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sabato 11 maggio 2019

Coprofagia e coprolalia

Bergoglio: I cattolici? Mangiatori di cacca!


Gli insulti dell'antipapa Bergoglio nei confronti dei cattolici.



ATTACCHI MIOPI
Foa, il pensiero cattolico in Rai e chi non vuol capire

Le parole di Marcello Foa che ha auspicato «più presenza cattolica in Rai» sono state, come prevedibile, strumentalizzate. Non si tratta di misurare con il bilancino la presenza del pensiero cattolico in Rai, ma c’è un problema di metodo che riguarda l’identità culturale del Paese, il pregiudizio anticattolico di molti ideatori di programmi e il concetto stesso di servizio pubblico.




Com’era prevedibile, è stata strumentalizzata, ma l’uscita del presidente della Rai, Marcello Foa, sulla necessità di assicurare maggiore presenza cattolica sulla tv pubblica va giudicata con rispetto e interesse. È forse il primo presidente della Rai ad aver posto all’attenzione delle istituzioni e dell’opinione pubblica un tema così delicato e sensibile. L’ha fatto nei giorni scorsi a Dogliani dal palco del Festival della Tv e dei nuovi media.

Le parole di Foa sembrano cadute nel vuoto. I media le hanno più o meno ignorate e chi le ha riprese lo ha fatto per criticarle aspramente. Ma cosa ha detto di preciso Foa per scatenare le ire di alcuni osservatori e perfino di alcuni ambienti interni? «La voce cattolica ha un livello di rappresentanza che non rispetta l’identità culturale del Paese. Ci sono sensibilità che non hanno abbastanza rappresentanza nel mondo giornalistico Rai. Bisogna che il mondo Rai diventi più pluralista, io auspico più presenza cattolica in Rai».


Non si tratta, quindi, di accontentare con il bilancino i cattolici affinché ottengano qualche minuto in più in diretta nei tg o nei talk show. Occorre «uno sforzo di cambiamento culturale», secondo il presidente, che ha aggiunto: «Stupisce che l’Italia, che è un Paese cattolico, abbia un po’ perso questa identificazione con la sua storia». La questione, dunque, non è quantitativa, ma di metodo, di approccio, di sensibilità.

Eppure, per screditare le parole di Foa, i suoi oppositori hanno insinuato il sospetto che lui pensi di certificare la fede cattolica dei giornalisti o di fare un’infornata di giornalisti di provata fede cattolica nella tv pubblica. «Innanzitutto mi domando come il presidente pensi di certificare la fede cattolica di un giornalista», è il commento al cianuro di Vittorio Di Trapani, segretario dell’Usigrai: «Con esami di teologia o di catechismo? Oppure immagina selezioni organizzate all’abbazia di Trisulti con Bannon e il cardinale Burke come presidenti di commissione». La prova del travisamento delle parole di Foa si ha quando Di Trapani invita quest’ultimo a non occuparsi di cose che non gli competono, in quanto «le assunzioni spettano all’amministratore delegato». Come se il presidente della Rai pretendesse di assumere nuovi giornalisti cattolici.

Anche Riccardo Laganà, consigliere d’amministrazione eletto dai dipendenti, va giù duro: «Se il presidente si riferiva all’ingresso di nuovi giornalisti di fede cattolica siamo in palese violazione del codice etico, non si possono fare discriminazioni di alcun tipo. Se voleva dire che occorre dare più spazio a un certo tipo di cultura, ricordo che la voce cattolica in Rai è ampiamente coperta da vari programmi a essa dedicati».

Probabilmente il membro del cda si riferiva ai programmi della domenica, come la Santa Messa, la trasmissione A sua immagine e l’Angelus con il Papa da piazza San Pietro. Ma il nocciolo della questione non è lì, cioè nella messa in onda di riti religiosi o pratiche di culto, bensì nel radicato pregiudizio anticattolico di molti ideatori e produttori di trasmissioni di intrattenimento, anche di talk show, e di moltissimi direttori di telegiornali e contenitori informativi, che paiono aver operato da tempo una sorta di “conventio ad excludendum” nei confronti del pensiero cattolico, mostrando uno stucchevole ostracismo verso tutto ciò che sia riconducibile ad esso.

A questi elementi si è agganciata la reazione di Giampaolo Rossi, consigliere d’amministrazione Rai in quota Fratelli d’Italia, che ha dato ragione a Foa per quanto riguarda la difesa dei valori tradizionali dell’Occidente. «C’è un argomento toccato da Foa che trovo giusto. Oggi assistiamo a un attacco, in Italia e in tutto l’Occidente, ai valori che fondano la nostra identità cristiana, dalla difesa della vita fin dal concepimento alla famiglia naturale, e su questo il servizio pubblico deve tornare a giocare un ruolo decisivo».

Sullo sfondo della polemica accesa dalle parole di Foa rimane la concezione stessa di servizio pubblico. Il nuovo contratto di servizio Rai, entrato in vigore l’anno scorso, enfatizza in alcuni punti l’esigenza di affrontare con un respiro più ampio il tema del pluralismo culturale, tanto più nell’era della convergenza multimediale che stiamo vivendo da tempo. Bisogna intendersi, oggi più che mai, su cosa significhi servizio pubblico e su come esso debba declinarsi nel rispetto delle radici storiche, culturali e religiose del nostro Paese. Le parole di Foa, se accuratamente soppesate, potrebbero offrire l’appiglio per un sereno e franco dibattito su un argomento alquanto decisivo per le nuove generazioni e per l’affermazione di un rapporto più costruttivo tra tv e opinione pubblica.

Ruben Razzante
http://www.lanuovabq.it/it/foa-il-pensiero-cattolico-in-rai-e-chi-non-vuol-capire

Elogio di Foa, che sogna una tv «più cattolica»


«Allarme in Rai», titolava stamane Repubblica a pagina 10, cosa che al lettore frettoloso poteva lasciar immaginare licenziamenti di massa, scandali, epurazioni. Niente di tutto ciò: l’«allarme» di cui parla il quotidiano fondato da Scalfari è semplicemente dovuto alle parole del presidente della Rai, Marcello Foa, che al festival della tv a Dogliani ha osato affermare: «La voce cattolica ha un livello di rappresentanza che non rispetta l’identità culturale del Paese. Ci sono sensibilità che non hanno abbastanza rappresentanza nel mondo giornalistico Rai». Considerazione inattaccabile cui Foa ha fatto seguire un personale auspicio: «Bisogna che il mondo Rai diventi più pluralista, io auspico più presenza cattolica in Rai».
Apriti cielo. Nelle parole del «presidente sovranista», come l’ha sprezzantemente ribattezzato Repubblica, c’è subito stato chi vi ha visto l’annuncio di moltitudini di assunzioni di giornalisti cattolici, chi il principio di un nuovo medioevo, chi la trasformazione della Rai in un’Al Jazeera crociata: di qui l’«allarme». In realtà, Foa ha solo formulato un auspicio personale (articolo 21 della Costituzione, dice niente?), che tra l’altro non mi trova d’accordo, ma d’accordissimo. Osando ancor di più, infatti, io auspicherei una Rai e, in generale, una televisione con fiction dove la coppia sposata e fedele sia la regola e non l’eccezione, dove possano andare in onda programmi anche senza l’ospite fisso Lgbt  o di origine straniera, e dove si possa parlare anche di Dio senza chiedere il permesso.
Impegni, questi, finora lasciati solo sulle spalle di don Matteo. Tuttavia, siccome per quanto straordinaria neppure per Terence Hill la longevità diverrà eternità – e non è credibile che Gubbio e Spoleto siano più letali di Caracas -, l’auspicio di Foa tutto è fuorché peregrino. Tanto più se si pensa, come ho spiegato nel mio nuovo libro, Propagande, che il potere di persuasione del mezzo televisivo è enorme. Addirittura, secondo Ettore Bernabei, uno che la Rai la guidò per anni e anni, «la sua potenza di suggestione non è neppure immaginabile». Questo significa che la tv, in ogni caso un’influenza l’ha: allora tanto vale che essa sia sana, pia, ispirata a valori veri e fedeli a quelli di un Paese, in fondo, ancora cristiano. Lunga vita dunque al presidente Foa, che immagina più cattolici in tv in un tempo in cui sembrano scarseggiare persino nella Chiesa.

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