La pubblicazione del "Manifesto della Fede" ha fatto gridare all'offensiva dell'ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede contro papa Francesco, ma è soprattutto un invito a vescovi e sacerdoti a restare fedeli alla dottrina perenne della Chiesa in un momento drammatico di grave confusione e disorientamento nella Chiesa.
Nell’intervista pubblicata da La Nuova Bussola Quotidiana domenica scorsa, il cardinale Gerhard L. Müller affermava che il problema più grave per la Chiesa oggi è «la relativizzazione della fede», ovvero i «falsi compromessi» con il mondo nella illusoria speranza di essere accettati, ma rinunciando ad «annunciare la verità tutta intera». E ha deciso di non restare a guardare: ha reso pubblico un “Manifesto della Fede” (clicca qui): doveva essere pubblicato oggi ma un sito polacco ha rotto l’embargo e dunque da venerdì sera il testo circola in sette lingue. Nel Manifesto, partendo dalla drammatica situazione di «confusione» che regna nella Chiesa, Muller ripercorre i principali fondamenti della fede oggi messi in discussione, per arrivare a un appello finale in cui sprona anzitutto vescovi e preti a vivere la missione, nell’annuncio della verità così come Dio ce l’ha rivelata e come la Chiesa ci tramanda da Duemila anni.
Come era facilmente prevedibile, il Manifesto è stato salutato dalla stampa progressista come l’ennesimo attacco a papa Francesco, un’etichetta che lo stesso Müller rifiuta, come ci conferma in un colloquio telefonico. «Allo stesso tempo – dice - è impossibile non vedere la situazione drammatica della Chiesa» e le conseguenze che sta portando.
Nel Manifesto il Papa non viene mai citato, proprio perché l’obiettivo è altro. Ridurre sempre tutto a una battaglia pro o contro il Papa rivela una concezione “politica” della Chiesa, soprattutto è funzionale alla lotta per il potere. E così si evita anche di interrogarsi su un dato drammatico: «Oggi – afferma il cardinale Müller - molti cristiani non conoscono più nemmeno i fondamenti della fede, con un pericolo crescente di non trovare più il cammino che porta alla vita eterna». Questo è il vero problema della Chiesa, e da “Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede 2012-2017” (così si definisce in calce alla lettera, una definizione da non sottovalutare) sente il dovere, nel Manifesto, di proporre alcuni punti fermi della nostra fede cattolica (con ampie citazioni del Catechismo) che contrastano con l’andazzo oggi dominante nella Chiesa. In questo modo l’iniziativa del cardinale Müller si colloca nel solco già tracciato dai cosiddetti cardinali dei Dubia (Caffarra, Meisner, Burke e Brandmüller) e potrebbe indurre altri porporati e vescovi a intervenire. Del resto il malessere nella Chiesa è abbastanza diffuso: «Con questo Manifesto – ci dice ancora il cardinale Müller - vorrei invitare vescovi e sacerdoti a trovare il coraggio di annunciare integralmente la Verità». È un richiamo pubblico per far sì che i pastori non vengano meno al loro compito di «guidare gli uomini loro affidati sulla via della salvezza, e ciò può avvenire solamente se tale via è conosciuta e se loro per primi la percorrono».
Ecco dunque i punti di confusione su cui Müller porta un chiarimento. Anzitutto il mistero del «Dio uno e trino, rivelato in Gesù Cristo»: «La differenza delle tre persone nell'unità divina segna una differenza fondamentale nella fede in Dio e nell’immagine dell'uomo rispetto alle altre religioni». Impossibile qui non andare subito col pensiero anche a certi equivoci sviluppatisi intorno al viaggio di papa Francesco negli Emirati Arabi e a quella frase oggettivamente erronea contenuta nel Documento sulla fratellanza universale firmato il 4 febbraio scorso, in cui si fa risalire il pluralismo delle religioni alla volontà di Dio (clicca qui). «È con chiara determinazione – scrive ancora Müller - che occorre affrontare la ricomparsa di «antiche eresie che in Gesù Cristo vedevano solo una brava persona, un fratello e un amico, un profeta e un esempio di vita morale».
Prosegue poi il cardinale tedesco con una vera e propria catechesi sulla Chiesa e sui sacramenti per arrivare al cuore della vicenda nata con l’esortazione apostolica Amoris Laetitia a proposito della comunione ai divorziati risposati: dopo aver fatto riferimento alle condizioni richieste per accostarsi alla comunione, Müller afferma che «dalla logica interna del sacramento si capisce che i divorziati risposati civilmente, il cui matrimonio sacramentale davanti a Dio è ancora valido, come anche tutti quei cristiani che non sono in piena comunione con la fede cattolica e pure tutti coloro che non sono debitamente disposti, non ricevano la santa Eucaristia fruttuosamente (1457), perché in tal modo essa non li conduce alla salvezza. Metterlo in evidenza corrisponde a un’opera di misericordia spirituale».
Un punto certamente decisivo, al centro anche delle domande al Papa fatte dai cardinali nei Dubia, è quello della legge morale la cui «osservanza è necessaria a tutte le persone di buona volontà per conseguire la salvezza eterna». La legge morale – dice il cardinale Müller - «non è un peso ma fa parte di quella verità liberatrice (cfr Gv 8,32) attraverso la quale il cristiano percorre la via della salvezza e non deve essere relativizzata».
Il Manifesto della fede tocca poi il tema della vita eterna, cruciale per ogni cattolico. «Tacere su queste e altre verità di fede – afferma Müller - oppure insegnare il contrario è il peggiore inganno contro cui il Catechismo ammonisce vigorosamente. Ciò rappresenta l'ultima prova della Chiesa, ovvero «una impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell’apostasia della verità» (675). È l’inganno dell’Anticristo».
L’appello finale poi, è drammatico e chiama vescovi e preti a una assunzione di responsabilità davanti alla situazione attuale già profetizzata da san Paolo nella lettera al suo collaboratore Timoteo: «Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù, che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento. Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, pur di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo i propri capricci, rifiutando di dare ascolto alla verità per perdersi dietro alle favole. Tu però vigila attentamente, sopporta le sofferenze, compi la tua opera di annunciatore del Vangelo, adempi il tuo ministero» (2Tm 4,1-5).
Visti i precedenti è assai probabile che anche in questo caso non arrivi alcuna reazione chiarificatrice da papa Francesco, ma sarà molto più importante vedere se e quanti vescovi si sentiranno di abbattere quel muro di omertà e prenderanno invece sul serio l’esempio del cardinale Müller.
Riccardo Cascioli
- IL MANIFESTO DELLA FEDE - Testo integrale
«Non sia turbato il vostro cuore» [Gv 14,1]. Dai proclami sulla “Chiesa in uscita” al proclama del manifesto della fede del Cardinale Gerhard Ludwig Müller
- REGGIO EMILIA
Finalmente un vescovo tuona contro le messe sacrileghe
Il parroco affida le parole della consacrazione ad un laico. E il vescovo interviene tuonando contro i sacrilegi a messa. Succede a Reggio Emilia dove Massimo Camisasca pubblica una lettera molto dura sugli abusi e il rispetto delle norme liturgiche: "Dovremo risponderne davanti a Dio". Una mossa impopolare, ma giusta. E che conferma il diritto-dovere del fedele di protestare.
“E’ gravemente illecito associare i fedeli alle parole del Canone e addirittura chiedere loro di pronunciarne qualche parte. La celebrazione diventerebbe invalida quando fossero i laici a pronunciare le parole della Consacrazione”.
Un forte richiamo al corretto uso della liturgia durante la Santa Messa e un appello a cessare le liturgie creative fatte dai preti è quello che il vescovo di Reggio Emilia e Guastalla Massimo Camisasca ha recapitato a tutti i sacerdoti e ai fedeli nel settimanale diocesano La Libertà.
Una lettera sulla liturgia, dunque, per fermare quei preti che intendono la messa come cosa loro, di cui poter disporre a piacimento. In questi anni ne abbiamo sentite di diversi colori, in Italia e nel mondo: preti che non dicono il Credo o lo inventano, parti della messa affidate a laici o a esponenti di altre confessioni religiose, show di ogni tipo durante la celebrazione. Il catalogo delle messe creative rappresenta una ferita nel cuore stresso della Chiesa, la celebrazione dell’Eucarestia e la campagna della Nuova BQ #salviamolamessa lo ha mostrato molto bene. Ma di fronte a questi episodi, spesso ostentatamente pubblicizzati dai sacerdoti, si è iniziato a fare finta di nulla. Questo ha provocato grave scandalo nei fedeli e il pullulare di messe sempre più creative e sempre più dissacranti.
In questo senso la lettera di Camisasca ai suoi preti, una lettera di richiamo a tutti gli effetti, assume un valore importante di ristabilimento del diritto. Anzitutto, quello di Dio ad essere adorato come chiede e in secondo luogo il diritto dei fedeli a partecipare ad una sacra liturgia proficua per la propria salute spirituale. Diritto che le iniziative di preti creativi e sciatti calpestano bellamente a volte con l’arroganza dei potenti. La lettera dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, che protestare con il vescovo quando si assiste ad abusi e violazioni gravi nella liturgia, serve ed è utile. Come confermava sulle nostre colonne anche il cardinal Muller a proposito del diritto di protestare con il sacerdote che abusa del suo ruolo fino addirittura ad andarsene se la celebrazione diventa palesemente invalida.
La missiva pubblica infatti nasce a seguito di una serie di segnalazioni pervenute a Camisasca circa il comportamento di alcuni sacerdoti diocesani. Il riferimento infatti alle parole della consacrazione affidate ai laici è legato ad un episodio che è stato segnalato al vescovo da un fedele: un sacerdote, durante la messa del 1 gennaio, ha affidato la lettura del Canone a una fedele, donna!
Il motivo? Nella segnalazione si dice che il prete avrebbe accampato la scusa di essere stanco. Chissà, forse i festeggiamenti della notte precedente del Veglione di San Silvestro lo avevano costretto a fare le ore piccole? O forse ha voluto dare un segnale di una nuova forma di concelebrazione mista? Sia come sia, il fedele, che aveva sentito la cosa soltanto riferita, ha chiesto conferma prima di tutto al vescovo. E per sicurezza ha inoltrato la missiva anche alla Congregazione del Culto divino e poi alla Congregazione per la dottrina della fede. Non sappiamo se Camisasca abbia verificato la notizia, né se abbia ricevuto conferma di quell’episodio specifico. Ma dal monito nella missiva sulla consacrazione affidata ai laici pare proprio di sì. Anche a giudicare da quello che il vescovo dice successivamente: “Mi permetto di ricordare tutto ciò, che penso ovvio per la stragrande maggioranza di tutti noi, perché sento e vedo qua e là serpeggiare confusioni o manifestazioni erronee a riguardo di ciò di cui ho finora parlato”.
Importante poi la chiusa finale: “Desidero che il popolo cristiano non sia mai confuso e disorientato nella sua fede. E’ una grave responsabilità che tutti abbiamo e di cui dovremo, io per primo, rispondere a Dio”. Parole certamente gravi, che arrivano a conclusione di un documento denso di riferimenti dottrinali sul significato, il valore e la sacralità della santa messa. Come ad esempio la Costituzione conciliare Sacrosantum Concilium della quale molti preti hanno letto probabilmente soltanto il cosiddetto spirito e non la sua lettera dato che in essa non vi si trova nessuna concessione alle arbitrarietà e agli abusi a cui poi nei successivi 50 anni abbiamo assistito e che - tanto per dirne una - venne firmata addirittura da monsignor Lefevbre.
Resta il fatto che di fronte a un sacrilegio vero e proprio come quello compiuto a Reggio Emilia, il vescovo abbia sentito il bisogno di alzare la voce per riparare un delitto così grave. Un atto di coraggio e per certi versi profetico, che indica qual è il bene principale che si gioca nella messa. Un bene del quale i preti non possono disporre arbitrariamente e del quale un giorno si dovrà rispondere di fronte a Dio.
Andrea Zambrano
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