Si può essere cristiani e marxisti? Una nuova "Lotta di classe": la semplificazione che accomuna il marxismo e una certa area del cristianesimo è che i poveri erediteranno il futuro: la terra gli uni, il regno di Dio gli altri?
di Francesco Lamendola
La domanda: Si può essere, nello stesso tempo, cristiani e marxisti?, potrebbe apparire una domanda incongrua: dal momento che il marxismo non c’è più, porre la questione appare quantomeno anacronistico. Ma in un simile giudizio vi sono due gravi errori. Primo, il marxismo esiste ancora: se non come forma di governo, come ideologia politica; superata quanto si vuole, su questo esistono opinioni diverse, ma esiste tuttora. Secondo, ed è una naturale conseguenza del primo punto, una ideologia può rimanere in quiescenza per un periodo e poi ritornare alla ribalta, quando le circostanze storiche lo rendono possibile, per il rinnovarsi dei fattori che l’avevano generata, o di fattori simili. Nulla quindi impedisce che il marxismo torni di attualità in un tempo più o meno futuro; e lo stesso vale, naturalmente, anche per altre ideologie più o meno recenti. Limitiamoci, tuttavia, per ora, alla prima considerazione: se il marxismo non è più al potere in alcun Paese – tranne, forse, la Corea del Nord – ciò significa che è sparito dall’orizzonte politico? Più che sparito, ci sembra che si sia trasformato: che abbia indossato panni più rispettabili – perché, non dimentichiamolo, non è stata onorevole la sua vicenda come forza di governo, né gloriosa la sua dissoluzione finale – per continuare a esistere. Vi è stata quasi una mutazione genetica, imposta dalla necessità di riuscire a sopravvivere: un po’ come certi topi di città finiscono per adattarsi ai veleni con cui gli esseri umani cercano di sterminarli, trasformandosi in super-topi, resistentissimi e quindi refrattari agli effetti di quel veleno.
Nello stesso tempo, il marxismo si è mascherato, per essere scambiato per ciò che non è, e trarre in inganno quanti si fermano alle apparenze. Duplice processo, quindi: di rafforzamento e di camuffamento; ha cambiato nome, ha cambiato pelle, ma ha conservato la sua essenza, come il lupo che perde il pelo, ma non l’istinto ferino. E qual è l’essenza del marxismo? L’idea della lotta di classe come passaggio necessario per la presa di coscienza degli sfruttati, cioè i proletari, contro gli sfruttatori, cioè i capitalisti. L’incredibile rozzezza di questo schema generale, che in sostanza non ammette eccezioni, per cui, ad esempio, un proprietario di casa è uno sfruttatore, anche il suo inquilino se la passa economicamente meglio di lui, è anche la chiave del suo successo fra le masse. Le masse non vogliono ideologie troppo elaborate: vogliono una spiegazione semplicistica della realtà, dove le cose sono sempre bianche o nere, e la verità si può separare dalla menzogna a colpi di accetta. Nessuna grande intelligenza è stata attratta dal marxismo, se non in qualche forma “eretica”: il tipo del marxista duro e puro non ha mai brillanto per intelligenza, semmai per decisione, capacità organizzativa e astuzia. Questo dell’astuzia è un elemento importante. Essa non va confusa con l’intelligenza, benché ne possieda alcuni tratti, perché le manca la cosa essenziale: la profondità, che è la capacità di vedere le cose nella loro interezza. La spiegazione marxista del reale è una spiegazione parziale, adatta a delle menti assai limitate. Però una mente limitata può essere anche astuta: e non vi è dubbio che molti leader marxisti hanno dato prova di una notevole dose di astuzia nella loro manovra di avvicinamento al potere. La loro astuzia principale è consistita nel dissimulare i loro veri fini e nel far credere ai loro compagni di strada non marxisti che, nella società futura, ci sarebbe stato posto, se non per tutti, certo anche per loro: vale a dire nel far credere di essere dei democratici, beninteso antifascisti, mentre il marxismo è palesemente in antitesi con la democrazia. E lo diciamo come un semplice dato di fatto, senza implicazioni o pregiudizi, perché siamo ben lungi dal divinizzare la democrazia o dal giudicarla il solo sistema politico degno di rispetto. Semplicemente, prendiamo atto che non si può essere marxisti e anche democratici, perché il marxismo non accetta alcuna forma di critica e di opposizione, né interna, né, meno ancora, esterna.
Oggi finalmente i nostri comunisti hanno un loro papa di sinistra, un clero di sinistra, una teologia femminista e progressista, e uno Stato che ha felicemente realizzato il vecchio sogno del compromesso storico.
Sorge allora la domanda: si può essere, in compenso, cattolici e marxisti? E la domanda sorge dal fatto che il cattolicesimo, o meglio, una certa area del cattolicesimo sociale, è diventata il bacino di scolo del marxismo ed è precisamente lì che il marxismo ha cambiato pelle e nome e si è attrezzato per sopravvivere. Apparentemente, si è portati a pensare che il cattolicesimo, in politica, sia una forza chiaramente democratica, e che quindi non dovrebbe avere nulla in comune con il marxismo. Si tengano però presenti due fattori: primo, che i marxisti sono riusciti a sopravvivere, per settant’anni, spacciandosi per democratici e venendo accettati come tali da quasi tutti gli altri interlocutori, almeno in Italia; secondo, che cattolici e marxisti hanno in comune un elemento importante, anche se posto in una differente prospettiva: il rifiuto radicale della realtà presente. Che, poi, molti cattolici non abbiano questo tipo di mentalità, dipende solo dal fatto che sono cattolici all’acqua di rose, cioè cattolici dimentichi di cosa sia realmente il cattolicesimo. Entrambi hanno una vocazione di contestatori: rifiutano le categorie del presente in nome di una liberazione integrale dell’uomo. Nelle menti più rozze, anche il cristianesimo si presenta come una radicale semplificazione del reale: sono appunto quelle che possono più facilmente subire la suggestione del marxismo. La semplificazione che accomuna il marxismo e una certa area del cristianesimo è questa: che i poveri erediteranno il futuro: la terra gli uni, il regno di Dio gli altri. Ma ciò che Gesù intendeva dicendo beati i poveri, non era o non era principalmente la povertà economica: il suo discorso non era di tipo prevalentemente economico-sociale, anzi, non lo era affatto. Il suo era un discorso spirituale e morale, e soprattutto religioso. Per entrare nel regno di Dio, bisogna essere poveri di spirito, cioè spogliarsi di tutte le vanità del mondo. Questo intendeva: non pensava che l’essere povero sia un merito, e che il povero abbia sempre ragione rispetto a chi possiede un rango sociale superiore. Non voleva fare una rivoluzione politica – è perfino superfluo ribadirlo.
Hanno sempre ragione loro! non si può essere marxisti e anche democratici, perché il marxismo non accetta alcuna forma di critica e di opposizione, né interna, né, meno ancora, esterna.
È interessante andarsi a rileggere quel che dicevano le teste pensanti del cattolicesimo di sinistra negli annui ruggenti del cattocomunismo, cioè gli anni ’70 del Novecento: anni pionieristici, si potrebbe dire, visto che poi quel che essi auspicavano si è pienamente realizzato, perfino oltre le loro più rosee speranze, e sia pure in un quadro e con vocabolario, una mappa concettuale, una sintassi leggermente diversi da quelli allora predicati; ora che abbiamo un papa di sinistra, un clero di sinistra, una teologia femminista e progressista, e uno Stato che ha felicemente realizzato il vecchio sogno del compromesso storico. Uno Stato rappresentato da uomini come il presidente Sergio Mattarella, i cui punti di vista, a parte il radicale aggiustamento di tiro (contrordine, compagni: il nemico non è più l’imperialismo yankee, ma il populismo e il sovranismo, e quindi sì alle banche centrali, sì al capitalismo finanziario, sì a Soros e alla Goldman Sachs), sono, mutatis mutandis, quelli di cinquanta anni fa, come se il mondo non fosse cambiato in maniera quasi totale e come se si potessero pensare tutte le categorie politiche, economiche e sociali allo stesso modo in cui lo si faceva allora. Ecco, dunque, cosa scriveva il gesuita Pierre Bigo, un patito della rivoluzione dal punto di vista cattolico - e terzomondista -, tanto per non essere da meno del “compagno” Marx, stimato interlocutore di tanti cristiani progressisti, non solo in Italia, ma, appunto, anche in Francia e in tutto il mondo, che egli tenta disperatamente di interpretare in senso non materialista, ma addirittura umanistico (da: P. Bigo, Chiesa, rivoluzioni sociali e Terzo Mondo; titolo originale: L’Église et la révolution du Tiers Monde, Presses Universitaires de Frances; Roma, Città Nuova Editrice, 1976, pp. 177-181):
L’uomo non accede oggi al livello etico che raggiungendo questo livello politico, in una certa contestazione e una certa costruzione. Struttura, coscienza: il marxismo ha stabilito questo legame. È la sua grande verità. La una linea deriva da una scienza positiva, da una scienza “esatta”, per impiegare il vocabolario del “Contributo alla Critica dell’economia politica”? Marx esclude esplicitamente questa tesi. Ricondurre il marxismo alle dimensioni di un empirismo, è distruggerlo. La sua dialettica è quella dell’uomo stesso. Non sono solo gli scritti giovanili di Marx, sono le opere più definitive e fra esse il “Il Capitale” che perdono ogni significato e tutta la loro portata se le si riconduce ad una analisi empirica. Da un capo all’altro della sua tesi ne va dell’uomo stesso. Ma questa è anche la sua grande contraddizione e il principio dei suoi errori. Con questo legame reciproco fra struttura e coscienza, Marx si è chiuso le strade che avrebbero permesso di definirlo. La sua messa in discussione del diritto, della filosofia, della morale, della fede non sono soltanto una critica delle loro adulterazioni, negano ogni valore allo spirito. Ora, donde potrebbe venire una funzione propria della coscienza se non dallo spirito? Funzione propria della coscienza: non soltanto possibilità per una coscienza individuale di sfuggire al determinismo dell’essere sociale, ma più radicalmente libertà della coscienza di definirsi nei termini che trascendono ogni struttura data. Marx ha assolutamente bisogno di questa istanza per la coerenza del suo pensiero. (…)
L'ibrido catto-comunista è surreale: cattolici e marxisti hanno in comune un elemento importante, anche se posto in una differente prospettiva: il rifiuto radicale della realtà presente.
LA DIMENSIONE POLITICA È DUNQUE ESSENZIALE ALL’ESISTENZA, MA NON LA DEFINISCE: è qui il punto di contrasto più grave tra l‘analisi marxista e la fede cristiana. Abbiamo visto, Marx non esclude l’azione reciproca dell’”essere sociale” e della “coscienza”. Riconosce a questa una certa autonomia, un certo potere di modellare la realtà secondo i propri criteri. Ma, secondo lui, nessun dato esterno alla lotta di classe determina la coscienza. Non si è più marxisti se si esce da questa rigorosa definizione. Tutti i grandi marxisti vi restano fedeli. Questa dottrina è latente in un grande numero di militanti di oggi, anche cristiani. Essi hanno la tendenza a identificare la liberazione totale e definitiva dell’uomo con la rivoluzione. Concepiscono la lotta di classe non solo come il compito più urgente nella lotta dell’uomo per la libertà, ma come il solo compito necessario. Pensano che la dipendenza delle classi e delle nazioni oppresse è non soltanto l’alienazione sotto la sua forma attualmente più grave, ma l’alienazione in sé. Così coincidono nell’essenziale col materialismo dialettico. È venuto il momento di valutare questa dottrina marxista fondamentale. Essa conduce a molteplici conseguenze. A) Essa comporta la politicizzazione della coscienza. E del’esistenza sociale, cioè la definizione dell’una e dell’altra in base ai suoi soli aspetti “politici”. (…) b) Questa definizione della coscienza in base alla sua dimensione politica provoca laDISCRIMINAZIONE radicale degli uomini secondo il solo criterio della classe sociale. (…) c) Il materialismo dialettico conduce per questa strada ad una VIOLENZA che è precisamente quella che la coscienza condanna: una forza che è legge a se stessa.
La neochiesa di Bergoglio è un ibrido catto-comunista. E' un marxismo, inseminato nel cattolicesimo latinoamericano mediante la teologia della liberazione e ha praticamente conquistato l’egemonia culturale nella Chiesa, grazie ai gesuiti. Non si potrebbe e dovrebbe essere "sia cristiani che marxisti": e invece questo inverosimile connubio è proprio avvenuto...
Si può essere cristiani e marxisti?
di Francesco Lamendola
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