L’uomo è diventato "compravendibile" un bene di consumo come ogni altro: perduto il padre il capitalismo della seduzione vuole decostruire la madre. Qualcuno controlla e determina il codice a barre attiva i sensori e tira i fili?
di Roberto Pecchioli
Il manifesto dell’associazione Provita con l’immagine di due giovani uomini che spingono un carrello da supermercato con all’interno un bimbo e la didascalia “due padri non fanno una madre” è stata rimosso. Secondo il sindaco romano Raggi (nessuno ci farà mai scrivere l’orrendo femminile “sindaca”), turba le coscienze e, regolamento comunale alla mano, è “lesivo del rispetto dei diritti e delle libertà individuali.” Surreale, tanto più che il medesimo testo proibisce immagini di “stereotipi (…) e mercificazione del corpo femminile”. Nessun commento, basta la realtà. Colpisce che non vi sia divieto di mercificazione del corpo maschile, in corso sulle ali della liberazione della donna e soprattutto dell’onda lunga omosessualista.
Miguel Bosé, il cantante spagnolo, il cui divorzio (omo, ça va sans dire) fa un gran rumore di piatti rotti.
Ma l’erba non è verde d’estate, al giorno non segue la notte, dunque non sta bene ripetere che per i figli ci vogliono un padre e una madre. Abbiamo occhi per vedere e un cervello per ragionare; peggio per noi se non lo usiamo più. La rimozione progressiva della realtà è pervenuta al divieto, ovviamente in nome del bene, dell’etica, della tolleranza: il nuovo proibizionismo delle anime belle è selettivo, ma roccioso, intransigente. Cristallizza un’etica infranta e ricostruita alla rovescia. Colpa del libretto delle istruzioni.
A noi sembra che il manifesto faccia centro nell’immagine del cucciolo di uomo. Ha il volto sofferente, sta dentro un carrello e sul petto ha un grande codice a barre, uno di quelli stampati sulle confezioni dei prodotti che passeranno al lettore magnetico di cassa. Il bimbo è, suo malgrado, il simbolo di una generazione nuova, compravendibile, l’umanità-merce, definita da un codice. Un prodotto di economia di scala, un’unità distinta solo da un chip elettronico. Presto avremo anche il codice QR (quick response, risposta rapida…), come i biglietti acquistati online. Una regressione sconcertante, inavvertita dai più, che apprezzano la pratica comodità del mondo nuovo.
L’unico paragone calzante è con il marchio, il numero 666 dell’Apocalisse di San Giovanni. Apocalisse significa rivelazione, e il marchio, dal greco charagma, indica qualcosa che viene impresso, scolpito. La Bestia “obbligò tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, a farsi mettere un marchio sulla mano destra o sulla fronte. Nessuno poteva comprare o vendere se non portava il marchio, cioè il nome della bestia o il numero che corrisponde al suo nome. Chi ha intelligenza, calcoli il numero della bestia, perché è un numero d’uomo; e il suo numero è seicentosessantasei” (Apocalisse 13:16-18).
Antropologia negativa?
Al di là dell’antropologia negativa della cosiddetta omogenitorialità, ci pare che il senso del nostro vivere odierno sia diventato questo: la trasformazione in oggetti, merci di consumo, generazioni con il codice a barre. L’uomo, il suo corpo, è diventato compravendibile, un bene di consumo come ogni altro. Si può acquistare una parte o un pezzo staccato (traffico di organi), affittare l’utero in conto terzi (l’eufemismo politicamente corretto è GPA, gestazione per altri, come l’aborto non è che una IVG, interruzione volontaria di gravidanza), si può, forse di deve - è lo spirito dei tempi - comprare un figlio. Poco importa se si è celibi, nubili, etero o omosessuali. Avere un figlio, dicono, è un diritto, esattamente come disfarsene se non gradito.
In questo periodo la cronaca si occupa del caso di Miguel Bosé, il cantante spagnolo, il cui divorzio (omo, ça va sans dire) fa un gran rumore di piatti rotti. Il suo ex, oltre all’argenteria e a qualche suppellettile, avrà due dei quattro bambini- due coppie di gemellini maschi – che vivranno in Spagna. Gli altri due andranno con l’altro padre (genitore 1 o 2, fa lo stesso) in Messico. Nati con metodi artificiali, figli naturali di chissà chi, non solo non hanno conosciuto il calore di una madre, ma verranno separati per volontà dei genitori legali. Nulla di strano nel felice secolo XXI, la condizione omosessuale della coppia è solo un elemento in più; li hanno scelti come un mobile o un gioiello di lusso, madamina il catalogo è questo, non più Leporello, ma siti specializzati, vanno divisi come il resto delle proprietà. Reificazione, riduzione a cosa, è la parola della filosofia. Schifo suggerisce il giudizio morale, se ancora è permesso.
La sfera sessuale è quella in cui appare maggiormente la riduzione della persona a oggetto. Noi abbiamo inventato la felicità, dicono gli Ultimi Uomini, e strizzano l’occhio, avvertì Nietzsche nello Zarathustra. Fu ottimo profeta un irregolare della cultura francese come Michel Clouscard nel “Capitalismo della seduzione”, osservando che l’ideologia del consumo fa della sessualità un oggetto come altri. Banalizzata, deprivata dell’immaginario dell’attesa, la riduce a un atto d’uso. E’ il simbolo di una vita in tempo reale, tutto e subito, compra “chiavi in mano”, consuma in fretta e passa oltre senza vedere, senza pensare. La rappresentò perfettamente un protagonista del surrealismo, Magritte, nel quadro Gli amanti, in cui l’uomo e la donna si baciano attraverso un panno bianco che nasconde i loro volti. Non si vedono e non comunicano, il loro gesto diventa esclusivamente materiale e insieme surreale.
Perduto il padre simbolo dell’autorità, custode del limite, garante della continuità, il potere, il capitalismo della seduzione, lavora adesso per decostruire la madre.
Non più persone, ma atomi, unità di prodotto destinate a perdere ogni relazione una volta uscite dalla catena di montaggio. I fili genealogici vengono tagliati, insieme con legami culturali, prescrizioni morali. Spezzato l’ordito della civiltà, l’animale uomo smarrisce il suo destino “politico” e si trasforma nell’Identico che si crede Unico perché tale è il suo codice a barre. Ne furono banditori, nel XIX secolo, Max Stirner e il poeta Walt Whitman. Questi scrisse un celebre verso, emblema dell’individualismo americano teso alla frontiera: “Io celebro me stesso, e canto me stesso”. Stirner, nell’Unico e la sua proprietà, taglia i ponti con tutto. “Non si deve dire grazie a nessuno”. L’Unico non si lascia vincolare dai debiti verso i predecessori, tantomeno è interessato da alcun futuro diverso dal proprio.
Il solco è tracciato, il cattivo seme gettato ha dato i suoi frutti. Incede nel mondo l’uomo confezionato in serie, vissuto tecnicamente,pret-a-porter, sottovuoto come il cibo, scabro, prefabbricato come gli oggetti, adesso i figli, per chi si ostina a volerne. I modelli sono prodotti anche su ordinazione, fotocopie realizzate “just in time”, firma elettronica per ricevuta alla consegna, pagamento con rid bancario. Altri codici a barre, lucette che si accendono al passaggio presso il sensore, chip. Il prodotto uomo è tracciato, manca la data di scadenza, ma ci stanno lavorando, convincendoci ad annullare noi stessi con modulo di richiesta, basta una pillola o un’iniezione. E’ abrogato anche il rispetto per il corpo umano senza vita, il culto dei morti è una barbara reliquia da lasciare agli ultimi lettori di Ugo Foscolo. Si impallidisce rileggendo un brano della Scienza Nuova di G.B. Vico. “Osserviamo tutte le nazioni così barbare come umane (…) custodire questi tre umani costumi: che tutte hanno qualche religione, tutte contraggono matrimoni solenni, tutte seppelliscono i loro morti. “Siamo una ex civiltà, un gregge composto da plebaglia insuperbita.
Tutto ciò che incomoda – dolore, fatica, idee avverse, la stessa natura – è un ostacolo da rimuovere, pena l’ansia, la depressione, la confusione mentale. Si diffonde ciò che è “unheimlich”, il perturbante di Freud, che sconvolge in quanto estraneo, non di casa. La soluzione escogitata è la rimozione, cui segue la censura per tutto quanto produce emozioni negative, l’ansia sconcertata dell’Identico che non riconosce che se stesso. E’ il primo passo del politicamente corretto: inizia con l’eufemismo coatto, prosegue con il timore di pensare, sino al trauma di sperimentare, vedere, ascoltare il diverso. Persuasi di essere creature nobili, anime belle, biasimano e vietano senza pietà, altrimenti “stanno male”.
Un pazzo estremista Dante, che si permette di destinare le anime all’Inferno o in Paradiso sulla base al criterio morale cristiano.
Smarrito il fragile equilibrio dell’Identico obbligatorio, si diffonde, anzi è al potere una generazione di zucchero filato, un prodotto artificiale, infantile, dolciastro, bisognoso del bastoncino per stare insieme nel breve attimo prima di sciogliersi. Zucchero filato imposto per prescrizione medica: la ricetta è sempre pronta nelle tasche dell’esangue generazione con codice a barre. Fragili, non sanno né vogliono ascoltare. Si tappano le orecchie, stringono gli occhi per non vedere come i bambini quando temono qualcosa. Non esprimono più contrarietà o energica indignazione, chiedono l’abolizione per decreto di ciò che ostruisce lo sguardo miope. A milioni, sono consumatori di psicofarmaci fin da bambini.
Eppure, qualcuno controlla, determina il codice a barre, attiva i sensori, tira i fili. Non ditelo, però: potrebbero crollare, non sentirsi più a loro agio nella placenta artificiale in cui vivono. Un telefilm poliziesco americano ha come protagonista un investigatore infallibile, Monk, dipendente da pillole, psicanalisti, preda di infinite fobie, incapace di muovere un passo senza una sfortunata assistente che schiavizza. Il tema musicale della serie ha un titolo illuminante: è una giungla, là fuori. Di quella giungla chiamata realtà hanno orrore le monadi di fragile porcellana convinte di esistere a prescindere dal mondo circostante. Non reggono alcuna pressione, né sanno più obiettare alle idee difformi.
Nelle università, una volta templi del sapere, si invoca e si ottiene la censura per giganti della cultura, se esprimono concetti invisi al sistema di valori riconosciuti dal sensore del codice a barre, gli universali indiscutibili della post civiltà. Folle Aristotele ad asserire che nulla è più naturale dell’unione del maschio con la femmina, un falsario Spinoza, per il quale chi cerca l’uguaglianza tra diseguali cerca una cosa assurda. Un pazzo estremista Dante, che si permette di destinare le anime all’Inferno o in Paradiso sulla base al criterio morale cristiano. Che paura le pene dei dannati, provocano incubi notturni. Da rielaborare il Vangelo che annuncia per gli empi pianto e stridor di denti, ludibrio per il vecchio Hegel, colpevole di definire la famiglia comunità etica naturale. E’ un proibizionismo ridicolo, paradossale, quello dei nipotini del 68, la famiglia Addams al potere. Allora era vietato vietare, oggi, in nome delle stesse parole d’ordine libertarie, il divieto diventa obbligatorio.
Si respinge l’Altro in nome dell’Uniforme, il prodotto di serie con codice numerico è spacciato per diversità. Mostre di pittura rifiutano di esporre il Bacio di Klimt, che rivoluzionario in senso artistico lo fu davvero, è messa all’indice l’Origine del Mondo di Courbet, sessista. Nessuno fiata, tuttavia, di fronte a violenza, volgarità, turpiloquio, oscenità: benefica liberazione dai tabù. La negazione concreta della diversità culturale procede spedita quanto la sua santificazione teorica. E’ esaltato il soggettivismo purché le infinite tonalità ammesse non mutino lo spartito della musica. La voce dissonante indigna in quanto imprevista, non prospettica; lo zucchero filato si trasforma in pungiglione inflessibile perché non conosce altri che se stesso, in miliardi di esemplari codificati. La realtà è una rappresentazione individuale, triste vittoria postuma di Schopenhauer il pessimista radicale.
Oggi è ammesso tutto ciò che è tecnicamente fattibile e in grado di generare un mercato. L’esito inevitabile è la riduzione della persona a prodotto.
GENERAZIONE CODICE A BARRE
di Roberto Pecchioli
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I BIMBIVENDOLI
Vi rendete conto in che mondo capovolto ci troviamo a vivere? Lo squallido mercato degli uteri in affitto. Le donne sindaco grillo-femministe che dovrebbero difendere la dignità della donna. La famiglia arcobaleno di Miguel Bosè
di Marcello Veneziani
“Due uomini non fanno una madre”, diceva il manifesto-gigante di ProVita e Generazione Famiglia affisso nelle città d’Italia, con un neonato in primo piano. La Raggi e l’Appendino, collaboratrici domestiche del politically correct, ingaggiate dall’agenzia pulizie Casaleggio per i comuni di Roma e di Torino, hanno fatto rimuovere in fretta quei manifesti osceni. Sai, difendevano la maternità e i figli, che orrore. Il poster condannava gli uteri in affitto e lo squallido mercato; e due donne sindaco, grillo-femministe, dovrebbero difendere la dignità della donna. Macché. In una città sommersa dai rifiuti, la Raggi – il peggior sindaco che Roma abbia mai avuto e ce ne voleva a vincere la gara – ha trovato la premura non per rimuovere le immondizie che merdeggiano in ogni angolo della Capitale, ma quei poster “scorretti” che denunciavano la compravendita di madri e bimbi e la difesa della famiglia con padre e madre, senza uteri in affitto.
Le Tavole di Bosé. “E’ stato il mio amico Ricky Martin a suggerirmi una madre “in affitto”: in Spagna non è legale, ma negli Stati Uniti sì. Lì è il mercato che crea la legge e sono più avanti di noi.”
Anche se non le condivido affatto, arrivo a capire le ragioni opposte a quelle esposte in quel manifesto. Ma in un paese davvero libero e civile, si risponde a una tesi con una tesi opposta, a un manifesto con un contromanifesto. No, i liberi e moderni, i civili e i tolleranti fanno rimuovere il manifesto; se hai un’idea diversa dalla nostra, anche se è poi l’idea che ha permeato da sempre ogni civiltà, te la devi ricacciare in gola, non puoi esprimerla, non hai il diritto di dissentire. E visto che non capisci, ti arriva l’accusa: omofobia. Chi chiede che un bambino abbia un papà e una mamma è omofobo. Chi contrasta il vergognoso traffico di bambini su commissione, è omofobo. Vi rendete conto in che mondo capovolto ci troviamo a vivere?
Nel frattempo, l’immancabile organo radical L’Espresso rispondeva a pro-Vita con uno slogan per le famiglie arcobaleno: “Ho due papà e sono felice”. Ma non faceva in tempo a pubblicare l’elogio filiale alle famiglie con papà doppi e senza mamme, che veniva fuori la storia di Miguel Bosè. L’avrete letta. In un’intervista, il famoso figlio del torero aveva detto: “E’ stato il mio amico Ricky Martin a suggerirmi una madre “in affitto”: in Spagna non è legale, ma negli Stati Uniti sì. Lì è il mercato che crea la legge e sono più avanti di noi.” Le Tavole di Bosé. Così ha commissionato all’utero in affitto una coppia di gemelli, e si è unito a un compagno anch’egli padre unico di due gemelli nati pure loro noleggiando un utero. Ma a un certo punto la felice famiglia arcobaleno si è sfasciata, i genitori si dividono e i figli pure.
La disperazione delle "madri surrogate".
Provo a ricapitolare la sequenza generale, dall’inizio. Due persone dello stesso sesso decidono di far coppia. Sono liberi, fatti loro, nulla da dire. No, loro vogliono essere considerati alla pari delle famiglie e vogliono unirsi in matrimonio. E le sindache, come la Raggi e l’Appendino, subito accorrono a celebrare i loro matrimoni. Ma non basta. Vogliono adottare un figlio, e poco importa se questa creatura crescerà con una sola figura genitoriale a doppione, senza la madre. Ma non basta ancora: non adottano un bambino che ha perduto i genitori ma ne vogliono uno nuovo di zecca e allora se lo comprano ancora cellofanato nella placenta tramite quella pratica vergognosa che è l’utero in affitto, ipocritamente ribattezzato maternità surrogata. I più ricchi possono permettersi anche stock di figli in confezioni gemellari. E i sindaci grillo-progressisti benedicono e celebrano.
Ma poi, prendi il caso Bosé, il capriccio finisce male: la coppia omosex scoppia, come capita anche alle coppie tradizionali e i quattro bambini comprati all’ipermarket (o super-racket) delle maternità svendute, devono ripartirsi tra i due genitori. Ma niente paura, avvertono i due papà, c’è skipe, che permetterà ai bambini divisi di parlarsi e vedersi come se fossero a casa. Che felicità per quei bambini, diremo con l’Espresso.
Dove sono sparite le femministe?
Ma come si sentiranno quei bambini, venduti alla nascita dalle loro mamme, vissuti con due omo-padri ma senza una madre, che ora si ritrovano pure con mezza paternità ciascuno? Pensate che sia civile, moderno, libertario tutto questo? O pensate che sia incivile, bestiale, egoistico, capriccioso, offensivo per la dignità della donna e lesivo per la vita dei bambini? Immaginate il mio parere, ma guai a renderlo manifesto. Perché il meraviglioso mondo lgbt e i censori piddini, boldrini, grillini, ti cancellano e magari dopo ti denunciano pure. Acchiappatelo, è un delinquente, difende la dignità delle mamme e la vita dei bambini.
I bimbivendoli
di Marcello Veneziani Il Tempo
Fonte: http://www.marcelloveneziani.com/articoli/i-bimbivendoli/ del 20 Ottobre 2018
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