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venerdì 21 settembre 2018

Nei Salmi si parla di Cristo, si parla a Cristo, ci parla Cristo.

Il “paradiso” della Bibbia



Ieri l’amico Don Andrea ha postato su Facebook un appunto piuttosto preoccupato per la possibile pubblicazione di una seconda edizione italiana della Liturgia delle ore, che adotterebbe la traduzione dei Salmi contenuta nella nuova Bibbia CEI del 2008.

Personalmente, non provo la stessa preoccupazione, perché da ormai piú di trent’anni recito la Liturgia delle ore in latino. Uso la traduzione italiana solo in occasione degli incontri comunitari con i confratelli; per alcuni anni, quando ero responsabile della formazione nelle Filippine e in India, mi sono servito della traduzione inglese. Ciò non significa però che l’eventualità ventilata da Don Andrea mi lasci indifferente.

Mi sono già occupato piú volte su questo blog della nuova traduzione della Bibbia della CEI, che nel complesso non mi dispiace. Mi sono permesso però di fare alcune osservazioni critiche specialmente a proposito dei Salmi (qui e qui). Il grosso problema della traduzione del Salterio è: quale testo tradurre? Fino al secolo scorso, la Chiesa aveva sempre optato per il testo greco della Settanta; a partire dall’enciclica Divino afflante Spiritu (1943) di Pio XII, si preferisce che le traduzioni bibliche siano condotte sui testi originali (opzione confermata dal Concilio Vaticano II, Dei Verbum, n. 22). Quando si tratta dell’Antico Testamento, si dà per scontato che il testo originale sia il testo masoretico (il che è quanto meno opinabile); per cui ci si sente in dovere di tradurre l’AT, Salmi compresi, dal testo masoretico. I risultati di questa mentalità li troviamo nella nuova traduzione dei Salmi della CEI (gli esempi che facevo nei due post su riportati mi sembrano abbastanza significativi).

Che fare? Secondo me, l’unica soluzione è quella di fare ciò che la Chiesa ha sempre fatto: separare il Salterio dal resto della Bibbia ufficialmente adottata. Quando la Chiesa decise di fare propria la Volgata di San Girolamo (il Concilio di Trento la dichiarò “autentica”), pensò bene di conservare il Salterio precedentemente in uso, il cosiddetto Salterio gallicano, che altro non è che la revisione dei Salmi condotta dallo stesso Girolamo sulla LXX, rifiutando con ciò la sua nuova traduzione del Salterio fatta sul testo ebraico (juxta Hebraeos) e contenuta nella Volgata. Qualcosa di simile è accaduto ai nostri giorni nel mondo di lingua inglese, dove vengono usate diverse traduzioni della Bibbia (Jerusalem Bible in Inghilterra, New American Bible negli Stati Uniti, Revised Standard Version in altri paesi), ma per la Liturgia delle ore tutti recitano i Salmi nella traduzione di The Grail (1963). Recentemente, ne è stata pubblicata una nuova edizione: The Revised Grail Psalms, curata dai Benedettini di Collegeville, Minnesota (2010). Nel decreto di approvazione della Congregazione per il culto divino si dice chiaramente che si tratta di un “Salterio liturgico da usare in tutti i futuri libri liturgici” (di fatto, ciò non è ancora mai avvenuto, dal momento che il nuovo lezionario era già uscito prima della pubblicazione del nuovo Salterio, e della Liturgia delle ore non è ancora in vista una nuova edizione).

Qualcosa di simile si potrebbe fare anche in Italia. Nella Bibbia della CEI c’è una nuova traduzione dei Salmi, condotta sul testo ebraico? Bene, lí rimanga. Per la liturgia si continui a usare il Salterio della precedente versione CEI. Se proprio se ne rendesse necessaria una revisione, questa dovrebbe essere condotta, secondo le norme di Liturgiam authenticam (che è stata… rottamata, ma non abrogata!), sulla Neovolgata (anch’essa desta, almeno per i Salmi, non poche perplessità; ma rimane pur sempre il testo ufficiale della Bibbia nella Chiesa latina). Tale revisione, anziché essere affidata ai biblisti di fiducia della CEI, dovrebbe, a mio parere, essere affidata ai Benedettini, i quali alla conoscenza del testo possono aggiungere l’esperienza del canto.

Il Salterio non può essere messo sullo stesso piano degli altri libri dell’AT. Esso può essere considerato come una specie di compendio dell’intera Scrittura. Sant’Atanasio lo descriveva come il “giardino paradisiaco, nel quale si possono cogliere i frutti di tutti gli altri testi ispirati” (paradisus omnium reliquorum librorum fructus in se continens). Noi cristiani preghiamo i Salmi non come li potevano pregare gli antichi Israeliti, ma proprio in quanto cristiani. Intestardirsi a voler tradurre letteralmente il testo ebraico (oltretutto, con la presunzione di essere noi piú bravi dei Settanta…), se ci aiuta — forse — a recuperare il significato originario del testo, può impedirci di cogliere il loro riferimento a Cristo. Come giustamente ci ricordava Giovanni Paolo II (Udienza generale del 28 marzo 2001), nei Salmi si parla di Cristo, si parla a Cristo, ci parla Cristo. Beh, la nuova traduzione della CEI, in non pochi casi, impedisce che ciò avvenga.
Q
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https://querculanus.blogspot.com/2018/09/il-paradiso-della-bibbia.html

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