Festeggia i 90 anni
Ripresa da Vatican Insider, il Centro Studi Federici ha pubblicato una notizia su una correzione-precisazione scritta dal cardinale Ratzinger per essere pubblicata sulla rivista tedesca Herder Korrespondenz. Questa aveva pubblicato un articolo di Michael Böhnke in cui avrebbe fatto dire a Ratzinger cose inesatte, anzi Ratzinger le definisce «stupidaggini grottesche e non hanno nulla a che vedere con quanto ho detto in merito».
Confessiamo che non ci interessa la diatriba tra un teologo tedesco sessantatreenne e un altro teologo tedesco novantunenne, per di più ex papa.
Quello che ci interessa, invece, è quanto afferma Ratzinger in questa correzione circa gli Ebrei.
Riportiamo dall’articolo pubblicato e evidenziamo:
Nel merito di una delle questioni affrontate da Böhnke, la questione della «missione» agli ebrei, ossia della ipotesi di annunciare il Vangelo agli ebrei, è vero, scrive Benedetto XVI, che Cristo ha inviato i suoi discepoli in missione presso tutti i popoli e tutte le culture e dunque «il mandato della missione è universale – con un’eccezione: la missione agli ebrei non era prevista e non era necessaria semplicemente perché solo loro, tra tutti i popoli, conoscevano il ‘Dio sconosciuto’». Per quanto riguarda Israele, quindi, non vale la missione ma il dialogo sulla comprensione di Gesù di Nazareth, ossia se egli è «il Figlio di Dio, il Logos», atteso – secondo le promesse fatte al suo stesso popolo – da Israele e, inconsapevolmente, da tutta l’umanità. Riprendere questo dialogo è «il compito che ci pone l’ora presente».
Leggere una tale sconclusionata considerazione per la penna di Ratzinger è davvero deprimente e fa pensare che sarebbe stato meglio se non si fosse mai seduto sul Soglio petrino.
Ora, se nei confronti degli Ebrei non era necessaria la missione comandata da Cristo, sembra di capire che Dio Padre abbia sbagliato ad inviare il Suo Unigenito tra gli Ebrei per convertirli… nonostante fossero i soli a conoscere il ‘Dio sconosciuto’.
Incredibile come a Ratzinger non sia balenata l’idea che Cristo venne in Israele proprio per questo, e che proprio per questo, nel comandare la missione ai discepoli, intendesse che i primi ad essere convertiti dovessero essere gli Ebrei. Ed è ancora più incredibile che Ratzinger dimentichi, o faccia finta, che le cose andarono proprio così, basta leggere gli Atti degli Apostoli. Solo che gli Ebrei, non solo preferirono far crocifiggere Gesù Cristo piuttosto che riconoscerlo come il vero Messia, ma da allora si adoperarono – e continuano ad adoperarsi - che combattere i suoi discepoli – perfino uccidendoli – e per abbattere la vera Chiesa e la vera Religione volute e fondate da Gesù Cristo.
E non contento di questa sconclusionata dichiarazione, Ratzinger rincara la dose scrivendo, sempre secondo quanto riportato dall’articolo, che ebraismo e cristianesimo sono «due modi di interpretare le Scritture».
Forse il novantunenne teologo cattolico tedesco non si rende conto di affermare una impossibilità: interpretare in due modi – ovviamente diversi – le Scritture significa che un modo sarà ortodosso e l’altro sarà eterodosso, e cioè che un modo sarà conforme alla verità e l’altro sarà conforme alla menzogna, e ancora che un modo sarà conforme alla volontà di Dio e l’altro sarà difforme dalla volontà di Dio.
Chi legge le Scritture in spirito di verità? E chi legge le Scritture in spirito di menzogna?
E come si può parlare – o scrivere – di due modi come se potessero essere entrambi leciti e veritieri? C’è solo: un modo, quello della Chiesa di Dio, che è di fede; e un qualunque altro modo, quello del uomo del mondo, che è eretico.
Ratzinger è ormai vecchio, peraltro gravato da ingravescente aetate – come ha già affermato lui stesso l’11 febbraio 2013 – ma questo non può essere una scusante, perché queste cose le diceva già da giovane ed è per questo che partecipò attivamente al Vaticano II, dove aiutò a scrivere la Nostra Aetate, e che poi divenne Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, quella stessa che due anni dopo la “rinuncia”, e con Ratzinger orante in Vaticano, nella Mater Ecclesiae, scriveva:
«E’ facile capire che la cosiddetta ‘missione rivolta agli ebrei’ è una questione molto spinosa e sensibile per gli ebrei, poiché, ai loro occhi, riguarda l’esistenza stessa del popolo ebraico. Anche per i cristiani è un tema delicato, poiché considerano di fondamentale importanza il ruolo salvifico universale di Gesù Cristo e la conseguente missione universale della Chiesa. La Chiesa deve dunque comprendere l’evangelizzazione rivolta agli ebrei, che credono nell’unico Dio, in maniera diversa rispetto a quella diretta a coloro che appartengono ad altre religioni o hanno altre visioni del mondo. Ciò significa concretamente che la Chiesa cattolica non conduce né incoraggia alcuna missione istituzionale rivolta specificamente agli ebrei.Fermo restando questo rifiuto -per principio- di una missione istituzionale diretta agli ebrei, i cristiani sono chiamati a rendere testimonianza della loro fede in Gesù Cristo anche davanti agli ebrei; devono farlo però con umiltà e sensibilità, riconoscendo che gli ebrei sono portatori della Parola di Dio e tenendo presente la grande tragedia della Shoah»
Cioè: niente missione “istituzionale” (?!) nei confronti degli Ebrei, che tuttavia abbisognano per primi di conversione, e testimonianza defilata e semi nascosta della fede in Gesù Cristo, perché gli Ebrei “sono portatori della Parola di Dio” (quale?) e hanno subíto la Shoah.
Come dire che sarebbe stolto portare l’insegnamento di Gesù Cristo a chi è già portatore della Parola di Dio, nonostante lo abbia comandato lo stesso Gesù Cristo, che è il Logos e il Figlio di Dio; e sarebbe stolto portare l’insegnamento di Gesù Cristo a chi è stato oggetto di persecuzione, come tanti popoli e tanti uomini nel mondo in questi duemila anni, e questo perché, molto probabilmente, la persecuzione subita dagli Ebrei negli anni quaranta sarebbe paragonabile alla crocifissione di Cristo voluta dagli Ebrei, al punto da potersi e doversi sostituire a quest’ultima e rappresentare il centro di una nuova religione senza Cristo e senza Dio.
Ratzinger queste cose non le ha dette, ma le ha dette la neo-Chiesa conciliare che è in parte anche un suo prodotto.
nota di Belvecchio
Benedetto XVI:
non ho scritto di “missione” agli Ebrei
Benedetto XVI: non ho scritto di “missione” agli ebrei
Il Papa emerito interviene pubblicamente su Herder Korrespondenz per contestare un articolo del teologo tedesco Michael Böhnke che criticava un suo precedente contributo su Communio.
CITTÀ DEL VATICANO – Non «missione» agli ebrei ma «dialogo» con gli ebrei: Benedetto XVI torna ad affacciarsi in pubblico con una lettera – «correzione» – inviata alla rivista cattolica tedesca Herder Korrespondenz tesa a confutare un articolo di settembre con il quale il teologo di Wuppertal Michael Böhnke criticava uno scritto del Papa emerito riguardo il rapporto tra ebrei e cristiani comparso questa estate sulla rivista Communio.
Le accuse contenute nell’articolo di Böhnke sono «stupidaggini grottesche e non hanno nulla a che vedere con quanto ho detto in merito», scrive il Papa emerito 91enne nel messaggio. «Per questo respingo il suo articolo come un’insinuazione assolutamente falsa».
Nel merito di una delle questioni affrontate da Böhnke, la questione della «missione» agli ebrei, ossia della ipotesi di annunciare il Vangelo agli ebrei, è vero, scrive Benedetto XVI, che Cristo ha inviato i suoi discepoli in missione presso tutti i popoli e tutte le culture e dunque «il mandato della missione è universale – con un’eccezione: la missione agli ebrei non era prevista e non era necessaria semplicemente perché solo loro, tra tutti i popoli, conoscevano il ‘Dio sconosciuto’». Per quanto riguarda Israele, quindi, non vale la missione ma il dialogo sulla comprensione di Gesù di Nazareth, ossia se egli è «il Figlio di Dio, il Logos», atteso – secondo le promesse fatte al suo stesso popolo – da Israele e, inconsapevolmente, da tutta l’umanità. Riprendere questo dialogo è «il compito che ci pone l’ora presente».
Ebraismo e cristianesimo sono «due modi di interpretare le Scritture», scrive il Papa emerito. Per i cristiani, le promesse fatte a Israele sono la speranza della Chiesa e «chi vi si attiene non sta assolutamente mettendo in discussione i fondamenti del dialogo ebraico-cristiano».
Benedetto XVI, che sulla discussione sollevata dal suo articolo era già intervenuto la scorsa estate scrivendo al rabbino capo di Vienna, Arie Folger, firma la sua «correzione», che sarà pubblicata nel numero di dicembre di Herder Korrespondenz, «Joseph Ratzinger-Benedetto XVI».
Nel Documento pubblicato nel 2015 dalla Commissione della Santa Sede per i rapporti religiosi con l’ebraismo, si legge al paragrafo sei: «E’ facile capire che la cosiddetta ‘missione rivolta agli ebrei’ è una questione molto spinosa e sensibile per gli ebrei, poiché, ai loro occhi, riguarda l’esistenza stessa del popolo ebraico. Anche per i cristiani è un tema delicato, poiché considerano di fondamentale importanza il ruolo salvifico universale di Gesù Cristo e la conseguente missione universale della Chiesa. La Chiesa deve dunque comprendere l’evangelizzazione rivolta agli ebrei, che credono nell’unico Dio, in maniera diversa rispetto a quella diretta a coloro che appartengono ad altre religioni o hanno altre visioni del mondo. Ciò significa concretamente che la Chiesa cattolica non conduce né incoraggia alcuna missione istituzionale rivolta specificamente agli ebrei. Fermo restando questo rifiuto -per principio- di una missione istituzionale diretta agli ebrei, i cristiani sono chiamati a rendere testimonianza della loro fede in Gesù Cristo anche davanti agli ebrei; devono farlo però con umiltà e sensibilità, riconoscendo che gli ebrei sono portatori della Parola di Dio e tenendo presente la grande tragedia della Shoah».
Pubblichiamo una notizia apparsa su Vatican Insider
e ripresa dal Centro Studi Federici col titolo RAV SCARPE ROSSE
e ripresa dal Centro Studi Federici col titolo RAV SCARPE ROSSE
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