Carissimi, ci siamo arrivati. Lo so, era solo questione di tempo e non è che un passaggio intermedio di cui chissà quanti “cattolici” perfino si compiaceranno, ma il fatto compiuto è pur sempre sconcertante nella sua sfacciataggine. Ecco la mia lettura edificante di oggi. È tratta da “Repubblica.it”, sezione Vaticano, 7 febbraio 2019 ed è firmata dal vaticanista Paolo Rodari.
Segnalato il link anzitutto per dimostrare che è tutto vero (ma l’avrete senz’altro letto anche voi, questo articolo o qualcuno dei tanti altri in tema), ora copio il testo perché voglio cimentarmi nel giochetto de “i neretti sono miei“. Perdonate la presunzione. Solo questi: nessun commento, che lascio a voi. È una triste rincorsa, fra il sig. Bergoglio e la sua corte, all’esaltazione del papa “uomo di mondo” (in finta umiltà mediatica) e alla distruzione nel ridicolo del Papato e di Colui che dovrebbe rappresentare in terra.
Un forte ringraziamento per il vostro lavoro, e un carissimo saluto. Sia lodato Gesù Cristo.
Alberto Scarioni
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TITOLO: Papa Francesco, pranzo a mensa e cibo di stagione. E ora i vegani gli chiedono la dieta della Quaresima
SOMMARIO: Il progetto internazionale Million Dollar Vegan offre un milione di dollari per iniziative benefiche indicate dal Vaticano in cambio di un impegno simbolico. La filosofia alimentare del pontefice è già improntata alla semplicità e al rispetto dell’ambiente
TESTO: ROMA – Dall’ex Beatle Paul McCartney a Moby e Joaquin Phoenix, tante sono le star vegane che hanno firmato un appello per chiedere a Papa Francesco di scegliere una alimentazione vegana per il periodo della Quaresima “per aiutare a contrastare i cambiamenti climatici con un cambiamento alimentare”. Un’azione plateale per lanciare in contemporanea in 15 paesi una campagna che vuole sensibilizzare le persone sul devastante impatto degli allevamenti animali intensivi. Million Dollar Vegan, l’organizzazione che coordina il progetto, offre un milione di dollari per una o più cause benefiche indicate dallo stesso Papa, qualora accettasse di fare voto di astinenza e scegliesse una dieta vegana per la Quaresima. Anche se ancora non si sa cosa Francesco risponderà, è dato di fatto che la sua cucina sia già da ora sobria, francescana.
Le cucine dei Papi in passato sfornavano pasti luculliani. L’appartamento papale era un approdo per privilegiati in cerca di agio e cibo in abbondanza. Secoli fa alcuni profeti, da Savonarola a Francesco di Paola, si scagliarono contro un Vangelo piegato ai vantaggi dei singoli. Invettive che nel tempo hanno aiutato la Chiesa a riformarsi, fino a Francesco, il vescovo di Roma per il quale anche il cibo non deve essere “un privilegio per pochi”. “Dei frutti della terra se ne è fatto commodities di alcuni, il che ha generato esclusione”, ha detto lo scorso giugno in visita alla Fao, sferzando un sistema iniquo per i tanti per i quali la fame è un problema quotidiano.
L’approccio alla tavola di Jorge Mario Bergoglio è francescano. La chiusura dell’appartamento del palazzo apostolico e la scelta di vivere decentrato, nella residenza di Santa Marta, ha comportato anche l’epilogo di una cucina esclusivamente riservata ai Papi regnanti. Benedetto XVI e Giovanni Paolo II non muovevano richieste particolari, seppure i loro cuochi usassero, a volte, concedere portate raffinate, dagli strudel, le crostate e i tiramisù, i dolci preferiti da Ratzinger, alla Papieska Kremowka, il pasticcino di pasta sfoglia e crema amato da Giovanni Paolo II. Francesco vuole una cucina semplice, nella quale a spiccare siano i prodotti di stagione. Tanta frutta e verdura, tutta proveniente dalle fattorie di Castel Gandolfo aperte negli anni Trenta all’interno delle Ville Pontificie. Nessuna concessione a cibi raffinati, nessun dolce, pochissimo vino, soltanto prodotti stagionali e piatti della tradizione.
“Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei”, scrisse Jean-Anthelm Brillat-Savarin nel suo La Fisiologia del Gusto, un detto che il Papa conosce e il cui significato è de facto enucleato all’interno di uno dei suoi trattati teologici più importanti, la Laudato Sì. È in questa lettera enciclica che Francesco chiede di partire dalla terra, dall’acqua, dall’agricoltura, dal cibo, per combattere le ingiustizie e le diseguaglianze. E il primo a dare l’esempio è lui. Come gli antichi padri del deserto che vivevano di sole erbe in un regime di morigeratezza e sobrietà in segno di vicinanza ai poveri e nella consapevolezza che per anelare a Dio occorre rinunciare ai piaceri del mondo, il Papa detta la linea con una cucina al limite dell’austerità. Da quando ha “cambiato diocesi” – come ama dire lui stesso parlando del trasferimento da Buenos Aires a Roma – alterna riso e pasta rigorosamente in bianco. Di secondo, due volte a settimana, un po’ di pesce e carne entrambi bianchi.
Molta verdura fresca, condita con olio di oliva, e poi tanta frutta. Soltanto raramente chiude i pasti con uno yogurt. Dice un monsignore della Curia che lo conosce bene: “Francesco rimane a tavola il tempo necessario. Una volta ho contraddetto alcuni che mi dicevano come, a loro modo di vedere, la Laudato Sì apra alla cucina vegetariana. Risposi che un Papa argentino non farà un documento a favore del vegetarianismo perché sa che la carne è una proteina insostituibile“. Una sola regola accomuna ogni pasto, la stagionalità dei prodotti, una norma condivisa da molti nella Chiesa: “In questi giorni di festa guardando nei negozi – ha scritto in un Tweet l’ex priore di Bose Enzo Bianchi – mi accorgo che possiamo disporre di tutti i prodotti del mondo senza aspettare le stagioni: basta aver denaro per comprarli! Ma così viene a mancare il senso dell’attesa e il desiderio non rallegra più il nostro cuore“.
Francesco mangia – primo Papa della contemporaneità a farlo – all’interno di una mensa frequentata da molte altre persone. Certo, anche Karol Wojtyla invitava spesso a pranzo giornalisti e amici. Ma Francesco ha fatto di più. Ha reso la sua tavola accessibile a tutti. A chiunque passi da Santa Marta può capitare di trovarsi seduto vicino al vescovo di Roma. Dopo aver scelto di rinunciare all’appartamento al terzo piano del palazzo apostolico perché, ha detto, “mi è sembrato fin da subito un imbuto all’incontrario”, pranza e cena in un refettorio dove i posti a sedere sono in tutto una quarantina. Vi mangiano monsignori e prelati di passaggio o che abitano lì, spesso i suoi ospiti. “Mercoledì, dopo l’udienza generale, pranza con i cuochi e il personale di servizio. Con loro apre conversazioni molto alla mano sull’attività giornaliera”, racconta ancora il monsignore della Curia.
Il tavolo del Papa è in fondo alla sala, senza alcun séparé. Al suo tavolo ci sono spesso seduti i due sacerdoti, uno argentino, l’altro egiziano, che lo aiutano nelle faccende di segreteria. Sovente si fermano altre persone. Non raramente, ad esempio, il cardinale Domenico Calcagno, che lavora in Curia come presidente dell’Apsa e che ama mangiare lì. Francesco la sera, spesso, si serve da solo al buffet, in fila insieme agli altri. Diverse persone in quel frangente lo avvicinano, gli lasciano un biglietto o una lettera. Lui saluta tutti e a tutti risponde, sfruttando quei momenti per tastare il polso delle cose che accadono tutti i giorni, per ascoltare, per conoscere e parlare. Il pranzo è alle tredici. La cena alle venti.
Bergoglio non ha nostalgia della sua Argentina. A livello culinario rimpiange soltanto la pizza. O meglio, la pizzeria. “Perché non si ordina una pizza una volta?”, gli hanno chiesto. “Sì – ha risposto – ma non è lo stesso… Il bello è andare lì”. Stesso discorso per la pasticceria: Bergoglio ne aveva una proprio di fronte all’arcivescovado di Buenos Aires dove andava ogni tanto a prendere gli alfajores (due dischi di biscotti fatti con la maizena e uniti dal dulce de leche) e le empanadas (dei fagottini di pasta ripieni di carne). Una volta Alessandro Gullotto, proprietario del ristorante romano La Caletta, glieli ha cucinati e fatti avere a Santa Marta.
Il Papa della prossimità, dunque, è per una cucina normale, semplice. Così del resto, è stato fin dal giorno dell’elezione. Nelle ore successive ai sarti pontifici che gli si avvicinarono comunicò di non volere le scarpe rosse papali. Gli dissero, tuttavia, che sotto l’abito bianco avrebbe dovuto indossare dei calzoni bianchi, come il protocollo prevede. “Dei calzoni bianchi? – rispose – . No, non sono mica un gelataio!”.
– di Alberto Scarioni
By Redazione On 8 Febbraio 2019 · 6 Comments
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Carissimo Scarioni, il miglior commento sono i suoi neretti. Grazie (Riscossa Cristiana)
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