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lunedì 25 marzo 2019

Il “clericalismo”, bersaglio fisso di papa Francesco.

Con Pell e Barbarin il papa usa due pesi e due misure

Le condanne, ad opera di tribunali secolari, dei cardinali George Pell e Philippe Barbarin hanno prodotto ai vertici della gerarchia ecclesiastica differenti reazioni. Che a loro volta hanno scatenato dentro e fuori la Chiesa ulteriori reazioni di approvazione o di condanna. Segno che questo terreno di scontro è ben lontano dall’essere pacificato.
Inoltre, sabato 23 marzo Francesco ha accolto le dimissioni del cardinale Ricardo Ezzati Andrello, 77 anni, da arcivescovo di Santiago del Cile. Dimissioni formalmente determinate dal superamento dell’età canonica, ma rese esecutive proprio poche ore dopo la chiamata a processo del cardinale davanti al tribunale di Santiago, con l'accusa d'aver coperto abusi sessuali. Anche qui sarà da vedere quali ulteriori decisioni prenderà il papa. E con quali contraccolpi.

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Nel caso del cardinale Pell, condannato in Australia a sei anni di prigione, la Santa Sede ha dato notizia di voler avviare a suo carico un processo canonico presso la congregazione per la dottrina della fede.
Non si conoscono né i tempi né le modalità di tale processo. In ogni caso è stato comunicato che a Roma si attenderà, prima di qualsiasi pronunciamento, l’esito del processo d’appello richiesto dal cardinale.
Ma nonostante ciò, “in via cautelativa” e “per garantire il corso della giustizia”, la Santa Sede ha confermato le due misure prese contro Pell al suo rientro in Australia: la proibizione dell’”esercizio pubblico del ministero” e “il contatto in qualsiasi modo e forma con minori di età”.
Misure ora entrambe incomprensibili, trovandosi il cardinale in cella di isolamento e impossibilitato a celebrare la messa. Ma ben accette dai paladini della “tolleranza zero”, da esercitarsi sempre e in via preventiva anche contro chi – come si legge a proposito di Pell nel comunicato vaticano – “ha ribadito la sua innocenza e ha il diritto di difendersi fino all’ultimo grado”
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Nel caso del cardinale Barbarin, condannato in Francia a sei mesi di prigione con la condizionale e anche lui in attesa di un processo di appello, la Santa Sede non ha invece annunciato nessun processo canonico.
Né ha preso contro di lui misure analoghe a quelle comminate a Pell.
Non solo. Papa Francesco ha respinto le dimissioni da arcivescovo di Lione presentategli dal cardinale, ricevuto in udienza il 19 marzo.
Come ha giustificato Francesco questo suo comportamento? È stato lo stesso Barbarin a riferire le parole del papa, in un’intervista alla tv cattolica francese KTO:
“Il papa mi ha detto che quando c’è un giudizio che sarà reso in appello, vi è la presunzione d’innocenza. Di conseguenza, se accetto le dimissioni, significa riconoscere che sei colpevole. Non posso far questo”.
Di ritorno a Lione, Barbarin ha confermato il suo ritiro dalla guida della diocesi, affidata in via provvisoria al vicario generale. Ma ha sottolineato che si è trattato di una sua scelta personale, alla quale il papa avrebbe espresso la sua “comprensione”, aggiungendo che “non spetta a Roma intervenire in questo genere di cose”.
Come si può notare, dunque, al contrario che nel caso di Pell, nel caso di Barbarin papa Francesco non si è attenuto ai criteri della “tolleranza zero”, ma piuttosto a quei principi garantisti che lui stesso aveva richiamato all’attenzione del summit vaticano del 21-24 febbraio nei 21 “punti di riflessione” consegnati ai partecipanti, in primo luogo “il principio di diritto naturale e canonico della presunzione di innocenza fino alla prova della colpevolezza dell’accusato”.
Nessuna sorpresa, quindi, al vedere le indignate reazioni dei fautori della “tolleranza zero” a questo comportamento del papa. Come anche le difese del suo operato, da parte dei garantisti.
Tra le molte voci in un campo e nell’altro, sono esemplari le due che si sono espresse sulle colonne del quotidiano cattolico francese “La Croix”. Di due studiosi non cattolici.
Il primo è Dominique Wolton, autore del libro-intervista più riuscito tra quelli finora pubblicati su papa Francesco e da questi voluto tra i membri del suo seguito nel viaggio a Panama dello scorso gennaio.
Wolton difende la linea garantista adottata dal papa nel caso Barbarin, ma – da teorico della comunicazione qual è – ne critica le ingenuità comunicative, perché, tacendo e rinviando al futuro qualsiasi decisione, Francesco si espone indifeso alla “follia” di chi vuole i processi fatti subito e in piazza invece che nelle aule e con i tempi della giustizia.
Scrive Wolton:
“Non credo che la lentezza di papa Francesco nel reagire sia una prova di cattiva fede. Il fatto che egli rifiuti di dire qualcosa ad ogni costo non significa che stia ‘nascondendo’ qualcosa. Semplicemente, rifiuta di entrare nella logica dell’immediatezza che domina oggi la pubblica opinione. Questa pressione dei media, che è basata su un uso falsamente democratico dei social, è divenuta intollerabile. Il fatto che milioni di persone esprimano l’opinione che il cardinale Barbarin sia un malfattore non significa che egli lo sia davvero! Si vuole che la Chiesa pronunci subito un giudizio morale. Ma sottoposta a un generale sospetto d’essere in cattiva fede, la Chiesa non è più capace di farsi capire, e le giustificazioni del papa sembrano una ritirata dalla sua decisione di mettere fine al clericalismo”.
Decisamente più critica è invece – sempre sulle pagine de “La Croix” – la sociologa delle religioni Danièle Hervieux-Léger, dell’”École des hautes études en sciences sociales” e autrice nel 2003 di un libro che ha fatto epoca: “Catholicisme, la fin d’un monde”, nel quale sosteneva la “exculturation”, cioè l’espulsione totale del cattolicesimo dalla cultura d’oggi.
Per Barbarin – dice Hervieux-Léger – “era forse legittimo ricorrere in appello come cittadino, ma non come vescovo”. Come vescovo doveva accettare la condanna e il papa accogliere le sue dimissioni. E invece Barbarin “ha ingannato il papa, che appare oggi non più coerente con la ‘tolleranza zero’ che vuole promuovere. Questo stato di confusione è terribile perché lascia nell’opinione pubblica l’immagine disastrosa di un’istituzione che si protegge, che non realizza le sue promesse. La Chiesa non è più che un oggetto di indignazione. Ciò mi sembra irrimediabile. La Chiesa ha perso definitivamente il suo capitale di fiducia e questo è particolarmente terribile per i preti di più di 75 anni che hanno puntato tutto su questa istituzione il cui mondo crolla. Oggi la sola cosa possibile – ma il papa non la farà – sarebbe di ridefinire completamente il ministero sacerdotale. Non solo ordinando degli uomini sposati – cosa che un giorno si farà di sicuro – ma soprattutto ripensando il posto delle donne nella Chiesa. Perché la questione capitale è questa. Il clericalismo al quale si imputano tutte le derive presenti ha radice nella loro esclusione”.
È curioso che sia Wolton che Hervieux-Léger concludano le loro contrapposte arringhe incolpando di tutto il “clericalismo”, bersaglio fisso di papa Francesco.
Settimo Cielo di Sandro Magister 25 mar

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