Sotto lo sguardo di Dio la verità si svela, semplice. La verità ultima non è alla portata dell’uomo così come non lo è la scelta definitiva e irrevocabile del bene: Dio è la verità, e la verità è bene, mentre la menzogna è male
di Francesco Lamendola
La verità esiste ed è accessibile agli uomini; la verità è semplice; la verità, tuttavia, si svela a chi ha il cuore semplice; la verità resiste agli orgogliosi e ai superbi, che vogliono afferrarla solo razionalmente. Questo è il segreto che i nostri nonni conoscevano intuitivamente, che i nostri avi conoscevano anche intellettualmente: che Platone ha cercato di esporre per mezzo dei miti e che san Tommaso ha cercato di esprimere affermando che fede e ragione concorrono al medesimo fine. Dante ha voluto trasmettere il medesimo concetto ricordando che esiste un limite a ciò che l’uomo può conoscere con le proprie forze, e che per giungere alla conoscenza delle cose più alte, egli deve trovarsi in grazia di Dio. Ora, la cosa più alta in assoluto è Dio: è Lui l’ente supremo, che origina, spiega e comprende ogni altro ente; di conseguenza, l’uomo non può arrivare alla conoscenza di Dio senza l’aiuto di Dio stesso, o, il che è il medesimo concetto, espresso in altro modo, senza trovarsi in stato di Grazia davanti a Lui.
Pretendere di arrivare alla verità senza bisogno del suo aiuto e senza essere in grazia di Lui, equivale a sfidare Dio e a presumere di essere pari a Dio. La superbia di chi vuole innalzarsi al di sopra dello statuto ontologico della creatura, e la miseria delle passioni disordinate che abbrutiscono l’uomo e lo sprofondano in basso, sono due facce della stessa cosa: la mancanza del timor di Dio e quindi l’allontanamento volontario dell’uomo da Lui. L’uomo che si allontana da Dio non troverà la verità, perché ha deciso, egli stesso, di voltare le spalle alla verità: sarebbe come se uno, dopo essersi privato deliberatamente della vista, pretendesse di vedere, anzi sostenesse di vedere più degli altri e meglio degli altri.
Tutto questo non equivale a una svalutazione della ragione umana, bensì alla capacità di porre la ragione umana nella giusta prospettiva. La ragione è un mezzo, non un fine: un mezzo per seguir virtute e conoscenza. La ragione non è fine a se stessa, dunque neppure la ricerca del vero sarà fine a se stessa: con la verità non si gioca, non è un trastullo intellettuale per persone annoiate dalla vita di ogni giorno. In altre parole, la ricerca della verità nasce dal desiderio di innalzarsi al di sopra delle cose di quaggiù, ma senza disprezzare nulla, senza presumere nulla, senza pensare che l’uomo sia capace di trovare, da solo, quella verità ultima che cerca. La verità ultima non è alla portata dell’uomo, così come non è alla sua portata la scelta definitiva e irrevocabile del bene. L’uomo è fragile, la sua natura è instabile, e soprattutto egli è roso dal verme della concupiscenza, per cui può, in qualsiasi momento, lasciarsi travolgere dai suoi cattivi istinti e fare il male, magari pensando d’inseguire un bene. La sola espressione cattivi istinti farà sobbalzare sulla sedia più di qualcuno: dal punto di vista della cultura moderna, essa è inaccettabile e intollerabile. Ma come! Se l’uomo ha degli istinti, non possono essere cattivi in se stessi; al massimo, l’uomo moderno può arrivare ad ammettere che devono essere guidati e disciplinati. Ma che siano cattivi in se stessi, no, questo non lo ammetterà mai e poi mai: la natura umana è fondamentalmente buona, semmai è la società che la corrompe e la rende cattiva. E chi lo dice? Lo dice Rousseau. E chi è Rousseau? È quel misero pensatore che, senza argomentarlo e senza dimostrarlo, afferma che l’uomo nasce buono per natura, e che, di conseguenza, per spiegare il male, va in cerca di un colpevole esterno, e lo trova nella società. Strano, visto che società è formata da individui in carne e ossa e non da puri spiriti, o da extraterrestri, o da diavoli sbucati fuori dall’inferno. Anche un bambino capirebbe che questo ragionamento, se così lo si vuol chiamare, non funziona; ma, come disse qualcuno, se una determinata affermazione, per quanto palesemente falsa o sciocca, viene ripetuta dieci, cento, mille volte, per settimane e mesi e anni, finisce per diventare un assioma, un dogma, una verità auto-evidente: e così è stato per l’antropologia di Rousseau, malata di ottimismo come quella di Pelagio: l’uomo è buono, i suoi istinti sono buoni.
Rousseau? È quel misero pensatore che, senza argomentarlo e senza dimostrarlo, afferma che l’uomo nasce buono per natura, e che, di conseguenza, per spiegare il male, va in cerca di un colpevole esterno, e lo trova nella società. E' solo un'antropologia malata di ottimismo
E se non sono buoni, rincara la dose Freud, sono comunque amorali, nel senso che non possono essere giudicati secondo il metro del bene e del male, cioè secondo il metro dell’etica. E perché non possono essere giudicati con quel metro? Perché sono istinti umani, dunque devono essere salvaguardati, in ogni caso, dall’accusa di avere in sé alcunché di malvagio. In effetti, dire che gli istinti sono a-morali, o extra-morali, o pre-morali, è una soluzione a metà, una soluzione di compromesso: è come mettere il problema in congelatore, evitando di sporcarsi le mani con una sentenza chiara e definitiva. Eppure, se l’istinto fondamentale dell’uomo, fin da bambino, è - poniamo - quello di assassinare suo padre e di prendere il suo posto nel letto accanto alla propria madre, risulta difficile evitare di definirlo “cattivo”. Pure, la cultura moderna è stata capace di fare anche questo ulteriore salto mortale: dopo aver accettato la “scommessa” indimostrabile, e improbabile, di Rousseau, che l’uomo sia buono per natura, ecco la seconda “verità” ideologica da conciliare con la prima: che il male deve per forza venire da qualche altra parte, perché, quando l’uomo fa il male, e quando persino un bambino fa il male, ciò non nasce da un istinto cattivo, ma da una qualche forma di ottenebramento, da qualche temporanea follia che lo ha offuscato, non dalla sua intima natura. Così, se due bambini di dieci anni rapiscono e uccidono un bambino di due anni – non stiamo inventando nulla, purtroppo: è la storia dell’omicidio di James Bulger, a Liverpool, nel 1993 – e lo fanno semplicemente per noia e per divertimento, ecco che una legione di nipotini di Rousseau e di Freud vengono a dirci che sì, è stata una cosa terribile, ma insomma, sono pur sempre due bambini, qualche cosa li ha traviati, probabilmente la società, la famiglia, la televisione, ma in loro non c’era il male, non c’era la malvagità, hanno fatto del male ma non erano cattivi nel significato proprio della parola, erano solo ottenebrati da qualche fattore disturbante, che li ha momentaneamente accecati. Quante contorsioni intellettuali per negare l’evidenza, ossia che il male esiste ed è nell’uomo, sin da piccolo; che gli istinti cattivi esistono, e lottano nel profondo di ciascuno di noi con gli istinti buoni, la compassione, la solidarietà, il desiderio di proteggere il più debole; e che tutto ciò configura uno scenario ben diverso sia da quello ottimistico di Rousseau che a da quello a-moralistico di Freud.
Quante contorsioni intellettuali per negare l’evidenza, ossia che il male esiste ed è nell’uomo, sin da piccolo.
Dunque, ribadiamo il concetto: la verità esiste, ma per essere degni di vederla, bisogna essere come Dio ci vuole: puri e umili di cuore. Quel che ci fa velo allo sguardo sono i peccati, ed è la superbia, cioè la pretesa di poterci innalzare più in alto di quel che consente il nostro statuto ontologico. Santa Caterina da Siena era - così pare - analfabeta, eppure si era avvicinata alla verità più di un uomo coltissimo e spregiudicato, come Federico II di Svevia, che i suoi contemporanei chiamarono stupor mundi. E gli Apostoli, che Gesù Cristo scelse personalmente in mezzo alla gente di Galilea – non furono essi a scegliere Lui, ma Lui a scegliere loro – non erano persone semplici e illetterate? Erano pescatori, gente umile, che non aveva fatto alcuno studio. Non scelse dei filosofi: eppure dai suoi discorsi traspare una sapienza così sublime, che avrebbe potuto affascinare i più grandi pensatori, da Socrate a Platone. Infatti,il punto è questo: non siamo noi che troviamo la verità, è la Verità che ci illumina dall’alto, quando noi abbiamo reso le pareti della nostra anima e della nostra mente abbastanza trasparenti da poter ricevere la sua luce. Ma finché viviamo sprofondati nel fango delle passioni disordinate, e accecati da una smisurata superbia intellettuale, quella luce noi non la vedremo, quei raggi benefici non li riceveremo, anche se sfolgorassero in pieno sopra di noi, perché, per noi, è come se non esistessero.
Lo sguardo di Dio, nella potente immagine di Kierkegaard, è la verità che noi non riusciremo a vedere fino a quando non avremo imparato a metterci a nudo innanzi a Lui, confessando la nostra debolezza e il nostro bisogno di Lui.
Scriveva Guido Capitolo a conclusione di uno suo breve, commovente scritto, intitolato La verità è semplice, nel quale narra il ritorno al paese natio, dopo vent’anni di assenza, per partecipare ad una commemorazione in onore di suo fratello maggiore, spentosi precocemente tanto tempo prima (da: Pagine inedite del preside Capitolo, in: Quarant’anni del Liceo Scientifico “G. Marinelli” (1923-1963), Udine, Del Bianco, pp. 135):
Il treno ripartì alla grande stazione e caddi in un sonno profondo che mi tolse ogni senso ed ogni immagine, finché le luci del giorno mi ferirono il volto e con un brivido tornai alla coscienza: innanzi a me si stendeva il paesaggio della Lucania, che non vedevo da vent’anni. Non l’avevo mai sentito come allora: un paesaggio di sogno, in bianco e nero: una terra brulla senza alberi e senza fiori; montagne desolate che cadevamo a strapiombo su torrenti rovinosi; villaggi sparsi su posizioni assurde; malinconiche lande senza un segno di vita, con rare macchie e cespugli.
Mi balzò nella mente un passo del Diario di Kierkegaard: “Qui tutto si distende nudo e senza veli dinanzi a Dio; qui non si trovano le molte distrazioni, i numerosi meandri, in cui sembra che la coscienza si possa nascondere e di dove riesce difficile richiamare alla serietà della vita i distratti pensieri. Qui la coscienza deve decidere in modo determinato e preciso di se stessa. Dove io posso sfuggire innanzi al tuo sguardo, o Dio?”.
Compresi allora il segreto dell’anima che veramente è vissuta in quella terra e ci è rimasta aggrappata: là non si sfugge allo sguardo di Dio e la coscienza deve decidere in modo determinato e preciso di se stessa. E compresi che chi non sfugge allo sguardo di Dio, sente che la verità è semplice.
Gli istinti cattivi sono una conseguenza del Peccato originale, ma l’uomo conserva intatta la capacità di fronteggiarli, purché abbia l’umiltà di affidarsi a Dio e di porsi sotto la sua protezione.
Sotto lo sguardo di Dio la verità si svela, semplice
di Francesco Lamendola
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