ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 30 settembre 2018

God bless China...!

Nella partita col Vaticano chi comanda è la Cina

Al gesto di papa Francesco che lo stesso giorno della firma dell’accordo con la Cina ha esonerato dalla scomunica i sette vescovi insediati a forza negli anni scorsi dal partito comunista senza l’approvazione della Santa Sede, le autorità cinesi hanno risposto designando loro i due vescovi che si recheranno a Roma per partecipare all’imminente sinodo mondiale:

È la prima volta che ciò avviene e la decisione sembra un assaggio di cosa accadrà con le future nomine episcopali, sulla base dell’accordo stipulato tra le due parti. Un accordo di cui non sono stati resi noti i contenuti ma che evidentemente non è alla pari.
Mentre in passato, prima nel 1998 e poi nel 2005, i vescovi cinesi invitati ai sinodi di quegli anni rispettivamente da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI non ebbero mai l’autorizzazione a recarsi a Roma, oggi invece è accaduto il contrario. Sono state le autorità di Pechino a designare i vescovi da inviare al sinodo e Roma non ha sollevato obiezioni. È stato l’alto funzionario cinese Wang Zuo’an, direttore dell’amministrazione statale per gli affari religiosi, a rendere pubblica la loro designazione.
I due eletti sono Giovanni Battista Yang Xiaoting, vescovo di Yan’an-Yulin, e Giuseppe Guo Jincai, vescovo di Chengde. Entrambi sono da tempo docilissimi esecutori delle volontà delle autorità cinesi e il secondo – uno dei sette assolti dalla scomunica – è anche segretario generale della pseudo conferenza episcopale dei vescovi cinesi, della quale continuano a non poter far parte i vescovi cosiddetti “clandestini”, cioè in comunione con Roma ma non riconosciuti dal regime.
Oggi i vescovi “clandestini” noti risultano essere 17, di cui 7 al di là dei 75 anni. E due di loro si trovano adesso affiancati, nelle rispettive diocesi, da due dei vescovi di nomina governativa amnistiati nei giorni scorsi dal papa. Nella diocesi di Shantou il vescovo “clandestino” ha 87 anni e potrà essere facilmente sostituito. Ma in quella di Xiapu-Mindong il vescovo “clandestino” Vincenzo Guo Xijin, 56 anni, dovrà cedere il passo al concorrente Vincenzo Zhan Silu, obbedendo al “sacrificio” chiestogli dal Vaticano già dallo scorso inverno. Anche qui a conferma di come il regime cinese si trovi avvantaggiato sulla controparte.
Di tutti i vescovi attualmente presenti in Cina – di cui l’Annuario pontificio tace i nomi, salvo che per Hong Kong e Macao – Settimo Cielo ha fornito lo scorso febbraio un organigramma ragionato, sulla base dell’informatissimo libro del vaticanista Gianni Cardinale uscito all’inizio di quest’anno per i tipi della Libreria Editrice Vaticana:
Va però aggiunto che nella diocesi di Ningbo, dove l’ultimo vescovo conosciuto, di nome Hu Xiande, “clandestino”, è morto il 25 settembre 2017, la Santa Sede si è limitata a comunicare che “il successore ha preso possesso della diocesi”: segno che lì dev’esserci ora un nuovo vescovo anch’esso non riconosciuto dal governo cinese, di cui però non è stata rivelata l’identità.
Un’ultima notazione riguarda lo strano caso dell’ottavo vescovo al quale lo scorso 22 settembre papa Francesco ha tolto la scomunica non da vivo ma da morto.
Nell’atto papale della revoca della scomunica c’è infatti scritto che questo vescovo, Antonio Tu Shihua, francescano, deceduto il 4 gennaio 2017, “prima di morire aveva espresso il desiderio di essere riconciliato con la sede apostolica”.
Di questo vescovo “L’Osservatore Romano” non pubblicò il necrologio, come non veniva fatto per ogni vescovo illegittimo deceduto senza essersi riconciliato con la Chiesa, né pubblicamente, né in foro interno.
Sono quindi possibili due spiegazioni della sua assoluzione “post mortem”, accordata da papa Francesco nei giorni scorsi.


O la Santa Sede ha saputo solo parecchio tempo dopo la sua morte del suo desiderio di riconciliazione. O il governo cinese ha preteso assolutamente da Roma la sua riabilitazione postuma. E l’ha ottenuta.

Settimo Cielo di Sandro Magister 30 set

COMPRENDO LA CINA COMUNISTA E IL SUO TIMORE VERSO IL CATTOLICESIMO, NON COMPRENDO INVECE LE RAGIONI DELL’ACCORDO FANTASMA DELLA SANTA SEDE COL GOVERNO DI PECHINO
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il Cristianesimo è divenuto elemento di aggregazione e di unità, senza però impedire, come forse pensava l’Imperatore Costantino, la disgregazione dell’Impero, anzi sotto certi aspetti favorendola. Sicché, il potere politico che cercò di rinsaldarsi usando come elemento di unità ed unificazione il Cristianesimo, credendo di poter in tal senso ed a tal fine assorbire il Cristianesimo, è stato invece assorbito dal Cristianesimo, che è sopravvissuto all’Impero Romano mantenendo al proprio interno tradizioni, usi e costumi romani totalmente cristianizzati. Ecco cosa spaventa il Governo Comunista della Cina, ed hanno ragione, sul piano politico, ad essere spaventati, quindi ad agire di conseguenza. È la Santa Sede che forse non ha capito la ragione di queste paure.
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Roma 2010 – il Padre Ariel S. Levi di Gualdo allaVia Crucis al Colosseo in ricordo dei Beati Martiri Cristiani, assieme a uno dei diversi confratelli cinesi coi quali ha vissuto a contatto nella Capitale
Da tempo desideravo spender due parole sulla questione cinese, ma ho evitato di farlo perché molti sono ormai gli auto-eletti esperti che sugli organi di stampa cattolici, per seguire con la pletora di siti e blog cattolici, ci donano preziose perle di saggezza. I commentatori più accreditati si limitano a pubblicare veline a loro passate da qualche addetto della Segreteria di Stato, dando così continuità all’interno della Chiesa Cattolica a quello che era il rapporto tra l’organo ufficiale del Partito Comunista, il quotidiano Правда [in italiano Pravda], ed il Soviet di Mosca. Peraltro, nella lingua russa, Правда vuol direVerità. E ciò fa sorridere, come oggi fa sorridere il nome del quotidiano dei vescovi d’Italia: Avvenire. Dato che di questo passo, l’avvenire della Chiesa pellegrina sulla terra, a breve non sarà purtroppo tra i più edificanti.
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Ho conosciuto negli anni eminenti studiosi, inclusi diversi missionari, che pur avendo studiato per decenni il fenomeno cinese ed avendo vissuto in quel grande Paese, quando nominavano la Cina erano pervasi da una sorta di sacro timore, poiché consapevoli della sua complessità storico-sociale e della sua antica e gloriosa cultura. Soprattutto, sin dalla mia formazione al sacerdozio, ho conosciuto e vissuto a stretto contatto a Roma con diversi cinesi; e posso garantire ai nostri Lettori che per il “poco” che dalle loro vite vissute posso avere appreso, forse ho appreso qualche cosa in più rispetto ai velinari dellaPravda Pontificia, ai quali qualche monsignorino della Segreteria di Stato, che in Cina non ci ha mai messo piede, ha passato qualche velina affinché scrivessero che il Venerabile Cardinale Joseph Zen Ze-Kiun, cinese d’antica stirpe, ottantasei anni d’età e già Arcivescovo di Hong Kong, è  solo un vecchio rabbioso prevenuto contro il governo ateo-comunista di quel Paese. Parola di velinari, il tutto su impulso di qualche curiale, che forse ha avuto modo di conoscer molto meglio e molto più a fondo la Cina, semmai spulciando sulle carte della Segreteria di Stato di Sua Santità.
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Se un uomo venerabile come il CardinaleJoseph Zen Ze-Kiun, contrario da sempre a ogni genere di cedimento da parte della Santa Sede al Governo della Cina, afferma «Stanno dando il gregge in pasto ai lupi» e che ciò è un incredibile tradimento», ed infine aggiungendo: «La firma di un accordo con il regime ateo di Pechino mina la credibilità del Papa» [Reuters, servizioQUI], qualcuno, vuol porsi per caso perlomeno delle domande? Il problema è che la Chiesa del superficiale, dell’approssimativo, ma soprattutto dell’emotivo, del dialogo al di sopra di tutto costasse pure distruggere tutto, da tempo ha cessato di ascoltare gli esperti; e dopo averli più o meno bonariamente liquidati, ha deciso di andare … dove ti porta il cuoricino soggettivo che batte.
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Sorridiamo quindi con tenerezza sia sui velinari da sacro palazzo sia su coloro che si improvvisano esperti su questo antico e complesso gigante, tal è la Cina, parlando della quale l’umiltà è da sempre lo strumento prìncipe usato dai suoi veri e grandi studiosi, che semmai, alla tenera età di ottant’anni, dopo mezzo secolo di studi ad essa dedicati, col candore tipico dei veri conoscitori ti dicono: «Dopo mezzo secolo di studi approfonditi, ho imparato qualche cosa della Cina, della sua storia e della sua antica cultura … ma, beninteso: solo qualche cosa!».
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UN PICCOLO CAFFÈ STORICO SULLA GRANDE CINA
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Roma, 2010 – Il Padre Ariel S. Levi di Gualdo con un confratello cinese
Le prime cronache storiche scritte della Cina affondano le antiche radici nella dinastia Shang risalente agli anni 1.800-1100 a.C. Mentre alla dinastia Zhou, che occuperà la scena per oltre dodici secoli di storia, tra l’anno 1.500 e l’anno 250 circa a.C. risalgono invece i primi caratteri di scrittura impressi sugli ossi oracolari, pezzi di osso o di gusci di animali sui quali erano incisi dei dipinti e delle iscrizioni che nella attuale forma evoluta corrispondono ai caratteri di scrittura cinesi oggi in uso. A questo potremmo aggiungere che, a livello tecnico e architettonico, nella grande Cina furono realizzate opere che sia in precisione sia in grandezza, ma sotto molti aspetti anche in perfezione e bellezza, superano le grandi opere degli egizi, dei greci e dei romani. Si pensi solo alla Grande Muraglia cinese, la cui costruzione prende avvio nel V secolo a.C. Tra l’altro, nel 2009 il dipartimento di archeologia del Governo Cinese rendeva noto che la Grande Muraglia non era lunga, come si credeva, 8.800 chilometri, ma21.196,18 chilometri. In ogni caso sappiamo da sempre che la Cina ha realizzato la più grande opera architettonica e ingegneristica della storia dell’intera umanità. E, detto questo, chi vuole intendere intenda …
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L’Occidente è oggi prodotto del poco che resta della cultura greco-romana, per seguire con la cultura cristiana. Le basi sulle quali si svilupperà nel corso dei secoli il diritto e la politica hanno le loro fondamentali basi nella filosofia di Platone, Socrate e Aristotele; e come epoca storica, siamo tra il IV e III secolo a.C. La Cina comincia invece ad avere uno sviluppo filosofico a partire dal VII e VI secolo a.C. attraverso il confucianesimo, il moismo ed il cosiddetto legalismo, pensieri dai quali prenderà vita una struttura giuridica e politica del tutto diversa, rispetto a quella dell’Occidente.
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Il diritto cinese è antico di 4.000 anni e sin dai tempi più remoti erano soliti codificare le proprie leggi per scritto. Per la cultura cinese, la legge, è un precetto assoluto ed un modello rigido di comportamento. Per quanto riguarda la legge e la sua applicazione, andrebbe anzitutto tenuto conto che il diritto cinese non ha certo assimilato quelli che sono i principi del Cristianesimo trasfusi poi in epoca post-costantiniana nel diritto romano, dove prende forma il concetto di punizione comunque mirata al recupero del reo condannato. Per quanto oggi certe cose siano di difficile comprensione se analizzate con criteri di analisi contemporanea, attraverso la stessa pena di morte era data la possibilità al condannato di espiare la colpa del proprio delitto, quindi di tornare ad uno stato di purezza attraverso una pena capitale che era appunto espiativa, applicata non per vendetta punitiva, ma come atto di misericordia mirato alla salvaguardia della salute eterna dell’anima del condannato.
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Nella cultura giuridica cinese, certi concetti sono del tutto estranei: la condanna, qualunque essa sia, è un’azione puramente e decisamente punitiva inflitta per un delitto commesso. Solo in epoca maoista prenderanno vita, per motivi puramente socio-politici, degli elementi di per sé estranei alla cultura cinese, per esempio la pubblica sconfessione degli errori e la rieducazione. Si tratta però di elementi che nulla hanno da spartire col diritto romano-cristiano, ma col marxismo modulato ad uso del regime cinese durante la rivoluzione maoista.
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Solo questo potrebbe bastare per delineare due culture che nascono, prendono forma e si sviluppano attraverso i secoli su fondamenta del tutto diverse; ma soprattutto che parlano due linguaggi completamente diversi, generando di conseguenza un diverso sentire ed un diverso vivere.
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Quella occidentale-europea, è una società decadente ammalata di odio verso se stessa e verso le proprie origini. E quelle dell’Europa — con tutto il debito rispetto per la numerosa rappresentanza di gay e lesbiche che strepitano nel Parlamento di Strasburgo — sono origini eminentemente cristiane, non origini LGBT. Non a caso, l’idea di Europa, ed il suo stesso nome, nasce nell’ambito monastico, a partire dall’VIII secolo, dopo la caduta dell’Impero Romano.
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Se l’Europa è un vecchio continente sempre meno identitario preso a combattere con la negazione stessa delle proprie radici, quella cinese è invece una società che vive un’ascesa segnata da un continuo sviluppo, ma soprattutto è una società molto radicata nelle proprie antiche e nobili origini. E ciò detto sorge sùbito la prima domanda: una Chiesa Cattolica figlia di un’Europa morente che nega se stessa, afflitta al proprio interno da una crisi morale senza precedenti storici, con potenti lobby gay-lesbo che attraverso la totale sovversione del diritto naturale rivendicano il diritto “sacrosanto” alla distruzione della nostra civiltà; un’Europa che da mezzo secolo è stata indebolita da una crisi del principio interno di autorità dal quale ha preso poi vita la distruzione dell’autorità stessa … come può, questo genere di Europa, pensare di poter dialogare e trattare con una cultura come quella cinese? O qualcuno riesce a immaginare un grandeGay Pride a Pechino, con i soliti burloni mascherati semmai da Xi Jinping, il severo Presidente della Repubblica Popolare Cinese, raffigurato sotto forma di coniglietta rosa ricoperta di pajettes? O bisogna per caso spiegare che per una cosa del genere, in Cina, si è condannati a morte nel giro massimo di quarantotto ore dopo essere stati bastonati su una pubblica piazza? In Cina il Governo considera l’omosessualità «un segno esplicito della “decadenza borghese Occidentale». A questo si aggiunga che il Governo della Cina, ai genitori che richiedono di poter adottare un bimbo cinese, impone di essere uniti in matrimonio rigorosamente eterosessuale e proibisce la concessione dell’adozione di bimbi alle coppie LGBT. La legislazione della Repubblica Popolare Cinese definisce il matrimonio come unione unicamente tra un uomo e una donna e non riconosce alcuna legittimità alle coppie omosessuali [III sessione del V Congresso Nazionale del Popolo, 10 settembre 1980]. Molto restrittiva anche la legislazione sul cambio di sesso, che per legge non può avvenire prima dei vent’anni e dopo accurate perizie mediche che ne certifichino la assoluta necessità. Rarissimi quindi in Cina sono i cambi di sesso, mediante interventi chirurgici e relative cure ormonali. Detto questo, qualcuno pensa di poter dire al Governo della Cina: … chi sei tu, per giudicare dei gay e per impedire loro di realizzare il diritto al loro amore, ed a coronarlo con l’adozione di un bimbo, o col suo acquisto da un utero in affitto?
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Gli orientali in generale, i cinesi in particolare, non concepiscono neppure che l’autorità ed il principio di autorità possa essere scisso dalla autorevolezza di chi l’autorità la esercita. E qui sorge la seconda domanda: iMago Merlino della Segreteria di Stato di Sua Santità, con buona pace delle veline pubblicate dai giornalisti dellaPravda Pontificia, proprio mentre la struttura ecclesiastica si trova a vivere la sua più profonda crisi di autorevolezza a livello planetario, come pensano di trattare con chi sul principio di autorevolezza fonda invece ogni genere di rapporto sociale, politico ed economico?
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Il sistema cinese forma e pone ai propri vertici dei fuoriclasse quasi sempre formati sin da bambini in modo molto meticoloso e severo, per poter poi ricoprire certi ruoli. E nell’esercizio di certi ruoli, nella cultura cinese non si applica il bonario principio che errare humanum est, bensì l’opposto: in certi ruoli è impossibile sbagliare, specie quando un errore comprometterebbe — anche se ciò avvenisse in modo lieve — l’immagine della autorevolezza e l’onore del proprio Paese. Ciò per ribadire che parlando della Cina in ascesa il cui impianto socio-filosofico è di radice confuciana, quindi dell’Europa decadente il cui impianto socio-filosofico, seppure dalla stessa sprezzato e rinnegato, è di radice greco-romana e cristiana, noi poniamo a confronto due mondi e due società del tutto antitetiche, soprattutto per quanto riguarda il concetto stesso di uomo, società, diritto e diritti. Un solo esempio: nella cultura europea, non solo cristiana, ma anche in quella laica che risente di quella radice cristiana che pure rinnega, il perdono e la clemenza sono di fatto segni di civile superiorità; prova n’è il fatto che quasi in tutti i sistemi costituzionali e giuridici è previsto l’atto di clemenza da parte del Capo dello Stato per i condannati anche per gravi reati contro lo Stato stesso. Diversamente, nella cultura sociale e politica cinese, il perdono e la clemenza possono essere segno di inaudita debolezza che svigorirebbe in certe particolari situazioni l’autorità e l’autorevolezza dell’intero sistema sociale, politico e giuridico, in modo particolare per quelli che sono considerati i reati contro il Popolo e lo Stato. E, detto questo, non induca in inganno il modo in cui tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta del Novecento fu modulata dal regime di Mao Zedong la sconfessione pubblica degli errori contro il Popolo e lo Stato, quindi la rieducazione di quelli che noi chiameremo “pentiti”. Tutto ciò avvenne infatti al solo scopo di poterli trasformare nei più attivi propagandisti del Regime Comunista, rinati dall’errore e quindi divenuti testimoni della verità. Un caso eclatante in tal senso? Quello dell’ultimo Imperatore della Cina Pu Yi, internato nel 1950 in un istituto di rieducazione per criminali di guerra, dal quale fu scarcerato nel 1959. Una volta rieducato e divenuto fedele e rispettoso al Regime Comunista, lavorò come funzionario addetto alla collezione e classificazione del materiale storico e come giardiniere del parco botanico di Pechino, fino alla sua morte avvenuta nel 1967 [cf. Pu Yi, Sono stato imperatore, a cura di Francesco Saba Sardi. Milano, Ed. italiana Bompiani, 1987].
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Passiamo ad un altro esempio esaustivo: si  pensi a quella che fu il 28 agosto del 2008 la inaugurazione delle olimpiadi a Pechino. Il mondo intero rimase sbalordito da quelle scenografie e dai movimenti sincronizzati di migliaia di figuranti che dettero prova di che cosa sia quel genere di perfezione che non ammette errori. Ma soprattutto, dietro a quelle scenografie uniche e sino a oggi irripetibili per qualsiasi altro popolo del mondo, è racchiuso un elemento socio-culturale che costituisce un altro fondamento di quella cultura: i concetti di popolo, stato e nazione sono al di sopra del singolo. Nella società europea è invece l’individuo al di sopra di tutto, mentre in quella cinese, al di sopra di tutto, c’è il concetto e l’identità di popolo. E qui sorge la quarta domanda: una Chiesa Cattolica ridotta ad una vecchia fattrice che partorisce piccoli topolini, all’interno della quale la qualità ed il talento sono penalizzati con ferocia distruttiva, dove i mediocri giunti al potere ormai da un trentennio impongono delle categorie di autentici sotto-mediocri come propri collaboratori e poi successori — il tutto  sulla base del principio che dei polli che razzolano nel pollaio non possono certo circondarsi di aquile reali —, come può pensare di trattare con dei soggetti che sono stati selezionati, cresciuti e formati per essere invece degli autentici fuoriclasse di elevato talento? Quando i cinesi si mettono in gioco, ma soprattutto, quando a qualsiasi titolo è in gioco la dignità e l’onore del loro Paese, devono solo e di rigore eccellere; e riescono sempre ad eccellere in tutto, figli come sono di una cultura che mai, ed in particolare in certe posizioni e ruoli, non ammette errori e meno che mai forme di mediocrità.
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Un esempio per ancor meglio chiarire: una volta un sacerdote cinese della Chiesa clandestina giunto da pochi giorni a Roma, dopo che avevo tentato di rivolgermi a lui salutandolo in inglese, poi in francese, mentre io mi domandavo dentro di me quale lingua egli parlasse oltre al cinese, questi mi si rivolse così: «Veneràbilis Fràter, gràtiam et pàcem tibi. Ego sum sacèrdos Sìnica. Non loquèris lingua itàlica. Tàmen, sènes epìscopis sìnici, que loqui lìnguam làtinam, dòcuit me loqui latìni » [Venerabile Fratello, grazia e pace a te. Io sono un sacerdote cinese. Non parlo l’italiano. Però, gli anziani vescovi cinesi che parlano la lingua latina, mi hanno insegnato a parlare il latino]. Detto questo non voglio essere irriverente, ma sarei tentato di invitare chicchessia a entrare nell’aula della Conferenza Episcopale Italiana, quindi a rivolgersi in latino ad un po’ di vescovi a caso, soprattutto a quelli di ultima generazione che si atteggiano a intellettuali sopraffini, per poi vedere che cosa accade, ma soprattutto per appurare che cosa capiscono …
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Chiarito il concetto di non erranza che vige a certi livelli sociali e istituzionali nella cultura cinese, possiamo aggiungere infine un’ultima domanda, rivolta sia ai Mago Merlino della Segreteria di Stato di Sua Santità sia aivelinari che pubblicano amenità, vale a dire la seguente: la Segreteria di Stato di Sua Santità, nella quale assieme agli incapaci brulicano persone che se sbagliano rimangono impunite ai loro posti, oppure peggio, se sbagliano non ammetterebbero mai il loro errore, specie se il loro grado gerarchico è particolarmente alto, costasse pure punire degli innocenti pur di difendere i colpevoli di gravi danni … ebbene, come possono pensare che si possa trattare con persone che a certi livelli pubblici e istituzionali non ammettono errore, sino a considerarlo un danno imperdonabile e un immane disonore, posto che nella cultura socio-politica cinese non prevale la difesa del singolo, ma la massima tutela dell’onore del corpo istituzionale unitario?
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Nell’attuale momento storico, la Chiesa non ha né la forza né i diplomatici idonei per poter interloquire col Governo della Cina, per dialogare col quale occorrerebbero figure di ecclesiastici in grado anzitutto di colpirli con la loro grande autorità e soprattutto con la loro grande autorevolezza. E noi oggi, mentre vaghiamo da uno scandalo grottesco all’altro, personaggi simili, da dove pensiamo di tirarli fuori?
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IMMAGINE PUBBLICA, CONCETTO DI FORMA E SOSTANZA NELLA CULTURA CINESE
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… questo è un ministro del governo del Capo della Chiesa Cattolica – perché tale sul piano politico è considerato un cardinale da qualsiasi autorità governativa internazionale – impegnato a illustrare le lavatrici e gli stendi-biancheria al Romano Pontefice, il tutto sotto le vigili riprese di un cameraman, a chiara prova, semmai ve ne fosse bisogno, che questa scenetta non s’intendeva affatto lasciarla nella sfera privata, ma renderla proprio pubblica …
Giacché viviamo nel mondo della immagine,proviamo allora a dare due immagini del tutto diverse, anche se oggi molti, troppi, non vogliono accettare l’idea che la forma, a suo modo, concorre a fare la sostanza, o perlomeno a metterla nella giusta luce. Omettendo volutamente di indicare la persona ed anche l’anno, cosicché neppure attraverso la data si risalga al personaggio, ricordo, anni fa, un documentario di approfondimento nel quale era ripresa una assemblea plenaria presso le Nazioni Unite. Con sgomento notai il rappresentate della Santa Sede, che presso il Palazzo di Vetro ha un seggio come osservatore permanente. Il rappresentante della Santa Sede era vestito con uno sciatto clergyman che lasciava trasparire il lucido sdrucito dalla televisione, con i capelli mal pettinati, della forfora bianca visibile sulle spalle dalle inquadrature in primo piano, ed un’aria alquanto goffa. Poco dopo fu inquadrato — non so se per caso o apposta — il rappresentante della Repubblica Popolare Cinese accompagnato da due collaboratori. Tutti e tre con un portamento da autentici prìncipi delle loro più antiche dinastie storiche, vestiti d’alta sartoria, pettinati, rasati e tirati a lucido meglio e forse più di tre attori di Hollywood durante la grande notte degli Oscar. Dinanzi al cinese, per il quale forma e sostanza sono inscindibili e che non concepisce neppure che in assenza di adeguata forma possa esservi alcuna sostanza, quale impressione poteva fare, quello sciatto soggetto che rappresentava la Santa Sede all’O.N.U? Poi, se detto questo precisiamo che all’epoca del fatto testé narrato, tutto sommato non ce la passavamo ancòra male come oggi, penso che sia detto tutto, o perlomeno si è detto tutto quello che si doveva dire. Specie considerando che oggi, una delegazione cinese che giungesse col proprio stile ufficiale presso la Città del Vaticano, entrando od uscendo dalle mura leonine potrebbe incrociare ilCardinal barista che esce col termos, un sacchetto di plastica, le maniche della camicia tirate sopra i gomiti, per portare il caffè serale ai barboni sotto il Colonnato di Bernini.
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… questo è invece un ministro del Governo della Repubblica Popolare Cinese, S.E. Wang Yi, titolare del dicastero degli affari esteri dal 2013 al 2018, oggi Consigliere di Stato, pare discenda dalla dinastia dell’ultimo Imperatore della Cina. Si prega notare se in una occasione pubblica ufficiale, tra “una lavatrice ed uno stenditoio”, ha un solo capello fuori posto …
Senza rispettoper la figura e l’età, i giornalisti dellaPravda Pontificiahanno instillato veleno sul Cardinale Joseph Zen Ze-Kiun, che oltre a esser cinese, dopo esser stato Arcivescovo di Hong Kong, a ottantasei anni si presume conosca la Cina più di certi velinari e lor padroncini. Eppure su di lui abbiamo letto critiche velate che l’hanno dipinto come un senile testardo. Nessuno ha messo a fuoco che questo Cardinale che si dichiara nemico di un governo ateo, dai membri di quel governo comunista è riconosciuto come una autentica autorità. Perché questa è un’altra caratteristica della socio-psicologia cinese: riconoscere il profondo valore del nemico. E il Cardinale Joseph Zen Ze-Kiun è un nemico rispettato e profondamente onorato da quel governo ateo-comunista col quale egli, inutilmente, ha ribadito che la Santa Sede non doveva trattare, o che perlomeno non avrebbe dovuto trattare in fretta ed a tutti i costi, perché quelli della grande Cina sono sempre e di prassi tempi molto lenti.
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IL GOVERNO CINESE HA TUTTE LE STORICHE RAGIONI PER TEMERE IL CATTOLICESIMO
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Roma 2009 – ricordi fraterni …
Veniamo al cuore del problema: noi che presumiamo di trattar coi cinesi e di stilare accordi con loro, non conosciamo né la cultura cinese né la Cina, mentre i cinesi degli alti vertici governativi, selezionati sin da bimbi, cresciuti e formati per diventare delle aquile reali, non dei polli, conoscono invece noi; assieme a noi conoscono il Cristianesimo, più di quanto si possa immaginare.
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Anzitutto, nel Cattolicesimo, diversamente dalle varie altre comunità cristiane facenti capo al Movimento Protestante, che come sappiamo non è un fenomeno unitario, altrettanto vale per l’Islam, il Governo Comunista cinese vede una forza che dipende da una potenza straniera; cosa questa inaccettabile per un impianto socio-culturale e politico come quello cinese. E partendo da questa paura, proviamo adesso ad analizzare la comprensibile e fondamentale paura che il Governo della Cina ha del Cristianesimo, ma soprattutto del Cattolicesimo, perché se vogliamo fare una analisi seria e imparziale, dobbiamo ammettere che si tratta di una paura del tutto comprensibile e soprattutto storicamente fondata. Nella storia, il Cristianesimo, ha creato un effetto aggregante che ha prodotto però successivamente un effetto disgregante, in molti casi assorbente. Caso più eclatante della storia è la caduta dell’Impero Romano. Nel morente Impero, a partire dall’epoca costantiniana, il Cristianesimo è divenuto elemento di aggregazione e di unità, senza però impedire, come forse pensava l’Imperatore Costantino, la disgregazione dell’Impero, anzi sotto certi aspetti favorendola. Sicché, il potere politico che cercò di rinsaldarsi usando come elemento di unità ed unificazione il Cristianesimo, credendo di poter in tal senso ed a tal fine assorbire il Cristianesimo, è stato invece assorbito dal Cristianesimo, che è sopravvissuto all’impero mantenendo al proprio interno tradizioni, usi e costumi romani totalmente cristianizzati. Se poi dall’antichità vogliamo passare alla modernità, basti citare il caso della Polonia d’inizi anni Settanta del Novecento, nella quale il Cristianesimo, a livello aggregativo, ha costituito non solo un fronte contro il regime comunista, ma tramite effetto domino ha originato il suo successivo sgretolamento in tutti i Paesi dell’ex blocco sovietico.
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Quando si parla del Cattolicesimo in Cina, si menzionano subito, solo e quasi sempre i Gesuiti,che vi giunsero alla metà del Cinquecento. Purtroppo si tratta però di un grossolano errore storico, perché i primi a portare il Vangelo in Cina furono attorno al 1246 i Frati Francescani, due secoli e mezzo prima della nascita della Compagnia di Gesù di Sant’Ignazio di Loyola. Tanto che, quando dopo il 1260 i Fratelli Polo giunsero come mercanti e furono infine ricevuti a corte dal Gran Khan, che si trovava nella odierna Pechino, si sentirono chiedere dal sovrano «notizie sul Pontefice Romano e sulle condizioni della Chiesa Romana e delle usanze dei latini». Figura determinante fu alcuni decenni dopo quella del Francescano Giovanni da Montercorvino, che riuscì a conquistare la fiducia del Gran Khan e ad iniziare una vera e propria evangelizzazione. Fu così che il Sommo Pontefice Clemente V rispose alle richieste di Frate Giovanni, che chiedeva di poter organizzare delle circoscrizioni ecclesiastiche, inviando in Cina un altro gruppo di Frati Francescani, assieme a sette vescovi. Il gruppo di vescovi e religiosi giunse in Cina attorno al 1310, dopo diversi anni di viaggio. I vescovi avevano ricevuto ordine dal Sommo Pontefice di procedere alla consacrazione episcopale di Frate Giovanni, che fu il primo vescovo consacrato in Cina ed il primo Arcivescovo di Pechino [cf. AA.VV. I Francescani in Cina. 800 anni di storia. Ed. Porziuncola, 2001, un estratto è disponibile QUI]. Insomma … con buona pace della venerata memoria del gesuita Matteo Ricci [Macerata 1552 – Pechino 1610], i gesuiti sono giunti oltre due secoli e mezzo dopo. E volendo — sempre per essere storicamente onesti — possiamo dire che giunsero non ultimo per fare anche danni, oltre all’indubbio bene da essi operato. E passando con un salto di secoli alla modernità, non possiamo certo omettere di ricordare che il principale sviluppo del Cattolicesimo in Cina tra fine Settecento e inizi Ottocento, è sì dovuto anche ai Gesuiti, ma bisogna precisare che i missionari gesuiti giunsero al seguito dei francesi e tutti loro, per la maggiore, erano di nazionalità francese. La Francia, in Cina, aveva infatti numerosi consolati per motivi di carattere prevalentemente economico; ed attorno a questi consolati sorsero le comunità e le attività dei Gesuiti francesi. Potendo poi disporre per le proprie attività di notevoli risorse economiche, nel 1903 aprirono l’Università Aurora, nella attuale Shanghai, che cessò di essere un ateneo cattolico nel 1953. In seguito fu aperta nel 1905 l’Università Fudan e nel 1926 la prestigiosa Università Fu Jen di Pechino, oggi con sede a Taiwan. Scopo di queste istituzioni, in particolare dell’Università di Pechino, era di formare le future classi dirigenti della Cina, il tutto in epoche nelle quali i Gesuiti non mostravano ancòra alcun sintomo di desiderare «una Chiesa povera per i poveri».
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Già in precedenza i Gesuiti, dai missionari Francescani e Domenicani erano stati accusati di lassismo, di ricerca del potere e del prestigio, ma soprattutto di favorire l’idolatria ed il cosiddetto Culto degli Antenati. I Gesuiti provarono a giustificarsi replicando che per loro, le offerte poste davanti alle Tavolette degli Antenati, non avevano alcuna valenza rituale religiosa. Affatto persuaso dalle loro giustificazioni, nel 1645 il Sommo Pontefice Innocenzo X — a dir poco inconsapevole con chi avesse a che fare e quindi cosa avrebbe prodotto — condannò queste usanze come incompatibili col Cristianesimo. L’Imperatore si sentì oltraggiato da siffatta intromissione imperiosa negli affari cinesi, mentre prendeva così vita la “disputa sui riti”.
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Nel 1704 il Sommo Pontefice Clemente XI rincarò la dose emanando un decreto di condanna sulla pratica dei riti confuciani ed il Culto degli Antenati, inviando un legato pontificio affinché vigilasse sulla sua applicazione. L’Imperatore, già perplesso per le lotte e le rivalità tra i membri dei vari Ordini Religiosi presenti sul suo territorio, si sentì profondamente offeso per il decreto pontificio ed il modo in cui era stata stabilita la vigilanza sulla sua applicazione, il tutto seguìto un decennio dopo dalla BollaEx illa Die del 1715 nella quale si imponeva ai missionari il giuramento di rinuncia alla diffusione e alla pratica di certi riti superstiziosi. L’Imperatore replicò attraverso i propri ambasciatori: «Che cosa direbbe il Pontefice di Roma, se l’Imperatore della Cina si permettesse di giudicare e di riformare le cerimonie della Sede Apostolica?». E nel 1717proibì nell’Impero il proselitismo cristiano e la predicazione del Vangelo. È presto detto: se da una parte, tra i membri della Compagnia di Gesù missionari in Cina, c’era una casta di Gesuiti che si comportavano come mandarini e che ricoprivano anche pubblici ruoli politico-amministrativi, dall’altra c’erano missionari Domenicani che, affetti per altro verso da miopia non meno grave, anzi forse persino peggiore, pensavano di poter scatenare dispute teologiche e di poter lanciare accuse di eresia, proprio come se si trovassero in qualche Paese cosiddetto cattolico dell’Europa dell’epoca. E, ben presto, il grave danno fu, producendo effetti non facilmente riparabili fino ai giorni nostri …
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Detto questo bisogna chiarire, sempre per dovere storico e politico, che fu in seguito all’opera dei Gesuiti giunti appresso ai francesi, che cominciò a prendere forma l’idea che il Cattolicesimo era la longa manus di una potenza straniera. E bisogna altresì ricordare che i primi ad accusare i preti stranieri, ed in particolare proprio i Gesuiti, furono i preti cinesi, non ultimo per il fatto che più volte, i missionari della Compagnia di Gesù che gestivano numerosi vicariati apostolici, fecero ostruzionismo a Roma per la nomina di vescovi locali, quindi per l’erezione canonica delle diocesi, affermando che non si trattava di soggetti idonei, mentre la verità era ch’essi non volevano perdere la loro giurisdizione su questi vicariati, come invece sarebbe avvenuto se fosse stata eretta una diocesi e nominato un vescovo, ed in particolare se il vescovo fosse stato un presbìtero del luogo. Inutile dire che situazioni simili, negli stessi anni, od a pochi decenni di distanza a seguire, sempre per opera dei Gesuiti, presero vita nei territori di evangelizzazione dell’attuale Continente latino-americano, con altrettanti missionari Domenicani e Francescani che a un polo opposto della terra, ma allo stesso identico modo, accusavano i Gesuiti di operare commistioni tra i vecchi riti del luogo ed il Cristianesimo, il cosiddetto sincretismo religioso.
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Quando esplose la Grande Rivoluzione Culturaleche portò poi al potere Mao Zedong, la ragione per procedere, nell’ipotesi migliore, alla espulsione di tutti i missionari stranieri dalla Cina, era quindi già bella e confezionata da circa due o tre secoli: i missionari ed i preti stranieri erano gli emissari ed i servi del potere borghese, capitalista ed imperialista dell’Occidente. A quel punto, i missionari che ebbero la meglio, ripararono a Hong Kong e nelle Filippine, altri, compresi soprattutto coloro che non intendevano abbandonare i fedeli senza sacerdoti e assistenza pastorale e sacramentale, finirono invece nelle prigioni, dove nello spazio di pochi metri erano stipate numerose persone, tanto che per poter dormire un po’ la notte era necessario fare dei turni e distendersi un po’ ciascuno. Le sofferenze di questi missionari furono terribili, perché, a quanto ci è dato sapere, nessuno di loro accettò di essere sottoposto a programmi di rieducazione per divenire dei devoti fedeli al Regime Maoista. Programmi che furono invece accettati da diversi preti cinesi, incarcerati con l’accusa di avere servito potenze straniere. A tal proposito si noti però che nell’accettazione dei programmi di rieducazione alla fedeltà verso il regime, i preti cinesi furono indotti non dal desiderio di salvare se stessi e la propria vita, ma quella dei loro familiari. Infatti, i membri del clero secolare e regolare che si trovavano missionari in Cina durante gli sconvolgimenti della Grande Rivoluzione Culturale, i propri familiari li avevano nei vari Paesi dell’Occidente, mentre i preti cinesi incarcerati, prima di essere uccisi, avrebbero dovuto assistere all’uccisione dei loro genitori, fratelli, sorelle e nipoti, poi sarebbero stati infine giustiziati loro.
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Sotto il Governo di Mao Zedong, è approvata nel 1954la nuova Costituzione della Repubblica Popolare Cinese nella quale è stabilito il controllo del Partito Comunista su qualsiasi genere di attività organizzata. Prevedendo ciò che questo avrebbe comportato, il Sommo Pontefice Pio XII pubblicò poco dopo l’enciclica Ad Sinarum Gentes, condannando la creazione di una Chiesa Cattolica divisa da Roma. Per inciso: il testo di questa enciclica, che è un autentico capolavoro di pastorale ed al tempo stesso di diplomazia, dovrebbero leggerlo, ma leggerlo proprio in ginocchio, sia gli odierni velinari della Pravda Pontificia, sia i loro padroncini della Segreteria di Stato che li istruiscono nella pubblicazione delle loro perle di saggezza [vedere testo dell’enciclica, QUI] …
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… la risposta fu che l’anno successivo, una delle più grandi diocesi del Paese, quella di Shanghai, governata dall’Arcivescovo Ignazio Kung Pin Mei, fu in breve devastata. Alla fine del 1954 i missionari stranieri ancora presenti sul territorio, inclusi due vescovi, risultavano appena sedici, tra di essi quattordici in prigione. Nel 1957furono chiuse le ultime istituzioni religiose cattoliche e creata dal Regime Comunista la Chiesa Patriottica distaccata da Roma totalmente sottomessa allo Stato. Paradigma di questa persecuzione fu la tragica sorte inflitta ai Monaci della Certosa di Nostra Signora della Consolazione, nel distretto di Pechino, situata a circa 180chilometri dalla Capitale. La certosa fu assaltata più volte da bande comuniste negli anni Quaranta del Novecento ed infine data alle fiamme nel 1957. I monaci furono catturati, legati mani e piedi con fili di ferro e obbligati a compiere marce forzate sotto le temperature invernali. Gran parte di loro perse la vita durante questi tragitti forzati, mentre i pochi sopravvissuti, dopo essere stati sottoposti alla gran farsa dei cosiddetti processi popolari maoisti, messi a morte per essersi rifiutati di abiurare ed essere sottoposti a processi di rieducazione [cf. James T. Myers, Nemici senza fucile – La Chiesa Cattolica nella Repubblica Popolare Cinese, cit. pagg. 31 e ss. testo leggibile QUI].
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Bisogna poi notare che a livello mondiale, una Chiesa Cattolica Patriottica, ha preso vita solamente in Cina; in varie altre parti del mondo, diversi regimi, hanno tentato di compiere analoghe operazioni, ma senza mai riuscirvi. Perché ciò è stato invece possibile in Cina? Ciò è stato possibile in virtù della forte avversione che i cinesi hanno a livello socio-culturale verso gli stranieri. Ciò non vuol dire che il cinese non sia ospitale, tutt’altro! Il cinese ha un senso molto profondo dell’ospitalità e dell’accoglienza dello straniero, ed è anche ben disposto e lieto, di collaborare con lo straniero, purché esso rispetti profondamente la antica e nobile cultura cinese e non osi tentare d’inserire all’interno della sua società elementi ad essa del tutto estranei. Ovviamente, questo creò da sùbito enormi problemi per la evangelizzazione. Alcuni dicono però, in toni più o meno trionfali, che «ad avere successo furono solo i Gesuiti». Sempre per essere onesti bisogna replicare che se per successo dei Gesuiti, s’intende il sincretismo religioso, o la filosofia confuciana miscelata alla filosofia cristiana e viceversa, in tal caso, stiamo allora parlando del più grande insuccesso nel quale possa cadere qualsiasi opera missionaria di evangelizzazione, sempre con buona pace della venerata memoria di Matteo Ricci.
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IL COMUNISMO CINESE NON SI ANALIZZA CON CRITERI OCCIDENTALI
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Roma, 2009 – fraterni ricordi …
La Cina Comunista non può essere capita se applichiamo al Comunismo cinese categorie occidentali. Bisogna allora chiarire un elemento fondamentale: il Comunismo della Cina è cosa a sé, trattandosi di un Comunismo cinesizzato inserito in una cultura che non nasce da radici greco-romano-cristiane ma da radici confuciane. Quello Sovietico e quello Cinese hanno come comune base solo il colore rosso delle bandiere comuniste. Un esempio esauriente: la Chiesa Cattolica fu duramente perseguitata nell’Unione Sovietica, sempre sulla base del principio ch’essa faceva capo a una potenza straniera. Meno perseguitata fu la Chiesa Ortodossa di Russia, seppure anch’essa sottoposta a persecuzioni e restrizioni. Detto questo basti ricordare — sempre per tracciare la differenza che corre tra questi due diversi Comunismi —, che poco dopo la caduta del Regime Sovietico fu scoperto che, quasi tutti i membri del Partito Comunista, a partire da quelli di più alto rango, erano battezzati, avevano fatto battezzare i figli ed in segreto avevano celebrato il matrimonio religioso. E per il battesimo dei loro figli, gli alti dirigenti del Soviet non s’erano neppure accontentati di un Pope, li avevano fatti battezzare da qualche Metropolita, se non direttamente, ai livelli davvero più alti, personalmente da Sua Beatitudine il Patriarca di Mosca.
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Detto questo, credo non vi sia altro da aggiungereper quanto riguarda la sostanziale differenza che corre tra un Regime Comunista nato dalla Rivoluzione d’Ottobre nella Grande Russia Cristiana, ed il Regime Comunista nato dalla Grande Rivoluzione Culturale nella antica e nobile Cina confuciana.
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In Cina il Comunismo, seppur oggi del tutto trasformato, rimane saldo come sistema di governo; e per paradossale possa apparire, specie se affermato da me, dovremmo pure auspicarci che questo sistema di governo regga il più a lungo possibile, trasformandosi in modo molto lento e graduale. Semplice il motivo di questo auspicio: in Cina esistono centinaia di etnie diverse che nutrono forme di odio atavico le une verso le altre. Il Regime Comunista costituisce deterrente e soprattutto freno allo scoppio di feroci lotte e guerre intestine. A livello di comparazione potremmo usare la ex Jugoslavia, nella quale erano presenti diverse etnie animate da feroce odio le une verso le altre, ma tenute a bada dal regime di Josif Broz, detto Maresciallo Tito. Abbiamo poi visto che cosa di brutale è accaduto nel cuore dell’Europa, al tramonto di questo regime; le mattanze che in quegli anni furono consumate, erano talmente violente che la stampa internazionale riportava e descriveva i fatti, ma evitava di pubblicare le fotografie che ritraevano morti avvenute con una violenza inaudita. Qualcuno riesce forse a immaginare, o peggio ad auspicare, semmai in nome dei princìpi occidentali di democrazia — come se il feticcio della decadente democrazia occidentale fosse sempre applicabile ovunque ed a tutte le culture —, un caso Jugoslavia moltiplicato alla potenza di mille?
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DA UN “ACCORDO FANTASMA” AL PROBLEMA DEI MARTIRI E DEI PERSEGUITATI
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un dipinto inviato a Roma da Pechino da un presbìtero cinese al Padre Ariel S. Levi di Gualdo nel giorno della sua sacra ordinazione sacerdotale
Al contrario deivelinari dellaPravda Pontificia e dei tuttologi che imperversano dalla carta stampata alla rete telematica, io non ho risposte da dare ma solo quesiti da porre. Partiamo dal primo: in un momento nel quale il Governo Comunista della Cina ha irrigidito le restrizioni verso i cattolici, sino a impedire l’accesso alle chiese ai minori di diciotto anni [cf. servizio QUI], ed in un momento nel quale la Chiesa Cattolica, a livello planetario, versa in stato di decadenza e profonda crisi di credibilità, come si è potuti giungere a un accordo? Anche perché sino a oggi, di questo “accordo fantasma”, a parte commenti e successivi discorsi di garanzia, non si conoscono però i contenuti, si sono solo seguite sui giornali notizie vaghe. Come dare quindi torto al Cardinale Joseph Zen Ze-Kiun che lamenta: «Il comunicato, tanto atteso, della Santa Sede è un capolavoro di creatività nel dire niente con tante parole»? [cf. servizio, QUI]. Noi non sappiamo infatti che cosa pensa il Governo cinese di questo accordo, né sappiamo che cosa ne pensa la cosiddetta Chiesa patriottica, meno che mai che cosa ne pensa la Chiesa clandestina da sempre fedele a Roma a prezzo di sangue.
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Tutto ciò che noi al momento sappiamo è che c’è stato un accordo con il Governo della Cina di cui non si conoscono i contenuti. In pratica come se nel 1929, per porre fine alla Questione Romana, fossero stati firmati i Patti Lateranensi tra la Santa Sede e l’allora Regno d’Italia, senza che però nessuno conoscesse i contenuti di quei patti, le modalità della loro applicazione e quindi tutti gli impegni e le possibili conseguenze per i due contraenti che li avevano sottoscritti. Ma soprattutto: quanti sono stati i vescovi della Chiesa patriottica legittimati dopo questo accordo? Quanti sono rimasti esclusi invece dalla legittimazione, ad esempio per gravi motivi, a partire da quei vescovi che hanno amanti e figli? O forse, per non irritare il Regime Comunista, saranno legittimati anche loro, semmai prima ancòra degli altri? E quelli che fossero nel caso esclusi dalla legittimazione, lo saranno perché, ma soprattutto per volontà di chi? Come funzionerà, dopo questo “accordo fantasma” il meccanismo della nomina dei vescovi? Qualcuno pensa davvero che il Governo della Cina, dopo questo “accordo fantasma”, concederà libertà ai vescovi per l’esercizio del loro sacro ministero ed altrettanta libertà ai fedeli? Per caso, dopo questo «storico accordo» di «portata epocale», come lo hanno definito certi velinari della Pradva Pontificia, è stato per caso revocato dal Governo il divieto di accesso nelle chiese ai minori di diciotto anni, con tanto di proibizione e svolgere qualsiasi attività pastorale con i giovani? Ma soprattutto: era mai accaduto, nella bi-millenaria storia della Chiesa, che qualcuno facesse accordi con i persecutori mentre le persecuzioni erano in corso? Risulta per caso a qualcuno che il Pontefice Marcellino [296-304], quando l’Imperatore Diocleziano scatenò l’ultima grande persecuzione verso i cristiani, corse ad accordarsi con lui? Le cose non andarono in tal senso, stando alle cronache che narrano il martirio di Marcellino, avvenuto il 25 ottobre dell’anno 304, per decapitazione, eseguita su ordine dell’Imperatore Diocleziano. Il suo successore, il Pontefice Marcello I, dovette affrontare la questione dei cosiddetti lapsi, coloro che durante la persecuzione rinnegarono la fede in Cristo e che chiesero di essere riammessi alla Chiesa. Marcello I pretese per la loro ammissione un percorso di penitenza, che non tutti però accettarono, al punto che fu lui, alla fine, ad essere condannato all’esilio, come apprendiamo dalla epigrafe redatta dal Pontefice Damaso I per la sua tomba:
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«Pastore vero, perché manifestò ai lapsi l’obbligo che essi avevano di espiare il loro rinnegamento con le lacrime della penitenza, fu considerato da quei miserabili come un terribile nemico. Di qui il furore, l’odio, la discordia, la sedizione e la morte. A causa del delitto di uno che anche durante la pace rinnegò Cristo, Marcello fu deportato, vittima della crudeltà di un tiranno».
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Io non sono un velinaro e tanto meno un tuttologo,quindi non ho risposte da dare, perché a profondersi in risposte e spiegazioni su ciò che non si conosce, possono provvedere solo i velinari della Pravda Pontificia; ma sono risposte basate di fatto sul niente. Dio non voglia che qualcuno, pur di porsi una medaglietta di latta sul petto nella Roma decadente, abbia giocato in modo maldestro coi fedeli perseguitati e coi vescovi che hanno trascorso gran parte della propria vita in carcere od ai lavori forzati; perché sono dei martiri ai quali non si possono dire quattro parole di circostanza, mentre loro, per una vita intera, hanno pagata la propria fedeltà a Roma ed al Papato.
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Comunque vediamo adesso se sulla base di un accordo reso fantasma dal fatto che non se ne conoscono i contenuti, si cercherà di tirarsi fuori da questo impiccio dicendo: quel che solo conta è l’unità. Senza spiegare però cosa questa unità molto soggettiva e molto poco corrispondente ai princìpi di unità contenuti nel Santo Vangelo ha comportato in prezzo da pagare, considerato che la merce acquistata non è chiara, ed è sconosciuto il prezzo per essa pagato, ma soprattutto quello da pagare nel vicino futuro. Dio non voglia che questo prezzo pagato per una medaglietta di latta sia stato pagato sulla pelle dei martiri e dei cattolici perseguitati della Cina, ai quali tra l’altro, se non si vorrà gravemente irritare la suscettibilità del Governo Comunista ed ateo, non si potrà neppure rivolgersi a loro chiamandoli “martiri” e “perseguitati”, perché sarebbe appunto gravemente offensivo verso i persecutori con i quali si è stilato un accordo mentre le persecuzioni sono sempre in corso.
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Nell’èra moderna, la Santa Sede ha firmato più accordi di intesa e reciproco riconoscimento con Paesi di cultura non solo, non cattolica, ma di cultura proprio non cristiana. Basti andare a vedere con quanti Paesi la Santa Sede ha relazioni diplomatiche. Dall’anno 2007 la Santa Sede ha relazioni diplomatiche con gli Emirati Arabi Uniti. La Santa Sede ha relazioni diplomatiche con la Turchia, Paese nel quale fu Nunzio Apostolico il futuro Giovanni XXIII; con l’Iran, l’Iraq, l’Egitto, la Tunisia, il Marocco, la Libia, l’Algeria. La Santa sede ha persino relazioni diplomatiche con il Turkmenistan, dove risiedono appena cinquecento cattolici. Ebbene, noi che non siamo menti sottili e specialisti in alta diplomazia come invece lo sono i migliori elementi della Segreteria di Stato di Sua Santità, ci domandiamo: posto che la Santa Sede ha relazioni diplomatiche anche con Paesi nei quali vige come legge dello Stato la Sharija e dove il proselitismo da parte di altre religioni è vietato e perseguito dalla legge, come si può dialogare, ma soprattutto stabilire accordi di qualsiasi genere essi siano se, il primo passo, non è quello del reciproco riconoscimento? Perché tutti i Paesi poc’anzi citati, riconoscono la Santa Sede come capo della Comunità Cattolica mondiale, al punto da avere stabilito con essa relazioni diplomatiche.
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Insomma: io posso dialogare, cosa che peraltro ho fatto anche spesso, con persone non solo non cattoliche, ma con persone non cristiane né legate ad alcun titolo ad alcuna radice culturale cristiana, purché però, questi miei interlocutori, riconoscano anzitutto il diritto alla mia esistenza.
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Detto questo mi domando e poi domando di conseguenza: come si può dialogare e stabilire accordi con chi a monte non riconosce il diritto alla tua esistenza, o che al limite, riconoscendo la tua esistenza, ti considera un pericolo da tenere quanto più e quanto meglio sotto controllo? Perché è con questo genere di persone che la Santa Sede, temo, abbia stabilito un “accordo fantasma”. Sono certo però che i velinari della Pravda Pontificia non esiteranno a chiarire anche questo non lieve dilemma, diamogli solo il tempo di ricevere una velina dai sacri palazzi, ed avremo delle chiarificatrici perle di saggezza, costasse pure spingersi oltre i confini della realtà, ma soprattutto oltre il sangue sparso dai martiri e dai perseguitati, posto che in Cina, le persecuzioni verso i cattolici fedeli a Roma, sono tutt’altro che terminate. E non poniamoci neppure il dilemma, del tutto retorico, di quanto invece, Roma, di questi martiri perseguitati si sia dimostrata autentica e fedele madre …
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In postilla finale vi spiego perché io nutro profondo rispetto per il Governo Comunista della Cina,mentre invece non nutro alcun rispetto per certe Madameche popolano e devastano la Santa Sede, quelle, per intendersi, che i velinari della Pravda Pontificia non vedono, insensibili come sono alle persecuzioni della Chiesa e del clero che veramente soffre. Ebbene, i Comunisti della Cina, non solo hanno un’antica e nobile dignità, ma nobilitano anche i perseguitati ed i martiri. Sicché per me sarebbe un vero onore, essere perseguitato come prete da dei persecutori così altamente onorevoli e nobili, finire nelle loro patrie galere se non peggio ancòra; e tra le due parti, persino nella ferocia, ci sarebbe un mutuo rispetto reciproco tra persecutore e perseguitato. Quale rispetto dovrei invece nutrire, per quei due o tremonsignorini finocchi protetti da qualche cardinale sodomita, che sentendosi dinanzi a me scoperti, ti perseguitano per tutta la vita con una vera e propria ferocia da isteria mestruale? Spero che qualchevelinaro della Pravda Pontificia riferisca il tutto agli amici della Segreteria di Stato — che pure mi leggono da sempre con attenzione — e soprattutto all’Augusto Inquilino della Domus Sancthae Marthae, la cui sensibilità ed alto senso della giustizia, pare esaurirsi tutto quanto con i gelati mandati in omaggio ai poveri ed ai migranti di Roma, inclusi i presunti profughi, peraltro fuggiti seduta stante appena giunti al centro di accoglienza della Conferenza Episcopale Italiana a Rocca di Papa [cf. cronaca, QUIQUIQUI]. Il tutto, ovviamente, corredato di ampi servizi fotografici e giornalistici, affinché la carità faccia rumore e notizia, oltre che provocazione politica verso l’attuale Governo della Repubblica Italiana [cf. cronaca, QUI].
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Quale santa invidia provo per i cinesi perseguitati perché fedeli alla Chiesa di Roma, mentre io, uscendo di casa per recarmi a fare spesa, rischio di ritrovarmi con un moccioso di dodici o tredici anni che vedendo passare una tonaca nera ti strilla alle spalle due bestemmie contro la Vergine Maria! Nelle province di Pechino non ti strillano dietro, semmai ti arrestano alle due di notte mentre celebri furtivamente la Santa Messa per un gruppo di fedeli. E ciò è molto più dignitoso, sia per chi arresta sia per chi è arrestato. Anche per questo la Cina è una grande potenza, mentre l’Europa, che ormai è la madre del tutto è lecito e concesso al di là del bene e del male, è solo un povero Continente alla totale disfatta politica, sociale, culturale, morale e religiosa.
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Dio benedica la Grande Cina ed il suo nobile Popolo !
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dall’Isola di Patmos, 29 settembre 2018
Festa dei Santi Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo
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