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mercoledì 21 novembre 2018

Strano?

Lo strano caso di Jeffrey Sachs, abortista e colonialista tanto amato dal Vaticano

«Un inquietante programma politico che prevede alimentazione vegetariana, uso esclusivo di macchine elettriche, eliminazione totale dei combustibili fossili e sanzioni pesanti per governi e istituzioni che non vi si attengono. È la nuova dittatura mondiale in nome dei cambiamenti climatici. E con la benedizione della Santa Sede».
http://www.lanuovabq.it/storage/imgs/sorondo-e-sachs-large.jpg(immagine aggiunta)
Così su La Nuova Bussola Quotidiana (http://www.lanuovabq.it/it/riscaldamento-globale-dal-vaticano-le-nuove-tavole-della-legge) Riccardo Cascioli  definisce i «dieci comandamenti del cambiamento climatico» usciti dalla conferenza voluta dalla Pontificia accademia delle scienze.

«Tempo quindici anni – scrive Cascioli –  e saremo tutti obbligati a diventare vegetariani (o come alternativa a mangiare insetti), spostarci solo su macchine elettriche, piantare pannelli solari in giardino per poterci scaldare. Non è un brutto sogno, è la nuova dittatura mondiale che sta avanzando nel nome della lotta ai cambiamenti climatici, il cui programma sintetico è stato presentato giovedì 15 novembre in Vaticano, nel corso della Conferenza internazionale su “Cambiamenti climatici, salute del pianeta e futuro dell’umanità”. A spiegarlo l’onnipresente Jeffrey Sachs, che si definisce “leader globale nello sviluppo sostenibile”, e che per il New York Times è “probabilmente il più importante economista al mondo”, nella lista di Time dei cento leader mondiali più influenti. Non solo Sachs è una vera e propria autorità alle Nazioni Unite, ma ormai rappresenta anche il pensiero della Santa Sede: bastava vedere giovedì le espressioni di giubilo con cui il cancelliere della Pontificia accademia delle scienze, il vescovo argentino Marcelo Sanchez Sorondo, accompagnava ogni passaggio del suo discorso programmatico».
Sachs, ormai di casa in Vaticano, ha più volte esortato a legalizzare l’aborto come un modo economicamente efficace per eliminare i bambini indesiderati quando la contraccezione fallisce e ha definito l’aborto come un’opzione valida, perché a basso rischio e costi contenuti. Ossessionato dal problema del sovraffollamento,  è arrivato a sostenere che la legalizzazione dell’aborto va perseguita perché riduce significativamente il tasso di fertilità totale di un paese.
Ma Sachs è un concentrato non solo di catastrofismo ambientale e filo-abortismo: in lui è forte anche l’economicismo spinto, che lo conduce a valutare scelte e comportamenti, appunto, unicamente sotto il profilo economico, a prescindere da valutazioni morali e sempre in accordo con gli interessi delle multinazionali e del grande capitale. Tanto che nel suo caso si può ben parlare di colonialismo, visto il disprezzo sostanziale con il quale guarda ai problemi dei paesi più poveri.
Ora la domanda è: ma che ci fa uno così in Vaticano? Ed è appunto attorno a tale domanda che riflette il professor Benedetto Rocchi, dell’Università di Firenze, nell’articolo che mi ha fatto gentilmente pervenire e che qui propongo.
A.M.V.
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Che cosa ci fa Jeffrey Sachs in Vaticano?
Per l’ennesima volta il Vaticano ha ospitato con tutti gli onori Jeffrey Sachs per una conferenza sul disastro climatico imminente e, durante la quale, da frequentatore ormai abituale di ambienti ecclesiali, il famoso economista ha proposto le sue ricette per salvare il pianeta sotto forma di un vero e proprio decalogo (con la grafica di una slide proiettata che riproduceva la tradizionale sagoma attribuita alle tavole della legge). Non entro nel merito di quanto contiene questo singolare decalogo, né delle teorie che ne stanno alla base. Sachs è da sempre un grande promotore di sé stesso e la sua carriera mostra che è bene introdotto nelle stanze del potere a livello globale. Non ne sono stupito, visto le teorie e le ricette economiche che propugna. Quello che semmai mi stupisce è il fatto che goda di tanto credito in Vaticano, soprattutto dopo la Laudato si’.
Che cosa ci fa dunque Jeffrey Sachs in Vaticano? La domanda se la era già posta qualche anno fa Stefano Gennarini J.D su C-FAM, il blog del Center for Family and Human Rigts (https://c-fam.org/friday_fax/who-is-jeffrey-sachs-and-why-was-he-at-the-vatican/) in occasione del primo invito rivolto all’economista americano, anche quella volta per una conferenza sul cambiamento climatico. Il breve post ricordava le posizioni apertamente e cinicamente abortiste di questo “guru” dell’ambiente per il quale l’aborto è semplicemente “un’opzione poco rischiosa e poco costosa” per ridurre la fertilità nei paesi con popolazione ancora in crescita. Insomma un mezzo di limitazione delle nascite come un altro.
L’ossessione per la sovrappopolazione del pianeta di Sachs è evidente fin dal sottotitolo del suo best-seller ambientalista Bene comune. Un’economia  per un pianeta affollato (Mondadori, 2007). Nei due capitoli della terza parte, intitolata La bomba demografica,  Sachs deve suo malgrado riconoscere che la bomba semplicemente non esiste, dal momento che la popolazione mondiale si è già avviata verso la stabilizzazione intorno alla metà degli anni duemila. Si affanna però a sostenere che la “transizione demografica” è troppo lenta e deve essere accelerata mediante una “riduzione volontaria della fertilità” nei paesi dove questa è ancora sopra la fatidica soglia di sostituzione (circa 2.1 figli per donna). Sachs non si dilunga troppo sui motivi di questa fretta: si limita ad affermare a pagina176  che “la crescita della popolazione rimane eccessiva” e che “la scarsità di risorse è un fenomeno molto reale”. Il fatto è dato per assodato ma nessuna evidenza empirica (se non il suo personalissimo allarme su questo punto) viene fornita sul legame causa-effetto tra popolazione e sostenibilità. Dopo questa apodittica dichiarazione, infatti, la terza parte del libro si concentra sul fatto che la rapida crescita demografica è un ostacolo allo sviluppo economico dei paesi più poveri e una minaccia alla stabilità politica globale; e si limita a proporre strategie per ridurre la fertilità là dove ancora si fanno figli.
Gli argomenti con cui Sachs tratta l’argomento della popolazione talvolta sono di un semplicismo imbarazzante. Come quando parla del declino demografico dei paesi occidentali, sostenendo che non è affatto un problema. Guarda caso prende ad esempio proprio l’Italia: “Se l’Italia mantenesse fino al 2300 l’attuale tasso totale di fertilità la sua popolazione diminuirebbe dagli attuali 58 milioni a 600.000 individui. Non sarebbe poi un gran male: proprietà immobiliari e agricole per tutti!”(p.221). Tralascio di commentare un’affermazione come questa dal punto di vista della scienza economica (non ne vale la pena). Il fatto grave è che Sachs sembra crederci davvero. Nella seguente mezza pagina ci tranquillizza dicendo che sì, il calo demografico mette sotto pressione i sistemi previdenziali, però “semplicemente non è vero che i costi saranno ingenti” (p.222) perché non sarà più necessario fare investimenti per adeguare le infrastrutture (sic!) e poi semplicemente aumenteremo l’età della pensione perché vivremo meglio e più a lungo e lavoreremo meno perché la produttività aumenterà. Come se l’innovazione non fosse a sua volta frutto di investimenti e la propensione all’investimento e all’innovazione nella produzione non fosse maggiore nelle popolazioni più giovani, per ragioni che non richiedono troppa scienza economica per essere comprese. Tanto per citare una delle possibili “complicazioni” che Sachs non sembra vedere, e se ne potrebbero elencare altre.
Sachs tiene a precisare che la stabilizzazione della popolazione deve avvenire non solo a livello mondiale, ma in ogni regione del pianeta: se seguissimo le sue prescrizioni  “la limitazione della crescita demografica avverrebbe principalmente nei paesi più poveri” (p.176) e tra questi soprattutto in Africa. La motivazione suona un tantino colonialista: “La crescita demografica esponenziale produce rischi anche per il resto del mondo … aumenta la probabilità di migrazioni di massa e conflitti locali” (194). La riduzione della fertilità in questi paesi esportatori di crisi dovrebbe in teoria essere “volontaria”. Però nell’approccio suggerito da Sachs tanto volontaria non sembra: “Qualsiasi adeguata politica di sviluppo per l’Africa o per ogni altra regione che presenti elevati tassi di fertilità dovrebbe integrare gli aiuti allo sviluppo economico … con aiuti alla pianificazione familiare. Dobbiamo cominciare a considerare la transizione a bassi tassi di fertilità e il decollo economico come un unico pacchetto” (p. 204). Non vi sembra abbastanza minaccioso? Eccovi serviti: “Possiamo procedere speditamente con la lotta per le epidemie e il miglioramento della produzione alimentare… ma solo a condizione che i governi africani e i loro partner nello sviluppo onorino i propri impegni in tema di pianificazione familiare” (p.218). In soldoni, se i paesi poveri voglio essere aiutati devono accettare di ridurre la loro fertilità con politiche demografiche “attive”, in primo luogo basate sul “marketing sociale” villaggio per villaggio (p.208) a favore dei servizi di “salute riproduttiva”: contraccezione e aborto.
Che cosa diranno in Vaticano di questo approccio colonialista alle politiche demografiche globali? E come reagirebbero se Sachs spiegasse alla sua maniera come si decide se avere dei figli? Tutte le politiche da lui proposte partono da un modello strettamente economicistico della generazione umana, e mirano a porre i potenziali genitori di fronte ad un “dilemma qualità/quantità” nella “scelta” del numero di figli. Così la riduzione della mortalità infantile non è un bene di per sé ma solo perché induce i genitori avversi al rischio a diminuire il numero di figli (p. 191); l’istruzione delle donne è positiva non perché è un loro diritto ma perché innalza il “costo opportunità” del tempo che esse dedicano alla cura dei figli (p. 207: se ne deduce che il tempo dedicato ai figli dalle donne non istruite non ha alcun valore per Sachs); l’aumento di produttività in agricoltura è buono perché aumenta la produttività dei figli e così basta farne di meno per garantirsi sicurezza economica in età avanzata (p.209); bisogna favorire l’urbanizzazione delle famiglie perché in città ci sono più opportunità economiche e si fanno mediamente meno figli (p.209). Del resto in un articolo sulle conseguenze delle condizione di salute sulla povertà Sachs e Hamoudi non hanno esitato a definire “sprecato” il tempo dedicato dai genitori alla cura di bambini destinati a non sopravvivere: “In condizioni di alta mortalità infantile ciascun bambino che muore prima del quinto compleanno rappresenta una perdita media di 1300-1800 ore di lavoro dei genitori… Per avere almeno tre figli che sopravviveranno oltre i cinque anni di età i genitori devono ‘sprecare’ dalle 800 alle 3.000 ore prendendosi cura di bambini che non sopravviveranno” (A. Hamoudi e J. Sachs, Economic Consequences of Health Status: A Review of the Evidence, Center for International Development at Harvard University, Working Paper n. 30, dicembre 1999, traduzione mia).
Proprio qui sta a mio giudizio il principale interrogativo posto dalla ripetuta presenza di Sachs in Vaticano. Affermare che dovrebbe essere ospite non troppo gradito perché è un abortista potrebbe sembrare un irrigidimento da cattolico intransigente, troppo concentrato sui principi non negoziabili. Il fatto però è che Sachs dovrebbe essere altrettanto indigesto anche al cattolico che preferisce essere più attento al sociale. Non è un caso che l’economista americano sia nel mirino di molta pubblicistica progressista, che giustamente riconosce in lui la più classica esemplificazione dello spirito del capitalismo. In un interessante e molto documentato ritratto biografico (Jeffrey Sachs. The strange case of Dr. Shock and Mr Aid, Verso, London- New York, 2014) Japhy Wilson riconosce lungo tutta la multiforme carriera di Sachs il filo conduttore di una neoliberista a difesa di un capitalismo sostanzialmente senza limiti. Una posizione molto evidente al tempo delle sue ben remunerate e disastrose (da un punto di vista sia sociale sia economico) consulenze a governi di tutto il mondo a favore di liberalizzazioni shock, in particolare nella Russia subito dopo la caduta del regime sovietico. Ma anche nella sua successiva fase professionale come economista dello sviluppo Sachs non ha mai rinunciato a mettere il mercato al centro delle sue ricette, come nell’esperimento del Millennium Village Project, in base al quale per dieci anni dal 2006 in un gruppo di villaggi dell’Africa sub-sahariana sono state messe in atto azioni (compreso il solito marketing sociale a favore di una riduzione della natalità) generosamente finanziate da istituzioni internazionali e fondazioni filantropiche. Questi interventi avrebbero dovuto rimuovere tutte le barriere all’integrazione nell’economia di mercato e favorire così lo sviluppo. Colpisce tra l’altro che tra i finanziatori del mega-progetto di Sachs, oltre ad una serie di star internazionali ci siano anche grandi finanzieri (come Ray Chambers e l’onnipresente George Soros) che con le loro speculazioni sui mercati globali hanno contribuito grandemente ad aggravare la situazione dei paesi meno sviluppati negli ultimi decenni.
Ed anche affrontando il problema della sostenibilità (il successivo campo di interesse professionale di Sachs, quello che lo ha portato in Vaticano come esperto), Sachs è stato generosamente finanziato, attraverso l’Earth Insitute che dirige presso la Columbia University, da alcune delle più grandi multinazionali del mondo tra le quali General Electrics, GlaxoSmitKline, HSBC, Merck, Monsanto, Nestlé, Novartis, PepsiCo e Pfizer. Che hanno così potuto effettuare un greenwashing benefico dal punto di vista del marketing che però, per la verità, non sembra molto apprezzato da papa Francesco quando nella Laudato si’ scrive: “Il discorso della crescita sostenibile diventa spesso un diversivo e un mezzo di giustificazione che assorbe valori del discorso ecologista all’interno della logica della finanza e dell’economia, e la responsabilità sociale e ambientale delle imprese si riduce per lo più ad una serie di azioni di marketing e di immagine” (n. 194). Del resto, oltre alla riduzione (non proprio volontaria) della popolazione le ricette di Sachs per la sostenibilità globale sono in ultima analisi tutte strettamente economiche: massicce dosi di progresso tecnologico per aumentare la produttività agricola (comprese le tecnologie transgeniche protette a livello globale da diritti di proprietà intellettuale), creazione di incentivi di mercato per la riduzione delle emissioni (come il mercato dei titoli di emissione), mercati assicurativi e derivati basati sulla negoziazione dei rischi metereologici. Niente di particolarmente sorprendente per un economista mainstream: ma molto difficile da considerare in linea con la visione dei problemi ambientali globali che oggi prevale in Vaticano dopo la Laudato si’.
Che cosa ci fa dunque Jeffrey Sachs in Vaticano? Non può piacere ai cattolici più conservatori e non può piacere neanche a quelli più innovatori. Viene da chiedersi se chi lo continua ad invitare abbia mai letto i suoi lavori. O se abbia mai letto la Laudato si’.
Benedetto Rocchi
Dipartimento di Scienze per l’Economia e l’Impresa
Università degli Studi di Firenze

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