Sulla questione del divorzio – recentemente risalita agli onori delle cronache politiche grazie allo zelantissimo senatore Pillon – una cosa fondamentale non è stata detta da nessuno: che il divorzio è il principale generatore di omosessuali nella società occidentale.
Negli anni in cui ancora si poteva dire, la letteratura psicanalitica – Freud, il suo allievo Lacan, Melanie Klein, Adler – considerava come l’assenza del padre, o la sua debolezza all’interno degli equilibri familiari, fosse una costante nella vita degli omosessuali.
Joseph Nicolosi, pace all’anima sua, perfezionò la teoria, definendo l’omosessualità un problema dello sviluppo, quasi sempre il risultato di rapporti familiari problematici, in particolare tra padre e figlio. La capacità del padre di suscitare nel figlio l’identificazione maschile dipende – per Nicolosi – sia dalla autorevolezza del primo all’interno dell’ambiente domestico, sia dalla sua disponibilità ad incoraggiare amorevolmente l’autonomia del figlio. Autorità e amore costituirebbero propriamente il cosiddetto “carisma” del padre e l’omosessualità non sarebbe che il sintomo di un fallimento di tale processo d’iniziazione.
In questo senso, il problema dell’omosessualità è un problema tipicamente maschile. La sigla LGBTQI… altro non è che la foglia di fico multistrato dietro la quale si nascondono le vergogna dei sodomiti, che usano tutte le altre categorie dell’acronimo (peraltro disprezzate ad intra), per fare massa e mistificare così il loro vero obiettivo, che è per l’appunto la guerra al padre. Lucifero del resto, a pensarci bene, i suoi problemi li ha avuti con il Padre…
La teoria riparativa di Nicolosi si fonda infatti proprio sulla ricostruzione del fallito rapporto del figlio con il padre, perché l’angoscia primaria scaturita dalla mancata interiorizzazione di una figura di riferimento maschile spinge l’omosessuale, paradossalmente, a volerla possedere e consumare ogniqualvolta questa gli si ripresenti sotto diverse spoglie, in un processo di predazione del maschio che passa attraverso una sessualità tanto vorace quanto violenta.
1970: INIZIA LA DISINTEGRAZIONE DEL MASCHIO ITALIANO Se l’assenza o debolezza paterna è suo presupposto fondamentale, ecco perché è possibile individuare una causa strutturale dell’incremento del fenomeno dell’omosessualità in Italia, e quindi una sua precisa localizzazione storica: l’approvazione, nel 1970, della legge sul divorzio (n. 898).
Questa legge ha via via normalizzato la disintegrazione familiare – sostituendo all’istituto del matrimonio (vincolo per sua essenza indissolubile) con la sua controfigura ad tempus – e ha prodotto negli anni una quantità infinita di figli senza padre, o con una paternità posticcia. I democristiani, quella volta, allestirono per via normativa una fucina di generazioni di bambini feriti perché abbandonati e quindi avviati sulla strada dell’omosessualità alla ricerca cannibalica della figura paterna. Intanto, tutto attorno, la sapiente azione di propaganda ideata e pilotata da una potentissima regia sovranazionale contribuiva, con la diffusione mediatica delle idee libertarie e nichiliste, a creare l’humus “culturale” favorevole all’attecchimento della morale familiare e sessuale contro-natura.
Fanfani, in campagna elettorale pre-referendaria, arringò la folla con preveggenza chissà quanto consapevole: «Volete il divorzio? Allora dovete sapere che dopo verrà l’aborto. E dopo ancora, il matrimonio tra omosessuali. E magari vostra moglie vi lascerà per scappare con la serva!». Era una provocazione, la sua, e come tale fu recepita. Nemmeno Fanfani, pure figura tutto sommato solida nel magma diabolico democristiano, aveva capito appieno lo straordinario realismo della sua boutade: quanto, cioè, generazioni cresciute con madri single e padri assenti avrebbero prodotto in serie torme di giovanotti svirilizzati o di esibizionisti da gay pride. Il tipico cinismo democristiano gli impediva di credere all’esistenza insopprimibile di un piano divino ordinato secondo la legge della creazione e, quindi, anche del suo esatto contrario, ovvero un piano diabolico di dissoluzione dell’ordine naturale e della società umana.
DAL PADRE TERRENO AL PADRE CELESTE: L’INVERSIONE DELLA TRINITÀ Non è un caso che la dimensione virile, guerriera ed eroica della vera fede cristiana, nel tempo buio del moderatismo obbligatorio abbia ceduto il passo all’irenismo effemminato e sentimentale della sua imitazione pacifista, schitarrante ed ecumenica.
Viviamo in una società che non sa più chi è il padre, ne ha persino perduto il ricordo, da che la sua figura è stata progressivamente demolita grazie all’inesausto impegno degli uomini nuovi, interpreti della missione di ucciderlo. Ma, perduto il senso della paternità terrena, svanisce anche il senso della Paternità Divina. È stato Gesù Cristo a insegnarci a chiamare Dio con il nome di Padre, un nome sconosciuto per il Dio dell’Antico Testamento. Il Padre, che precede il Figlio e lo Spirito Santo nella gerarchia della Trinità divina resa evidente nel segno della Croce – Amerio dixit –, incarna il logos, il Verbo, la legge, la verità, la ragione, l’autorità, da cui deve discendere l’azione, come il vissuto deve procedere dal pensato, e la volontà dalla verità. Se l’uomo agisce avendo a motore non il pensiero retto, bensì il sentimento, le passioni, le emozioni, gli istinti, e abbandona ogni base razionale su cui misurare la bontà del proprio agire, imbocca la via maestra che lo conduce dritto all’autodistruzione. L’inversione dell’ordine della Trinità presenta tuttavia il grande vantaggio, per l’uomo, di potersi credere onnipotente, arbitro del bene e del male e misura del proprio comportamento morale. Senza capire che nulla può trascinarlo nei gorghi della alienazione quanto la malìa di una illimitata libertà – altrimenti detta autodeterminazione – esercitata nella famiglia, nella politica, nell’etica, nella dottrina o nella liturgia.
È il ghignante progetto del demonio sui figli di Dio.
IL DISEGNO DIABOLICO: DAL DIVORZIO ALLA PROVETTA Da Fanfani in poi, nessuno, neppure nella “bioetica” più lamentosa, ha compreso che non si tratta soltanto di un piano inclinato, ma di un progetto intelligente.
Il divorzio produce omosessuali. Gli omosessuali si accompagnano tra loro in combinazioni cangianti e pretendono, a suggello del loro amore, di celebrare delle parodie nuziali. Il fac-simile di famiglia monosessuale che ne discende esige, sempre per amore, dei cuccioli d’uomo, ottenibili solo tramite la biotecnologia riprogenetica liberalizzata in Italia dalla legge 40 (anch’essa legge democristiana). Gli esseri umani sintetici che fanno da corredo alla coppia invertita, completando così il grottesco quadretto parafamiliare, sono i sopravvissuti nel gran numero di embrioni fabbricati in provetta per assecondare le voglie malsane di adulti squilibrati e irresponsabili; embrioni destinati per la maggior parte al bidone dei rifiuti speciali, al congelatore a tempo indeterminato o agli esperimenti dei piccoli Frankenstein in camice bianco. La legge 194 (altra legge democristiana) assicura la copertura “giuridica” alla strage, tutto in regola: i registi del piano criminale si erano precostituiti per bene le condizioni per arrivare sani e salvi al traguardo. Sappiamo bene chi sono questi registi, sappiamo che la falsa chiesa e i suoi tentacoli secolari hanno sempre avuto i loro emissari dentro la cabina di comando.
Dal divorzio legale (legge 898), dunque, passando attraverso l’ecatombe di Stato degli innocenti (legge 194), arriviamo dritti ai bambini sintetici a carico del Servizio Sanitario Nazionale (legge 40): gli omosessuali figli del divorzio seriale sono oggi i volonterosi carnefici del mondo nuovo biotecnologico. Consumatori dell’industria degli umanoidi senza radici, senza morale, senza natura, senza identità. Senz’anima?
LA PARABOLA DEL MASCHIO ADULTO: DA PADRE A “SEMI-GENITORE” Il divorzio, quindi, è una fabbrica di disagio anche sessuale per le nuove generazioni, in quanto causa principe della disintegrazione del padre e della figura paterna. Cioè, sia dell’annientamento concreto dei singoli padri in carne e ossa, sia della dissoluzione dell’immagine del padre, incarnazione della Autorità investita di un fondamentale ruolo di guida e di protezione nei confronti dei propri familiari.
Il pater familias è stato definitivamente esautorato e, grazie al divorzio, si è trasformato nel mezzo-uomo, nel bi-genitore di Pillon, semi-adulto svirilizzato intrappolato nel limbo perenne che sta tra la fanciullezza e la maturità, dove è impresa impossibile conquistare un grado di solidità interiore sufficiente a prendere in mano le redini di una famiglia, tantomeno di una comunità. Il vuoto incolmabile lasciato dall’abdicazione paterna ha interrotto la catena di esperienza e conoscenza che, di padre in figlio, tramandava un ordine interiore ed esteriore, e ha dato spazio al mondo moderno e al suo progresso intessuto di depressione, psicosi, delinquenza, dipendenze, suicidi.
Da quanto abbiamo detto sin qui, appare evidente che il bambino ha bisogno di trovare il suo equilibrio psichico, la sua via al normale sviluppo psico-sessuale, nella presenza di suo padre, cioè di un uomo, un “eroe” famigliare. Non li trova certo, questo equilibrio e questa identità, nella calendarizzazione della compresenza del genitore maschio in regime di “bi-genitorialità perfetta”. Con buona pace del senatore Pillon e del suo studio legale e di mediazione famigliare.
È controintuitivo quindi che, perfino nella sua assenza, il padre può essere presente. Il bambino deve identificarsi con una figura, con una funzione, con un modello: non con un intrattenitore saltuario che se lo spupazzi, magari insieme alla nuova “compagna”.
Quanto ciò sia vero è verificabile dall’esperienza pur traumatica degli orfani, soprattutto degli orfani di guerra. Bambini cresciuti senza padre, eppure, generalmente, meno danneggiati nell’animo dei figli dei divorziati. Perché, come si dice in polemologia (che è la sociologia della guerra), la morte del soldato è per sua natura una “morte fertile”, da cui scaturisce un bene ulteriore per la comunità. Quando ancora l’onore era un valore irrinunciabile per l’integrità della compagine sociale ciò appariva lapalissiano, prima che il matriarcato femminista, insieme al pacifismo piagnucoloso di contorno, facesse da contraccettivo alla dolorosa grazia della “morte fertile”.
LE TIGRI DEI PINK FLOYD Nel sacrificio del proprio genitore, il bambino trova un motivo in più per identificarvisi. Tanto che, guardacaso, capita anche che scelga la sua stessa strada per calcarne le orme.
C’è il caso del figlio appena maggiorenne del poliziotto Emanuele Petri, ucciso dagli epigoni delle BR qualche anno fa, che immediatamente dopo la morte del padre è entrato in polizia.
Ma ci sono anche casi più contorti, eppure in qualche modo sempre lucidissimi. Come quello del fondatore di uno dei gruppi più celebrati della musica mondiale, i Pink Floyd.
Roger Waters (classe 1943) è un orfano di guerra. Il padre era il sottotenente dell’esercito di Sua Maestà Eric Fletcher Waters, che il 18 febbraio 1944 fu tra gli inglesi travolti ad Anzio dai cingolati tedeschi. Si scopre così come la rockstar senta la costante presenza del genitore morto, al punto da incentrare sulla sua figura diverse canzoni. Tra tutte, il pezzo contenuto nel notissimo album The Wall intitolato When The Tigers Broke Free (“Quando le Tigri si liberarono”), dove le tigri sono i Panzer VI Tiger tedeschi che glielo portarono via.
Un padre morto senza abbandonare la sua famiglia non è insomma un mezzo padre e nemmeno un bi-genitore: la sua immagine, modello nel quale il figlio è chiamato a identificarsi, è preservato integro anche oltre la morte fisica.
La confusione arriva quando il padre è dimezzato, ridotto a demi-père.
Un fenomeno, quello dei padri-non padri, che ha una fenomenologia tutta sua negli Stati Uniti, in quanto terra d’elezione dello sfascio famigliare e delle sue drammatiche conseguenze.
«VORREI PICCHIARE MIO PADRE» Li chiamano “deadbeat dad”, ovvero “padri fannulloni o “padri parassiti”. Quelli che, dopo la separazione dalla famiglia, arrivano ad accettare che il loro ruolo di padre non sia più necessario e così perdono gradualmente contatto con i figli che non sentono più come propria estensione. Nel film La Guerra dei Mondi (2005), Tom Cruise fornisce una intensa interpretazione di un deadbeat dad, e tutte le sue peripezie altro non sono che il suo personale riscatto agli occhi dei figli.
Gli USA vivono nella sindrome di abbandono più spinta, che ha aperto voragini nella vita dei cittadini americani e nel loro destino collettivo, al punto da far ritenere a qualcuno che la loro aggressività, anche militare, sia un effetto indiretto dell’instabilità diffusa dell’istituto famigliare giunta ormai al parossismo.
Nella pellicola di cassetta Karate Kid (1985), che è in definitiva la storia di un’adozione, un ragazzino americano senza padre trova la guida – l’iniziazione – in un vecchio saggio giapponese. Ma problema del padre assente – e della violenza che genera, sia etero che autodiretta – è il tema centrale anche del film Fight Club (1999), pastiche grottesco che si avvale dell’interpretazione ribalda di Brad Pitt. Alla domanda «Chi vorresti picchiare?», il protagonista risponde «Mio padre». E continua: «Io non conosco mio padre. Insomma, lo conosco, ma se n’è andato via quando avevo sei anni. Ha sposato un’altra donna, ha avuto altri figli. Lo fa ogni sei anni: va in una nuova città e mette su una nuova famiglia». «Se sei maschio e sei cristiano e vivi in America, tuo padre è il tuo modello di Dio (…) E se non hai mai conosciuto tuo padre, se tuo padre prende il largo e muore o non è mai a casa, che idea ti fai di Dio?».
Il film è tratto da un romanzo omonimo che affrontava il tema ancora più radicalmente. L’autore del libro, Chuck Palahniuk (anch’egli abbandonato dal padre), ammise in un’intervista di aver urtato una vena scoperta che nemmeno sospettava esistesse. Successivamente ebbe modo di scoprire l’identità di fondo del suo sentire con il pensiero del poeta e saggista Robert Bly.
Bly (la cui opera La società degli eterni adolescenti è pubblicato in Italia dagli junghiani della Edizioni Red) è forse il più grande cantore della situazione esasperata del maschio occidentale moderno, risultato del declino della paternità tradizionale e del venir meno, per i giovani, della guida naturale capace di scortarli lungo le fasi della vita che portano alla maturità.
BI-GENITORI E SEMI-CRISTIANI Pensiamo a come la stessa cultura popolare ritrae i padri di oggi: bambinoni ingenui, sovrappeso ed emotivamente dipendenti, bevitori di birra e mangiatori di ciambelle come Homer Simpson. La metamorfosi del maschio è assimilata nel profondo dalla massa rimbambita, fino ad azzerare la voglia maschile di riscatto, oppure trasformandola nell’esplosione violenta di pulsioni a lungo represse magari soffocate in abitudini di vita alienanti e malsane (alcool, pornografia, consumismo sessuale).
In mancanza di una sanzione sociale, i senza-padre diverranno padri deboli o assenti e trasmetteranno a loro volta questo nuovo profilo astenico in via ereditaria, pronti a diventare alla bisogna i “bi-genitori perfetti” auspicati dal geniale ddl Pillon: genitori pro quota di un umano in comproprietà, mammi surrogati a metà tempo.
Che l’istituto del divorzio sia stato una iattura planetaria, motore della demolizione del padre e fabbrica di generazioni omeopaticamente omosessualizzate, non turba i neodemocristiani (o semi-cristiani) che affliggono la politica nostrana. Né li turba essere parte di un processo che punta al luciferino capovolgimento dell’ordine del creato.
Un po’ per forma mentis votata al compromesso, un po’ per tornaconto personale, essi si inventano, in risposta alla legge iniqua, il correttivo della “bigenitorialità perfetta”, con annessa medico-legalizzazione delle vittime inermi date in pasto alle équipe di “esperti” delle vite altrui, così anche l’indotto è garantito e i fornitori soddisfatti.
Cioè, invece che gridare al pericolo, invece che dire la verità, invece che cercare di arrestare questa macchina infernale, e di distruggerla, i pii politicanti in quota vescovile ci investono sopra i nostri risparmi per farle l’impianto a gas e renderla più economica, più ecologica, più “cristiana”.
– di Elisabetta Frezza e Roberto Dal Bosco
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