Le “messe” senza prete in una condiziona di disagio, ma non di impossibilità, diventeranno la morte del sacerdozio e peggioreranno la situazione. E’ il sacrificio per Dio ad essere fecondo, a generare vocazioni, ad attirare grazie. Ed è questo che non vogliamo capire. A questo si aggiunge l'umiliazione della figura del parroco. Il parroco “padre” è stato sostituito dal parroco “direttore di filiale”, amministratore, gestore.
Tra le risposte dei nostri lettori alla nuova campagna #salviamolamessa è arrivata anche una lunga lettera di un diacono dell’Arcidiocesi di Modena-Nonantola, che spezza una lancia in favore delle celebrazioni della Parola domenicali, sostitutive della S. Messa; ovviamente in alcune precise situazioni. E’ una lettera che merita un’ampia risposta.
Anzitutto diamo la parola al nostro diacono, che ci presenta un po’ il quadro in cui offre il suo servizio pastorale: “Il territorio nel quale opero è sui primi contrafforti dell’Appennino, da 500 a 900 metri sul livello del mare; è molto esteso. Fanno parte del vicariato 21 parrocchie che vanno da 150 a 2500 anime ed è diviso in 3 unità pastorali [...] I sacerdoti che hanno incarichi pastorali nel vicariato sono quattro, rispettivamente di 77, 89, 91 e 45 anni. Cercano di resistere sulla breccia nonostante gli acciacchi. Il clero è formato inoltre da due diaconi permanenti: 76 e 50 anni. Dalla Curia, la domenica, è inviato qualche sacerdote per assicurare la celebrazione eucaristica in quasi tutte le chiese distanti tra loro svariati chilometri percorribili su strade di montagna, a volte, non asfaltate. Dove non è possibile, anche per questioni di salute, di partecipazione ad attività pastorali (campi estivi giovani e ragazzi, esercizi spirituali …), il diacono celebra la Liturgia della Parola”. Questa è dunque la situazione del Vicariato di Serramazzoni, che comprende le parrocchie ai piedi del Cimone. Oltre a conoscere queste zone, conosco bene anche la realtà appenninica, perché anch’io vivo a oltre 800 m. di altitudine, sul crinale dell’Appennino bolognese. Moltissime frazioni, alcune abbarbicate non si sa dove, ognuna delle quali ha la sua chiesina, pochi abitanti e sacerdoti ridotti al lumicino.
Il diacono fa notare che in queste aree della nostra Italia che stanno vivendo uno spopolamento, dovuto da un lato al crollo generale delle nascita e dall’altro alla “fuga” in città delle persone, “la comunità che si stringe attorno alla chiesa e al piccolo cimitero è l’unico legame che unisce ancora alla terra d’origine i pochi abitanti che si ritrovano insieme a pregare e familiarizzare la domenica, e le altre feste e novene; si forma così quell’aggregato sociale che permette di agire e operare per il bene comune”. Dunque tenere aperte queste chiese, in cui trovarsi per pregare, è quasi l’unico fattore che permette alle persone di rimanere; ed avere la possibilità della presenza di un diacono è un ulteriore fattore di coesione. Ho collaborato per due anni con un diacono della mia zona, insegnando catechismo ai bambini, e posso dire che è vero.
Il mio dissenso inizia però quando questi fattori importanti diventano ragione per preferire celebrazioni non eucaristiche alla S. Messa. Posso capire che “i fedeli non apprezzano la celebrazione della Messa da parte di sacerdoti con cui non possono neppure colloquiare in quanto immediatamente in auto per celebrare a 20 chilometri un’altra Eucaristia”; ma qui il problema non è colloquiare con il sacerdote, ma di unire noi stessi a Gesù Cristo, nel suo atto di perpetua offerta al Padre, che si rende presente nella Messa. L’unione all’offerta di Cristo è il senso della nostra vita: ciò che non è “preso” da Lui e presentato al Padre, è destinato a dissolversi: “chi non raccoglie con me, disperde (Mt. 12, 30). La Messa è il senso di ogni cosa: del mondo, della nostra vita, delle nostre pene. Tolta quella, è tolto tutto. Allora non è corretto preporre l’aspetto umano della presenza del sacerdote, al sigillo sacramentale che gli è stato conferito e che lo abilita ad offrire la Vittima divina e noi stessi in persona Christi capitis.
Il punto chiave della questione, su cui non possiamo essere disposti a mollare, è che se passa l’idea che la Messa domenicale non vale un viaggio di 20, 30, 50 minuti, un’ora, allora è finita. E’ finita in quanto questa mentalità toglie linfa alle vocazioni sacerdotali, perché il sacerdote è anzitutto l’uomo del Sacrificio eucaristico, dei sacramenti. Ma se la Messa non vale un po’ di fatica e disagio, perché dare tutta la propria vita per celebrarla? Le idee non passano solo perché si dicono certe cose o se ne tacciano altre, ma anche e soprattutto perché si crea un modus vivendi. Dunque, la moltiplicazione di queste celebrazioni sostitutive delle Messe domenicali diffonde sempre di più quel virus letale della subordinazione di Dio e del culto che gli è dovuto ad altro, compreso il nostro agio: è questo il terreno che ha inaridito le vocazioni sacerdotali, fino quasi ad estinguerle. Queste “messe senza prete”, nelle condizioni in cui siamo noi, che è sì di disagio, ma non di impossibilità, diventeranno la morte del sacerdozio e peggioreranno la situazione a vista d’occhio, anziché contenerla. E’ il sacrificio per Dio ad essere fecondo, a generare vocazioni, ad attirare grazie. Ed è questo che non vogliamo capire.
Il problema della comunità legata alla sua chiesa può essere risolto in altro modo; per esempio, attraverso la preghiera comune del Santo Rosario, o dei Vespri; valorizzando il mese di maggio, la festa del Patrono, organizzando delle Novene in preparazione alle maggiori Solennità o Feste. Ancora, la domenica, e altri giorni della settimana, si può prevedere l’adorazione del Santissimo Sacramento ed anche la benedizione, se è presente il diacono (o solo l’esposizione, se è presente un accolito). Ma tutto questo prende forza dalla Messa e ad essa spinge. Non si tratta perciò di sottolineare la vita di preghiera comunitaria a scapito della Messa, ma di dare a ciascuna il suo posto ed il suo valore.
Nella lettera, il nostro lettore fa anche notare che “quando viene il presbitero, dovrebbe fermarsi, confessare, visitare gli ammalati per l’Unzione degli infermi, partecipare alla responsabilità dei catechisti e parlare con i ragazzi del catechismo … e non partire con la lingua in fuori per arrivare in tempo altrove”. Siamo d’accordo; ma, se non c’è il tempo materiale per farlo di domenica, si può e si deve fare in un altro giorno. E qui mi arrischio a toccare un nervo scoperto: che cosa ci fanno dei sacerdoti negli uffici delle curie, otto ore al giorno, dal lunedì al venerdì, a fare cose che potrebbero fare anche dei laici? Cosa ci fanno dei sacerdoti continuamente in riunione, vuoi per quella del clero, vuoi per quella vicariale, vuoi perché è membro di svariati uffici pastorali? Cosa ci fanno dei sacerdoti a perdere tempo a organizzare feste, meeting, giornate dello sport e quant’altro? Questo è il secondo problema: i sacerdoti ormai fanno (e, a volte, sono costretti a fare) di tutto e di più, ma poi non hanno il tempo di dedicarsi alla santificazione delle anime. Oltre alla svalutazione della Messa, è anche la corrispondente svalutazione del sacerdozio che sta svuotando i seminari; ma sembra che i Vescovi siano contenti così.
Anche la figura del parroco è stata colpita al cuore. Il parroco “padre” è stato sostituito dal parroco “direttore di filiale”, amministratore, gestore. Complice di questo restiling è anche la nostra Conferenza Episcopale, che ha stabilito in nove anni la durata della nomina di parroco; e ci è pure andata bene: dalle altre parti si propende per un sessennio. Ora, non bisogna essere dei fenomeni per capire che un parroco “a tempo determinato” difficilmente sviluppa una vera paternità, che per sua natura, ha durata illimitata verso gli stessi figli e fedeltà illimitata alla stessa sposa. Una volta un parroco prendeva possesso della parrocchia per rimanervi: ogni volta che celebrava un funerale per un parrocchiano e lo portava al cimitero, sapeva che lì sarebbe stato sepolto anche lui. E se non era così, era perché ne aveva combinato una così grossa da meritare di essere spostato chissà dove. Si smussava lui e si smussavano i fedeli, i quali in fondo sapevano che, simpatico o meno, il parroco era sempre là e non smetteva mai di fare le stesse cose, quelle che forgiano un cristiano: la Messa, l’assoluzione delle colpe, la predicazione, la catechesi. Quelle che giustamente il nostro diacono lamenta che non vengono più fatte.
Allora, giù il cappello alla generosità di diaconi come il nostro lettore, ma la diffusione di queste celebrazioni sta tutta nell’incomprensione del valore della Santa Messa e della vocazione sacerdotale. E’ la sparizione del primato di Dio.
Luisella Scrosati
http://www.lanuovabq.it/it/se-il-parroco-e-solo-un-direttore-di-filiale
«QUANDO AVRAI ELIMINATO L’IMPOSSIBILE, CIÒ CHE RIMANE, ANCHE SE POCO PROBABILE, DEVE ESSERE LA VERITÀ» … E IL VERBO SI FECE CARNE
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Sherlock Holmes, acuto investigatore, risolve i casi più intricati e misteriosi di assassinio, scoprendo con arguta sagacia l’omicida. Questo personaggio, è così in grado di rivelarci qualcosa di nascosto, portando alla luce ciò che non è subito visibile. Egli ha come proprio motto: «Quando avrai eliminato l’impossibile, ciò che rimane, anche se poco probabile, deve essere la verità» … E il Verbo si fece carne.
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Buon Natale a tutti voi!
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Anche quest’annoabbiamo la gioia di vivere insieme questa solennità del Signore. La nascita di Gesù, Figlio di Dio, è uno dei principali misteri della nostra fede, sintetizzato nel Vangelo di Giovanni appena proclamato [vedere testo, QUI]. Proviamo ad addentrarci in questo grande mistero a partire da un’opera letteraria.
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Tutti conosciamo il personaggio letterario Sherlock Holmes, nato dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle nel secolo scorso nel romanzo Uno Studio in Rosso. Holmes, investigatore privato londinese, è accompagnato dall’amico medico, il dottor Watson. Holmes, acuto investigatore, risolve i casi più intricati e misteriosi di assassinio, scoprendo con arguta sagacia l’omicida. Questo personaggio, è così è in grado di rivelarci qualcosa di nascosto, portando alla luce ciò che non è subito visibile. Egli ha come proprio motto: «Quando avrai eliminato l’impossibile, ciò che rimane, anche se poco probabile, deve essere la verità».
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Con la sua nascita e venuta al mondo, Gesù bambino aiuta tutti noi ad entrare nella luce del mistero di Dio; con questa sua missione, che in teologia è chiamata missione visibile della Trinità, ci aiuta ad eliminare l’impossibile ed a trovare quella verità che, a prima vista, può sembrare persino poco probabile.
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Il Vangelo di Giovanni che abbiamo ascoltato poco fa ci aiuta dunque a cogliere il grande mistero. Per comprenderlo, bisogna partire dalla fine del brano:
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«Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» [cf. v. 18].
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Il desiderio forte che ci rende uomini in uno stato più elevato consiste nel vedere, conoscere e scoprire. Perciò il desiderio di conoscere e scoprire Dio è quello più alto in assoluto. È una scintilla di umanità che vuole diventare fuoco. Questo ce lo permette il Figlio unigenito, Gesù, che è Dio insieme al Padre seppure distinto da Lui. Gesù esaudisce il nostro desiderio più profondo di aprirci alla verità e all’amore più grande. Ciò è possibile perché ci ha donato, in questo Natale tutto sé stesso: «Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia» [cf. v. 16].
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Diventando uomo, Gesù accoglie tutta l’umanità e tutto l’uomo senza eccezione e senza condizioni: questa è la sua pienezza. L’averci accolto incondizionatamente ha permesso una cascata di amore e accoglienza: questa cascata è la Sua grazia che, innanzitutto, noi riceviamo nei sacramenti.
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Tramite la grazia che apre la nostra conoscenza profonda di Dio, possiamo esseri certi che
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« Il Verbo si fece carne, e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria […]» [cf. v. 16].
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Nella cultura attuale questo sembra davvero improbabile e inaccettabile. Perché il Verbo che è Dio, spirituale e invisibile, farsi carne [dal greco σάρξ, sarx]? Perché Dio è amore e vuole chiamarci ad un’intimità e tenerezza profonda con Lui, sino a permettere il miracolo di assumere la natura umana ed un corpo vero, reale e fisico. Esattamente come una gocciolina d’acqua viene assunta in una più ampia parte di vino, così natura umana e divina esistono insieme in Gesù. Fra poco vedrete questo mistero della duplice natura, mostrato nella liturgia quando io stesso, adempiendo alla mia funzione di diacono, mescolerò nel calice insieme al vino con qualche gocciolina d’acqua, seguita dalle sommesse parole:
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«L’acqua unita al vino sia segno della nostra unione, con la vita divina di Colui che ha voluto assumere la nostra natura umana».
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Perciò ora che sappiamo che Gesù ci ha rivelato Dio, ci ha spalancato le porte della grazia e ci ha permesso di contemplare la gloria della sua bellissima duplice natura, con occhi scintillanti di felicità e serenità possiamo dire con fede: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio» [cf. v. 1].
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Il Verbo, dal greco λόγος, logos [Parola] è Dio stesso: è la seconda persona della Trinità, Gesù Cristo ed è intimamente unito al Padre, e vuole trasportarci alla intima unione con la Trinità stessa e dunque ad essere piccola Trinità anche noi.
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Questo mistero, dall’alto della sua intangibilità, ora scende nella concretezza della vita quotidiana: adesso che tornerete a casa per radunarvi assieme con chi più amate per il pranzo di Natale, chiediamo al Signore la forza e la determinazione di essere testimoni di fronte ai nostri parenti e amici dell’amore di Gesù che oggi nasce. Affinché noi stessi, una volta ricevuto Gesù nella comunione eucaristica e uniti in Lui, possiamo condurre anche i più lontani alla grotta di Betlemme. Affinché anche noi tramandiamo la purezza, la bellezza e la verità con cui viviamo la fede cattolica.
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Così sia.
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Roma, 25 dicembre 2018
Natività del Signore
Il parroco che sciopera contro i fedeli distratti
Messe vuote, don Riccardo sospende le funzioni e si dà alla macchia. La diocesi invia un sostituto
Messe vuote, don Riccardo sospende le funzioni e si dà alla macchia. La diocesi invia un sostituto
La messa è finita, andate in pace. Anzi, ora la messa non ci sarà proprio più. Perché il parroco si è avvalso dell'articolo 40 della costituzione italiana, ha deciso di «incrociare le braccia» e indire uno sciopero.
Della messa. Contro i fedeli.
La clamorosa presa di posizione è di don Riccardo Vaninetti, parroco della parrocchia di Sant'Andrea di Civo, alle porte di Sondrio, un paese di un migliaio di anime. Alla vigilia del Natale, il sacerdote ha appeso un cartello sulla bacheca della chiesa: «Si informa la comunità parrocchiale che a decorrere da oggi, sino a nuove disposizioni, sono sospese tutte le funzioni religiose». Il motivo dello sciopero è semplice: pochi fedeli, e spesso distratti, partecipavano alla messa.
Un rapporto spesso difficile, raccontano i fedeli, quello tra il sacerdote e i parrocchiani. Fedeli spesso poco attenti durante la messa, poco partecipativi alle attività parrocchiali. Fino all'ultimo episodio, che ha scatenato la decisione: mentre don Riccardo celebrava messa, molti parrocchiani allestivano l'albero di Natale sul sagrato. Da qui la decisione choc del prete.
Sul fatto è intervenuta immediatamente la diocesi di Como, da cui dipende il paese, assicurando che le celebrazioni durante le festività natalizie si terranno regolarmente. «La comunicazione affissa sul portone è stata rimossa dopo poche ore. La celebrazione delle messe è stata sempre garantita. Le iniziative rivolte ai fedeli, adulti e bambini, in preparazione del Natale, si sono svolte regolarmente con la vicina comunità di Mello. La diocesi si pone in un atteggiamento di ascolto saggio e attento nei confronti del parroco, dei fedeli e della comunità di Civo, in un percorso di dialogo e di rispetto per affrontare insieme fatiche e difficoltà», si legge nella nota diocesana. Ma tant'è. Don Riccardo non si vede da giorni, in netta polemica con i fedeli. E al suo posto, a turno, la diocesi ha inviato un sostituto.
Qualche mese fa, nel veronese (a Salionze e Oliosi), era accaduto il contrario: a scioperare, contro il parroco don Daniele Muraro, erano stati i fedeli, che avevano portato alla rimozione del sacerdote dalla parrocchia. Un carattere molto diverso dal suo predecessore, scelte non sempre appoggiate dalla comunità, fino alla decisione dei fedeli di «boicottare» il prete. Prima le dimissioni di un gruppo di catechiste, poi quelle del consiglio pastorale. Ma soprattutto lo svuotarsi della chiesa durante le messe domenicali, solitamente sempre molto affollate. Don Daniele ha cercato di spiegare le sue ragioni e le sue scelte, cercando un ravvicinamento con la comunità. Ma nulla da fare. La curia veronese ha rimosso il «don».
C'è poi un terzo caso. Quello di don Paolo Farinella, della chiesa di San Torpete a Genova, che ha scelto l'«obiezione di coscienza» contro il dl Salvini. E ha deciso di non celebrare messa il 24 dicembre. Un decreto che il parroco considera «di massima insicurezza e sfregio dei valori e dei sentimenti più profondi della democrazia e del diritto». Non solo. Il decreto sarebbe «incostituzionale» così come il motto «prima gli italiani» sarebbe un «obbrobrio giuridico che fa straccio di secoli di conquiste di civiltà giuridica». «Con quale diritto si difende il sacerdote - i cristiani possono pretendere di celebrare il Natale di quel Gesù che il loro Paese, senza alcuna loro resistenza o protesta, espelle l'Uomo nel Figlio di Dio?».
Insomma, anche la chiesa vive la dura legge economica della domanda e dell'offerta. Con crisi «economiche» e spirituali che portano perfino allo sciopero.
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