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Non si sputa nel piatto in cui si è mangiato. La saggezza popolare che si esprime nei proverbi ci ammonisce di non cedere a facili semplificazioni di segno opposto a quelle dei modernisti: come costoro rigettano tutto ciò che ha preceduto l’ultimo concilio quasi fosse sbagliato a priori, così i tradizionalisti puri e duri condannano per principio tutto ciò che l’ha seguito in quanto erroneo, se non eretico. Uno sguardo equo e realistico che rifugga dagli estremismi, in ogni caso, ci obbliga ad ammettere che il cibo servito nel piatto in cui la maggior parte di noi si è spiritualmente nutrito era avvelenato. Chi, avendo ricevuto un’educazione religiosa tradizionale, era dotato dell’antidoto si è potuto mantenere più o meno immune o è riuscito a spurgare il veleno; altri, che ne erano privi, si sono disintossicati per una grazia straordinaria loro concessa dal Cielo; ma la maggior parte ha smarrito la fede cattolica o non l’ha mai conosciuta per quello che è realmente.
Al di là di tutto, non possiamo non riconoscere qualche buon frutto dell’epoca postconciliare, almeno in chi ha potuto maturarlo sul ceppo antico: una maggior familiarità con la voce di Dio nella Sacra Scrittura, una più profonda adesione interiore alle verità professate, una partecipazione più consapevole alla liturgia, una sincera esigenza di autenticità morale, una relazione con il Signore più personale, ma non per questo inficiata di soggettivismo. Tuttavia, a parte il fatto che gli stessi risultati si sarebbero potuti raggiungere anche senza un concilio (per esempio, con una formazione spirituale più accurata e coinvolgente sul piano esistenziale), tali progressi si sono verificati in chi già aveva una solida base di fede, mentre chi ne era privo si è smarrito sia a livello dottrinale che a livello etico, illudendosi che per essere un buon cristiano bastasse far parte di un gruppo di preghiera o di volontariato, senza alcun riguardo per scelte di vita talvolta riprovevoli. In breve, i benefici non sembrano proporzionati agli enormi danni strutturali.
Per quanto concerne il Concilio Vaticano II in sé, a prescindere da ciò che ne è scaturito, son giunto a una serena e felice conclusione che mi ha liberato da un penoso dilemma, come pure dall’insidiosa incombenza di prendere posizione rispetto ad esso. Non è una dichiarazione formale di rifiuto di un concilio ecumenico (che sarebbe un atto scismatico), bensì una semplice presa di distanza da un evento che si è espressamente inteso come non dogmatico: ormai posso farne tranquillamente a meno. Ciò che nei suoi testi c’è di buono, infatti, proviene dal Magistero precedente e lo si può attingere direttamente alle fonti senza mescolanze né inquinamenti; ciò che c’è di originale non tiene a un’analisi rigorosa e, di fatto, ha prodotto risultati catastrofici. Le sue novità dottrinali (come la collegialità, l’ecumenismo, il dialogo e la libertà religiosa) sono teologicamente insostenibili, mentre le innovazioni pratiche realizzate nel suo nome (come la riforma della liturgia, quella del codice e quella della vita consacrata) sono sfociate in una serie di disastri senza precedenti storici: il culto cattolico convertito in memoria protestante, il diritto abolito dall’arbitrio del più forte, i voti svuotati di ogni portata reale… per non parlare dei vescovi ridotti a funzionari, delle virtù sacerdotali estinte, delle parrocchie trasformate in centri sociali, dell’indifferentismo religioso che regna a tutti i livelli e della morte di ogni serio sforzo di ricondurre i separati all’unità della Chiesa.
Un’altra presa di coscienza mi ha parimenti sollevato dall’insolubile enigma della sua natura e della sua ermeneutica. Riguardo al primo quesito, in duemila anni non c’è mai stato un concilio pastorale (neologismo peraltro mai esattamente chiarito): i venti concili ecumenici precedenti, allo scopo di rispondere a precise sfide e necessità che la Chiesa si era trovata ad affrontare, produssero tutti definizioni dottrinali e disposizioni disciplinari, senza le quali la loro convocazione sarebbe stata del tutto inutile. Riguardo al secondo, il Magistero – specie quello solenne – non deve aver bisogno di alcuna interpretazione, dato che è esso stesso un’interpretazione autorevole della Rivelazione divina, contenuta nella Scrittura e nella Tradizione. Un Magistero che abbia a sua volta bisogno di essere interpretato è in sé un fallimento e non serve a nulla: il suo compito è proprio quello di dirimere le questioni e di porre termine ai dibattiti provocati da interpretazioni diverse dei contenuti della fede. Dal punto di vista cattolico è semplicemente inconcepibile che si debba ricorrere a un’ermeneutica della continuità per comprendere rettamente dei testi da cui ci si aspetta a buon diritto che parlino da sé in modo inequivocabile, senza obbligare il lettore ad acrobazie intellettuali che ne salvino l’ortodossia e rimedino alle troppe ambiguità, che danno inevitabilmente agganci a un’ermeneutica della rottura… Un concilio deve confermare la fede, non metterla alla prova.
Eccomi dunque libero, finalmente, da un angoscioso rompicapo senza sbocco né progresso possibile. Piuttosto che sprecare le energie che mi restano a criticare o a cercar di correggere il Vaticano II, d’ora in poi le dedicherò all’approfondimento della dottrina e della liturgia di sempre; una volta superati i cinquanta ci si rende conto che, nel tempo che rimane da vivere, bisogna concentrarsi sull’essenziale, onde poter lasciare qualcosa di valido a chi viene appresso. La vita che il Signore ci concede su questa terra va impiegata in modo fruttuoso, anziché buttata a sforzarsi di uscire da un vicolo cieco che, in realtà, esiste solo a livello mentale. Accorgersi di ciò è una grazia inestimabile, ma chiunque può chiederla alla Madre di Dio e della Chiesa. Chi è cresciuto nel mondo artificiale del postconcilio, umanamente parlando, non potrebbe in alcun modo venir fuori dall’astutissima e pervasiva mistificazione in cui, a livello ecclesiale, è stato cresciuto e che ha spuntato l’acutezza del suo intelletto, fiaccato la sua forza di volontà, rinchiuso la sua esistenza in un fatalismo luterano che rende la santità impossibile… ma la Madonna è l’Onnipotente per grazia.
Permane pur sempre, certamente, l’obbligo morale di combattere l’errore; ma oggi le menti della maggioranza dei cattolici, specie dei più impegnati, sono a tal punto offuscate da decenni di discorsi fumosi che la distinzione stessa tra verità ed errore ne supera le forze, così che anche le regole più elementari della logica risultano inapplicabili. Che fare per il prossimo, allora? Con pazienza e delicatezza, aiutarlo a ragionare – se è disposto – riconoscendo l’evidenza delle cose. Molto spesso bisogna ripartire da zero, prendendo le persone per mano con grande carità, per ristabilire almeno le basi minime della ragionevolezza e della fede. L’ora presente ci chiama a lavorare in modo capillare accompagnando le persone ad una ad una, anche perché il regime da cui è oppressa la Chiesa non permette di operare allo scoperto e su larga scala. È venuto il momento di un’attività sotterranea, ma non per questo poco incisiva o fruttuosa: ci sono tantissime persone assetate di luce che aspettano soltanto di essere raggiunte da una parola chiara e decisiva.
Sarà proprio con loro che nascerà quel nuovo popolo in cui rifiorirà la Chiesa terrena, in vista del trionfo del Cuore Immacolato di Maria e dell’avvento glorioso del suo Sposo, un popolo di uomini e donne sinceramente convertiti che si innesterà sul piccolo resto che sarà rimasto fedele. Già ne vediamo le primizie in tante persone di retta coscienza che, riscoprendo la fede cattolica, si volgono spontaneamente verso il mondo della Tradizione, dove trovano quella solidità e chiarezza che è loro negata nella Chiesa postconciliare, da cui la loro onestà e rettitudine rifugge inorridita. In fin dei conti è inevitabile riconoscere che non è la stessa religione, ma un volgare surrogato che si regge su un immenso apparato burocratico vuoto di contenuti e privo di ogni tratto soprannaturale, se non fosse per i Sacramenti ancora validi. D’altra parte quale altro risultato ci si sarebbe potuti aspettare, dopo che si è proceduto a cambiare sistematicamente tutto in nome del Vaticano II? Ma quale concilio ha mai richiesto che la Chiesa si modificasse radicalmente in tutti i suoi aspetti? Solo una rivoluzione poteva ottenere un tale effetto – e di rivoluzione si è effettivamente trattato, come è stato ormai incontrovertibilmente dimostrato a livello storico.
Personalmente ho deciso di smettere di stracciarmi le vesti e gridare allo scandalo ad ogni nuova manifestazione di decadenza e corruzione di questo simulacro di Chiesa costituito da apostati ed eretici che solo in apparenza ne sono membri: è un corpo composto di cadaveri ambulanti che parlano e agiscono, sì, ma non conoscono la vita della grazia e sono perciò spiritualmente morti. Nuoce alla salute dello spirito – e non serve a nulla – accanirsi contro una carogna in avanzato stato di decomposizione: una volta diagnosticato il male e denunciati i crimini che ne sono sintomo, dobbiamo occuparci del bene delle anime, nostre e di quanti cercano la verità con cuore sincero, onde guarirle o preservarle dal contagio. Il resto è nelle mani di Dio, al quale la Chiesa terrena appartiene e che è il solo a poterla salvare: non siamo certo né io né voi, fatto salvo il compito di collaborare con la Provvidenza conservando la fede, custodendo la grazia e difendendo, nella forma consentita ad ognuno, la verità e la giustizia.
Torno a raccomandare di non mettersi da sé fuori della Chiesa visibile con atti pubblici classificabili come scisma: i traditori non aspettano altro; non facciamo il loro gioco. La necessaria visibilità della Chiesa esige che si obbedisca ai Pastori in ciò che non sia direttamente contrario alla legge divina, almeno finché l’autorità competente non li deponga o dichiari decaduti (eventualità, per ora, altamente improbabile…). Mi direte giustamente che è una dura lotta: non lo nego di certo, ma ricordo a tutti voi che siamo costantemente circondati dall’innumerevole schiera degli amici del Cielo e dotati di una potenza soprannaturale che agisce nella misura della nostra fede e dei nostri meriti. Abbiamo a disposizione l’immenso tesoro della Tradizione cattolica, al quale non dobbiamo far altro che attingere quando vogliamo. Le armi per il combattimento sono nelle nostre mani e la vittoria è promessa. Sursum corda!
Accipe sanctum gladium, munus a Deo, in quo deicies adversarios populi mei (2 Mac 15, 16).
Pubblicato da Elia
http://lascuredielia.blogspot.com/2018/12/lafine-dellepoca-postconciliare-nonsi.html
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