ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 7 febbraio 2019

In gita ad Abu Dhabi per apostatare

Dall’apostasia di fatto all’apostasia documentata
  

Nei giorni 3-5 febbraio 2019, Jorge Mario Bergoglio, che ama farsi chiamare vescovo di Roma, ha voluto effettuare una gita nel Golfo Persico: in qualità di papa regnate è andato a visitare la città di Abu Dhabi, capitale degli Emirati Arabi Uniti.
Quando venne annunciata questa gita, molti si sono chiesti perché Bergoglio volesse visitare la capitale mondiale del petrolio, irta di incredibili “grattacieli” e popolata prevalentemente da persone provenienti dall’Asia e dall’Occidente, che svolgono tutti i possibili lavori che offre questo contraddittorio paese, che è in grado di investire centinaia di miliardi di dollari, col risultato che tutti ne parlano come della Las Vegas – Venezia – Disneylandia del Medio Oriente.
La risposta venne fornita da Bergoglio stesso che, nel video messaggio rivolto al “popolo degli Emirati Arabi Uniti” in vista della gita, dichiarò: « Ringrazio vivamente Sua Altezza lo Sheikh Mohammed bin Zayed bin Sultan Al Nahyan, che mi ha invitato a partecipare all’incontro interreligioso sul tema “Fratellanza umana”. »
Quindi, Bergoglio è andato a partecipare ad un “incontro interreligioso” con persone provenienti da diverse religioni, in una terra musulmana stracarica di ricchezze autoctone e di ultramoderne realizzazioni occidentali. Un incontro contraddittorio in una terra contraddittoria.


Ci si sarebbe aspettato uno spettacolo simile a quello degli altri incontri interreligiosi e invece si sono viste solo due figure rappresentative: il capo del Vaticano a Roma e il capo dell’Università Al-Azhar a Il Cairo; e sono solo questi due che hanno preparato e firmato il “Documento sulla Fratellanza Umana”, che sembra essere il topolino partorito dalla montagna.
Per capire, quindi, cosa sia realmente avvenuto tra i grattacieli, i centri commerciali, i lussuosi alberghi e gli uffici delle fondazioni macroeconomiche di Abu Dhabi, è utile dare un’occhiata a questo documento, pubblicizzato dai media sulla base delle frasi ad effetto in esso contenute.




Per incominciare a leggere nella giusta luce questo documento è opportuno partire dall’ultima frase:
«Questo è ciò che speriamo e cerchiamo di realizzare, al fine di raggiungere una pace universale di cui godano tutti gli uomini in questa vita». 

Qui si trova l’indicazione che questo documento è stato redatto nell’ottica di Bergoglio con l’avallo di Ahmad Al-Tayyeb, capo di Al-Azhar: frasi fatte che contengono sia gratuite utopie, sia volute distorsioni della verità.
L’idea di poter “realizzare” “una pace universale” è una pura presunzione e al tempo stesso una sorta di battuta ad effetto che vorrebbe nascondere la realtà di un mondo in cui ogni realizzazione dipende dalla volontà di potenti di ben altro intendimento e di ben altro calibro e risorse che quelle di Bergoglio e di Al-Tayyeb.
Si potrebbe far notare che i due, in fondo, nutrano il convincimento che con l’aiuto di Dio si possa realizzare anche l’irrealizzabile, e questo è certo possibile, ma qui si parla solo di “pace universale” di cui gli uomini dovrebbero godere grazie al lavoro di questi due personaggi: qui Dio non è ricordato, anzi si ricorda la «pace universale» in «questa vita», come se si trattasse del Paradiso Terrestre!
Quindi, una distorsione della verità, perché la pace, non solo può darla solo Dio, ma potrà essere raggiunta veramente non in «questa vita», ma nell’“altra”, e solo se la si è meritata.




Ma perché continuiamo a parlare di “questi due”?
Perché, non solo sono i soli redattori e firmatari del documento, tramite i rispettivi gruppi di lavoro, ma sono gli stessi che, nel corso del testo, si autodefiniscono rappresentanti di tutti i cattolici, l’uno, e di tutti i musulmani, l’altro:
«In nome di Dio e di tutto questo, Al-Azhar al-Sharif – con i musulmani d’Oriente e d’Occidente –, insieme alla Chiesa Cattolica – con i cattolici d’Oriente e d’Occidente –, dichiarano di adottare la cultura del dialogo come via; la collaborazione comune come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio

Ora, passi per Bergoglio, che sulla carta rappresenta tutti i cattolici, ma Al-Tayyeb rappresenta solo se stesso o, al massimo, l’Università egiziana di cui è capo. Ed è inutile ricordare che si tratta della più importante università musulmana, perché questo non la rende rappresentativa di tutti i musulmani, i quali, non solo non riconoscono alcuna autorità comune, ma sanno che Al-Azhar è una istituzione “sunnita”, un’istituzione di parte, soprattutto per i musulmani “shiiti”.

Non passi, però, la palese assurdità di recarsi in Golfo Persico per vergare nero su bianco che la Chiesa cattolica sarebbe equiparabile – sullo stesso piano – all’Al-Azhar al-Sharif, a “l’Università La Luminosa”, come se la Chiesa cattolica fosse una qualunque istituzione educativa. Non passi! E tuttavia bisogna riconoscere che per Bergoglio la Chiesa non è nulla di più: lui che non riconosce neanche la “cattolicità”, l’universalità, di Dio e pretende di insegnare che “Dio… non è universale… non è cattolico”.

Ecco quindi i due personaggi, rappresentativi di loro stessi, che firmano un documento in cui è scritto:
«questa Dichiarazione sia un invito alla riconciliazione e alla fratellanza tra tutti i credenti, anzi tra i credenti e i non credenti, e tra tutte le persone di buona volontà».

Un proposito che è come un pugno in un occhio e che conferma come il documento sia stato preparato in chiave bergogliana. Infatti, mentre Bergoglio insegna, a terra e ad alta quota, che saremmo tutti fratelli: i credenti in Dio e i dispregiatori di Dio; Al-Tayyeb insegna, alla “Luminosa”, che i credenti sono solo i musulmani e che i non credenti, cioè anche i cristiani, vanno convertiti all’Islam.
Eppure, i due parlano tranquillamente di  invito alla “conciliazione” e alla “fratellanza” dei “credenti” e dei “non credenti”, pretendendo di offrirsi alla credibilità mondiale come i meglio qualificati in materia… loro che divergono in tutto.
Tuttavia, non si può non riconoscere che in qualche modo i due siano coerenti, perché, pur non disdegnando di riferirsi qua e là a Dio, promuovono, dichiaratamente, la “fratellanza umana”, che è cosa ben diversa della figliolanza di Dio.
Solo se si è figli del vero Dio, se si è accolto il Verbo di Dio e quindi si è generati da Dio e non da volere di uomo (cfr. Gv. 1, 12-13), si può parlare realmente di “fratelli” e quindi di vera fratellanza; diversamente si parlerà di falsa fratellanza… di fratellanza parolaia, di fratellanza meramente umana, di quella fratellanza che si coltiva tirannicamente nell’onusiano palazzo di vetro di New York.
Ma allora, invece che ad Abu Dhabi, perché non si sono incontrati a New York? Forse perché Abu Dhabi, a suo modo, è simile a New York: ad uno sguardo prospettico le due megalopoli moderne si assomigliano molto… anche per il fatto che i rispettivi gruppi dirigenti sono i soli abitanti stracarichi di soldi.



Ma vediamo sulla base di che si dovrebbe perseguire tale “fratellanza”.

«Un documento ragionato con sincerità e serietà per essere una dichiarazione comune di buone e leali volontà, tale da invitare tutte le persone che portano nel cuore la fede in Dio e la fede nella fratellanza umana a unirsi e a lavorare insieme».

Da dove si vede che il documento è rivolto ai cultori di due fedi: quella in Dio e quella nell’uomo, e noi siamo convinti che tali persone non possano “lavorare insieme”, perché chi ha fede in Dio lavora con gli occhi al Cielo, mentre chi ha fede nella fratellanza umana lavora con gli occhi a terra… come faranno costoro a fare un lavoro insieme?
E’ un mistero che solo Bergoglio e Al-Tayyeb conoscono.

«In nome di Dio che ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità».

Mera invenzione “umana”! Perché Dio ha creato gli esseri umani diversi, e con pari dignità solo davanti a Dio stesso; e la diversità degli esseri umani implica, inevitabilmente, che essi abbiano diritti e doveri diversi e non uguali. Diversi, infatti, sono i diritti e i doveri dell’uomo e della donna, o dei genitori e dei figli, o dei vecchi e dei giovani, o dei superiori e dei sottoposti, o dei capi e dei gregari; ogni condizione o stato di vita comporta diritti e doveri relativi, non sono uguali i diritti e i doveri di chi insegna a “Santa Marta” o alla “Luminosa” e di chi apprende da questi insegnanti, come non sono uguali i diritti e i doveri dei docenti e degli studenti.
La concezione moderna che pretende, assurdamente e solo retoricamente, che tutti avrebbero uguali diritti e uguali doveri, è uno dei frutti della Rivoluzione che continua a spingere gli uomini a fare la guerra a Dio, ed è qualcosa di totalmente estraneo al cattolicesimo e allo stesso islamismo. Che poi i due l’abbiano adottata per fare bella figura davanti al mondo senza Dio, è cosa che recita a favore della loro nulla credibilità, al punto che il loro documento diventa di colpo carta straccia.

«In nome della libertà, che Dio ha donato a tutti gli esseri umani, creandoli liberi e distinguendoli con essa»

Dio non ha donato la libertà all’uomo, ma ha dotato l’uomo del «libero arbitrio», cioè della possibilità di scegliere tra il bene e il male, ma al contempo Dio gli ha comandato di fare il bene e di fuggire il male: sta all’uomo, col libero arbitrio, scegliere di fare il bene o di praticare il male, nel primo caso può sperare, se meritevole, di salire al Cielo; nel secondo caso può star certo di scendere all’Inferno.
La libertà, invece, come qui la si intende, è stata donata all’uomo dall’uomo, a partire dalla Rivoluzione francese e da quello che ne è seguito e ne segue ancora.
E in più, mentre il libero arbitrio è realmente di tutti gli esseri umani, non è così per la libertà di cui qui si parla, perché essa, per essere appena seria, dovrebbe corrispondere a quella di cui parla Nostro Signore: «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv. 8, 31-32).
Da cui deriva che se si vuole veramente essere “liberi” è necessario essere prima di tutto discepoli di Gesù, cosa che permette di conoscere la verità, che è Gesù stesso, ed è tale conoscenza che fa libero l’uomo. Chi non è discepolo di Gesù, chi non conosce quindi la verità, non potrà essere libero, perché sarà schiavo del peccato… lo stesso peccato che fa credere all’uomo moderno di avere il “diritto alla libertà” per il solo fatto di essere uomo.
Queste cose dovrebbero saperle sia Bergoglio sia Al-Tayyeb, se pensassero secondo Dio, parlando invece come parlano dimostrano di pensare secondo gli uomini, ragion per cui incorrono nell’ingiunzione di Nostro Signore: «Lungi da me, satana!» (cfr. Mt.16, 23)

«Noi – credenti in Dio, nell’incontro finale con Lui e nel Suo Giudizio … chiediamo a noi stessi e ai Leader del mondo… »

Noi? – Passi per la parusia e per il giudizio, in cui a loro modo credono anche i musulmani, ma affermare: “Noi, credenti in Dio” vorrebbe insinuare che i due credano nello stesso Dio, mentre invece non è così.
Non c’è bisogno di fare un lungo discorso che i nostri lettori conoscono bene, ci limitiamo a ricordare che mentre noi cattolici – non siamo sicuri per Bergoglio – crediamo in Dio per la rivelazione fattaci dal Suo Figlio Unigenito Gesù Cristo, per i musulmani Gesù non è Dio, non è stato crocifisso e non è risorto; essi credono quindi in un altro Dio, e se il Vero Dio e vero uomo è Gesù, nell’unità col Padre e con lo Spirito Santo, ne consegue che i musulmani credono in un falso “dio”.

Quale può essere allora il significato di questo “noi, credenti in Dio”?
C’è una sola spiegazione, quella che viene fornita nel seguito del documento, in cui si dice:
«Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani»

E qui si rimane allibiti per la faccia tosta con la quale i due, che dicono di professare la fede di Abramo, fanno strame di quello che noi cattolici conosciamo come Vecchio Testamento.
Infatti, tutte le diversità qui elencate – tranne il sesso -, non solo “non” sono “una sapiente volontà divina”, ma sono il frutto della decadenza dell’uomo in seguito al peccato originale di disobbedienza a Dio e di orgoglio dell’uomo. Cosa che ha portato alla divisione dell’umanità e ai ripetuti castighi che Dio ha inflitto agli uomini per la loro smisurata superbia e per la loro pretesa di farsi da soli il loro “dio”.
In particolare, l’uomo è caduto più volte nel peccato suggerito dal demonio ai progenitori: “sarete come dii”; e vi è caduto disprezzando l’unica religione dell’Unico Vero Dio suo Creatore, inventandosi le religioni a suo piacimento; e per questo è stato punito da Dio… il che è l’esatto opposto della blasfemia qui professata: “le diversità di religione … sono una sapiente volontà divina”.

Solo che questa aperta dichiarazione di apostasia sembra avere uno scopo ben preciso: affermare che l’Islam sarebbe il prodotto della “sapiente volontà divina”; e così Dio, e non l’uomo, sarebbe il “sapiente” architetto di quelle stesse idolatrie che ha voluto più volte distruggere: e sarebbe sempre Dio che mentre comanda: “Io sono il Signore Dio tuo, non avrai altro dio al di fuori di Me”, farebbe sì che con “sapiente volontà” l’uomo si fabbrichi altri dii e li adori.
No! Qui non è solo il cervello che è andato in poltiglia, ma è il demonio che riesce ancora a fare proseliti e ad usarli per procurarsi nuove anime da condurre nel suo Inferno.

E concludiamo così le osservazioni su questo incredibile documento, tralasciando le altre storture in esso contenute, che discendono tutte da quanto abbiamo osservato fin qui.

A Bergoglio non bastava il Santa Marta per esercitarsi a negare di Dio ora questo ora quello, ha voluto andare in gita ad Abu Dhabi per apostatare in maniera formale.

di Giovanni Servodio


IL DOCUMENTO DEGLI EMIRATI
Pluralismo religioso, ciò che fede e Concilio non dicono

Pur riconoscendo tutti i segnali positivi dell'incontro negli Emirati Arabi, non si può autorizzare l’affermazione di errori sulle verità della fede. Per questo non è accettabile che  il documento sulla fratellanza universale firmato da Papa Francesco e l'imam di Al-Azhar descriva il pluralismo religioso come sapiente volontà divina. Non c’è una sola riga dei testi del Vaticano II che possa giustificare una simile posizione. Lumen gentium parla di persone non ancora raggiunte dal Vangelo, non di religioni. Dovremmo pensare che il Figlio di Dio si fa carne e nel contempo vuole una religione, come l’islam, che nega sia la Trinità sia la verità dell’Incarnazione? Non può esistere un Dio schizofrenico. 


Non è intenzione di questa riflessione oscurare l’importanza del Documento sulla fratellanza universale, ai fini di una pacifica convivenza tra i popoli, firmato da papa Francesco e dal grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayebb, in occasione del recente viaggio del Pontefice negli Emirati Arabi. Le dichiarazioni circa il riconoscimento della tutela della libertà, della protezione dei luoghi di culto, l’impegno comune a difesa della vita e la condanna del terrorismo religioso sono certamente dei segnali importanti. 

Tuttavia nessuna circostanza può autorizzare l’affermazione di errori e la diffusione di confusione circa le verità della fede. Il riferimento è al paragrafo presente a p. 5 del documento congiunto, che così recita: “Il pluralismo e le diversità di  religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi”. 

Nella consueta conferenza stampa tenuta durante il volo di rientro, Francesco è ritornato sull’argomento, volendo ribadire con una certa fermezza che “dal punto di vista cattolico, il documento non si è schierato un millimetro [probabilmente, non si è distanziato di un millimetro, n. d. a.] dal Vaticano II, che è citato lì alcune volte. Niente. Il documento è stato fatto nello spirito del Vaticano II”. Il Papa poi confida di aver fatto leggere il documento ad alcuni teologi, indicando esplicitamente il teologo della Casa Pontificia, il domenicano padre Wojciech Giertych, il quale avrebbe approvato. Continua Francesco: “Se qualcuno si sente male, io lo capisco: non è una cosa di tutti i giorni e non è un passo indietro; è un passo avanti. Ma un passo avanti che viene da cinquant’anni, dal Concilio che deve svilupparsi”. Il Papa confessa di aver poi visto una frase che lo ha lasciato un po’ perplesso – non ha reso noto di quale frase si trattasse -, salvo poi essersi reso conto che si trattava di una frase del Concilio.

Certamente non può trattarsi della frase che considera il pluralismo religioso come la realizzazione di una sapiente opera divina, perché non c’è una sola riga dei testi del Vaticano II che possa giustificare una simile posizione. Lumen gentium, 16, parla di persone non ancora raggiunte dal Vangelo, o che appartengono ad altre religioni, che sono anch’esse “in vari modi ordinati al popolo di Dio”. Persone dunque, non religioni. Lo stesso testo, poco più avanti, afferma che “tutto ciò che di buono e di vero si trova in loro è ritenuto dalla Chiesa come una preparazione ad accogliere il Vangelo e come dato da colui che illumina ogni uomo, affinché abbia finalmente la vita”. La differenza è palese: un conto è affermare che nelle altre religioni esistono aspetti di verità e bontà che, in quanto tali, provengono da Dio e quindi “possono assumere un ruolo di preparazione evangelica”, come con maggior precisione afferma Dominus Iesus, 21; altro è affermare che le diverse religioni siano volute da Dio. Perché, in tal caso, bisognerebbe ritenere che anche gli errori di queste religioni, errori ben presenti al testo di LG, 16,  siano voluti dall’Altissimo. Dovremmo pensare che il Figlio di Dio si fa carne e nel contempo vuole una religione, come l’Islam, che nega sia la Trinità sia la verità dell’Incarnazione? 

Nemmeno il testo di Nostra Aetate, pur così “generoso” verso le altre religioni, giustifica un’asserzione del genere. La dichiarazione conciliare si pronuncia sull’unica origine degli uomini e sulla loro unica destinazione, ma considera le diverse religioni come degli sforzi umani per rispondere alle domande fondamentali dell’esistenza (cf. NA, 2). Parla poi di rispetto verso ciò che c’è di buono in esse e di stima nei confronti delle persone. Infine fonda la condanna di comportamenti discriminatori non sulla tesi che Dio voglia la pluralità religiosa, ma sul fatto che tutti gli uomini sono stati creati a immagine e somiglianza di Dio.

Allora è evidente che l’affermazione presente nel Documento sulla fratellanza universale non trova nessuna legittimazione nei testi del Vaticano II; altro che non distanziarsene neanche di un millimetro... Si è così costretti a rivolgersi allo “spirito del Concilio”, come fa esplicitamente lo stesso Bergoglio, uno spirito che spinge la Chiesa avanti, oltre i testi del Concilio stesso. Sembra qui di vedere il ritratto dell’ermeneutica della discontinuità, tratteggiato da Benedetto XVI nel famoso Discorso alla curia romana del 2005: “Essa asserisce che i testi del Concilio come tali non sarebbero ancora la vera espressione dello spirito del Concilio. Sarebbero il risultato di compromessi nei quali, per raggiungere l'unanimità, si è dovuto ancora trascinarsi dietro e riconfermare molte cose vecchie ormai inutili. Non in questi compromessi, però, si rivelerebbe il vero spirito del Concilio, ma invece negli slanci verso il nuovo che sono sottesi ai testi: solo essi rappresenterebbero il vero spirito del Concilio, e partendo da essi e in conformità con essi bisognerebbe andare avanti. Proprio perché i testi rispecchierebbero solo in modo imperfetto il vero spirito del Concilio e la sua novità, sarebbe necessario andare coraggiosamente al di là dei testi, facendo spazio alla novità nella quale si esprimerebbe l’intenzione più profonda, sebbene ancora indistinta, del Concilio. In una parola: occorrerebbe seguire non i testi del Concilio, ma il suo spirito”. 

L’interpretazione autentica dei testi conciliari sul tema è stata offerta, tra l’altro, dalla Dominus Iesus, n. 21, un testo importantissimo che insegna che “le varie tradizioni religiose contengono e offrono elementi di religiosità, che procedono da Dio, e che fanno parte di «quanto opera lo Spirito nel cuore degli uomini e nella storia dei popoli, nelle culture e nelle religioni» (Redemptoris Missio, 29). Di fatto alcune preghiere e alcuni riti delle altre religioni possono assumere un ruolo di preparazione evangelica, in quanto sono occasioni o pedagogie in cui i cuori degli uomini sono stimolati ad aprirsi all'azione di Dio. Ad essi tuttavia non può essere attribuita l'origine divina e l'efficacia salvifica ex opere operato, che è propria dei sacramenti cristiani. D'altronde non si può ignorare che altri riti, in quanto dipendenti da superstizioni o da altri errori (cf. 1 Cor 10,20-21), costituiscono piuttosto un ostacolo per la salvezza”. Ritorna dunque la distinzione tra gli elementi di verità che provengono da Dio e le religioni in quanto tali, che contengono anche errori che sono ostacolo per la salvezza. Inoltre, se alcune “preghiere e riti” di tali religioni, che possono avere un ruolo di preparazione evangelica, non possono essere considerati di origine divina, com’è possibile che lo siano le religioni stesse? 

Allora, del percorso dei cinquant’anni di sviluppo del Concilio, evidentemente Francesco e i teologi da lui consultati, hanno saltato a piè pari il tratto di strada costituito dalla Dichiarazione Dominus Iesus. Curiosa ermeneutica che non trova aggancio nei testi e che non tiene conto dei documenti interpretativi ufficiali.

Un altro errore presente nel Documento sulla fratellanza universale, nel testo già citato, consiste nel ritenere che la libertà religiosa si radichi sul fatto che sia la volontà di Dio a fondare la diversità delle religioni. Senza voler entrare nei vari risvolti dell’ormai vexata quaestio della libertà religiosa, non si può non riconoscere che l’insegnamento conciliare riguarda l’immunità da coercizione da parte di chicchessia, in particolare da parte del potere statale. Non si tratta di un diritto positivo ad agire secondo coscienza erronea, ed ancor meno di un diritto positivo che nasce dalla bontà di qualsiasi adesione religiosa o dall’origine divina di ogni religione. È invece un diritto negativo, cioè un diritto ad esigere di non subire coazione nell’opzione religiosa, finché tale opzione non comporti delle conseguenze negative sul piano del bene comune, perché in tal caso il potere politico ha il diritto ed il dovere di intervenire nella sfera sua propria.

Il testo di Dignitatis Humanae, 2, insegna che “il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana quale l'hanno fatta conoscere la parola di Dio rivelata e la stessa ragione”. Nessun riferimento al fatto che tale fondamento si trovi nella bontà del pluralismo religioso o, addirittura, nel fatto che sia Dio stesso a volere tale diversità. Al contrario “il sacro Concilio professa che Dio stesso ha fatto conoscere al genere umano la via attraverso la quale gli uomini, servendolo, possono in Cristo trovare salvezza e pervenire alla beatitudine. Questa unica vera religione crediamo che sussista nella Chiesa cattolica e apostolica, alla quale il Signore Gesù ha affidato la missione di comunicarla a tutti gli uomini” (DH, 1).

Paolo VI, a sua volta, in un discorso del 20 dicembre 1976 spiegò che “il Concilio, in nessun modo, fonda questo diritto sul fatto che tutte le religioni, e tutte le dottrine, anche erronee, che riguardano questo campo, avrebbero un valore più o meno uguale; lo fonda invece sulla dignità della persona umana”. Già, perché se il pluralismo religioso è voluto da Dio, l'errore di attribuire alle varie religioni un valore più o meno uguale è dietro l’angolo. Ma al di là di ciò, non c’è una sola pezza d’appoggio nei testi del Concilio per fondare la libertà religiosa sul fatto che Dio voglia la diversità religiosa. Quanto alla “libertà di essere diversi”, credo che occorrerà attendere un Vaticano III.

È piuttosto singolare che né il Papa né i teologi da lui consultati abbiano avvertito questo indebito ampliamento del senso dei testi del Vaticano II. E nemmeno si siano accorti che finiscono per dare l’immagine di un Dio schizofrenico, che un giorno dichiara per bocca del Verbo incarnato: “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv. 14, 6); e sei secoli dopo, nella Sua “sapienza”, vuole una religione che insegna così:“il Cristo è figlio di Allah, questo è ciò che dicono con la loro bocca, imitando ciò che dicevano i miscredenti che li hanno preceduti. Allah li maledica! Come sono fuorviati!” (Sura 9 vers. 30).

Luisella Scrosati

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