ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 3 dicembre 2018

Chiusura per fallimento?


Non dismettono le chiese ma il cattolicesimo


«La constatazione che molte chiese, fino a pochi anni fa necessarie, ora non lo sono più, per mancanza di fedeli e di clero, o per una diversa distribuzione della popolazione nelle città e nelle zone rurali, va accolta nella Chiesa non con ansia, ma come un segno dei tempi che ci invita a una riflessione e ci impone un adattamento».
Di che ci sorprendiamo? Con il corso degli eventi degli ultimi anni, era naturale che si arrivasse a questo punto.
Certo, queste parole messe nella bocca di un pontefice fanno accapponare la pelle; ma rientrano perfettamente nella linea perseguita dalla Chiesa Cattolica “riformata”: la gente non va a Messa? Le chiese sono vuote? Al posto di arginare in ogni modo possibile il dissolvimento del cattolicesimo dal mondo contemporaneo, si preferisce esultare e giubilare di fronte a questo «segno dei tempi». Segno che impone una riflessione, ovviamente seguita dall’adattamento alla nuova situazione. E nel mentre le chiese possono essere comodamente vendute (o, per meglio dire, svendute). Perché? Perché bisogna «dare priorità al tempo», e ciò «significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. Il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce». Garbuglio linguistico che, tradotto in parole povere, significa: “ritiriamoci con ordine e dignità”.

Davvero, non è una novità che gli europei disertino in massa le chiese.In alcuni paesi nordici, la loro dismissione è iniziata anni fa, ed oggi quelli che erano pii monumenti della devozione sono diventati sale di incontro, musei, palestre, negozi. Mammona si è presa tutto. In Italia, bisogna riconoscerlo, siamo ancora in una posizione privilegiata: da noi la scristianizzazione è meno evidente, ma nel giro di pochi anni saremo destinati ad affrontare il problema anche noi. Dunque? Anziché tirare fuori le unghie, la Chiesa preferisce vendere. Il che, per carità, potrebbe rientrare in un disegno tattico: indietreggiare per non disperdere le energie su un fronte troppo vasto. Purtroppo, va osservato che tale disegno non solo non c’è, ma sembra quasi che sia già stata firmata la resa al nemico.
Solo così si possono interpretare passi sconcertanti delle indicazioni di Bergoglio ai rappresentanti delle 23 conferenze episcopali riuniti alla Gregoriana su iniziativa del cardinal Ravasi. Come questo: «La dismissione non deve essere la prima e unica soluzione a cui pensare, né mai essere effettuata con scandalo dei fedeli. Qualora si rendesse necessaria, dovrebbe essere inserita per tempo nella ordinaria programmazione pastorale, essere preceduta da una adeguata informazione e risultare il più possibile condivisa».

Certo, in Italia chiudere una chiesa è ancora percepito come un evento traumatico. Dunque, bisognerà programmarla per tempo, informare preventivamente in vista dell’insindacabile chiusura per fallimento. Al posto che programmare una lotta all’ultimo uomo, si preferisce calendarizzare la resa. Duemila anni di cristiani battaglieri, di martiri, di crociati, buttati alle ortiche: oggi si preferisce cerchiare sull’agenda la data della chiusura. Unico sforzo richiesto: informare per tempo i parrocchiani. Accompagnarli sulla via del discernimento. Perché è bene così: «l’eloquenza originaria» delle nostre chiese millenarie «può essere conservata anche quando non sono più utilizzati nella vita ordinaria del popolo di Dio, in particolare attraverso una corretta esposizione museale, che non li considera solo documenti della storia dell’arte, ma ridona loro quasi una nuova vita, così che possano continuare a svolgere una missione ecclesiale». Se volete vedere questa «nuova vita» delle nostre chiese “musealizzate”, previo pagamento del biglietto d’ingresso, recatevi in una delle tante vittime di questa “valorizzazione”. Fortunati voi se ne trovate una che è rimasta una chiesa, seppur sconsacrata.

La maggior parte sono state acquisite da fondazioni private, e dove un tempo c’era il Santissimo ora ci sono orrendi sgorbi di arte contemporanea, installazioni pseudo-artistiche che stridono, cozzano, fanno a pugni con il buon senso estetico dei nostri avi. Installazioni volutamente anti-cristiane, per sbertucciare e dissacrare un luogo che resta a tutti gli effetti sacro.

A proposito di dissacrazione: a ben dire, se proprio volessimo dismettere delle chiese, sarebbe il caso di cogliere la palla al balzo e vendere subito quei templi dell’horror che hanno funestato le nostre città dal Concilio in poi. Ovviamente, anche laddove ci sono chiese vecchie e dal passato glorioso si preferisce celebrar Messa dentro questi scatoloni di cemento: brutti fuori, brutti dentro, privi di ogni senso estetico e di ogni aspirazione al divino, degni frutti di una teologia vuota e retorica. Queste sarebbero le chiese da abbattere, e subito; ripensando, magari, a molti punti dell’ultimo Concilio.

Invece, stiamone pur sereni, ad essere dismesse saranno le chiese romaniche e barocche. Le poetiche cappelle di campagna. I santuari. La distruzione del Cattolicesimo passa anche e soprattutto dall’eliminazione dei simboli, del bello, del sacro. Ciò che maggiormente sconvolge, è che Roma non soltanto non si opponga a questo declino, ma che lo stia incentivando. Anzi, che l’abbia preventivato. Si permetta la domanda retorica: anche la dismissione del Vaticano è in agenda?
di Giorgio Enrico Cavallo


http://campariedemaistre.blogspot.com/2018/12/non-dismettono-le-chiese-ma-il.html


« Elogio della bambina a difesa di Gesù Bambino » di Giuliano Guzzo

«Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli». Con divina profezia, già duemila anni fa Gesù aveva capito come sarebbe finita ed aveva ringraziato il Padre per aver scelto come depositari della sapienza più autentica proprio loro, i piccoli. Non sarà quindi rimasto sorpreso – almeno Lui – del fatto che, nella scuola elementare di Riviera del Brenta, in Veneto, a ribellarsi alla scelta di espungere il Suo nome da una canzone natalizia in omaggio al politicamente corretto, non siano stati i genitori né i parrocchiani, bensì una bambina di 10 anni la quale, promossa una petizione sottoscritta da tutti i compagni, ha riportato le maestre sulla via della ragione.
Ma se Gesù sapeva che mettersi in piccole mani equivale a mettersi nelle mani migliori, e se quanto accaduto a Riviera del Brenta semplicemente conferma la prospettiva evangelica, a noi persone del secolo degli interrogativi restano comunque: com’è potuto accadere? Come siamo arrivati a uno scenario in cui, se non ci fossero i più piccoli, i grandi rischierebbero figuracce enormi? Cosa è successo?
Direi che, se siamo a questo punto, i malanni con cui dobbiamo fare i conti sono parecchi.
C’è anzitutto l’osannata secolarizzazione, col conseguente divorzio della cultura dal culto che porta, inconsapevolmente, a viaggiare con due fette di culturame sugli occhi.
C’è poi il politicamente corretto, quella bizzarra dottrina secondo cui il rispetto per le culture degli altri passa per l’imbalsamazione della propria.
Inoltre, soffriamo un po’ tutti dell’influenza cretina, che è l’omologazione a comportamenti imbecilli ancorché animati, almeno a parole, dalle migliori intenzioni.
Ciascuna di queste tre patologie ha ovviamente i suoi specifici rimedi, ma esiste un farmaco generale: la testimonianza di chi è ancora abbastanza sano o, se preferite, non del tutto rimbecillito.
Ebbene, si dà il caso che i piccoli – ancora non indottrinati dalla televisione e dall’università, con la prima che fiacca i neuroni dei molti e la seconda i molti neuroni dei pochi – siano del tutto sani e capaci di testimoniare la ragionevolezza perduta.
Per questo può accadere che Gesù Bambino sia difeso d’ufficio da una bambina e che, in una scuola elementare, gli allievi non soltanto superino ma surclassino i maestri.
C’è dunque da essere profondamente grati ad Angela, nome di fantasia di colei che ha avviato la raccolta firme per evitare lo svilimento laico della canzone «Natale in allegria», per ciò che ha fatto.
Sì, perché ha dimostrato che a 10 anni si può saperla più lunga di chi magari ha letto 1000 libri; perché andando a lezione ha finito col darne a sua volta una – e che lezione, e perché spiegando che Gesù non si tocca qualcosa, in realtà, ha toccato: i cuori sonnolenti di chi è stato poi costretto a darle ragione.
Il sacrosanto rispetto dei minori, che meritano di essere lasciati in pace, viene ovviamente prima di tutto, ma mi chiedo quante meraviglie perdute potremmo riscoprire grazie ad Angela e i suoi amici, quanta vera saggezza giaccia sepolta da finta cultura, insomma quante cose siano nascoste agli intellettuali per essere, in esclusiva assoluta, «rivelate ai piccoli».


https://www.lamadredellachiesa.it/elogio-della-bambina-a-difesa-di-gesu-bambino-di-giuliano-guzzo/

« Una bambina di dieci anni insegna il cristianesimo alla casta clericale e vaticana che cancella Gesù per celebrare la UE laicista insieme alla Bonino » di Antonio Socci


Una bambina di dieci anni dà lezione di saggezza a un mondo scolastico intriso di multiculturalismo “politically correct” e soprattutto dà lezione di cristianesimo ai vertici clericali e vaticani. Due episodi, avvenuti in simultanea, diventano emblematici. Nelle stesse ore in cui il vertice della Cei e le associazioni cattoliche ufficiali – spinte da papa Bergoglio – si lanciano direttamente in politica, in difesa dell’Unione Europea più laicista e anticattolica, mentre – da “Avvenire” – lanciano una crociata contro le identità, buttando a mare le “radici cristiane” della nostra storia, una bimba di una scuola veneta, con mitezza e semplicità, fa capire a tutti che è assurdo, nella recita natalizia, cancellare il nome di Gesù da una canzone di Natale per non urtare la sensibilità di bambini di un’altra religione. Ha scritto: “A Natale è nato Gesù e noi lo vogliamo dire a tutti”.
E’ puro buon senso, dal momento che si festeggia il Natale appunto perché è la nascita di Cristo. Ma oggi è un tempo in cui anche le cose più elementari e ovvie vengono cancellate. Verrebbe da dire con la Bibbia: “Con la bocca dei bimbi e dei lattanti/ affermi la tua potenza contro i tuoi avversari,/ per ridurre al silenzio nemici e ribelli”.
La “lezione” è anzitutto per i vertici clericali, il Vaticano e la Cei, che ormai si stanno tuffando in un’assurda impresa politica la quale ha come capisaldi l’immigrazionismo, il “politically correct” e questa Unione Europea che cancella le “radici cristiane”, le identità, le tradizioni e le sovranità dei popoli.
Venerdì, nell’appello “La nostra Europa”, pubblicato da “Avvenire” come editoriale, e firmato da tutti i notabili delle associazioni cattoliche (presidenti di Azione Cattolica, Fuci, Acli, S. Egidio ec), appello simultaneo all’arringa politica del presidente Cei Bassetti, in quell’appello – dicevo – non solo non erano menzionate le “radici cristiane” dell’Europa (celebrate da tutto il magistero di papa Wojtyla e di Benedetto XVI), ma non c’era nemmeno un qualsiasi altro pallido riferimento al cristianesimo.
Nemmeno un accenno piccolo o formale. Nulla di nulla. Era un appello che avrebbe potuto essere scritto, dalla prima all’ultima parola, da Emma Bonino di “Più Europa” (peraltro elogiata, tempo fa, con Giorgio Napolitano, da papa Bergoglio).
Cristo viene così cancellato dall’élite clericale, cancellato insieme all’identità cristiana dell’Europa e ai valori che ne conseguono. Sono dunque le élite cattoliche a cancellare il cristianesimo e Gesù stesso dal discorso pubblico e dalla loro visione dell’Europa e del presente.
Ecco perché una piccola figlia della gente veneta, difendendo la presenza del nome di Gesù in una semplice canzone di Natale, rende evidente un fenomeno eccezionale che sta avvenendo sotto i nostri occhi: lo “scisma sommerso” fra il popolo cristiano e l’élite clericale.
Lo scisma cioè fra i semplici cristiani che non vogliono rinunciare alle proprie tradizioni, alla propria identità e ai propri valori, e una casta clerical-progressista che parla come l’establishment tecnocratico della UE, che si occupa solo degli immigrati, una casta clerical-progressista che disprezza la nostra identità demonizzandola come populismo, nazionalismo e xenofobia.
La grande spaccatura si è evidenziata soprattutto sul tema dell’emigrazione e ha irritato enormemente tutto l’establishment bergogliano quando è emerso che – dopo cinque anni di comizi vaticani sull’abbattimento delle frontiere e sull’emigrazione di massa – i sondaggi hanno rivelato che la Lega di Matteo Salvini ottiene la maggioranza dei consensi dei cattolici praticanti.
E’ una sconfessione silenziosa della predicazione politica vaticana, globalista e da sinistra sudamericana “anni Settanta”. Il popolo cristiano è in sintonia con il magistero di sempre della Chiesa, quello di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI.
La gente semplice che si professa cattolica e che (più o meno frequentemente) va in chiesa, non comprende una casta clericale che elogia Monti, la UE, la Bonino e Napolitano, una casta clericale che non si è opposta alle politiche più laiciste dei governi PD, ma poi oggi lancia una vera e propria “crociata politica” contro quel Salvini che ha osato dichiarare, alla vigilia del voto, che si richiama ai valori del Vangelo, mostrando il rosario che ha in tasca.
Papa Bergoglio ama definirsi “rivoluzionario” e il presidente della Cei Bassetti nei giorni scorsi lo ha celebrato come tale, sostenendo che con lui inizia “una nuova storia per la Chiesa”, ma chi va in chiesa non aderisce a questa rivoluzione sudamericana, non si sente battezzato nella “chiesa di Bergoglio”, ma nella Chiesa di Gesù Cristo. E vuole restare fedele alla sua tradizione.
A chi – come il card. Bassetti – celebra l’inizio di “una nuova storia per la Chiesa”, va ricordato ciò che diceva nel 1971 il grande don Divo Barsotti“io non so che farmene di una Chiesa che nasca oggi”.
Predicando gli esercizi spirituali a Paolo VI, contro tutti i catto-progressismi, spiegò:
“La Chiesa è l’unità nel tempo. Guai se rompiamo il legame che ci unisce alla Chiesa di sempreNon posso riconoscere la Chiesa di oggi se questa non è la Chiesa del Concilio di Trento, se non è la Chiesa di san Francesco e di Tommaso, di Bernardo e di Agostino. Io non so che farmene di una Chiesa che nasca oggi. Se si rompe l’unità, la Chiesa è già morta. La Chiesa vive soltanto se, senza soluzione di continuità, io sono nella Chiesa uno con gli Apostoli per essere uno con Cristo”.
Don Barsotti aggiungeva:
“Dobbiamo vivere della tradizione, sentirci fratelli e discepoli non solo di Dio, ma di un Dio che si comunica a noi attraverso i Padri, e i Padri sono, nell’ininterrotta successione dell’episcopato, del sacerdozio ministeriale, Basilio e Giovanni, Agostino e Gregorio, Bernardo e Tommaso fino ad Alfonso, a Newman, a Rosmini, a Pio XII; sono oggi i Vescovi del Concilio e, primo fra tutti, il Papa. Ma sono anche i Santi di tutte le epoche, di tutti i paesi. Nei confronti di tutti, io sono un figlio che riceve la vita. Non si vive nella Chiesa l’amore se si esclude questo rapporto, non soltanto di fraternità, ma di filiazione“.
Il popolo dei fedeli si riconosce in questa storia, nelle sue tradizioni e sa che bisogna seguire il magistero di sempre della Chiesanon gli ecclesiastici che oggi usano il loro ruolo per fare proclami politici filo UE, perché non sono autorizzati a insegnare dalla Cattedra proprie idee e ideologie.
Antonio Socci
Da “Libero”, 2 dicembre 2018
Sito: “Lo Straniero
Twitter: @Antonio Socci1

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