori.
E questa lacuna, in fondo non è neanche tale, perché quando si dice che bisogna impegnarsi “con la società in generale” per lottare contro qualsiasi tipo di abuso, si rilascia a questa “società” una patente di illibatezza nonostante essa sia da tempo diventata la culla di ogni male e di ogni vizio.
Il Papa si rivela essere così il mallevatore di un mondo che, sui binari del disordine e del vizio, corre difilato alla sua rovina, trascinando con sé sia i malvagi sia i buoni.

Un tempo la Chiesa era il baluardo santo in un mondo dissacrato, essa riusciva a far traboccare la sua santità nel mondo stesso, in cui impiantava tante opere buone e conteneva l’influenza nefasta del demonio. Oggi le cose si sono invertite: è nella Chiesa che traboccano le nefandezze del mondo, compresi uomini e concezioni che sono agli antipodi della verità cristiana; ed è giocoforza ricordare che fu proprio a partire del Vaticano II, col diffondersi colpevole della cosiddetta pastorale legata al “calarsi nel mondo”, che i casi sporadici di ecclesiastici depravati divennero evento corrente nella nuova Chiesa “aperta” al mondo: a cominciare dai seminaristi accettati nei seminari nonostante la loro evidente propensione al vizio e destinati a diventare persino vescovi e cardinali. Col passare degli anni – e ne sono passati più di 50 – l’accettazione del vizio è diventata norma corrente, fino alla nuova “ammodernata” e ammorbata pastorale dello stesso Bergoglio che oggi piange sul latte versato dimentico del fatto che è da cinque anni che versa tale latte acido con le sue “gioiedell’amore”, i suoi “chi sono io per giudicare” e le sue nomine di chierici depravati nei posti chiave della Curia romana, compresi gli istituti delegati alla cura delle famiglie e dei giovani.

Ed ecco cosa manca anche in questa lettera: il minimo cenno al doveroso ripulisti che il Papa dovrebbe fare di tutta questa “sporcizia”. Ma come potrebbe se continua a sostenere che i malvagi sono oggetto della prima cura della misericordia – sua e non Dio – e se continua a mantenere al loro posto i praticanti, i cultori e i sostenitori del vizio?

Bella lettera, che ha mandato in visibilio tanti mezzi di comunicazione e tanti cattolici “adulti” che idolatrano Bergoglio quando distorce il Vangelo, apre ai gay e chiude ai cattolici serii e rispettosi delle leggi della Chiesa e di Dio.
Nessuno sembra esserci accorto che Bergoglio è come se parlasse dal settimo cielo, dove lui sarebbe appollaiato intonso e immacolato, in grado di invitare il “popolo di Dio” a condividere la vergogna e a praticare la penitenza e il pentimento, mentre i malvagi restano al loro posto protetti da lui che è uno degli attuali responsabili del degrado della Chiesa.




New York, Nunziatura Apostolica, 3 ottobre 2015
Francesco riceve gioiosamente, con abbracci e baci, l'amico argentino Yayo Grassi
accompagnato dallo “sposo” Iwan Bagus



di Giovanni Servodio


Alice Coffin, militante LGBT e insegnante all’Istituto Cattolico di Parigi




Alice Coffin all'Istituto Cattolico di Parigi

L’Osservatorio del giornalismo [francese] cita l’Associazione dei giornalisti LGBT, nota per aver pubblicato nella primavera del 2014 una «guida» destinata ai mezzi d’informazione, fatica dedicata alla «rieducazione» al servizio del politicamente corretto.

L’Associazione dei giornalisti LGBT è nata nel 2013, dopo la Manif por Tous [vedi anche sito italiano]; dopo la pubblicazione della sua «guida», ha sfruttato ancor meglio la miniera del politicamente corretto, facendo firmare ai mezzi d’informazione, nel 2015, una «carta contro l’omofobia». Questa Associazione ricompensa anche i giornalisti che dichiarano pubblicamente la loro omosessualità

Alice Coffin  - nella foto - scrive per Huffington Post ed è membro e co-fondatrice della Conferenza Europea Lesbiche  e del fondo femminista e lesbico LIG (Lesbiche per l’Interesse Generale); è anche attivista del collettivo femminista La Barbe (1).




Alix Béranger e Alice Coffin


In coppia con la militante lesbica Alix Béranger, la Coffin ha studiato filosofia alla Sorbona, all’istituto Sciences Po Bordeaux e al CFJ [Centro di Formazione Giornalisti]; dal 2008 al 2015 è stata giornalista incaricata dei “media” e dal 2011 al 2015 è stata delegata sindacale dell’SNJ [Sindacato Nazionale Giornalisti] al quotidiano d’informazione generale gratuito 20 Minutes.

Il suo progetto di studii comparativi sul “trattamento mediatico delle questioni LGBT in Francia e negli Stati Uniti alla luce del concetto di neutralità” è stato premiato nel 2017 con la borsa di studii della Special Fulbright «NGO Leaders» ( 2), co-finanziata dall’Ambasciata USA in Francia e dall’ex fondo Carnegie (3).

Nel 2003, presente ad una conferenza al ginnasio Japy tenuta da Pierre Cassen, questa giovane giornalista tirocinante, membro della Lega delle donne, trovò il modo di gridare al microfono «No al velo per donne!». Ciò nonostane, nel 2017 firmò la petizione a sostegno di Rokhya Diallo come «giornalista militante femminista e lesbica». Rokhaya Diallo è una giornalista di colore, scrittrice, registra e attivista per l’uguaglianza razziale, sessuale e religiosa; difende l’uso del velo per le donne anche sul posto di lavoro e sostiene che «portare il velo non è più sessista che indossare i tacchi a spillo».




Rokhaya Diallo


Con queste premesse, ritroviamo la Coffin, dal 2012, come responsabile del “master” «media e potere» presso l’Istituto Cattolico di Parigi; mentre ricopriva la carica di consigliere mediatica della Conferenza Europea Lesbiche (2016-2017), organismo di riferimento dei gruppi militanti LGBT: “Sì sì sì” e “La Barbe”, che denunciano il “monopolio del potere, del prestigio e del denaro detenuto da alcune migliaia di uomini bianchi”.

Passi per l’apertura stile Bergoglio, ma cosa mai insegnerà ai cattolici questo personaggio che ostenta rumorosamente la sua attitudine anticattolica?
La risposta è scontata… e forse è per la corrente voglia di demolizione della Chiesa che i chierici dell’Istituto Cattolico di Parigi assoldano tipi come la Coffin.




Manifestazione del gruppo La Barbe


NOTE

1 - Gruppo d’azione femminista che deride pubblicamente la barba maschile, facendo indossare alle attiviste una barba posticcia nel corso delle loro manifestazioni; al tempo stesso, la scelta del nome si richiama all’espressione “che barba!”, usata in Francia [La barbe!] al pari che in Italia per indicare che si è stufi di qualcosa, in questo caso dei maschi.
2 - Commissione franco-americana che assegna soggiorni da 1 a 6 mesi negli Stati Uniti, presso una ONG o una Università, sostenuti con assegno mensile da 2.710 a 3.145 dollari, a seconda della destinazione, più un assegno forfettario di 1.200 euri per il viaggio.
3 – La Carnegie Fundation è stata fondata da Andrew Carnegie, capitalista americano di origine scozzese che nei primi del secolo scorso lasciò gli affari, dopo aver accumulato un patrimonio valutato come il più ingente di sempre, e si dedicò alla filantropia, finanziando iniziative culturali, musei, università e fondazioni diverse. La Carnegie Corporation, che oggi vanta un capitale che si aggira intorno a due miliardi di dollari, finanzia iniziative che riguardano la pace universale, la cooperazione internazionale, lo sviluppo del terzo mondo e quanto rientra nell’educazione all’avanguardia delle nuove generazioni.


Articolo redazionale 

Note raccolte a partire dal sito francese Riposte Catholique


http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV2570_Militante_femminista_insegna_ai_cattolici.html


LETTERA DI PAPA FRANCESCO AL POPOLO DI DIO; PAROLE DI UN BUGIARDO O PIÙ SEMPLICEMENTE DI UN LEADER RELIGIOSO CON GROSSI PROBLEMI DI DISSOCIAZIONE DALLA REALTÀ? (CONTIENE VIDEO E POSIZIONI DI GIANLUIGI NUZZI)

Un salto al ribasso della qualità quello di Bergoglio che da populista di “alto livello”, se così si può dire, si trasforma in leader dell’inciviltà più meschina, barbara e ripugnante.
Nella sua lettera al Popolo di Dio, dalla quale anche se molti giornali non lo scrivono si dissocia in primis proprio  il Popolo di Dio tra cui Patrick McCafferty di Belfast che nel suo magazine parrocchiale ha chiesto a Francesco di rimanere a Roma: “Chiederei al nostro Santo Padre il papa di non venire in Irlanda”. Tra l’ennesimo insulto alle vittime dei preti cattolici, emergono diversi aspetti inquietanti.
Il grave ed evidente ritardo mentale delle gerarchie cattoliche che dopo più  di vent’anni di accuse da parte delle vittime e delle associazioni che le tutelano, toh, tutto a un tratto si accorge per la terza, quarta, quinta volta, di non aver fatto abbastanza (per non dire nulla) per affrontare il problema e per tutelare le vittime e le potenziali nuove.
Questo lo squallidissimo teatrino di Bergoglio, che per tirarsene fuori dagli scandali che continuamente emergono testimoniando il fallimento della chiesa nell’affrontare l’endemico problema, e grazie alla complicità criminale di quella stampa che lo favoreggia, promette per la terza, quarta, quinta ecc. volta tolleranza zero con la proverbiale promessa che tutto ciò non accadrà più.
Nel suo incivile concetto, nel frattempo, chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato.
Nella sostanza, uscendo dal concetto religioso e facendo un paragone più alla portata di tutti, Begoglio chiede che l’ubriaco che in stato di alterazione da alcol ha investito un pedone e lo ha costretto ad usufruire a vita di una sedia a rotelle, si accontenti delle scuse senza pretendere un aiuto per comprarsi una sedia a rotelle che gli permetta di muoversi.
Un concetto ripugnante e di una violenza inaudita che varrebbe a dire che se le vittime, questa volta legittimamente, facessero violenza ai propri aguzzini, basterebbe poi chiedere scusa.
In conclusione, un bugiardo o un leader religioso con gravi problemi di dissociazione dalla realtà?
Potremmo forse trovare la risposta se riflettessimo sulle aspettative che Bergoglio ha lanciato per l’ennesima volta al Popolo di Dio, aspettative che non è neppure riuscito a risolvere in uno staterello di un km quadrato con al suo interno solo una quindicina di bambini.
Parlo del caso di don Martinelli e dei chierichetti del papa che hanno denunciato le presunte molestie subite in vaticano, che per la terza volta va verso l’insabbiamento al punto tale che poco più di un mese fa vedevamo il Martinelli, anziché sospeso, raccogliere prenotazioni per gli esercizi spirituali dell’Opera don Folci, esercizi ai quali paradossalmente presenziava niente popò di meno che il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Francisco Ladaria.
Bergoglio, il papa dalla credibilità ZERO.
Di Francesco Zanardi
Avvenire promuove la teologia gender/queer?
(di Lupo Glori) Mentre la Chiesa cattolica è travolta, da un capo all’altro del mondo, dai vergognosi scandali a sfondo sessuale il quotidiano dei vescovi Avvenire, nel suo supplemento del 29 luglio scorso dedicato al raduno mondiale delle famiglie che si apre a Dublino, sdogana la teoria del gender, pubblicando un articolo in cui viene esposta la “bontà” di una improbabile teologia in chiave “gender” e, perché no, anche “queer”.
Ad avanzare l’audace tesi è la teologa Lucia Vantini, della Facoltà Teologica del Triveneto, con un testo astruso, redatto secondo l’artificioso e criptico linguaggio genderista, nel quale la professoressa espone la propria personalissima “teologia” di orientamento gender in cui, secondo le sue stesse parole, ”non viene esclusa a priori nemmeno la prospettiva queer“.
La Vantini spiega infatti come il Coordinamento delle teologhe italiane di cui è vice presidente, “è impegnato in una teologia di genere” che “promette inclusività, (…) e provoca il mondo maschile a rendere conto della propria parzialità corporea e prospettica, mascherata sotto il segno del neutro anche in teologia. Tuttavia, in questa ricerca delle donne trovano spazio l’epistemologia della differenza e la politica dell’uguaglianza e non viene esclusa, a priori, nemmeno la prospettiva queer, con la sua preziosa forza decostruttiva degli stereotipi espliciti ed impliciti dell’ordine simbolico cristiano. Si tratta di epistemologie che non prevedono una transizione definitiva dall’una all’altra ma che aprono un processo a spirale verso la profondità dell’essere sessuato”. 
Obiettivo dell’intervento della docente della Facoltà Teologica del Triveneto è quello di rivendicare e dimostrare l’origine femminista dell’espressione “differenza sessuale”, impropriamente utilizzata, a suo dire, come “arma anti-gender” dai detrattori della teoria di genere, proponendone una propria particolare rilettura.
La sua principale preoccupazione sembra essere dunque quella di “riappropriarsi” gelosamente di tale termine, ostaggio della “rigidità” di pensiero degli “anti gender, chiarendone il suo autentico carattere “libero”, che affonda le sue radici teoriche nel femminismo francese e in particolare nel pensiero della psicoanalista belga Luce Irigaray (favorevole alla contraccezione e all’aborto) e nella “Comunità filosofica femminile di Diotima”.
In tale prospettiva, spiega la teologa, l’espressione “differenza sessuale” rettamente intesa, “compare in attrito con la politica dell’uguaglianza e originariamente corredata di una forza simbolica tutta da interpretare nella libertà soggettiva. Nei detrattori del gender non sembra restare nulla di questo senso libero della differenza sessuale, svenduto con leggerezza in cambio di un rassicurante essenzialismo. In certi contesti teologici ed ecclesiali analfabeti riguardo le diverse teorie femministe, infatti “differenza sessuale” è categoria prescrittiva e deterministica, usata per confermare un concetto di natura che non ha nulla di naturale, e per corroborare un irresistibile istinto patriarcale di conservazione del potere e della tradizione”.
In uno scritto, intitolato Voci della differenza sessuale: genere, differenza, differenze, pubblicato sul Bimestrale di teologia delle Edizioni Messaggero Padova,Credere oggi la Vantini chiarisce meglio il suo concetto di “differenza sessuale”, scrivendo: “A uno sguardo profondo non sfugge che quell’«abitare insieme» di uomini e donne a cui si riferiva Irigaray si pone oggi come un sogno per certi aspetti irrealizzato: il mondo è ancora lacerato dalla violenza di maschi abbandonati dalle loro compagne, paralizzato da innumerevoli soffitti di cristallo che ostacolano l’opera delle donne, oscurato da diversi stereotipi di genere, impreparato a un’educazione che valorizzi la differenza sessuale senza gerarchizzarla, prigioniero di un concetto arrogante di natura, analfabeta nelle relazioni, sordo di fronte ai soggetti che patiscono il disagio dell’omofobia”.
Per uscire da questo impasse e comprendere il reale significato dell’espressione “differenza sessuale” bisognerebbe quindi, secondo la Vantini, agire su due fronti distinti: da un lato “affrancare le manifestazioni originarie della differenza dalle sue interpretazioni androcentriche” e dall’altro “sperimentare mediazioni diverse per dare voce soggettuale all’esperienza femminile”.
E’ necessario dunque, da un lato, sbarazzarsi di quella arcaica ed ottusa concezione fondata sul “dominio patriarcale” che “divide il mondo secondo un binarismo problematico che colloca sul versante maschile razionalità, azione, forma, cultura, spazio pubblico, mondo della produzione, e su quello femminile affettività, passività, materia, natura, spazio privato e mondo della riproduzione” e, dall’altro, costruire un nuovo “ordine simbolico femminile” secondo – spiega sempre la Vantini – quanto suggerito dalla femminista Carla Lonzi (1931-1982) che così scriveva: “La donna non è in rapporto dialettico con il mondo maschile. Le esigenze che essa viene chiarendo non implicano un’antitesi, ma un muoversi su un altro piano”. Per la Vantini, la differenza sessuale è infatti “qualcosa di complesso, non riconducibile né al piano biologico, né a quello sociale, né a quello culturale: è la perturbazione di un campo in cui sono attive tutte queste variabili”.
Insomma una faccenda troppo seria e complicata perché ne possa comprendere qualcosa la gente comune non avvezza agli intricati cavilli e sofismi intellettuali in materia.
In ultima analisi, la teologa Vantini è, di fatto, una epigona contemporanea del femminismo cosiddetto di “seconda ondata” che, tra il 1968 e il 1980, succedette alla prima ondata, che aveva combattuto in nome del raggiungimento dell’uguaglianza tra uomini e donne, ponendo al centro delle sue rivendicazioni il principio appunto della “differenza sessuale”, dal momento che ad essa venivano imputate le origini e le cause della posizione di subordinazione della donna nei confronti dell’uomo.
Il “femminismo della differenza” vide infatti nella gravidanza, nel parto, nell’allattamento, e in tutte le caratteristiche peculiari del ruolo femminile, degli insopportabili limiti da rimuovere, in quanto fondamenti della condizione di inferiorità che aveva, fino a quel momento, relegato la donna a compiti e ruoli domestici e accuditivi.
In tale prospettiva, l’obiettivo primario della nuova lotta femminista divenne l’abbattimento di tutti quegli “ostacoli”, così da poter finalmente assicurare alla donna l’accesso alla vita pubblica e sociale fino ad allora riservata all’uomo. Da qui l’individuazione di nuovi “diritti” speciali, basati proprio sulla differenza sessuale, che costituiranno le fondamenta delle rivendicazioni successive del movimento femminista più radicale.
Diritti legati alla possibilità di disporre in maniera autonoma e arbitraria del proprio corpo, della propria sessualità e capacità riproduttiva, che si tramuteranno, concretamente, in diritto alla contraccezione e diritto all’aborto.
Nello stesso scritto dedicato alla “differenza sessuale”, la Vantini chiarisce anche il suo pensiero sulle teorie di genere, scrivendo come esse non siano altro che “un altro modo di significare la differenza sessuale”. Al riguardo, la teologa spiega come le teorie di genere costituiscono infatti semplicemente un diverso modo di esprimere la differenza sessuale proponendo delle re-interpretazioni e riletture del binomio sex/gender system. Una volta distinti sex e gender, inevitabilmente, si finisce, sempre secondo la teologa, in un inedito spazio ambiguo dove tale sistema binario sex/gender viene“percepito e gestito come una semplice differenziazione teoretica tra livelli del sé, oppure come una frattura irreparabile”.
In tale duplice rappresentazione la Vantini si schiera sul fronte della prima prospettiva, da lei definita ermeneutica della distinzione, la quale “non si disfa dei corpi e si rivela molto utile per esaminare l’immaginario con cui vengono pensati, espressi, e normati il «maschile» e il «femminile»”, respingendo la seconda prospettiva radicale della separazione, che, “riducendo il corpo sessuato a prodotto di pressioni simboliche, ritualità e pratiche sociali, ne perde la materialità”.
Tuttavia, pur rifiutando la tesi radicale della separazione, la Vantini giustifica la sua adesione alla prima prospettiva della distinzione, adottando esattamente le stesse categorie filosofiche della teoria del gender, scrivendo: “le risorse della prima prospettiva sono evidenti: essa permette di criticare gli stereotipi di genere, di elaborare un’educazione che libera i soggetti da aspettative che non rispettano la loro singolarità, di mettere a fuoco come una cultura abbia significato la differenza sessuale in modo da spartire le qualità e i ruoli di uomini e donne in modo contraddittorio o comunque rigidamente complementare e di porre la questione di come generare comunità inclusive”.
Un punto di vista logico e coerente con la sua concezione fluida e malleabile dell’espressione “differenza sessuale”, capace di adattarsi plasticamente a qualsiasi contesto, contrariamente alla “rigida” visione binaria degli anti-gender, rea di non sapersi adeguare all’ineluttabile processo evolutivo della realtà.
Da teologa, infine, la Vantini, premettendo ed ammettendo come non sia sempre facile distinguere tra queste due traiettorie, che nella realtà, come abbiamo visto, si sovrappongono fino a costituire un tutt’uno, nota come entrambe siano implicitamente riconosciute in Amoris laetitia.
La loro, spiega la docente della Facoltà Teologica del Triveneto, è una “compresenza silenziosa”, tuttavia, l’esortazione contiene l’impianto fondamentale duale sex/gender che “lascia intravedere la diversa plausibilità delle prospettive”, quando afferma al punto 56 :”Non si deve ignorare che «sesso biologico» (sex) e ruolo sociale-culturale del sesso (gender) si possono distinguere ma non separare”.
Tale puntualizzazione, illustra sempre la Vantini per tirare acqua al mulino del gender, è stata ripresa anche dalla Relatio finalis della XIV Assemblea generale ordinaria del sinodo dei vescovi, che “corrobora la teoria di genere nella sua prospettiva ermeneutica”, secondo la quale vi è un innegabile intreccio tra il piano naturale e quello culturale nel processo costitutivo dell’identità di ciascuno. L’unica colpa dell’Amoris Laetitia, secondo la Vantini, sarebbe dunque quella di non aver distinto sufficientemente tra un’accettabile ed auspicabile prospettiva della separazione ed un’inammissibile e radicale prospettiva della separazione.
Vi fosse stata questa precisazione, conclude infatti la teologa “l’idea di una decostruzione dell’immaginario di complementarità tra uomini e donne farebbe meno paura, e forse verrebbe intesa come una promessa e non come una minaccia per il destino dell’umano e delle sue relazioni. Da questa decostruzione, infatti, dipende il futuro ecclesiale di quel nuovo umanesimo integrale e inclusivo che aspira a riconoscere e a proteggere le vulnerabilità di tutti”.
Il futuro della Chiesa cattolica, secondo il pensiero della teologa Vantini, fatto suo dal quotidiano dei vescovi Avvenire, dipende dunque dalla decostruzione e rinnegamento del suo millenario insegnamento in tema di morale ed omosessualità.
Sarà per questo che all’ incontro mondiale delle famiglie che si svolge in Irlanda dal 21 al 26 agosto, è stato invitato a parlare il gesuita americano James Martin, noto per le posizioni dichiaratamente pro LGBT, espresse nel suo dibattuto libro Building a Bridge, dove ovviamente il bridge da costruire è il ponte che dovrebbe festosamente accogliere gay, lesbiche, bisessuali, transgender e chissà chi altro, all’interno della Chiesa cattolica? (Lupo Glori)

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