Greta Thunberg incontra Papa Francesco, mentre da Notre Dame si leva ancora il fumo. E' un dongiovannismo religioso
Greta Thunberg (foto LaPresse)
Non si possono amare due madri. L’amore è esclusivo: o ami la Madre di Dio o ami Madre Terra. In giorni di fuoco, emozione e confusione, si potrebbe comunque restaurare la ragione: dire a Greta Thunberg di andare direttamente in Senato, senza passare da San Pietro. Ricevere in qualunque modo e a qualunque titolo la piccola fanatica svedese avvalora il paganesimo ambientalista e lo avvicina al cristianesimo umanista.
Che Papa Francesco saluti la sacerdotessa di Gea mentre ancora fuma la cattedrale dedicata a Maria profuma di quel sincretismo che è un dongiovannismo religioso: “Questa e quella per me pari sono”. Non si possono amare due madri e certamente i ragazzi francesi inginocchiati col rosario in mano davanti alla rovina di Notre Dame amano solo Nostra Signora ed è attraverso di loro, nello spirito della comunione dei santi, che mi commuovo davanti a quattro pietre bruciacchiate (non sono un turista, non ho perso uno sfondo per selfie). Quando colui che dovrebbe “confermare nella fede”, relativizza e dissesta, si guardino questi ragazzi che pregano e, pregando, cementano.
di Camillo Langone
LA NUOVA BENIAMINA
Greta Thunberg, chi c'è dietro la ragazzina ambientalista: di chi è figlia la svedese
Greta Thunberg è sbarcata in Italia, dove per tre giorni sarà accolta addirittura da Papa
Francesco fino al Senato e poi dritta a manifestare in piazza per l'ambiente con altri ragazzi.
La ragazzina svedese è diventata ormai un fenomeno globale, dietro al quale non è mai stato
chiarito abbastanza come sia nato e per la spinta di chi. La svedesina di 16 anni non arriva da
una famiglia delle tundra sperduta. Sua madre, per esempio, è una famosa cantante d'opera,
Malena Ernman. Suo padre è un attore, Svante Thunberg, non proprio un operaio
metalmeccanico. Solo per caso, la mamma di Greta lo scorso agosto ha dato alle stampe
Scenes from the heart, un libro ultra-ecologista che ovviamente ha raccolto grande successo
in contemporanea alla popolarità crescente di sua figlia.
La giovanissima Greta può anche vantare di consulenze di peso. Come per esempio quella
di Ingmar Rentzhog, esperto di marketing e pubblicità, che gli curerebbe la comunicazione
e l'immagine. Anche lui dal fenomeno della svedesina spera di tirarci su qualche euro, visto
che ha lanciato una startup, la We Do Not Have Time, che solo per puro caso è anche lo
slogan di Greta, che poi è anche membro del Cda. La società ha già raccolto 2,8 milioni
di euro di finanziamenti solo nei primi 3 giorni. Il giro d'affari dietro la nuova beniamina degli
ambientalisti di tutto il mondo cresce di giorno in giorno.
Greta, parla il biologo Pennetta: «Con la manipolazione dell’umano la
natura si può violare invece?»
Intervista sul fenomeno mediatico Greta Thunberg rilasciata a Pro Vita.
Di Luca Marcolivio
Quello sorto intorno a Greta Thunberg, è un fenomeno mediaticamente costruito, finalizzato
a risvegliare l’attenzione su un tema, quello del riscaldamento globale, da alcuni anni passato
in secondo piano. L’arrivo della sedicenne svedese, attesa in Italia per un “tour” di alcuni giorni,
che la porterà in Vaticano e in Parlamento, è stato prevedibilmente osannato
dall’informazione mainstream ma non da intellettuali fuori dal coro come Enzo Pennetta.
Il biologo, scrittore e blogger, noto anche per le sue posizioni antidarwiniste, ha spiegato
a Pro Vita & Famiglia cosa ci sia dietro la “Greta-mania”.
Professor Pennetta, quanto c’è di costruito e quanto di spontaneo in questa vicenda?
«A mio parere, è evidente che è un fenomeno costruito ai limiti della banalità. Nessun
quindicenne sarebbe in grado da solo di farsi ricevere a Davos oppure nei parlamenti europei,
all’Europarlamento, al Fmi o in Vaticano, se dietro non ci fosse un apparato che ne costruisce
le premesse. Non si finisce sulle prime pagine dei giornali o sulle aperture dei notiziari, se
non ci sono dei meccanismi dietro. Ecco perché quello di Greta Thunberg è un fenomeno
mediatico e costruito a tavolino. I motivi sono abbastanza evidenti, c’era l’esigenza di
rilanciare un argomento che era ormai poco sentito dall’opinione pubblica, perché
fondamentalmente non risultava convincente. Lo si è allora riproposto con modalità diverse,
legandolo ai sensi colpa verso le generazioni future, che verrebbero così private del loro
futuro. È un tentativo di rilanciare un’agenda che si era ormai impantanata».
Si riferisce anche a quanto successo in occasione del vertice di Copenaghen del 2009?
«Sì, quello fu un momento cruciale. L’uscita di quei documenti riservati sugli studi pilotati
affinché emergesse solamente l’allarmismo, fu un bel colpo. Penso anche, comunque, al
documentario di Al Gore, caso unico di Premio Nobel e Premio Oscar per lo stesso lavoro,
dopo il quale c’è stato un calo di attenzione continuo sul tema del riscaldamento globale.
Adesso, con Greta Thunberg, abbiamo una nuova trovata pubblicitaria per ripresentare
l’argomento con rinnovata energia».
Non è contradditorio che ci sia tanta enfasi sui temi ambientali e poi sia così tanto trascurata
l’“ecologia umana”?
«È una cosa che ha un suo senso e una sua logica, anche se discutibili. È come una tecnica di
distrazione da determinati problemi. È come se fossero stati introdotti dei “diritti cosmetici”:
togliamo il diritto al lavoro, all’assistenza sanitaria ma concediamo, ad esempio, il diritto
all’utero in affitto. Sono diritti che riguardano minoranze estreme e che rimarranno
appannaggio dei ricchi. La natura si può violare tranquillamente quando si tratta di
manipolare la vita umana nascente ma poi viene in qualche modo “sacralizzato” l’ambiente.
Sarebbe in sé una battaglia buona quella per l’ambiente ma, in questo modo, viene distorta e
deformata perché così si vede quello che balza all’occhio, nascondendo il fatto che la natura
viene invece violentata e distorta in altri ambiti. Non è una contraddizione ma la ragione
profonda di tutte queste iniziative».
Anche la sessualizzazione precoce dei minori e il loro indottrinamento in chiave gender
fanno parte di questa aggressione all’ecologia umana?
«Sì, nel senso che c’è un’identità che si costruisce e diventa poi parte fondamentale di ogni
individuo. Abbassando l’età della sessualizzazione psicologica, liquefacendo i legami familiari
e la stessa identità sessuale maschile/femminile, che è una delle identità più profonde, si
ottiene una società liquida estremamente manipolabile e funzionale all’imposizione di regole
sociali che, altrimenti, troverebbero un’opposizione molto forte. La precarietà del lavoro,
l’impossibilità di costruirsi una famiglia sono fenomeni che, in altre condizioni, verrebbero
ortemente osteggiati ma siamo di fronte a una società liquefatta e destinata a liquefarsi
ancora di più. Quindi, a questo punto, le regole dei mercati regnano completamente
incontrastate.
La cosa ha un suo “senso” se si prova a vederla nel suo insieme. Quello che impressiona è che
le persone che avrebbero tutti gli strumenti per capirlo, non fanno opposizione a questo.
Dei presidenti delle Camere dovrebbero avere degli strumenti per decifrare tutto questo e dire:
“no, io a questo gioco non ci sto”. Invece, vedo che c’è una corsa ad accodarsi con grande
compiacimento al meccanismo mediatico. Questa è la cosa che veramente preoccupa.
Il fatto che chi abbia in mano i capitali faccia il proprio gioco, può non piacermi ma lo capisco.
Che però chi, dall’altra parte, dovrebbe difendere le persone da questi meccanismi, alla fine l
i faccia propri e, addirittura, se ne faccia portavoce, mi lascia molto più perplesso».
C’è un legame tra il darwinismo e gli ultimi sviluppi del movimento ambientalista?
«Il legame c’è nella misura in cui l’essere umano viene equiparato in tutto e per tutto a
qualsiasi altro animale, quindi il bene supremo diventa l’ecologia. In questo modo, la
“salvaguardia” dell’ambiente giustifica qualunque provvedimento che limiti lo sviluppo e la
promozione umana. Il collegamento nasce a questo livello, cioè con la negazione di tutto ciò
che non è strettamente ecologico e fa da humus culturale per certe istanze che, altrimenti,
non troverebbero un loro fondamento. Su tutto ciò andrebbe maturata una certa
consapevolezza: alcuni meccanismi che appaiono spontanei sono, in realtà, una costruzione
culturale».
Anche il movimento contro il global warming ha una radice darwinista?
«Direi che è una forma di malthusianesimo camuffato. Il cambiamento climatico è un
fenomeno che va studiato, che ha avuto delle dinamiche nel passato, così come le ha nel
presente. Che poi vi sia un collegamento tra attività umane e cambiamenti climatici,
bisognerebbe essere cauti nell’affermarlo: del resto, anche personalità insospettabili come
Franco Prodi hanno mostrato scetticismo. Poi, però, la teoria del global warming viene
affermata con assoluta certezza assoluta, perché dà la possibilità di attuare una serie di
provvedimenti che sono fondamentalmente neomaltusiani: la negazione dello sviluppo
nelle regioni sottosviluppate,
la limitazione delle nascite, la criminalizzazione dell’umanità in quanto tale e del suo sviluppo.
Dispiace che questi concetti non vengano compresi dalla politica, nemmeno a livelli piuttosto
sofisticati».
Luca Marcolivio
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