ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 23 febbraio 2019

Bisogna fermarli!

I GESUITI E IL TAO


                                 

I gesuiti e il Tao: è sempre lo stesso schema. Bisogna fermarli: in che modo i gesuiti, sorti come "truppe scelte" della Chiesa e fedelissime al papa, si sono trasformati nella "mela infetta" che sta inquinando tutto il cesto ?
di Francesco Lamendola  


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Molti si chiedono, ed effettivamente è la domanda del momento per chi abbia a cuore le sorti della Chiesa, in che modo i gesuiti, sorti come truppe scelte della Chiesa e fedelissime al papa, si siano trasformati nella mela infetta che sta inquinando tutto il cesto, e abbiano avuto l’ardire di porre uno dei loro sul seggio di San Pietro, cosa esplicitamente vietata dal loro statuto, cambiando il loro ruolo di fedelissimi del papa in quello di fedelissimi di se stessi e quindi di padroni assoluti della Chiesa. Ora, per spiegare questa metamorfosi, questa deriva, questa mostruosa sostituzione di ruolo e di prospettiva, non basta risalire a Karl Rahner, né a Teilhard e Chardin, e neppure al cardinale Désiré Mercier e alla Scuola di Lovanio; non basta risalire indietro neppure fino al modernismo dei primi anni del ‘900, al gesuita George Tyrrell, per esempio, che ne fu uno dei massimi animatori: bisogna andare molto, ma molto più indietro. 

Bisogna andare alla reducciones del Paraguay e alle missioni in Asia, e specialmente alle celebri controversie sui riti malabarici (indiani) e sui riti cinesi, cioè agli inizi del XVI secolo, sotto il pontificato di Gregorio XV. C’è qualcosa, e c’è sempre stato, nel modo d’intendere la fede e la predicazione del Vangelo, da parte dei gesuiti, che doveva portare alle presenti deviazioni e degenerazioni; e lo diciamo senza con ciò ignorare i gradi mariti che i gesuiti hanno acquisito con il loro impegno e il loro zelo apostolico, non di rado sacrificando la vita sulle croci fatte erigere dall’imperatore del Giappone o al palo della tortura dei feroci Irochesi nelle foreste del Canada. E ciò senza considerare, in questa sede, un altro aspetto caratteristico della mentalità dei gesuiti o, se si preferisce, della loro strategia di potere, cioè la tendenza all’intrigo e ad insinuarsi subdolamente nei corridoi dei palazzi e delle regge, onde esercitare pressioni di tipo politico servendosi del confessionale e della direzione spirituale di principi e più ancora principesse, reggenti, madri e consorti di sovrani.

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I gesuiti e il Tao: è sempre lo stesso schema.

Nel loro modo di evangelizzare e nella loro concezione della fede cattolica vi è, probabilmente, un difetto d’origine: una tendenza a intellettualizzare e a razionalizzare la relazione fra l’uomo e Dio e, al tempo stesso, una specie di intima convinzione che a loro, e a loro soltanto, spetta fissare gli strumenti idonei per diffondere la fede presso i non cattolici; pretesa che, nel mondo post-cristiano del XX e XXI secolo, si riflette nel modo di relazionare la Chiesa con il mondo, che è, appunto, un mondo desacralizzato. Il nodo della questione, secondo noi, consiste in questo: che la Chiesa, a giudizio dei gesuiti moderni, deve farsi mondo, cioè deve abolire le distanze fra l’annunzio e colui al quale si annunzia; la Chiesa deve farsi tutt’uno con il mondo, per meglio capirlo, raggiungerlo, parlare una lingua che gli sia comprensibile, e se possibile familiare. Insomma la radice della deriva ereticale dei gesuiti risiede nella convinzione, da essi maturata nell’arco non di qualche anno, o decennio, ma di almeno quattro secoli, è l’idea che il fine giustifica i mezzi: che per raggiungere la gente, bisogna adattare il Vangelo alla gente; e che non è l’uomo che deve innalzarsi, con personale impegno e sacrificio, verso la Verità, che è Gesù Cristo, ma è il Vangelo che deve essere calato in situazione, che deve prendere le misure degli uomini, secondo il particolare tempo e luogo in cui ci si trova. Ecco cosa pensava Pedroo Arrupe, preposito generale dei gesuiti dal 1965 al 1983 (in realtà fio al 1981, perché colpito da un ictus e sostituito da un commissario papale), cioè negli anni cruciali per la definitiva deriva apostatica dell’ordine, alla quale lui personalmente non fu certo estraneo (cit. in: Carl Bernstein e Aldo Politi Sua Santità. Giovanni Paolo II e la storia segreta del nostro tempo (Milano, Rizzoli, 1996, pp. 434-435):
Temo che stiamo per proporre le risposte di ieri per affrontare i problemi di domani, che stiamo parlando in modo tale che la gente non ci capisce più, che usiamo un linguaggio che non arriva dritto al cuore degli uomini. Se è così, allora parleremo molto, ma solo a noi stessi. Infatti nessuno ci ascolterebbe più, perché nessuno capirebbe quello che cerchiamo di dire.

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 Perche i gesuiti hanno avuto l’ardire di porre uno dei loro sul seggio di San Pietro, cosa esplicitamente vietata dal loro statuto, cambiando il loro ruolo di fedelissimi del papa in quello di fedelissimi di se stessi e quindi di padroni assoluti della Chiesa?

La pretesa di adeguare il messaggio cristiano alle culture sociali e anche religiose dei popoli asiatici, come accadde in Cina e in India, con le conseguenti controversie teologiche già ricordate, nasce da questa idea fondamentale: che la Chiesa deve andare incontro al mondo sino a farsi mondo lei stessa. Anche la pretesa di trasformare le reducciones del Sud America in altrettanti laboratori teocratici, nei quali loro, i gesuiti, e loro soltanto, sanno e stabiliscono quale sia la maniera giusta di annunciare il Vangelo, anzi, quale sia la maniera giusta di relazionarsi con gli indios, ad esclusione di tutti gli altri europei e perfino di tutti gi altri sacerdoti e ordini religiosi, nasce dallo stesso terreno: un terreno reso fertile dalla superbia intellettuale, unita a una spinta evangelizzatrice che non guarda troppo per il sottile quanto alla dimensione dottrinale e teologica, ma che punta a ottenere il massimo risultato in termini quantitativi e formali di conversione. Al tempo stesso, questo approccio pastorale ha sempre permesso ai gesuiti di sentirsi speciali, in quanto più sensibili alle realtà concrete dei popoli presso i quali svolgevano la loro opera missionaria; di farli sentire migliori, più intelligenti, più lungimiranti, più duttili, più abili, insomma complessivamente più capaci di chiunque altro di stabilire cosa sia buono e giusto e opportuno nel modo di porgere il Vangelo di Gesù ai non cristiani e ai non cattolici, e cosa, invece, non lo sia: tanto più che i risultati pratici parevano dar loro ragione. Ma il punto, nell’annunzio del Vangelo, è sempre quello: decidere se la cosa più importante è convertire più gente possibile, oppure convertire le persone in modo pienamente conforme alla Verità.
Scriveva lo storico della cultura austriaco René Fülop-Miller nel suo celebre libro Il segreto della potenza dei gesuiti (tr. italiana Milano, Mondadori, 1931; riduzione adattamento in: Oddone Ortolani-Mario Pagella, Il tempo e le opere. Corso di storia per la Suola media,  Firenze, Le Monnier, 1967, pp. 206-207):
La legge suprema della Cine era il Teo, la legge dell’universo, secondo la quale si muovevano gli astri, i fili d’erba spuntavano dal suolo, gli alberi si coprivamo di foglie, mormoravamo i ruscelletti e i mari passavano dal flusso al riflusso.
L’imperatore, secondo i cinesi, aveva avuto dagli dèi l’incarico di governare e dirigere il popolo, in modo che il Tao umano stesse in armonia con il Tao celeste e a tal fine il sovrano doveva munire di anno in anno il suo popolo di un giusto calendario.
L’imperatore aveva ordinato già da lungo tempo la pubblicazione di un libro indicatore dei tempi e da allora non era passato anno senza che l’imperiale tribunale della matematica non avesse fatto degli accurati calcoli astronomici.
Nel calendario tutto quel che convenisse fare o non fare era fissato. Così erano segnati in rosso e in nero i giorni e le ore favorevoli o sfavorevoli per i lavori dei campi, per la conclusione dei matrimoni, per il cambio di abitazione, per le riparazioni alle navi, per la caccia, per il pascolo, per le sepolture e le esecuzioni capitali.
Ora accadeva ormai da molti anni che il raccolto andasse male, che i ministri governassero nel proprio interesse e rubassero come corvi. L’imperatore non riusciva più a fari obbedire, perché dappertutto c’era grande fermento.
L’imperatore, altamente preoccupato, si consultava notte e giorno coi suoi ministri sul odo di impedire il disastro che si avvicinava e non sapendo più come salvarsi si rivolse alla fine anche ai gesuiti. I padri rifletterono a lungo, fecero delle misurazioni, coprirono di calcoli lunghe strisce di carta e constatarono  alla fine che il tribunale della matematica nel fissare il calendario era caduto in un errore grossolano: i calcoli astronomici erano sbagliati ormai da lungo tempo.
Quest’annuncio gettò la corte nella più nera costernazione. Vi furono naturalmente dei mandarini che si levarono a difendere la tradizione e a protestare la critica che preti stranieri  osavano fare ad istituzioni antichissime; ma ben presto fu il cielo stesso che s’incaricò di testimoniare in favore dei gesuiti.
In Cina le eclissi solari venivano considerate come fenomeni di straordinaria importanza; l’imperatore doveva essere preavvisato già un mese prima e tutti gli altri mandarini  con le insegne della loro dignità dovevano radunarsi a tempo debito nel cortile del tribunale astronomico. Ora i gesuiti avevano predetto  per un dato giorno una eclissi solare, fissando addirittura l’ora in cui doveva cominciare il fenomeno, e ciò senza che nel calendario ci fosse la minima indicazione al riguardo.
All’ora predetta il disco solare cominciò ad oscurarsi e tutti i dignitari si gettarono in terra, conforme il cerimoniale, colla fronte rivolta al suolo e in tutta la città risuonò il rullo dei tamburi; i gesuiti avevano guadagnato la partita per lungo tempo, giacché era dimostrato che il metodo di calcolo degli astronomi cinesi non serviva, e che il calendario, secondo il quale era stato governato l’impero, era proprio sbagliato.

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La pretesa di adeguare il messaggio cristiano alle culture sociali e anche religiose dei popoli asiatici, come accadde in Cina e in India, con le conseguenti controversie teologiche già ricordate, nasce da questa idea fondamentale: che la Chiesa deve andare incontro al mondo sino a farsi mondo lei stessa.

Questo episodio ci sembra esemplare di un certo modo d’intendere la missione, e più in generale la pastorale, da parte dei gesuiti: che si tatti della Cina del XVII secolo o delle periferie post-cristiane dell’Europa odierna, il ragionamento non cambia. I gesuiti pensavano, e pensano tuttora, di avere ogni diritto a sfruttare le loro conoscenze e la loro cultura per varare un aggiornamento pastorale che corrisponde, in pratica, alla inculturazione del cattolicesimo nei diversi ambiti storico-sociali nei quali ci si trova. Perciò ai cinesi si predica un Vangelo compatibile col culto locale dei defunti, e si dà al Dio cristiano un nome equivalente al concetto cinese di divinità, anche se ciò significa giocare sul filo dell’equivoco e lasciar credere ai convertiti cinesi quel che non è, vale a dire che fra Gesù Cristo e la vita eterna in senso cristiano, e le loro precedenti credenze confuciane o taoiste o buddiste, non c’è alcuna differenza decisiva. In questo modo i cinesi diventano cattolici, si fa per dire, pur seguitando a restare quel che erano: non c’è una rottura con le loro credenze di prima della conversione: l’uomo nuovo cristiano s’innesta direttamente sull’uomo vecchio e convive con lui. Allo stesso modo, oggi i gesuiti dicono ai protestanti che possono far la Comunione, se sono sposati con un cattolico, in nome dell’ecumenismo; agli ebrei che non hanno alcuna necessità di convertirsi, perché l’Antica Alleanza è sempre valida e loro sono sempre il popolo eletto; agli islamici che non occorre che si convertano, perché Dio stesso vuole l’esistenza delle diverse religioni e il papa ha baciato il Corano, senza contare che siamo tutti – cristiani, ebrei e islamici – discendenti di Abramo e abbiamo in comune la fede nel Libro (ma quale Libro, poi: sempre lo stesso?); agli omosessuali, che possono praticare l’omosessualità, anche nel caso siano dei sacerdoti, perché Dio ci vuole felici e “realizzati”; ai divorziati, ai separati, a quelli che hanno praticato l’aborto, che ciò non pregiudica l’amore di Dio e la misericordia di Dio, perché Dio sopporta i nostri peccati, come dice volentieri il signor Bergoglio; e soprattutto perché Dio non è cattolico: la sua affermazione forse più scandalosa, eppure perfettamente in linea con la “pastorale” dei gesuiti, da molto tempo. Era logico che si sarebbe arrivati a questo punto; la sola cosa veramente nuova, ma anch’essa, in fondo, a ben considerare, prevedibile, è che i gesuiti a un certo punto, abbiano sentito la necessità d’impadronirsi direttamente del vertice della Chiesa, piazzando uno dei loro sulla cattedra di San Pietro. Bisognava imporre alla Chiesa tutta, schiacciando le ultime resistenze e spazzando via le ultime perplessità, il nuovo corso: quello dell’annuncio di un Dio non cattolico. E il Vangelo di Gesù Cristo, a questo punto, che cos’è, cosa ne rimane? Perché nel Vangelo, fino a prova contraria, si parla di un Dio cattolico; in esso Gesù Cristo dice di Se stesso: Io sono la via, la verità e la vita. Non dice: io e Confucio; né: io e il Tao; e nemmeno: io e Maometto. Dice anche, fino a prova contraria: Io sono nel Padre e il padre è in me; e chi ha visto me, ha visto il Padre; e nessuno può venire al Padre se non per mezzo di me. Ora, che ne facciamo di tutte queste affermazioni, nell’era del gesuitismo al potere? Semplice: le gettiamo nel cestino della carta straccia. Un gesuita di primo piano, il nuovo generale dopo l’elezione di Bergooglio, Sosa Abascal, l’ha detto chiaro e tondo: noi non sappiamo cosa disse realmente Gesù, perché ai suoi tempi non c’erano i registratori. Il messaggio è chiaro: il cristianesimo è tutto da riscrivere. Smitizzando, storicizzando, razionalizzando. E il buon Sosa, coerentemente, ha dato subito l’esempio, affermando che il diavolo è solo un’immagine simbolica del male, non esiste come persona. È partito da dove era più facile: che importanza può fare quel brutto tipo del diavolo? Ma fra poco arriveranno molto più in alto, fino a Gesù Cristo; e qualcuno ci è già arrivato: Cristo? Era solo un uomo: parola di Enzo Bianchi. E il gesuita Bergoglio non nega, tutt’altro; anzi sorride, e dice che Bianchi è uno dei suoi teologi più cari (l’altro è anche’esso un eretico conclamato, Walter Kasper).

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I gesuiti sono completamente fuori controllo: i loro capi, quanto meno, che hanno ben chiaro in mente dove vogliono arrivare. Sono pericolosi. Bisogna fermarli, prima che riescano a provocare danni irreparabili.


I gesuiti e il Tao: è sempre lo stesso schema

di Francesco Lamendola

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