Quali sono le sorgenti dell’eresia gesuita. Dalla radicale storicizzazione della Rivelazione alla "Svolta antropologica" di Rahner i gesuiti disgiungono la fede dalla ragione, annullando secoli e secoli di riflessione teologica
di Francesco Lamendola
Abbiamo visto, nel precedente articolo I gesuiti e il Tao: è sempre lo stesso schema (pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 23/02/19) come i gesuiti, nella Cina del XVII secolo, si siano avvantaggiati della loro predizione di una eclissi di sole, non annunciata da alcun astronomo cinese, per affermare la loro superiorità, e quindi il loro prestigio, alla corte del Celeste Impero. Le loro conoscenze scientifiche si erano mostrate assai superiori a quelle degli studiosi locali; l’intero calendario astronomico, sul quale si reggeva la vita di quell’immenso Paese e che accordava le attività umane con la legge del Tao, si era dimostrato errato e inattendibile. Era stata una vittoria clamorosa sulla cultura locale; ma i gesuiti come se ne avvantaggiarono?
Non per portare il discorso sulla religione cattolica, né per presentarsi essenzialmente come missionari del Vangelo di Gesù Cristo; no: preferirono continuare a vestire in primo luogo i panni degli scienziati, sfruttando sino in fondo il prestigio acquisto con la predizione dell’eclissi. In altre parole, la vittoria riportata venne spesa a nome della scienza europea e, in secondo luogo, a nome della Compagnia di Gesù: ma rimase sostanzialmente confinata all’ambito scientifico. Peggio ancora: grazie alla loro dimostrata superiorità scientifica, essi avevamo inferto un colpo durissimo al sistema di credenze fondato sul Tao e sulla casta sacerdotale che ne era la depositaria: ma quel colpo non venne portato in ambito religioso, bensì rimase confinato in ambito scientifico. I gesuiti si erano affermati come scienziati, prima che come missionari; anzi, la loro qualità di missionari, agli occhi dei funzionari e delle persone colte della corte imperiale, restava in seconda linea. Era stata la vittoria di un principio pericolosissimo, che avrebbe rivelato tutte le sue potenzialità negative rivolgendosi contro lo stesso cattolicesimo, cinque secoli dopo, cioè al nostri giorni. In pratica, era stata affermata la superiorità del sapere scientifico rispetto a qualsiasi altra forma di sapere. I gesuiti non avevano detto ai cinesi: veniamo a portarvi la Rivelazione del vero Dio, Gesù Cristo, Dio fatto uomo, morto e risorto per amore degli uomini; ma sfruttarono il successo riportato in ambito scientifico per smontare le credenze cinesi nel sistema culturale locale. In base allo stesso principio, a partire dai primi anni del XX secolo alcuni gesuiti, George Tyrrell (poi espulso dall’ordine e scomunicato), indi Teilhard de Chardin, poi Henri de Lubac, Karl Rahner e Hans Urs von Balthasar, arrivarono a convincersi, sulla scia degli studi esegetici più recenti, ma subendo fortemente l’influsso della scuola teologica del protestantesimo liberale, che una buona parte della Tradizione non poggia su basi sicure e che perfino la Scrittura deve esser radicalmente reinterpretata, ponendo Gesù “in situazione”, come dice il generale dei gesuiti odierno, Sosa Abascal, vale a dire calando sempre le sue parole e le sue azioni in un contesto preciso, e in relazione a degli interlocutori precisi. Il risultato di questo metodo di approccio è una radicale storicizzazione della Rivelazione: non è più Dio che si rivela agli uomini, perché questi non possono giungere alla comprensione diretta di Dio (è la lezione del criticismo kantiano, con la sua esclusione della cosa in sé dall’ambito della ricerca filosofica: lezione che sarà pienamente accolta dai gesuiti e specialmente dal loro capofila al Concilio Vaticano II, Karl Rahner). È, del resto, la linea già imboccata dalla scuola teologica di Lovanio, sotto gli auspici del cardinale Mercier: coniugare il tomismo alla luce di Kant. Conclusione: i Vangeli vanno considerati esattamente come qualsiasi altro documento storico; nessuno sconto, nessun trattamento di favore: bisogna sottoporli alla stessa critica storica e filologica cui si sottopone qualsiasi altro libro. E questo proprio perché i gesuiti, dai tempi di Matteo Ricci, sono rimasti, al fondo, sempre gli stessi: innanzitutto degli studiosi e degli scienziati; poi, membri dell’ordine di Sant’Ignazio di Loyola, consapevoli di rappresentare l’élite della Chiesa cattolica, sia in senso intellettuale che in senso “politico” e organizzativo, e disposti a prendere ordini solo dal papa (ma che sarebbe successo se uno di essi fosse stato eletto papa, contro la loro stessa regola?); infine, e solo da ultimo, sacerdoti cattolici senz’altra qualifica, cioè operai al lavoro nella vigna del Signore Gesù Cristo.
Il signor Bergoglio è tipico prodotto della deriva gesuita verso l’irreligiosità!
L’errore di questa impostazione che i gesuiti, pomposamente, hanno chiamato svolta antropologica, è duplice. In primo luogo, essa disgiunge la fede dalla ragione, annullando secoli e secoli di riflessione teologica, e specialmente le mirabili sintesi di Sant’Agostino e di san Tommaso d’Aquino. In secondo luogo, essi mettono la fede alla mercé dei risultati delle ricerche scientifiche, come se la fede avesse per oggetto una realtà puramente naturale, mentre è vero il contrario, che ha per oggetto la dimensione soprannaturale. E, una volta presa questa direzione, diviene inevitabile tutta una serie di altri errori: primo fra tutti, applicare alla fede le categorie dell’indagine scientifica e cioè presupporre in anticipo che può essere vero solo ciò che si può provare scientificamente, vale a dire che la fede cristiana può essere accettata solo se essa, a sua volta, accetta per prima cosa di sottoporsi agli “esami di controllo” come qualsiasi altro ambito del reale. Ma se a fare tali esami è una scienza immanentista, meccanicista e antifinalista, come lo è la scienza occidentale moderna dopo Galilei, non esiste il minimo dubbio che questa finirà per trovare solo ciò che presuppone come esperibile, e non altro. Si cade così in un procedimento tautologico: la ragione scientifica moderna non ammette altra verità se non quella che essa stessa può certificare; ma essa non è disposta a certificare nulla che non soggiaccia ai suoi parametri conoscitivi, immanentisti, meccanicisti e antifinalisti: dunque, posto che la fede cattolica possa superare un simile esame, è evidente che ne uscirà conformata ai parametri anzidetti, cioè rivista e corretta in chiave immanentista, meccanicista e antifinalista. A quel punto, però, non sarà più quel che era al principio; non sarà più la Rivelazione soprannaturale di Dio agli uomini, per rischiarare le tenebre della loro ignoranza; sarà, al contrario, una “fede” cucita sulla misura della scienza materialista, cioè non più una vera fede, se fede è credere in ciò che è invisibile e inesperibile, ma che si è rivelato per mezzo di segni soprannaturali.
Il gesuita Karl Rahner ispiratore della "Svolta antropologica".
Facciamo un esempio. Quando il signor Bergoglio, tipico prodotto di questa deriva gesuita verso l’irreligiosità, afferma pubblicamente che la Morte sulla Croce di Gesù è un fatto storico, mentre la sua Risurrezione è un fatto di fede, è come se dicesse che alla Morte di Gesù tutti sono tenuti a prestar fede, credenti e non credenti; mentre alla Resurrezione possono prestare fede solo i credenti. Ma cos’è che rende credente il credente, se non il fatto di lasciarsi illuminare dalla fede, che è lo sguardo di Dio sopra di lui, e non dalla scienza, che è lo strumento elaborato dagli uomini per indagare le cose del mondo naturale? Una frase come quella di Bergoglio è un’aperta dichiarazione di miscredenza: equivale a dire che le verità della scienza (e della storia) sono certe e inconfutabili, e s’impongono alla ragione di tutti, mentre quelle della religione hanno valore solo all’interno di un certo sistema di credenze religiose. Pertanto, non solo le verità della fede sono intrinsecamente inferiori alle verità della scienza, ma la loro attendibilità e la loro veritatività sono ammissibili solo all’interno del loro rispettivo sistema culturale e spirituale. In altre parole: è vero quel che dice la Torah, ma per gli ebrei; è vero quel che dice il Corano, per gli islamici; ed è vero quel che dicono i Vangeli, ma solo per i cattolici. Non è vero perché è vero, ma è vero se c’è qualcuno disposto a crederci: mentre il sapere oggettivo, scientifico e storico, se ne lava le mani, perché non è affar suo. Sulla stessa linea di pensiero si era mosso il signor Bergoglio allorché aveva dichiarato che l’aborto non è una questione di fede, ma sociologica, e che bisogna considerarla in termini sociologici. E per rafforzare ulteriormente il concetto, aveva anche detto di non voler sentir parlare dell’aborto, né del giudizio da dare su di esso, secondo un approccio di tipo religioso, perché si tratta di una realtà che può essere compresa e giudicata soltanto sociologicamente. È pazzesco, ma è così: lo ha detto, e lo ha detto con molta convinzione. Che un papa dica simili cose, indica chiaramente fino a che punto la strategia gesuita di rovesciamento della fede sta avendo successo: ormai siamo giunti al punto che un pontefice romano (gesuita, quindi illegittimo) può permettersi di dire apertamente quel che, se fosse stato detto da un qualsiasi parroco, gli sarebbe costato certamente, fino a qualche anno fa, la scomunica. A George Tyrrell, ex gesuita, venne negato il funerale religioso, e un sacerdote che si recò sulla sua tomba, facendosi il segno della croce, venne sospeso a divinis dal suo vescovo. Oggi il modernismo si è preso la sua piena rivincita: i due papi del Concilio sono stati canonizzati, e perfino per il generale dei gesuiti, Pedro Arrupe, massimo responsabile della deriva eretica dell’ordine, è stata aperta la causa di beatificazione.
I gesuiti, oltre che imbevuti di marxismo, darwinismo e freudismo, si sono imbevuti anche di protestantesimo, e hanno mutuato da Lutero soprattutto l’idea che la Chiesa deve andare nel mondo, deve “farsi mondo”, per calarsi pienamente nelle situazioni concrete!
Quali sono le sorgenti dell’eresia gesuita
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