ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 16 settembre 2018

Urbi et Orban



Decisamente Budapest non è Roma, e i Vescovi ungheresi non sono la CEI.  Se in Italia l’episcopato è schierato in prima linea a fianco dei detrattori del Governo e in primo luogo del Ministro dell’Interno Salvini, in Ungheria la Chiesa respinge al mittente le accuse fatte al proprio Presidente. Come noto, negli scorsi giorni il Parlamento Europeo di Strasburgo ha espresso la propria condanna verso l’Ungheria, accusata di essere poco democratica, di “limitare i diritti delle donne” (quali?) ma soprattutto di opporsi all’immigrazione. Orban aveva direttamente replicato, con un intervento intenso e accorato: “Voi non volete condannare un governo, ma l’Ungheria, il popolo ungherese che da mille anni è membro della famiglia europea”, ha detto, aggiungendo “condannate l’Ungheria che si è sollevata contro l’esercito dell’Unione sovietica, che ha combattuto per la sua libertà. (…) Pensate di conoscere il mio Paese meglio degli ungheresi che mi hanno votato”. E ancora ha aggiunto: “Noi difendiamo le frontiere dell’Europa e voi per questo ci condannate. L’Ungheria sarà condannata perché ha deciso che non sarà terra di immigrazione. Ma noi non accetteremo minacce e ricatti delle forze pro-immigrazione: difenderemo le nostre frontiere, fermeremo l’immigrazione clandestina anche contro di voi se necessario”.
Parole appassionate di un leader che ama il proprio Paese, e allo stesso tempo l’Europa. Quella vera, quella negata dagli eurocrati massoni, quella dalle profonde radici cristiane.  Una posizione perfettamente compresa e fatta propria dalla Chiesa in Ungheria.  Monsignor Andras Veres, capo dei vescovi magiari, ha infatti commentato con dolore il voto dell’Europarlamento contro il suo Paese e il presidente Viktor Orban, sottolineando che l’azione politica dell’esecutivo ungherese è tesa alla difesa “dell’Europa e del Paese stesso”. “Purtroppo – ha avvertito l’ecclesiastico – la storia si ripete. L’Ungheria ha sofferto già un grande attacco da parte dell’Islam nel 16° secolo e abbiamo ricordi molto brutti perché la Chiesa è stata completamente distrutta”. “Si può dire – ha scandito Veres – che la gente è a favore di questo governo. Adesso vedremo come possono riallacciare i rapporti con l’Ue e trovare soluzioni a questa situazione”. “Non siamo contro i migranti, ma il sistema che l’Unione europea vuole, non è lo stesso che vuole il governo ungherese, e cioè l’aiuto bisogna darlo alle persone laddove sono”. Il presule inoltre ha precisato che “Tutti coloro che sono venuti in Ungheria sono stati aiutati.  “Chi desidera accogliere i rifugiati nel suo Paese lo può fare, ma quelli che hanno problemi con questa soluzione devono essere rispettati. Tutti i Paesi sono liberi e devono decidere loro stessi”.
Ora ci auguriamo che su monsignor Veres e sulla Chiesa in Ungheria, che tanto ha sofferto durante il regime comunista, con il proprio Primate cardinale Mindszenty imprigionato e allo stesso abbandonato dal Vaticano in nome del “dialogo” e della Ost Politik, non debba subire sanzioni anche da Roma, oltre che da Strasburgo. Sappiamo infatti quanto il tema dell’Immigrazionismo sia caro attualmente dentro i Sacri Palazzi, anche a discapito della difesa della Fede.
– di l’Elvetico
Lo scontro tra due idee di Europa
Lo scontro tra l’Unione europea ed il Governo italiano sta continuando a salire di intensità e, allo stesso tempo, diviene sempre più politico, con il conseguente emergere dell’ambiguità del loro ruolo del Movimento 5 Stelle e di tutti coloro che si pongono in una posizione mediana tra la Lega e la crescente intransigenza delle autorità di Bruxelles.
La questione migranti, pur rimanendo centrale, appare, con sempre maggiore chiarezza, come parte di una contrapposizione molto più ampia, oltre a rappresentare una delle più importanti armi di ricatto contro il nostro Paese nelle mani della Sinarchia eurocratica.
L’oggetto del contendere riguarda l’idea stessa di Europa, le basi fondamentali della convivenza civile nel nostro Continente e, in modo particolare, all’interno dell’Unione: si va dai rapporti tra politica ed economia, passando per quelli tra economia e finanza, al diritto dei popoli a mantenere una propria identità. L’episodio che ha meglio palesato l’ampiezza di questo conflitto, a volte sordo ed a volte urlato, è stata la condanna del Parlamento europeo nei confronti dell’Ungheria e del suo Governo.
Il 12 settembre ultimo scorso il Parlamento europeo ha autorizzato il Consiglio europeo a porre in stato d’accusa l’Ungheria ed a privarla di vari diritti, fra cui quello di voto all’interno degli organi dell’Unione, a norma dell’articolo 7[1] del Trattato sull’Unione europea[2][3], così come modificato dal trattato di Lisbona (13 dicembre 2007). Le accuse si riferiscono, principalmente, all’impalcatura costituzionale ungherese (per il testo integrale della costituzione ungherese in italiano, clicca qui), considerata, nel suo complesso, come illiberale, perché non garantirebbe l’indipendenza della magistratura, e sarebbe venata di razzismo, in quanto fa esplicito riferimento all’identità nazionale ungherese ed allo spirito cattolico magiaro.
Questo voto esprime in maniera molto chiara l’esistenza di due modi di vedere l’Europa: da una parte, la maggioranza del Partito popolare europeo, il Partito socialista europeo e le sinistre dell’Europarlamento, cui si sono accodati i 5 Stelle, che sposano totalmente la linea sinarchica delle istituzioni comunitarie di odio inestinguibile verso l’idea stessa di natura (intesa in senso aristotelico), le identità spirituali dei popoli (cfr. L’Unione europea preferisce la guerra all’identità), la famiglia e la prevalenza della politica sull’economia e dell’economia sulla finanza; e, dall’altra, si sostiene questi valori. Il Primo Ministro ungherese, Viktor Orban, lo ha detto in maniera esplicita: «L’anno prossimo (con chiara allusione alle elezioni europee del maggio 2019) cambieremo completamente l’Europa escludendo i socialisti dal Governo dell’Europa, mettendo al centro il diritto alla vita, al lavoro, alla famiglia, alla sicurezza».
Capofila dei nemici dell’Ungheria è, ovviamente, la Francia di Emmanuel Macron, uomo portato all’Eliseo dalla grande finanza internazionale, approfittando della morte delle tradizionali famiglie politiche francesi e di clamorosi errori tattici strategici dell’unica sua antagonista rimasta, vale a dire la leader del Rassemblement National, già Front National, Marine Le Pen. Posizioni, quelle della Francia macroniana, su cui la seguono, entusiasticamente, la Spagna del socialista Pedro Sanchez e, sia pure molto malvolentieri, a causa della simpatia di buona parte del suo elettorato nei confronti di Viktor Orban, anche la Germania di Angela Merkel. All’estremo opposto si collocano i Paesi di Visegrád (Ungheria, Polonia, Repubblica ceca e Slovacchia), appoggiati, sia pure con discreta moderazione, dall’Austria del giovane Cancelliere Sebastian Kurz. Gli altri Paesi dell’Unione si situano tra questi due poli, ciascuno con caratteristiche proprie di vicinanza ora a questo ed ora a quello.
Discorso diverso vale per l’Italia, che, fino all’avvento dell’attuale Esecutivo, aveva mantenuto posizioni rigidamente allineate su quelle francesi (si vedano in proposito le dichiarazioni di questi giorni degli esponenti del Partito democratico); dall’insediamento dell’attuale Governo, invece, gli attriti con le istituzioni comunitarie e con Parigi sono cresciuti ogni giorno: dalla questione immigrazione ai temi economici di bilancio. Ci si sarebbe potuti aspettare una collocazione del nostro Paese, quanto meno, sulle posizioni austriache; tenuto anche conto del fatto che i rapporti con Vienna e con la Baviera, guidata dal Ministro degli Interni tedesco, Horst Seehofer, si sono progressivamente intensificati. Questa linea di politica europea è quella coerentemente seguita dal Vicepresidente del Consiglio e leader della Lega, Matteo Salvini, e dal suo partito.
Maggiori problemi, però, pare avere il Movimento 5 Stelle. Su determinate questioni l’identità di vedute con Salvini ed i suoi pare pressoché totale; si pensi, a titolo di esempio, che la proposta di bloccare i contributi italiani all’Unione europea e, conseguentemente, di porre il veto sul bilancio europeo è venuta da Di Maio. Quando, però, si tratta di passare da prese di posizioni puntuali, per non dire estemporanee, ad una coerente politica di contrapposizione nei confronti delle istituzioni comunitarie e dei maggiori Paesi all’interno dell’Unione, la coerenza interna del Movimento vacilla e riemergono i richiami a posizioni tipicamente di sinistra, come il voto favorevole alle sanzioni all’Ungheria, dato in sede europea, sta a testimoniare.
Il terrore di vedere il Governo italiano alla testa degli Stati sovranisti sta, però, inducendo i maggiori esponenti delle istituzioni comunitarie ad una sistematica, quanto scomposta continua aggressione nei confronti del nostro Paese; persino il Governatore della Banca centrale europea, Mario Draghi, ha abbandonato il suo usuale linguaggio tecnico-diplomatico, per minacciare il nostro Esecutivo alla vigilia del varo della manovra d’autunno. Questo inasprirsi dei toni pone i Grillini in una posizione sempre più difficile, in quanto saranno presto costretti a scegliere tra la stabilità governativa ed i richiami di Bruxelles.
[1] Art. 7 Trattato sull’Unione europea
Su proposta motivata di un terzo degli Stati membri, del Parlamento europeo o della Commissione europea, il Consiglio, deliberando alla maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare che esiste un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2. Prima di procedere a tale constatazione il Consiglio ascolta lo Stato membro in questione e può rivolgergli delle raccomandazioni, deliberando secondo la stessa procedura. Il Consiglio verifica regolarmente se i motivi che hanno condotto a tale constatazione permangono validi.
Il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità su proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione europea e previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare l’esistenza di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2, dopo aver invitato tale Stato membro a presentare osservazioni.
Qualora sia stata effettuata la constatazione di cui al paragrafo 2, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può decidere di sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall’applicazione dei trattati, compresi i diritti di voto del rappresentante del governo di tale Stato membro in seno al Consiglio. Nell’agire in tal senso, il Consiglio tiene conto delle possibili conseguenze di una siffatta sospensione sui diritti e sugli obblighi delle persone fisiche e giuridiche. Lo Stato membro in questione continua in ogni caso ad essere vincolato dagli obblighi che gli derivano dai trattati.
Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può successivamente decidere di modificare o revocare le misure adottate a norma del paragrafo 3, per rispondere ai cambiamenti nella situazione che ha portato alla loro imposizione.
Le modalità di voto che, ai fini del presente articolo, si applicano al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio sono stabilite nell’articolo 354 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
[2] Art. 2 Trattato sull’Unione europea
L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini.
[3] Art. 354 Trattato sul funzionamento dell’Unione europea
Ai fini dell’articolo 7 del trattato sull’Unione europea relativo alla sospensione di taluni diritti derivanti dall’appartenenza all’Unione, il membro del Consiglio europeo o del Consiglio che rappresenta lo Stato membro in questione non partecipa al voto e nel calcolo del terzo o dei quattro quinti degli Stati membri di cui ai paragrafi 1 e 2 di detto articolo non si tiene conto dello Stato membro in questione. L’astensione di membri presenti o rappresentati non osta all’adozione delle decisioni di cui al paragrafo 2 di detto articolo.
Per l’adozione delle decisioni di cui all’articolo 7, paragrafi 3 e 4 del trattato sull’Unione europea, per maggioranza qualificata s’intende quella definita conformemente all’articolo 238, paragrafo 3, lettera b) del presente trattato.
Qualora, a seguito di una decisione di sospensione dei diritti di voto adottata a norma dell’articolo 7, paragrafo 3 del trattato sull’Unione europea, il Consiglio deliberi a maggioranza qualificata sulla base di una delle disposizioni dei trattati, per maggioranza qualificata s’intende quella definita conformemente all’articolo 238, paragrafo 3, lettera b) del presente trattato o, qualora il Consiglio agisca su proposta della Commissione o dell’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, quella definita conformemente all’articolo 238, paragrafo 3, lettera a).
Ai fini dell’articolo 7 del trattato sull’Unione europea, il Parlamento europeo delibera alla maggioranza dei due terzi dei voti espressi, che rappresenta la maggioranza dei membri che lo compongono.
 Art. 238 Trattato sul funzionamento dell’Unione europea
Per le deliberazioni che richiedono la maggioranza semplice, il Consiglio delibera alla maggioranza dei membri che lo compongono.
In deroga all’articolo 16, paragrafo 4 del trattato sull’Unione europea, a decorrere dal 1° novembre 2014 e fatte salve le disposizioni stabilite dal protocollo sulle disposizioni transitorie, quando il Consiglio non delibera su proposta della Commissione o dell’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, per maggioranza qualificata si intende almeno il 72 % dei membri del Consiglio rappresentanti Stati membri che totalizzino almeno il 65 % della popolazione dell’Unione.
A decorrere dal 1° novembre 2014 e fatte salve le disposizioni stabilite dal protocollo sulle disposizioni transitorie, nei casi in cui, a norma dei trattati, non tutti i membri del Consiglio partecipano alla votazione, per maggioranza qualificata si intende quanto segue:
  1. a) per maggioranza qualificata si intende almeno il 55 % dei membri del Consiglio rappresentanti gli Stati membri partecipanti che totalizzino almeno il 65 % della popolazione di tali Stati.
La minoranza di blocco deve comprendere almeno il numero minimo di membri del Consiglio che rappresentano oltre il 35 % della popolazione degli Stati membri partecipanti, più un altro membro; in caso contrario la maggioranza qualificata si considera raggiunta.
  1. b) In deroga alla lettera a), quando il Consiglio non delibera su proposta della Commissione o dell’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, per maggioranza qualificata si intende almeno il 72 % dei membri del Consiglio rappresentanti gli Stati membri partecipanti, che totalizzino almeno il 65 % della popolazione di tali Stati.
Le astensioni dei membri presenti o rappresentati non ostano all’adozione delle deliberazioni del Consiglio per le quali è richiesta l’unanimità.

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