I vescovi della Chiesa di Norvegia
I vescovi della Chiesa di Norvegia
di Sabino paciolla
Se volete farvi un’idea di una Chiesa “al passo coi tempi”, una Chiesa in dialogo con il mondo, non avete altro da fare che vedere quello che fanno le Chiese luterane, in particolare la Chiesa di Norvegia, che a proposito di aborto ha emesso una dichiarazione da far accapponare la pelle (leggere qui).
La Chiesa di Norvegia dal 1º gennaio 2017 si chiama Chiesa del Popolo. Essa è la Chiesa più diffusa nel Regno di Norvegia, alla quale appartiene il 77% (2012) della popolazione del paese scandinavo. È una chiesa luterana.

Il dialogo si è perso per strada
La Chiesa di Norvegia riconosce di essersi battuta nei decenni scorsi per la vita e contro l’aborto ma, ahimè, con argomenti classici che ora ritiene controproducenti. C’è stato un cambiamento d’epoca. Occorre aggiornarsi.
Dice infatti la dichiarazione:
La Chiesa è da tempo impegnata con la questione dell’aborto considerandola una sfida etica, umana e politica. Quando la legge dell’aborto volontario è stata discussa e adottata negli anni ’70, la Chiesa è stata una chiara oppositrice dei cambiamenti introdotti. Sacerdoti e altri erano decisi e chiari nella loro critica alla legge allo scopo di proteggere la vita del nascituro. Oggi ci rendiamo conto che gli argomenti della Chiesa non permettono un buon dialogo. È tempo di creare un nuovo clima dialogico. Vogliamo contribuire a questo. 

Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa!
La Chiesa di Norvegia si batte il petto. Riconosce di essere stata vicina alle donne in gravidanza ma, probabilmente, usando espressioni sì vere, ma carenti di “comprensione”. E’ stata soprattutto cieca verso i diritti delle donne. Che peccato! “Ci dispiace”, dice. E giù una lacrimuccia di sincero dolore per non aver capito.
Nella dichiarazione si legge:
Riconosciamo che la Chiesa si è in piccola parte occupata della situazione in cui si sono trovate molte donne incinte, e non è riuscita a dare espressioni credibili di comprensione per l’esperienza delle donne e le sfide che le donne hanno vissuto. Al contrario, la Chiesa, come istituzione nel corso della storia, ha mostrato una mancanza di coinvolgimento per la liberazione e i diritti delle donne. Ci dispiace. Come chiesa dobbiamo cambiare il nostro modo di parlare dell’aborto e di come ci prendiamo cura delle persone interessate. 

E allora apriamoci!!!
L’affermazione sconvolgente arriva adesso:
Una società con accesso legale all’aborto è una società migliore di una società senza tale accesso. Previene l’aborto illegale e promuove la salute, la sicurezza e la sicurezza delle donne. Non da ultimo in una prospettiva globale. A livello internazionale, vediamo che le chiese stanno ancora contribuendo al peso di molte donne incinte in posizioni vulnerabili. 
Vi starete chiedendo: ma sono vescovi o radicali? A mio parere, entrambi. Sono “vescovi radicali”.
Infatti, confrontate il passo con le parole di Emma Bonino che per i 40 anni della legge italiana sull’aborto ha detto:
Il diritto della donna “…è la scelta di sé, come e quando diventare madri. L’aborto è uno degli strumenti, l’ultimo che le donne scelgono per la verità, o dovrebbero scegliere, perché comunque è un trauma, magari non medico ma emotivo, sì”. ”Io credo che sia stata una legge positiva”.

Mettere in discussione la legge sull’aborto? Neanche per sogno! (lo richiede la democrazia)
Continua la dichiarazione:
In Norvegia, abbiamo processi democratici per stabilire le leggi e la legge norvegese dà accesso all’aborto volontario entro le prime 12 settimane di gravidanza. Il nostro obiettivo non è mettere in discussione la legittimità della legge, ma una legge di per sé non risolve alcun dilemma etico.
Questo passo mi ricorda quanto dicevano tanti cattolici nostrani all’epoca del referendum sull’aborto. Loro un aborto non l’avrebbero mai fatto, ma era giusto lasciare la possibilità di scelta a chi lo avesse voluto fare. Siamo in democrazia. E poi, oggi, è inutile sollevare obiezioni, si rischierebbe di distruggere la possibilità di dialogo.
E infine, si legge:

Fin dal concepimento, il feto è una vita con valore e richieste di protezione. La tecnologia medica ci offre ora maggiori conoscenze e maggiori opportunità di intervenire e correggere lo sviluppo fetale lungo il percorso [di gravidanza]. Molto di questo è positivo, ma qui vengono anche sollevate alcune questioni che devono essere equilibrate e chiarite. Questo può mettere i genitori in una situazione difficile.
Anche queste parole mi ricordano quelle dette da don Maurizio Chiodi alla Università Gregoriana a fine 2017 quando, per prepararsi a celebrare i 50 anni della Humanae Vitae, disse:
«La tecnica, mi pare, non può essere rifiutata a priori quando è in gioco la nascita di un figlio, perché anche la tecnica è una forma dell’agire e quindi richiede un discernimento sulla base di criteri morali irriducibili però a una interpretazione materiale della norma». «le norme morali non sono riducibili a una oggettività razionale, ma appartengono alla vicenda umana intesa come una storia di salvezza e di grazia. Le norme custodiscono il bene e istruiscono, ma sono storiche», così «la persona è chiamata alla dimensione del cammino, a discernere quel bene possibile che sfuggendo all’opposizione assoluta tra bene e male, bianco o nero, dice Amoris laetitia, si fa carico delle circostanze a volte oscure e drammatiche».

Notate una qualche somiglianza? Sì? Esatto. La ragione ce la danno i vescovi della Chiesa di Norvegia quando affermano: 

“La missione della Chiesa è di promuovere una comunione inclusiva”.