PADRE CAVALCOLI A CESARE BARONIO. DICIANNOVE PUNTI, DICIANNOVE RISPOSTE, UNA PREGHIERA FINALE COMUNE.
Cari Stilumcuriali, il dialogo fra il padre Giovanni Cavalcoli e Cesare Baronio si arricchisce di un ulteriore capitolo. Qualche giorno fa come ricordate abbiamo pubblicato la risposta di Cesare Baronio a un precedente articolo del teologo domenicano, che ora risponde. Buona lettura.
Caro Baronio,
con piacere accolgo le sue dotte e garbate contestazioni alle mie tesi su di un argomento di fondamentale importanza per noi cattolici, qual è quello della S.Messa, con particolare riferimento al confronto fra il Vetus Ordo e il Novus.
Io e Lei, da buoni cattolici, accettiamo l’uno e l’altro rito, entrambi espressione della ricchezza liturgica della Santa Madre Chiesa: il Vetus, testimone sublime ed ancora attuale di vetustissima e veneranda Tradizione; il Novus, frutto e testimone di quello Spirito Santo, del quale è detto: renovabis faciem terrae, sicchè in questa benedetta duplicità si mostra la continuità della Chiesa nel progresso: renovatur quod traditum est.
La Chiesa, anche nella liturgia, progredisce nella conoscenza e nella pratica di quell’immutabile deposito rivelato, che il suo Sposo le ha affidato da conservare incorrotto e da distribuire generosamente a tutti, e da far sempre meglio conoscere e praticare dall’umanità fino alla fine dei secoli.
Alla luce di questi princìpi, che son certo avranno il suo consenso, passo ad esporre le mie risposte. Anche questa volta ho ritenuto opportuno scegliere, nella sua lunga esposizione, i suoi argomenti più forti contro le mietesi, perché Ella non abbia pensare che io mi sottragga al cimento. Le sue obiezioni sono numerate. Ad ognuna di esse segue la mia risposta siglata con la lettera R.
1 – Nessun Concilio precedente al Vaticano II venne messo in discussione per la sua ortodossia, né prestò il fianco ad interpretazioni eterodosse, giacché alla formulazione della parte discorsiva, pur chiarissima, si affiancavano sempre canoni a condanna degli errori che si opponevano alle verità definite. E mai, nella storia della Chiesa, un Concilio Ecumenico ebbe un postconcilio che ne stravolgesse il magistero.
R – I Concili precedenti avevano l’aspetto di testi legislativi. Per questo avevano canoni, ordinavano che cosa si doveva pensare e come si doveva dirlo, associando una pena per il trasgressore, il famoso anàthema sit. Il Concilio Vaticano II ha scelto invece uno stile espositivo, o parenetico, condannando certo gli errori, ma senza comminare pene canoniche. Non ha un tono prescrittivo, ma un tono persuasivo, simile agli insegnamenti del Vangelo o alle catechesi dei Padri della Chiesa. Non mancano avvertimenti ed ammonizioni, ma sul piano morale, non giuridico.
Il linguaggio del Vaticano II è di tipo divulgativo e pastorale. Quello dei precedenti Concili è più filosofico e scolastico. Il linguaggio dei precedenti Concili è più preciso, ma più restrittivo; il linguaggio del Vaticano II è più elastico ma rischia l’equivoco. Là dove abbiamo un pregio nell’uno, abbiamo un difetto negli altri e viceversa. Non tutto si può avere in tutto. Bisogna scegliere e lo scegliere comporta necessariamente la rinuncia a ciò che non si sceglie.
Anche ai Concili del passato fecero seguito interpretazioni eterodosse, per cui il Concilio seguente dovette rimediare ai malintesi sorti dopo il precedente. Al riguardo, è interessante seguire il passaggio dal Concilio di Nicea a quello di Efeso e a quello di Calcedonia. Si nota nelle reazioni a ciascun Concilio un andirivieni tra l’unità la dualità in Cristo: dopo Nicea nel 321, che evidenzia l’unità divina, Efeso nel 431 deve riparare al teopaschismo, all’arianesimo, al modalismo, al monofisismo e al docetismo, mentre Eutiche confonde le due nature. Tenta una soluzione Nestorio, il quale però esagera la dualità e finisce nella separazione fra le due nature.
Allora Efeso ribadisce l’Incarnazione e ristabilisce l’unità divina. Ma resta il problema: come fa Cristo ad essere uno e due? Finalmente giunge la pace e la concordia con Calcedonia nel 451: Cristo è uno come persona divina e duplice nelle nature umana e divina. Ma quanto ce n’é voluta! Ed oggi un Rahner ha la spudoratezza di rimettere in discussione Calcedonia!
Ciò che effettivamente è impressionante e mai prima accaduto è il fenomeno di un postconcilio, nel quale una astuta e potente setta eretica, come, nel nostro caso, i modernisti, è riuscita ad imporre in larghi strati della Chiesa, la propria falsa interpretazione del Concilio, senza che il Papato sia riuscito a diffondere sufficientemente quella ufficiale, espressa negli insegnamenti dei Pontefici e del Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992.
Ma questo Catechismo fu prodotto troppo tardi, quando il male era ormai dilagato. Tempestivi invece furono i Vescovi Olandesi, i quali, fin dal 1966, con la consulenza di Schillebeeckx, pubblicarono il famigerato Catechismo Olandese, le cui eresie furono bensì corrette da S.Paolo VI, ma senza alcun risultato apprezzabile, perché già da allora il morbo era scoppiato. Oggi il lavoro di purificazione appare immenso, al di sopra delle forze umane, ma non dobbiamo disperare della forza dello Spirito Santo.
2 – C’è una oggettiva problematicità del Concilio Vaticano II; una problematicità che, come dicevo poc’anzi, non ha mai riguardato alcun Concilio precedente. É quindi evidente che, se l’assise in cui venne concepita la riforma liturgica si presta ad un’interpretazione eterodossa, come dimostrano le argomentazioni dei Neomodernisti, non stupisce che anche il Novus Ordo stesso sia informato ad analoga equivocità. Il quale Novus Ordo, per sola grazia di Dio ed in virtù delle promesse del Salvatore, ha mantenuto quegli elementi sostanziali che permettono di considerare la Messa montiniana pienamente valida. Ma la validità di una Messa – come ho scritto nel mio intervento precedente – garantisce alla Santa Chiesa di mantenere il Sacrificio Eucaristico e trasmettere ai fedeli la Grazia, ma non toglie minimamente quel suo peccato d’origine che grava su di essa, specialmente se la si confronta con il rito antico.
R – Quelle proposizioni del Concilio che possono prestarsi ad un’interpretazione eterodossa, nel corso di questi cinquant’anni sono state chiarite dal Magistero e da teologi fedeli alla Chiesa, compreso il sottoscritto
3 – Ciò che il Concilio dice riguardo alla libertà religiosa andrebbe interpretato coerentemente con la Mortalium animos, ad esempio. Ma quello che in punta di diritto tranquillizza il teologo o il canonista, dimostrandogli che la Santa Chiesa non erra nel proprio Magistero, è vanificato e contraddetto dalla prassi comune di chi sistematicamente – e senza alcuna correzione da parte dell’Autorità suprema – considera la Mortalium animos e la condanna dell’indifferentismo religioso da parte del Magistero preconciliare chiaramente superate dalla Dignitatis humanae, giungendo a veder realizzato nella pratica quello che la Mortalium animos esplicitamente condanna e che l’interpretazione più ovvia del documento conciliare viceversa pare autorizzare.
R – La Dignitatis humanae, sulla libertà religiosa e la Nostra aetate sul dialogo interreligioso non contraddicono alla Mortalium animos, ma esprimono punti di vista diversi e complementari all’enciclica di Pio XI. Infatti, il primo documento, confermando la dottrina che il cattolicesimo è l’«unica vera religione» (n.1), totalmente estranea a qualunque forma di indifferentismo religioso, ribadendo quanto aveva già detto Pio XI, presenta il diritto alla libertà religiosa come diritto civile del cittadino nei confronti dello Stato, che è obbligato a concederla, come dovere, da parte dello Stato, «di non costringere e di non impedire nessuno nell’agire in campo religioso in conformità alla sua coscienza» (n.2), supponendo ovviamente un concetto realistico e nonsoggettivistico della coscienza, qual è quello della morale cattolica-
Pio XI bada maggiormente all’oggettività ed universalità della verità; il Concilio, bada al fatto che la verità dev’esser fatta propria o assimilata dalla coscienza. Ma le due istanze s’incontrano nel principio che la coscienza ha l’obbligo di accogliere la verità oggettiva.
Questo sacro diritto della coscienza non esclude affatto l’oggettività della verità religiosa insegnata da Pio XI, ma è semplicemente uno sviluppo ed un’applicazione nell’ambito civile dell’antico precetto canonico «nemo ad amplectendam fidem catholicam invitus cogatur», ammesso anche da Pio XI. È evidente che quel diritto suppone la società civile moderna, nella quale convivono gruppi di varie religioni e non avrebbe senso nell’ambito del diritto canonico, dove è chiaro che tutti appartengano alla medesima religione cattolica.
Inoltre l’ecumenismo insegnato nell’Unitatis redintegratio non contraddice per nulla al fatto segnalato da Pio XI, che in passato gruppi di fedeli scismatici ed eretici si sono separati dalla Chiesa – la stessa cosa la dice il Concilio (n.3) -, per cui occorre stimolarli a raggiungere l’unità cattolica, purificandoli dagli errori. Il Concilio dice la stessa cosa con parole diverse. Infatti, il Concilio ordina ai cattolici di adoperarsi a che i fratelli separati, liberati dagli «impedimenti» (ibid.) e dalle «carenze» (ibid.), cioè dalle eresie, avrebbe detto il Concilio di Trento, «siano pienamente incorporati nella Chiesa cattolica» (ibid.).
Il Concilio non parla più di «ritorno» alla Chiesa Romana, ma con più esattezza parla di «ingresso». Infatti, non si tratta dei protestanti dell’epoca di Lutero, che, usciti dalla Chiesa cattolica, dovevano farvi ritorno, ma si tratta evidentemente oggi di protestanti che non hanno mai fatto parte della Chiesa cattolica, per cui è giusto parlare per loro in «incorporazione». Ma è evidente che, si mettan le cose come si vuole, il dovere dei fratelli separati è la rinuncia ai loro errori, acquisendo dalla Chiesa cattolica le verità che a loro mancano per una piena appartenenza ad essa.
L’attività ecumenica, secondo il vero insegnamento del Concilio, è, nella sostanza, esattamente quell’azione, che prima del Concilio si chiamava «apostolato per la conversione dei lontani», con la differenza che allora si tendeva ad essere troppo sbrigativi e fare indebite pressioni, mentre il Concilio ci rende più attenti alla complessità di queste azioni e ci rende più cauti.
Ma il guaio è stato che di fatto le attività ecumeniche, nelle mani del Card.Kasper, non si sono attenute a queste sagge direttive, ma da cinquant’anni a questa parte si sono risolte per lo più in una serie interminabile di tergiversazioni e di reticenze, scambiando l’ecumenismo per una questione di sola carità, mentre in realtà è una questione di verità: stabilire chi ha ragione e chi ha torto, col risultato che i protestanti sono rimasti tali e i cattolici diventano protestanti.
4 – Poco importa che si ricordi che l’ecumenismo, così com’è praticato oggi, sia condannato senza appello dalla Chiesa: solo pochi anni prima del Concilio, la Suprema Sacra Congregazione del Sant’Ufficio raccomandava: «La dottrina cattolica dovrà essere proposta ed esposta totalmente ed integralmente: non si dovrà affatto passare sotto silenzio o coprire con parole ambigue ciò che la verità cattolica insegna sulla vera natura e sui mezzi di giustificazione, sulla costituzione della Chiesa, sul primato di giurisdizione del Romano Pontefice, sull’unica vera unione che si compie col ritorno dei dissidenti all’unica vera Chiesa di Cristo. Si insegni loro che essi, ritornando alla Chiesa, nessuna parte del bene che, per grazia di Dio, è finora nato in loro, ma che col loro ritorno questo bene sarà piuttosto completato e perfezionato. Non bisogna però parlare di questo argomento in modo tale che essi abbiano a credere di portare alla Chiesa, col loro ritorno, un elemento essenziale che ad essa sarebbe mancato fino al presente» (Istruzione Ecclesia Catholica agli Ordinari diocesani, sul Movimento ecumenico, 20 Dicembre 1949).
R – Da quanto ho detto al numero precedente, non è dunque vero che «l’ecumenismo, così com’è praticato oggi, sia condannato senza appello dalla Chiesa». Quello che è condannato è un certo falso ecumenismo.
5 – La concelebrazione di molti sacerdoti, è e rimane un Sacrificio del solo celebrante principale, e sulla carta le offerte che il sacerdote percepisce dal fedele non si applicano alla concelebrazione: ma quanti di loro ricevono l’offerta per dieci messe e leggono i nomi dei defunti ad una Messa sola, o ne fanno memoria tra sé, mentre se ne stanno comodamente in parte con la stola?
R – Nel Novus Ordo la Messa concelebrata non è una sola Messa, ma sono tante Messe quanti sono i concelebranti, perchè ogni celebrante consacra. Quindi, con dieci celebranti abbiamo dieci Messe con dieci applicazioni per ciascuno dei dieci concelebranti, corrispondenti alle dieci offerte di Messe.
6 – La liturgia riformata proibisce espressamente la celebrazione della Messa coram Sanctissimo, mentre essa è prevista nella liturgia tradizionale. E non troverà nessun’eresia nel documento che impone questa prassi, ma comprenderà che mentre nel rito antico si voleva ribadire il dogma secondo il quale Nostro Signore è presente tanto nel Ss.mo Sacramento esposto sull’altare quanto nelle specie consacrate sul corporale, proprio contro l’errore protestante; nel nuovo rito si induce a credere che non abbia senso offrire il Santo Sacrificio davanti alla Vittima divina.
R – Io credo che non c’è bisogno di combattere in questo modo l’eresia protestante che respinge l’adorazione eucaristica. Invece mi pare ragionevole ritenere che effettivamente non abbia senso consacrare il Corpo del Signore davanti al tabernacolo contenente lo stesso Corpo del Signore già consacrato. Secondo me, è meglio che il tabernacolo stia da un’altra parte, perché così appare con maggior chiarezza l’atto della consacrazione.
7 – Ella scrive: «La Chiesa cattolica è sempre apostolica. Per questo, se decide una riforma del rito della Messa, lo fa sempre con la sua autorità apostolica. E se un Concilio ecumenico decide una riforma della Messa, non lo farà evidentemente per far fare alla Chiesa un passo indietro, ma un passo avanti. Altrimenti, che senso ha una riforma?»
Me lo chiedo anch’io: che senso ha una riforma che rappresenta un passo indietro? Sono perfettamente d’accordo con Lei, ma mi pare che Ella sposti l’attenzione sul dato teorico, senza voler guardare la realtà. Davvero Ella ritiene che la liturgia riformata rappresenti un progresso rispetto al fervore, alla devozione ed alla vita cristiana quali si potevano osservare nei fedeli di tutto il mondo ad esempio negli anni Cinquanta?
R – Il passo avanti è stato quello di rendere il rito più intellegibile con la lingua volgare, di istituire simboli ed espressioni artistiche più significativi per la sensibilità e i gusti moderni, di aumentare la partecipazione attiva dei fedeli, uomini e donne, di aumentare il numero delle letture bibliche, delle preghiere eucaristiche, delle Messe votive e di circostanza, di dare alla Messa un significato maggiormente escatologico, di assumere aspetti positivi della Cena luterana, di metter la Messa a maggior contatto con gli avvenimenti del nostro tempo.
8 – Nella storia della Chiesa vi furono casi in cui un Papa insegnò o aderì a dottrine eretiche e fu condannato. E non credo di doverLe ricordare che la possibilità che vi sia un Papa eretico fu studiata e dibattuta da illustri dottori e canonisti e teologi, senza che questi mettessero in dubbio la divina missione della Chiesa o l’infallibilità papale. Anzi: è proprio perché il Cattolico è estremamente realista che riesce a distinguere tra la santità della Sposa di Cristo e l’indegnità dei suoi Ministri, così come distingue tra il Sommo Pontefice e colui che ne ricopre il ruolo.
R – L’unico caso accertato è stato quello di Papa Onorio (625-638), che però fu scagionato da Papa S.Leone II nel 682, che lo giudicò «non eretico, ma negligente». Quanto alla ipotesi scolastica del Papa eretico, ha un carattere puramente accademico, privo di applicazione pratica, tanto è vero che nel diritto canonico non è prevista la possibilità di un Papa eretico.
9 – Io contesto fermamente l’affermazione di una assoluta infallibilità papale, non limitata né dall’intenzione esplicita di insegnare, né dalla coerenza dell’insegnamento proposto con la Sacra Scrittura e la Sacra Tradizione.
R – Il Papa esprime la sua intenzione di definire solo quando proclama un nuovo dogma. Se la veridicità pontificia, che Ella chiama «infallibilità», dovesse valere solo quando definisce un nuovo dogma, questa potrebbe essere una scappatoia per sottrarsi al dovere di ascoltare il magistero pontificio e per sostenere che il Papa, quando non intende definire, si può sbagliare e ci può ingannare in materia di fede o di morale nel suo magistero ordinario e quotidiano, nel quale insegna verità già definite. Allora che ne sarebbe del comando di Cristo fatto a Pietro e ai suoi Successori «confirma fratres tuos»? Vogliamo finire con Lutero?
10 – Paolo VI, in virtù della sua Autorità Apostolica, dichiarò abolito il venerando rito precedente, obbligando l’intera Chiesa di rito romano ad adeguarsi al Novus Ordo. Dello stesso tenore furono anche i pronunciamenti della Congregazione per il Culto Divino e di altri Dicasteri Romani, che indicarono senza alcuna deroga che la liturgia tridentina era definitivamente soppressa e soppiantata da quella riformata.
R – Ma Papa Benedetto, col Motu proprio Summorum Pontificum, ha liberalizzato l’uso del Vetus Ordo.
11 – Ciò che non approvo è veder scientificamente smantellata la liturgia, per sostituirvi un rito spurio che di fatto fa la gioia dei nemici della Chiesa e che, guardacaso, è l’unico che un eretico può celebrare, ad esempio usando la Prex Eucharistica II, ch’è tanto breve ed omissoria da lasciarsi usare anche da un calvinista.
R – Ma se un calvinista non crede nella transustanziazione, come fa ad usare la II Prex?
12 – Ella sostiene che «il Novus Ordo non è per nulla gravemente omissorio», salvo contraddirsi affermando: «in esso sono assenti elementi o parti, che, in considerazione della più sobria religiosità moderna e delle esigenze ecumeniche, potevano costituire fattori disturbanti». Ella in pratica conferma che alcuni elementi erano «fattori disturbanti» in ragione delle «esigenze ecumeniche», ossia che per compiacere gli eretici si sia preferito tacere delle verità dottrinali, sorvolare su alcuni concetti.
R – Non si tratta di «compiacere gli eretici» in quanto eretici, ma di accogliere quanto di valido c’è nelle loro idee per condurli alla pienezza della verità. Nella Cena luterana non tutto è sbagliato. Il Concilio con spirito ecumenico ha voluto accogliere nella Messa quanto di buono ci può essere nella Cena luterana, in quanto riflette il racconto del Vangelo. È così che è nato il Novus Ordo. Viceversa, il Vetus è costruito apposta per evitare gli errori luterani. E in tal senso svolge ancora una funzione necessaria. Per questo Papa Benedetto lo ha rivalorizzato, mentre S.Paolo VI è stato troppo severo con quel venerando rito.
Per questo, Novus e Vetus si completano a vicenda. Il Novus evidenzia i punti di contatto; il Vetus gli elementi da respingere. Ho parlato di «fattori disturbanti», forse con un’espressione non troppo felice, non per disprezzo per il Vetus Ordo – Dio me ne guardi! -, ma per esprimere semplicemente quello che ho già detto e che è ben rappresentato con quel paragone che ho tratto dalla pittura: se in un ritratto di Rembrandt introduciamo parte della Gioconda di Raffello, è evidente che l’elemento di Rembrandt, per quanto in sé stupendo nel suo naturale contesto, introdotto in Raffaello, disturberebbe. Così nella Messa Novus Ordo, fatta apposta per evidenziare punti comuni con la Cena luterana, stonerebbero tratti della Vetus fatti apposta per contestare Lutero.
Un esempio di questa complementarità reciproca è dato dalla differente posizione del celebrante nel Novus Ordo e nel Vetus. Ed è interessante anche il confronto con la Cena luterana. Vediamo innanzitutto la differenza della funzione del ministro nella Messa cattolica, Novus o Vetus Ordo e nella Cena luterana. Mentre nel cattolicesimo il ministro della sinassi eucaristica è il sacerdote, che offre il Sacrificio di Cristo al Padre a favore dei fedeli, nel caso della Cena, il ministro non è un sacerdote, ma il presidente dell’assemblea, sia pur radunata in nome di Cristo.
Siccome la sinassi non è l’offerta di un sacrificio, ma un banchetto messianico, il ministro non pone il pane e il vino su di un altare, ma su di un tavolo. I presenti, quindi, non sono degli offerenti concorrono al sacrificio offerto dal sacerdote, ma dei commensali, e il ministro è il capotavola. Nel rito cattolico e nel rito protestante il ministro media fra Cristo, Figlio del Padre e il popolo; rappresenta Cristo presso il popolo e rappresenta il popolo presso il Dio Trinitario.
A questo punto passiamo alla differenza tra il Vetus e il Novus. Nel Vetus il celebrante volge le spalle al popolo, perché tutti, celebrante e popolo, nell’offerta del Sacrificio, guardano al Crocifisso o alla raffigurazione pittorica della SS,Trinità, eventualmente una pala d’altare oltre, dietro e al di sopra dell’altare, che può rappresentare, oltre che la Trinità, anche la Madonna o altri Santi, in quanto immagini o mediatori di Cristo. Qui il celebrante, a nome del popolo, offre a Dio la Vittima divina e supplica la SS.Trinità di far scendere la grazia sul popolo nutrendo il popolo col pane eucaristico.
Nel Novus la posizione fisica del celebrante parrebbe avere una somiglianza con la posizione del ministro protestante: entrambi sono rivolti verso il popolo, come potrebbe fare un capotavola a mensa. Senonchè, però, la Messa è bensì una mensa, ma una mensa che si fonda su di un sacrificio, il quale, come sappiamo, stato è abolito da Lutero.
Perché nel Novus Ordo il sacerdote è rivolto verso il popolo ed ha alle spalle la pala d’altare? Perché qui è rappresentato il movimento inverso del culto divino, ossia l’ufficio del il sacerdote, che è il tramite della discesa della grazia da Dio al popolo. Invece nella Cena luterana il ministro rappresenta Cristo e basta. Non ha nessun Dio Padre, per così dire, alle spalle, rappresentato da un’eventuale pala d’altare, dal Quale discende lui quella grazia eucaristica, che egli distribuisce al popolo, dono della grazia prefigurato nel Vangelo dal miracolo della moltiplicazione dei pani.
Dunque vediamo che Vetus Ordo e Novus Ordo anche qui si completano a vicenda, rappresentando i due movimenti di salita-discesa del culto divino: nel Novus Dio Padre misericordioso e perdonante discende in Cristo sull’uomo; nel Vetus l’uomo in Cristo compensa e soddisfa al Padre per l’offesa del peccato e sale a Dio. L’opera della giustizia del Vetus si congiunge con l’accoglienza della misericordia del Novus. Lutero ha considerato solo la misericordia ed ha trascurato la giustizia.
13 – Parlando poi della Consacrazione, «che il Concilio si è guardato bene dal modificare», devo dissentire. É pur vero che la parte essenziale della Consacrazione non fu modificata; ma essa subì nondimeno due cambiamenti. Il primo consiste nello spostamento delle parole «Mysterum fidei» che, come un’esclamazione, il celebrante pronuncia sul calice: esse furono poste dopo l’Elevazione, prevedendo in risposta l’acclamazione dei fedeli «Mortem tuam annuntiamus Domine, etc.» che appartiene alla liturgia protestante. Faccio inoltre notare che, appena disceso Nostro Signore nelle Specie Eucaristiche, il riferimento escatologico «donec venias» («nell’attesa della tua venuta») è quantomeno pedagogicamente fuori luogo.
La seconda modifica è più sottile ma non meno grave, anche se tale da non cambiare la sostanza. Essa consiste nell’aver mutato la punteggiatura e la stampa tipografica della narrazione dell’Istituzione. Infatti, nell’antico rito il sacerdote inizia con le parole «Qui pridie quam pateretur», rievocando l’Ultima Cena, quando prese il pane nelle Sue mani sante e venerabili, lo spezzò, lo diede ai Suoi discepoli e disse «Accipite, et manducate ex hoc omnes». Ma a questo punto la narrazione finisce, e inizia l’azione sacra, in cui il celebrante non racconta più, ma è egli stesso Cristo. Il Messale Romano indica questo stacco con un punto fermo, e le parole della Consacrazione sono in caratteri molto più grandi. Lo stesso vale per il calice, dove dal «Simili modo» fino all’«Accipite, et bibite ex eo omnes» si torna alla narrazione, mentre le parole della Consacrazione sono di nuovo più grandi, e nettamente separate dalle precedenti e da «Haec quotiescumque feceritis» che seguono. Anche nella gestualità è previsto che il sacerdote si inchini, recitando le parole con la massima reverenza ed attenzione.
R – Le modifiche da Lei accennate saranno pure in consonanza col rito protestante; ma essendo in sè innocenti, non c’è da preoccuparsi, bensì da rallegrasi che lì ci incontriamo con i protestanti.
14 – Nel rito riformato non sussiste più una distinzione né ortografica né tipografica: le parole del Signore iniziano con «Accipite, et manducate ex hoc omnes» per il pane e «Accipite, et bibite ex eo omnes» per il calice, pur non facendo parte della Consacrazione; e sono nello stesso carattere. In pratica la narrazione che precede e contestualizza l’azione sacra diventa parte integrante dell’azione stessa, esattamente come sostengono i protestanti. Non a caso nel Messale riformato la rubrica indica questo momento come «racconto dell’Istituzione», cosa che conferma ancora una volta la deliberata intenzione di eliminare quei «fattori disturbanti» – per usare le Sue parole – «in considerazione delle esigenze ecumeniche». Tutto questo, ovviamente, non invalida la Messa: ripetiamolo pure per l’ennesima volta; ma induce i semplici – specialmente oggi, che il Canone è recitato ad alta voce – a considerare questa parte della Messa non come la realizzazione del Sacrificio del Calvario, ma come la rievocazione dell’Ultima Cena – la Santa Cena, appunto – che invece, per la dottrina cattolica, fu un’anticipazione del rito del Golgota. Chiariamo il concetto: quando Nostro Signore celebrò la prima Messa, Egli anticipò in modo mistico la Passione che si apprestava a subire l’indomani, proprio come in tutte le Messe che seguirono si rinnova in modo mistico ed incruento il Sacrificio della Croce. Della Croce, non dell’Ultima Cena. E ancora: della Croce, non dell’Ultima Cena.
R – Anche in questo caso si può certo intuire la volontà del Liturgista di avvicinare la Messa cattolica alla Cena luterana; ma trattandosi di un elemento innocuo, vale quello che ho detto sopra.
Resta il fatto che tra la Cena luterana da un parte e, dall’altra, il Vetus e Novus Ordo c’è un abisso, anche se ad uno sguardo superficiale può sembrare che il Novus Ordo ceda al rito luterano. Ma dov’è questa differenza abissale? Che mentre nei due riti cattolici il ministro obbedisce al comando di Cristo: «FATE QUESTO», ossia «operate la transustanziazione», la Cena luterana, benché ammetta a modo suo la Presenza reale, si limita ad essere un semplice memoriale, un semplice ricordo edificante e commovente di quello che Cristo ha fatto, peraltro fraintendendo il punto culminante della consacrazione del suo corpo e del suo sangue, tanto che uno Schillebeeckx è arrivato a dire che il calice innalzato da Cristo è stato l’«ultimo brindisi prima di morire come martire il giorno dopo».
Per questo Ella osserva giustamente che mentre nella Cena luterana il ministro si limita ad una semplice narrazione dei fatti, nella Messa cattolica – Vetus e Novus Ordo – il celebrante non si limita a ricordare ciò che Cristo ha fatto, ma lo rifà o meglio lo riattualizza in Persona Christi. Infatti Lutero, benché avesse celebrato Messa per quindici anni, allorchè si convinse dell’inutilità delle opere per salvarsi, il famoso sola gratia, smise di celebrare, perché considerava la Messa un’«opera».
15 – Ella sostiene che il Vetus Ordo «appariva espressione di un clima ecclesiale superato dalle nuove esigenze liturgiche e pastorali, nonchè dalla nuova ecclesiologia e sacramentaria elaborate dal Concilio Vaticano II». Ohibò! Scopriamo che, pur non essendo cambiato nulla tra ante e post, il Concilio ha «nuove esigenze liturgiche e pastorali», così come ha una «nuova ecclesiologia e sacramentaria». Strano davvero: mai nella storia della Chiesa si è proposto l’insegnamento di un Concilio come «nuovo», ma casomai come perfettamente coerente con l’antico, secondo l’adagio «Nihil est innovandum, nisi quod traditum est». E scopriamo che Ella riconosce che il Vaticano II non solo si è adeguato a nuove esigenze liturgiche e pastorali, ma che ha anche una ecclesiologia ed una sacramentaria sue proprie. Col termine ecclesiologia si intende la dottrina concernente i caratteri fondamentali della Chiesa e con sacramentaria la dottrina concernente i caratteri fondamentali dei Sacramenti: se entrambe le discipline riguardano aspetti fondamentali, cambiando questi, cambia anche l’intero edificio che si basa tanto sulla Chiesa quanto sui Sacramenti. In sostanza, mi sta dicendo che quella che io chiamo setta conciliare è effettivamente un’altra cosa, una cosa nuova e diversa, rispetto alla Chiesa Cattolica. E che questa entità nata dal Vaticano II si sarebbe data anche una propria liturgia ed una propria pastorale. Se non è questa un’altra religione, mi dica Lei cosa può esserlo.
R – Parlando di nuova ecclesiologia e nuova sacramentaria, non intendo affatto scuotere le fondamenta dell’una e dell’altra. Non sono un modernista. Ma se si apprezza il nuovo, non per questo si è dei modernisti, se questo nuovo è buono e in continuità con l’antico. E questo è ciò che intendo dire, questa è stata l’opera del Concilio.
16 – È proprio il fatto d’esser un rito nuovo che pone il rito riformato fuori dalla secolare tradizione della Chiesa. Mai, mai nella sua storia millenaria la Chiesa ha osato inventarsi un Ordo, men che meno avvalendosi di nemici dichiarati – quali sono gli eretici – per portarvi il loro velenoso contributo.
R – Come ho già detto, il nuovo non è necessariamente cattivo. Anzi, per la Scrittura il nuovo proviene da Dio: pensi al Nuovo Testamento! S.Paolo non parla di un «uomo nuovo». In tal senso il Concilio ha rinnovato il rito della Messa. Non bisogna confondere il novatore col rinnovatore. Il primo introduce una novità dannosa; il secondo una novità benefica. Nei giudizi morali o tecnici ciò che interessa è distinguere il buono dal cattivo; interessa poco che sia nuovo o antico. Il vino vecchio è migliore del nuovo. Ma un computer nuovo è meglio del vecchio.
Se in una tradizione liturgica si è sempre fatto in un certo modo, a meno che non si tratti di punti essenziali, non è detto che si debba sempre fare in quel modo, se ci sono buone ragioni per cambiare. La riforma liturgica conciliare, come ho già detto in un mio precedente intervento, ha lasciato intatta non solo la validità, ma anche la sostanza della Messa in tutte le sue cinque parti essenziali, e mutando solo sul piano dell’accidentalità e della contingenza, non per il gusto di cambiare, come fosse una donna che vuol cambiare acconciatura, ma per soddisfare certe giuste esigenze o prospettive dell’uomo d’oggi.
La tradizione liturgica non ha la stessa assolutezza della Sacra Tradizione, che, insieme con la Sacra Scrittura, nell’interpretazione del Magistero della Chiesa, è la fonte della divina Rivelazione. I contenuti e gli usi della Sacra Tradizione rivelati da Dio sono assolutamente immutabili; ma non lo sono tutti quelli della tradizione liturgica stabilita dalla Chiesa.
Il buon fedele, istruito dal Magistero, deve sapere che cosa nella tradizione liturgica può essere cambiato e che cosa no. L’argomento che a volte si sente avanzare da chi respinge le novità liturgiche ufficiali, è che «da duemila anni si è fatto sempre così». Ma in questo caso l’argomento non vale. Infatti, anche il fatto che una donna nel corso della Messa proclami le Letture precedenti al Vangelo o dia un annuncio ai fedeli o distribuisca la Comunione o la Comunione nella mano sono cose che in duemila anni non si erano mai viste. Eppure, la Chiesa, in forza del suo potere giurisdizionle-pastorale, ha voluto queste cose. Invece non potrà mai accadere che una donna consacri l’eucaristia o scriva un’enciclica o amministri la cresima.
Per quanto riguarda la presenza della donna nel presbiterio e i ministeri femminili, tutto ciò è un segno delle nuova sacramentaria ed ecclesiologia, alle quali ho accennato, le quali, a loro volta, sottendono una nuova antropologia, più biblica, non più quella della superiorità dell’uomo sulla donna, ma della complementarità reciproca nell’uguaglianza di natura e pari dignità personale, per le quali la donna si associa al sacerdote non all’altare, ma all’ambone, a rappresentare la sua partecipazione alla liturgia della Parola, a lei accessibile, restando esclusa dalla liturgia eucaristica, esclusivamente propria del ministero maschile. Ma qui è degno di nota anche il tema ecumenico con i luterani, i quali, come è noto, risolvono l’Ultima Cena nella proclamazione e nel nutrirsi della Parola escludendo l’offerta del sacrificio.
Tuttavia siamo daccapo: l’esclusione della donna dal presbiterio nel Vetus Ordo ha un preciso e sempre attuale significato: rappresenta le misure da prendersi in conseguenza del peccato originale, a causa del quale il rapporto uomo-donna dev’essere soggetto ad un’opportuna disciplina. Invece il Novus Ordo rappresenta, come ho detto, la prospettiva escatologica della riconciliazione e della fraterna unione fra uomo e donna.
Di nuovo allora vediamo come Vetus Ordo e Novus si completino a vicenda, per cui ciascuno dei due deve mantenere la propria identità, affinchè l’unione non diventi confusione, ma sia reciproca integrazione e mutua complementarità. Non è quindi questione di migliore o peggiore, di perfetto o imperfetto, di omissione o commissione, ma diversità sullo stesso piano, che l’unica Messa istituita da Nostro Signor Gesù Cristo, pridie quam pateretur, allorchè Egli ci ha mostrato di amarci «sino alla fine» (Gv 13,1).
Il Vetus Ordo, che tiene presenti le miserie, i peccati, i lutti, e le sofferenze della presente vita mortale, è tutto centrato sul Mistero della Croce, ed è iustum, aequum et salutare, anche se ovviamente guarda alla resurrezione futura. Pensiamo al colore nero della veste liturgica, chiaro simbolo della morte. Il Novus Ordo, invece, si celebra maggiormente nella luce della gioia pasquale, accentua la simbologia del banchetto messianico. Al nero è sostituito il viola, che non è la morte, ma la vita penitente. Senza negare la sublime bellezza del canto gregoriano, i canti del Novus Ordo, che peraltro non escludono necessariamente il gregoriano, sono più gioiosi, mentre il gregoriano sembra più venato da una sottile, seppur santa mestizia. Dunque, ancora una volta, complementarità reciproca: niente Croce senza Resurrezione, niente Resurrezione senza Croce.
Basta, dunque, da una parte, con le opposizioni, l’elitarismo, le lamentele, i litigi, le piccinerie, le rigidezze, i passatismi, i complessi di superiorità, e dall’altra con l’indisciplina, il modernismo, l’offesa alla tradizione, le volgarità, le buffonerie, la demolizione, la trascuratezza, la sciatteria, gli empi arbitrii, le profanazioni, le baldorie fuori luogo, i raduni mondani, le manifestazioni pauperistiche, i comizi politici, le chiassate e gli spettacoli sconci nelle chiese, i sacrilegi, le condanne reciproche e gli esclusivismi, che ignorano o disprezzano le sagge direttive della Chiesa, Madre e Maestra e sono la rovina del culto di Dio.
È scandaloso ed intollerabile che fratelli battezzati nell’unica fede, si accapiglino e si escludano a vicenda proprio là, dove Cristo ci vuole sommamente uniti, una cosa sola, seppure nella legittima diversità. Seguiamo gli esempi e la guida dei sacerdoti che celebrano con vera devozione, in piena comunione con la Chiesa, non importa se nel Vetus o nel Novus Ordo.
17 – La liturgia rappresenta lo sviluppo armonico di un corpus iniziale. É evidente che la forma antica, ad esempio del IV secolo, fosse meno articolata di quella che essa ha assunto nel Medioevo o nel Rinascimento. Ma questo sviluppo fu naturale, come è naturale che il corpo di una persona passi dall’esser piccolo e fragile in tenera età all’acquisire forza e vigore con la giovinezza. Eppure nessuno pensa che un adulto non sia la stessa persona di quand’era bambino: cambia la statura, si muta la voce, si sviluppano i muscoli, ma il fanciullo di un tempo è sempre lo stesso quando ha raggiunto la maturità.
Viceversa, il Novus Ordo è frutto di un’operazione chirurgica in cui una Commissione di esperti ha compiuto mutazioni incoerenti con lo sviluppo armonico del rito, amputandolo, spostando parti, aggiungendone altre.
Quel che lo Spirito Santo ha ispirato alla Chiesa per la Liturgia è opera mirabile, nella quale le esigenze dottrinali e spirituali dei fedeli trovavano una risposta, proprio come in natura il corpo di un uomo può sviluppare ad esempio le gambe per la corsa, le spalle e le braccia per il nuoto, la voce per il canto. Così in presenza dell’eresia luterana la saggezza della Chiesa ha allenato l’atleta a sviluppare i muscoli per contrastare gli errori di quel momento, e in presenza dell’errore laicista ha istituito la festa di Cristo Re per affermare la Regalità sociale di Nostro Signore, che la setta conciliare ha confinato in una dimensione escatologica, espungendo proprio quei testi – pure attualissimi nel ribadire la dottrina cattolica – in cui si chiede a Dio che tutte le nazioni si sottomettano allo scettro di Cristo.
R – Le scelte liturgiche della Chiesa non esprimono sempre lo sviluppo armonico di un dato precedente, ma possono esprimere una novità assoluta o un cambiamento di direzione. Esempio del primo caso è l’istituzione dei ministeri femminili, novità assoluta nella storia della sacramentaria; esempio del secondo è l’abbandono, per quanto possibile, degli elementi antiluterani, sostituiti da elementi di affinità con la Cena luterana, senza naturalmente accettare l’aspetto eretico. Ecco il passaggio dal Vetus al Novus, senza per questo abolire il Vetus, che conserva la sua peculiarità antiluterana.
18 – Apprezzo ch’Ella abbia l’onestà intellettuale di riconoscere che il Novus Ordo è altro rispetto al Vetus. Ma è il semplice fatto di essere appunto altro che lo squalifica, perché nella Chiesa la novità è sempre, invariabilmente un segno di manomissione che le è estraneo. Tradidi quod et accepi: alla Chiesa non è chiesto di inventare cose nuove, ma di custodire gelosamente quelle che Nostro Signore le ha affidato, senza togliere né aggiunger nulla.
R – Come ho già detto, l’alterità, la diversità e la novità di per sé sono valori, a meno che non abbiano un carattere corruttore, distruttivo, ostile, antagonista o malvagio. Ma tutto ciò nulla ha evidentemente a che vedere con il carattere e gli intnenti del Novus Ordo rispetto al Vetus. Il Novus lascia perfettamente vivere il Vetus; ma chiede nel contempo al Vetus di essere da lui rispettato. Con l’ammettere la legittimità di entrambi, la Chiesa dimostra di volere che essi convivano e collaborino fraternamente nella comune lode a Dio.
19 – Mi lasci concludere con una riflessione. Sappiamo dalla Sacra Scrittura, dalla concorde voce dei Padri e dal Magistero dei Romani Pontefici che la Chiesa dovrà attraversare una gravissima crisi, una vera e propria persecuzione. Nostra Signora ha più e più volte messo in guardia il popolo cristiano, con numerose apparizioni approvate dall’Autorità Ecclesiastica, circa l’apostasia che incombe. A La Salette, la Santissima Vergine ha detto: «Roma perderà la fede e diventerà la sede dell’Anticristo», e con analoghe parole Leone XIII vide che la Sede di Pietro sarebbe stata perseguitata dai suoi nemici, «ut destructo Pastore, et gregem disperdere valeant».
Lo stesso Catechismo parla espressamente di una grande prova. E sappiamo bene che il Terzo Segreto, nonostante i grotteschi tentativi della Segreteria di Stato, non è stato rivelato nella sua interezza, e che il contesto in cui esso si colloca lascia prevedere una gravissima apostasia in seno alla Chiesa. Ma sappiamo anche che alla fine, per le promesse di Cristo che è Sovrano assoluto della storia e Capo del Corpo Mistico, la guerra che si combatte da sempre tra Dio e Satana vedrà la sconfitta inesorabile del Nemico e la vittoria gloriosa del Signore degli Eserciti, il Dio Sabaoth.
Sappiamo anche, dal Protoevangelo, che a schiacciare il capo dell’antico Serpente sarà la Madonna, terribilis ut castrorum acies ordinata. Dinanzi ai terribili eventi profetizzati dalle Scritture ed annunciati dalla Vergine, anche l’apostasia della Gerarchia assume un significato escatologico, e non fa venir meno l’assistenza di Dio al pusillus grex. Cosa videro i discepoli, dopo il Calvario? Il fallimento delle loro speranze, la fine ingloriosa – agli occhi del mondo – del loro Signore trafitto sul legno della Croce.
Sola a conservare la fede, la Madre del Salvatore ha custodito nel proprio Cuore Immacolato la certezza che il Suo divin Figlio sarebbe risuscitato dai morti, e così avvenne. Con quella stessa certezza, che ci viene dall’umile confidenza in Dio e dall’esempio della Consolatrice degli afflitti, affrontiamo anche il Calvario della Chiesa, che come Corpo Mistico di Cristo deve affrontare anch’essa la propria passione ai tempi dell’Anticristo, così come l’ha sofferta nei suoi membri durante lo scorrere della storia.
Chiediamo a Lei, Auxilium Christianorum, di conservare in noi il fuoco della Carità, la fiamma della Fede e la luce della Speranza, perché non ci troviamo in mezzo alla scelesta turba di quanti ridono e scherniscono la Sposa di Cristo, condotta verso il Golgota. La Santa Chiesa risorgerà gloriosa: la sua liturgia, specchio di quella celeste, non sarà certo quella di Monsignor Bugnini.
R – Condivido pienamente questi suoi sentimenti, constatazioni, voti e speranze nell’intercessione del Beatissima Vergine Maria. Gesù Cristo Sommo Sacerdote sia Lui a dar voce a tutti i sacerdoti di Vetus e Novus Ordo: HOC EST ENIM CORPUS MEUM. HIC EST CALIX SANGUINIS MEI.
P.Giovanni Cavalcoli
Varazze, 8 dicembre 2018
Solennità dell’Immacolata Concezione
Marco Tosatti
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