ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 19 settembre 2018

Connivenza con l’errore

Ancora un giannizzero
della guardia bergogliana




Ci è stato segnalato un altro intervento a favore di papa Bergoglio in relazione alla richiesta di dimissioni avanzata da Mons. Viganò nella sua “Testimonianza”, basata sulla denuncia di connivenza dello stesso Bergoglio con i prelati omosessuali e abusatori di seminaristi.

Questo intervento è stato approntato dal Dott. Massimo Gandolfini, neurochirurgo e portavoce del Family Day, cresciuto tra i neocatecumenali.
La notorietà del professore ci porta a rinviare il lettore ad una sua lunga intervista che delinea il suo pensiero, ottimamente commentata da Elisabetta Frezza e da Roberto Dal Bosco.

Il titolo dell’intervento – Il coraggio di Francesco – esprime chiaramente da che parte sta il suo autore.

Egli parte riferendosi al «“dossier” di Mons. Viganò, ex Nunzio Apostolico in Usa», e subito elogia quanto ebbe a scrivere papa Bergoglio nella sua “Lettera al popolo di Dio” (qui il testo - qui il nostro commento), nella quale parla ampiamente degli abusi sessuali commessi da certi prelati cattolici.
Qui, la cosa curiosa è che Gandolfini si premura di segnalare la “Lettera” di Bergoglio, del 22 agosto 2018, tralasciando di dire una parola sulla denuncia di Mons. Viganò che è stata resa pubblica il 26 agosto. Una sorta di giustificazione anteriore alla chiamata in correità di papa Bergoglio.
Vero è che papa Bergoglio, nel viaggio di ritorno dall’Irlanda, lo stesso 26 agosto, ha dichiarato: “Io non dirò una parola su questo”, ed ha invitato i giornalisti – e ovviamente tutti gli altri – a parlare al posto suo: “leggete voi, attentamente, il comunicato e fate voi il vostro giudizio”; ma questo non esime coloro che decidono di difendere papa Bergoglio dal tacere sulle accuse mosse da Mons. Viganò.

Nel suo intervento, Gandolfini fa solo un breve cenno alla richiesta delle dimissioni di papa Bergoglio avanzata Mons. Viganò: «trovo che non vi sia nulla di più inaccettabile ed assurdo che chiedere le dimissioni del Papa»; un papa che, secondo lui, avrebbe espresso: «la lucida condanna dell’orrore della pedofilia/pederastia/pornografia e di ogni disordine sessuale, praticata da chiunque e a maggior ragione da persona consacrata a servire il Vangelo e la Verità rivelata, accompagnata da una rinnovata azione, dentro e fuori la Chiesa, che ponga in atto ogni misura preventiva culturale, pastorale e sociale perché si taglino le radici stesse di quegli atti orribili
E si rimane stupiti a leggere un simile ditirambo quando si sa che papa Bergoglio è da cinque anni che si rifiuta di giudicare la pedofilia/pederastia mentre riceve, abbraccia e bacia ogni sorta di omosessuale.
Vabbé difendere il Papa, ma farlo in modo così maldestro è indice di sottile malizia e perfino di connivenza con l’errore.

Ma al Nostro si accende una lampadina che lo porta ad affermare «Credo la Provvidenza stessa ci doni oggi una grande opportunità per individuare quella radice velenosa e reciderla, perché succede spesso proprio così: in mezzo alle tenebre più pesanti, compare il fulgore di una luce, magari dimenticata, che ravviva la speranza».
Come se, dopo decenni di “sporcizia” che è penetrata nella Chiesa e si è diffusa a macchia d’olio fin nei gradi più alti della gerarchia, ecco arrivato papa Bergoglio a permettere di “individuare quella radice velenosa e reciderla”.
E anche qui, vabbé difendere il Papa, ma farne addirittura l’“uomo della provvidenza”, puzza lontano un miglio di cicisbeismo.
In questo modo non si difende il Papa, ci si offre come sostenitori dell’uomo Bergoglio, a prescindere da ogni seria considerazione; e questo non fa onore a chi fa tale professione di fede nell’uomo.

Si arriva quindi inevitabilmente a diventare più realisti del re, leggendo addirittura le intenzioni semi-recondite di papa Bergoglio:
«Il Santo Padre Francesco, successore di quel Pietro di Galilea cui il Signore stesso conferì il mandato di confermare nella fede tutti i fratelli, si è assunto la grande responsabilità della denuncia, della inequivocabile condanna, e della “ricostruzione”, spero non soltanto del mondo ecclesiale
Ora, dato che di “sporcizia nella Chiesa” aveva già parlato il cardinale Ratzinger il 25 marzo 2005, durante la Via Crucis, 25 giorni prima della sua elezione al Papato avvenuta il 19 aprile 2005; e dato che Ratzinger ha fatto il Papa per quasi 8 anni, rinunciandovi poi per far posto a Bergoglio: e dato che Bergoglio è da cinque anni che fa il Papa, come evitare di chiedersi: ma cos’hanno fatto i due in questi 13 anni?
C’era proprio bisogno di aspettare quest’agosto del 2018 per sentire che papa Bergoglio “si è assunto la grande responsabilità della denuncia, della inequivocabile condanna, e della “ricostruzione”, come afferma imperterrito il Gandolfini?
Con tutta la buona volontà, qui c’è qualcosa che non quadra e non quadra non per poco, ma per molto, anzi per parecchio! Vuoi vedere che alla fine dei conti ha ragione da vendere Mons. Viganò che chiama in causa entrambi questi pontefici?

Qui non si tratta di lanciarsi lancia in resta in una «missione certamente gravosa e difficile, … che riguarda ogni cristiano e che esige la comunione con Pietro. “Cum Petro et sub Petrum”, con la santa determinazione di ‘tornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo’», come declama il Nostro.
Prima di buttarsi “cum Petro et sub Petro”, il buon fedele di Nostro Signore deve essere certo che l’attuale prelato sedente sul Soglio di Pietro non sia minimamente coinvolto nella “sporcizia” che oggi denuncia e condanna, perché se non fosse così, l’attuale successore nominale di Pietro non potrebbe minimamente “ricostruire” alcunché; e il dovere del buon fedele di Nostro Signore sarebbe primariamente quello di obbedire a Dio piuttosto che agli uomini. Diversamente non si andrebbe in “missione” per “ricostruire”, ma per demolire ulteriormente.

Per finire, segnaliamo che, quasi a riprova di quanto abbiamo affermato prima, papa Bergoglio ha appena promulgato la Costituzione Apostolica Episcopalis Communio, con la quale intende sostituire l’assetto gerarchico della Chiesa, come voluto da Nostro Signore, con un assetto “democratico” come voluto da Bergoglio stesso, dove i vescovi saranno chiamati a concorrere al governo della Chiesa al fianco del Papa, e dove la mutevole percezione del senso della fede prenderà il posto della trasmissione e la conservazione del depositum fidei.

«Confido altresì che, proprio incoraggiando una “conversione del papato […] che lo renda più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali dell’evangelizzazione, l’attività del Sinodo dei Vescovi potrà a suo modo contribuire al ristabilimento dell’unità fra tutti i cristiani, secondo la volontà del Signore. Così facendo esso aiuterà la Chiesa cattolica, secondo l’auspicio formulato anni or sono da Giovanni Paolo II, a “trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova”» 
(Costituzione Apostolica Episcopalis Communio, del 18 settembre 2018, n° 10).

E addio alla tanta strombazzata “comunione con Pietro”, e allo stesso Pietro, che con Bergoglio vedrà annichilita la sua funzione di “confermare nella fede tutti i fratelli”, sostituita con la funzione di presidente dell’assemblea dei vescovi e di amministratore delegato del congresso delle religioni mondiali.
“Cum Petro e sub Petro” dovrà allora essere sostituito con “cum Mario e sub Mario”, magari con la profonda gioia dei tanti Gandolfini che affollano la corte del signore argentino che da cinque anni continua e demolire il Papato e a stravolgere gli insegnamenti di Nostro Signore.


di Giovanni Servodio
 http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV2607_Servodio_Giannizzero_guardia_bergogliana.html

Il bergoglismo è finito, andate in pace.



di Miguel
Ci siamo arrivati, del resto oggi si guarda più al tempo che all’eternità. E il tempo di questo super spot è arrivato alla conclusione. Non importa se Jorge Mario regnerà ancora un anno, due o dieci. Il bergoglismo è finito per ciò che è stato: un fenomeno mediatico, uno story telling, chiamatelo come volete. Finisce qui a prescindere da Bergoglio, che ha rappresentato qualcosa che va oltre la sua stessa persona, insomma: un atteggiamento, un messaggio, “buonsera”, “vescovo di roma”, “buon pranso”, “chiesa della misercordia”, “chiesa in uscita”, “povera per i poveri”, e via discorrendo.
E badate non è finito per gli inconcludenti dubia, per la repressione dei Francescani dell’Immacolata, per gli erroracci dottrinali (che lo precedono e lo superano). No: è finito perché ha avuto un problema col suo stesso pubblico, quello delle sale d’attesa delle parrucchiere, i teledipendenti, i qualunquisti del bar che “ahò, sto Francè a li potenti nun je piace”, “je fanno beve er caffé de Papa Luciani”, “manco un anno de pontificato je fanno fà”. L’equivalente pseudocattolico del popolo de sinistra. Cui si sommano le perpetue moraliste, ecclesialmente pronte a tutto, a condizione che non ci sia polvere sulle balaustre.
Il popolo non ha gradito, e in tempi di sondaggi demoscopici e collegialità episcopale non è cosa da poco. Hai voglia a inseguire, zoppicando, la gggente dicendo che i divorziati risposati in fin dei conti devono essere oggetto di discernimento. Il mondo corre più veloce, e il bergoglismo ormai sembra vecchio senza essere antico, anche ai suoi sostenitori emeriti.
Ma come? Dovevi fare la mani pulite della curia? E a questo punto stiamo?
Sì, il bergoglismo è finito. Ma non i problemi: perché il bergoglismo è più un effetto che una causa. Abbiamo già visto su queste pagine come il caso Viganò sia una mina posta sotto alla “chiesa del concilio” prima che sotto alla “chiesa della misericordia”.
Bergoglio è un frutto ben coltivato in oltre cinquant’anni. Un frutto coerente, un frutto maturo. Sì, è caduto. Ma l’albero è lì. Si tratta dell’albero che ha le sue radici in Paolo VI, i suoi rami in Giovanni Paolo II e i suoi frutti più mediaticamente sensibili nel dossier Viganò.
Andate dunque in pace.
Però andate in pace davvero, lontano dal Concilio.
di  
https://www.radiospada.org/2018/09/il-bergoglismo-e-finito-andate-in-pace/

[DOSSIER VIGANÒ] Il vero problema della Chiesa non è Papa Francesco.


[NOTA DI RADIOSPADA]
Un universo ci separa dalla mens dell’estensore di questo articolo, che tuttavia sottolinea, a tratti involontariamente, alcuni aspetti pregnanti dello scandalo abusi:
1- i predecessori di Francesco non possono essere ritenuti estranei al problema della immoralità diffusa nel clero;
2- lo scandalo può essere occasione di una messa in discussione dela “chiesa conciliare” in quanto tale;
3- su quali basi vengono nominati, oggi, i successori degli Apostoli?
Infine, se concordiamo sull’accezione negativa da annettere al “clericalismo”, non possiamo assolutamente condividere la sciocca e stereotipata attribuzione di tale problema al “mondo preconciliare”, anziché proprio a quello “conciliare” che sminuendo il sacerdote ha favorito il lassismo nei seminari e la banalizzazione della sua missione, riducendola a poco più di un impiego amministrativo e stimolando così proprio il corporativismo viziato (e vizioso) che oggi si critica.


di Riccardo Cristiano (Vaticanista di RESET)
Dopo l’annuncio che il Vaticano fornirà una risposta alle accuse dell’arcivescovo Viganò, il papa ha convocato per il prossimo febbraio un incontro senza precedenti con tutti i presidenti delle conferenze episcopali sulla tutela dei minori. Si tratta di due decisioni tanto inattese quanto opportune vista la portata di quanto è accaduto, che più che un attacco a Bergoglio sembra essere un attacco al Concilio. Ma per dire perché, occorre partire da cosa è successo.
Ha osservato correttamente Foreign Affairs che le preghiere per una rapida scomparsa del papa regnante tra i preti o magari tra i vescovi, non sono né rare né nuove, se ne parla da secoli, ma richieste pubbliche di dimissioni del papa non erano immaginabili neanche tra chi ammette che quelle preghiere non sono inusuali. Fatto sta che da secoli nessuno c’era mai arrivato. Ora che invece l’arcivescovo Viganò ha varcato la soglia ritenuta invalicabile, chiedendo a PapaFrancesco di dimettersi, non è possibile non leggere questa incredibile vicenda a partire dal danno che ne riceve il papato in sé, non tanto quello di Bergoglio, e l’idea conciliare di Chiesa.
Come è noto, colui che per l’uomo che ne chiede le dimissioni è il Vicario di Cristo, dovrebbe lasciare perché a carico del cardinale McCarrick – colpevole di condotte sessuali molto gravi – vi sarebbero state delle “sanzioni segrete”, mai scritte né mai rispettate dal medesimo cardinale senza che ciò comportasse alcunché, neanche per l’arcivescovo Viganò stesso, che in un banchetto pubblico non esitò a elogiare il cardinale in questione; sanzioni segrete ma di cui Bergoglio non poteva non sapere, di cui lo stesso Viganò gli avrebbe parlato senza che il papa facesse alcunché.
Ma non è questo che conta di più. Ciò che conta di più è che il McCarrick è arrivato alla guida della diocesi di Washingtonall’inizio del secolo, quando regnava papa Giovanni Paolo II, poi è diventato cardinale, concludendo di lì a breve una lunga carriera di successi. Come abbiamo appreso di recente grazie al sito della Conferenza Episcopale Americana, le accuse risalgono agli albori del millennio, cioè proprio quando esplose lo scandalo pedofilia in America. Come pensare che in un simile contesto di fibrillazione il caso McCarrick, accusato di relazioni con seminaristi, e l’opportunità della sua nomina a cardinale siano passati inosservati?
Ma i dubbi specifici e la tempistica esatta di accuse e nomina non devono far velo al problema sostanziale: i criteri di selezione dell’episcopato sono stati adeguati? Nello specifico, la raccomandazione a una vita appartata a un cardinale accusato di ciò che sappiamo risolve il problema o lo indica? Inoltre non sembra che queste sanzioni abbiano dovuto attendere quanto indicato da Viganò per essere formulate segretamente.
Recenti indiscrezioni asseriscono infatti che, molto prima di quanto indicato da Viganò, sia stato raccomandato al cardinale uno stile di vita “appartato”, compreso l’abbandono del seminario dove viveva. Ma davvero monsignor Viganò pensa di non coinvolgere San Giovanni Paolo II asserendo che quando nominò cardinale McCarrick, diversi anni prima di morire, già non capiva chi nominava? E pensa di non coinvolgere nel disastro papa Benedetto XVI dicendo che quando il cardinale McCarrick, a suo avviso da lui segretamente sanzionato e obbligato a una vita appartata e di penitenza, gli compariva davanti in Vaticano insieme agli altri vescovi americani, Benedetto non gli diceva nulla perché è un timido?
Forse, osservando con sguardo attento non al singolo caso ma al problema nella sua vastità e alla sua portata, sembra essere proprio quello della qualità del personale episcopale selezionato nei decenni passati il vero punto dolente e quindi quello dei criteri di scelta, confermato per tale dalla diffusa prassi di insabbiamento degli abusi per paura dello scandalo. Mai notati ambienti dottrinalmente rigoristi, quelli ai quali si può ricondurre un inusuale livore pubblico verso Francesco, afflitti da tracce di comportamenti devianti? C’è un’università aperta per competere con i “modernisti gesuiti” e collegata a un seminario: si dice che questo seminario sia stato toccato da abusi. Il problema però è diventato Francesco, cioè il papa che ha tolto a questo cardinale la berretta cardinalizia come non accadeva da chissà quando (guardando al particolare) e soprattutto il papa che ha cercato altri criteri di selezione (guardando al problema generale) e che qui si ritiene di richiamare come rilevante.
Con lui infatti i fautori e detrattori hanno riconosciuto, quasi unanimemente, l’arrivo in cattedra (cioè in episcopio) dei cosiddetti “preti callejeros”, i preti di strada, quelli che svolgono il lavoro pastorale nelle periferie degradate o esistenziali e diventano vescovi senza aver preso parte a particolari “corsi d’onore”. Con lui poi sono saltate le “sedi cardinalizie”, cioè quelle sedi arcivescovili che quasi in automatico comportavano la nomina a cardinale e che quindi erano oggetto di brame anche da chi non disdegna la carriera. Con Francesco abbiamo visto arrivare nel Sacro collegio titolari di diocesi ai più sconosciute, dimenticate, mai bramate, periferie che per la prima volta hanno portato volti, problemi, dimensioni e impressioni al centro e nel centro della cattolicità.
È davvero strano questo caso Viganò, produce degli autogol che è difficile immaginare più sorprendenti anche agli appassionati di calcio. In questi giorni a chi scrive è capitato, ad esempio, di sentirsi chiedere al termine di una discussione pubblica: “Ho sentito dire che Papa Francesco è stato eletto dalla massoneria. Se fosse vero sarebbe gravissimo, spiegherebbe tante cose.” Quale possa essere l’ambiente d’origine di un’assurdità del genere è facile immaginarselo, ma ai fedeli ai quali è stata venduta questa storia non è stato spiegato che, visto che il papa viene eletto dai cardinali, qualcuno prima di lui avrebbe inserito un gruppo massonico nel Sacro collegio. Più che un attacco al papa regnante sembra un attacco ai suoi predecessori e, siccome non pare sia così, il fatto diventa ancor più sorprendente.
L’episcopato formatosi nei decenni passati a mio avviso risente di un problema gravissimo, il clericalismo, lascito preconciliare. Questa malattia, indicata come tale da Francesco, riduce la Chiesa a una comunità costituita dal clero e non da tutto il popolo di Dio, inclusi quindi tutti i credenti laici, come dopo animate discussioni indicò il Concilio Vaticano II. Questa identificazione della Chiesa con il clero non è sana perché non rende partecipe della vita della Chiesa e delle sue decisioni tutti i credenti, ma solo il clero, mentre a essere deportato dal Faraone fu tutto il popolo di Dio.
La visione preconciliare può far scattare quello spirito di “gruppo e guida” che più facilmente può cadere in una concezione distorta del potere e quindi anche nella copertura di eventuali abusi. Lo evidenzia un caso di qualche anno fa: quando Francesco nominò una commissione per la tutela dell’infanzia, volle a farne parte una vittima di abusi. Lei chiese alla Congregazione per la dottrina della fede, che gestisce i processi canonici, di ascoltare anche le vittime. Il prefetto della congregazione le rispose che questo non era compito loro, ma delle singole diocesi. Questa risposta tecnicamente ineccepibile di un Prefetto che non era certo un insabbiatore indica però un problema: i fedeli sono parte della Chiesa? E se lo sono come possono avere accesso alla formazione dei processi decisionali e della cultura ecclesiale?
Non a caso davanti al gravissimo caso cileno, Bergoglio non ha scritto una lettera al clero, ma a tutto il popolo di Dio che vive in Cile, raccomandandogli di non farsi strappare l’unzione: siete tutti voi gli unti dal Signore, il senso del suo messaggio. La questione degli abusi pone alla Chiesa l’urgenza di superare il clericalismo e di liberarsi di quella concezione deviata del potere che è all’origine di tanti mali. Francesco, che nella gestione ha ammesso di aver commesso errori, sembra però criticato proprio per aver scelto questa strada, che inevitabilmente porta a rompere il vecchio sodalizio tra potere temporale e potere spirituale. Tanto da giustificare l’impressione che per capire gli attuali attacchi a Bergoglio sarebbe opportuno leggere la sua intervista al Sole 24 Ore dello scorso 7 settembre più che gli articoli sull’ex cardinale McCarrick.

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