Esistere è metter radici, farsi terra e paese. Altro che cittadino-consumatore globalizzato! C'è un legame essenziale fra gli uomini e il paese in cui vivono: recidere quel legame significa sradicarli farne dei poveri alienati
di Francesco Lamendola
Ci sono forze oscure e potentissime le quali si sono prefissate l'obiettivo di staccare irreparabilmente gli esseri umani dalle loro radici, di renderli atomi vaganti sulla terra, disancorati, fluidi, omologati e intercambiabili, per poterli sempre più manipolare, sfruttare, asservire. La perdita delle radici e la perdita dell'identità - che poi sono due facce della stessa medaglia - solo in parte sono il risultato di dinamiche "naturali", caratteristiche del mondo moderno; per la maggior parte, invece, sono l'effetto di un piano, diuna strategia lucidamente pianificata e perseguita da coloro i quali possiedono gli strumenti globali per farlo: i brevetti tecnologici, i mass media, i persuasori occulti, la moda e tutto ciò che plasma l'immaginario collettivo.
Verso una sola dimensione antropologica, quella del cittadino-consumatore!I popoli stanno subendo una strategia lucidamente pianificata e perseguita da coloro i quali possiedono gli strumenti globali per farlo: i brevetti tecnologici, i mass media, i persuasori occulti, la moda e tutto ciò che plasma l'immaginario collettivo!
Nulla è casuale, tutto è stato studiato a tavolino, dalla Coca-Cola alla minigonna, dai jeans al telefonino multifunzionale, dalle canzoni destinate a scalare le classifiche all'ultimo gioco elettronico. Queste forze hanno comprato o assoggettato anche gli uomini di governo, il ceto degli intellettuali, gran parte degli amministratori pubblici e, in genere, tutti quelli che concorrono a determinare l'opinione pubblica. Molti di essi collaborano con zelo agli indirizzi attuali per conformismo, per spirito gregario, per demagogia, per vanità: seguono la corrente, si uniformano a un piano prestabilito, però sembrano intrepidi paladini di una battaglia di civiltà: perseguono, così, il massimo risultato con il minimo sforzo. Una parte invece, quelli di più alto livello, sono stati arruolati in maniera esplicita, benché segreta: prendono ordini dalla massoneria, che ha spianato loro la strada, li ha liberati dai concorrenti incomodi, li ha portati sul velluto fino alle poltrone che contano. Giunti alle quali, sembrano uomini potenti, ma sono solamente dei burattini telecomandati: fin dal loro insediamento devono guadagnarsi l'appoggio ricevuto, collaborando ciecamente al disegno per il quale sono stati reclutati. In questo modo vengono selezionati quasi tutti i presidenti degli Stati Uniti, quasi tutti i presidenti e i capi di governo degli Stati europei, tutti i grandi dirigenti pubblici, tutti i direttori degli istituti finanziari, tutti i più celebri architetti e urbanisti, i registi cinematografici, i direttori delle case editrici, i presidi delle università pubbliche e private, moltissimi magistrati, i vertici delle forze armate e delle forze di polizia, e, da ultimo, il signore vestito di bianco che si fa chiamare papa, ma che papa non è più di quanto lo sia chiunque di voi.
Sembrano uomini potenti, ma sono solamente dei burattini telecomandati!
La maggior parte dei pensatori, dei saggisti, dei romanzieri e dei poeti si accoda a questa tendenza per mero opportunismo, come si aggregarono al fascismo, al nazismo e allo stalinismo nella prima metà del secolo scorso, salvo poi abbandonare la nave al momento del naufragio e salire a bordo di un'altra, con maggiori garanzie di durata e di successo. Perfino i teologi, quelli che più di ogni altro avrebbero dovuto, per tradizione millenaria e per l'oggetto stesso della loro scienza, tenere ferma la barra del timone in direzione dell'Assoluto, si son lasciati prendere dalle tendenza generale al relativismo, al soggettivismo e a quello che potremmo chiamare l'emozionalismo: al posto della dottrina, la morale della situazione; al posto di San Tommaso, la retorica dei buoni sentimenti del signore biancovestito, che non piega mai il ginocchio di fronte a Dio, ma che si getta bocconi fino a terra per baciare i piedi ai capi di Stato africani. Tutto questo viene fatto per concorrere all'obiettivo prefissato: staccare gli esseri umani dalle loro radici, dal loro paese, dalla loro identità, e anche dalla loro fede religiosa, con la scusa dell'accoglienza dei poveri e della solidarietà verso i perseguitati e i bisognosi. Una volta che siano state rescisse le loro radici, gli esseri umani non fanno più presa sul mondo, diventano leggeri, inconsistenti, possono esser portati in qualunque direzione dal primo soffio di vento. Ecco perché, come diceva Cesare Pavese, un paese ci vuole; senza di esso, senza le nostre radici, siamo gettati a caso nel mondo, non abbiamo più mete, non abbiamo più scopi, non abbiamo più riferimenti, non abbiamo più senso. La nostra vita, a quel punto, avrà smesso di avere un significato: saremo diventati estranei a noi stessi, quindi nemici di noi stessi. Un paese che, si badi, è prima di tutto un luogo dell’anima, così come il focolare domestico di Giovani Verga è prima di tutto un’intimità di affetti, e non solo una casa costruita in un certo luogo, entro un preciso spazio geografico, fatta di pietre e di mattoni.
Diceva Cesare Pavese "Un paese ci vuole": senza di esso, senza le nostre radici, siamo gettati a caso nel mondo, non abbiamo più mete, non abbiamo più scopi!
Ci piace riportare la pagina iniziale del romanzo-testamento di Pavese La luna e i falò, in cui questo concetto viene espresso con chiarezza cristallina e assoluta lucidità per bocca del protagonista, un ex trovatello emigrato in America e tornato alle Langhe dopo molti anni di assenza, alla ricerca angosciosa delle radici - e di una ragione per vivere - che non riuscirà a trovare (Einaudi, 1950; Mondadori, 1961):
C'è una ragione perché sono tornato in questo paese, qui e non invece a Canelli, a Barbaresco o in Alba. Qui non ci sono nato, è quasi certo; dove sono nato non lo so; non c'è da queste parti una casa né un pezzo di terra né delle ossa c''io possa dire: "Ecco cos'ero prima di nascere". Non so se vengo dalla collina o dalla valle, dai boschi o da una casa di balconi. La ragazza che mi ha lasciato sugli scalini del duomo di Alba, magari non veniva neanche dalla campagna, magari era la figlia dei padroni di un palazzo, oppure mi ci hanno portato in un Cavagno da vendemmia due povere donne da Monticello, da Neive o perché no da Cravanzana. Chi può dire di che carne sono fatto? Ho girato abbastanza il mondo da sapere che tutte le carni sono buone e si equivalgono, ma è per questo che uno si stanca e cerca di mettere radici, di farsi terra e paese, perché la sua carne valga e duri qualcosa di più che un comune giro di stagione.
C'è un legame essenziale fra gli uomini e il paese in cui vivono: recidere quel legame significa sradicarli, farne dei poveri alienati.
Esistere, dunque, è metter radici, farsi terra e paese. Cesare Pavese esprime con parole diverse un concetto che era stato caro ai nazionalisti, specialmente tedeschi: il binomio sangue e suolo (Blut und Boden), cioè razza e terra. C'è un legame essenziale fra gli uomini e il paese in cui vivono: recidere quel legame significa sradicarli, farne dei poveri alienati. Ma siccome il nazionalismo, dopo il 1945, è stato oggetto della più aspra riprovazione, da parte della cultura dominante (di sinistra, e quindi internazionalista), Pavese, senza rendersene conto, diceva qualcosa che era politicamente scorretto, così come politicamente scorretto era il suo attaccamento al mito e la sua idea che il mondo ci parla per mezzo di simboli antichissimi e universali, che si ritrovano, in forme diverse, presso ogni popolo e ogni civiltà. Ora, la domanda che dobbiamo farci è se sia stato giusto, dopo il 1945, cioè dopo le guerre mondiali e dopo la bomba di Hiroshima, condannare senza appello il legame fra i popoli e la terra, suscitatore di identità, e anche la visione mitica dell'uomo e della storia, contrapposta a quella scientifica, in quanto corrisponde a una lettura spirituale della realtà, e non materialista e razionalista. Infatti dopo il 1945, principalmente a causa dell'ombra di Auschwitz, che ha identificato la parte soccombente nella Seconda guerra mondiale come il Male Assoluto, la cultura progressista e antifascista, uscita vittoriosa, ha imposta la sua visione in maniera totalitaria: una visione, appunto, relativista, materialista, razionalista e internazionalista. Da quel momento, parlare di identità, di legane con la terra, di razza in senso spirituale, di popolo come destino, è stato, per decenni, poco meno di un crimine: gli scrittori o i pensatori che lo facevano, venivano immediatamente guardati con sospetto e tacciati, nel migliore dei casi, di narcisismo e individualismo piccolo borghese (e lo stesso Pavese, che pure era, o si sforzava di essere, un intellettuale organico alla società, secondo il modello gramsciano, ha passato il suo piccolo Calvario a causa della durezza di certi suoi "compagni" del PCI, e anche a causa dei suoi stessi conflitti interiori e sensi di colpa irrisolti).
Dio Patria e Famiglia? Ci sono forze oscure e potentissime le quali si sono prefissate l'obiettivo di staccare irreparabilmente gli esseri umani dalle loro radici, di renderli atomi vaganti sulla terra, disancorati, fluidi, omologati e intercambiabili, per poterli sempre più manipolare, sfruttare, asservire.
Peraltro, ai nostri giorni appare sempre più evidente che l'internazionalismo marxista ha soltanto preparato il terreno, sradicando e criminalizzando il legame con la terra e il senso di identità, a quel che sta accadendo oggi, cioè l'irruzione di un rullo compressore ancor più inesorabile, quello della grande finanza speculativa, il cui obiettivo è spezzare il legame fra gli uomini e la terra per poterli meglio asservire ai suoi disegni. Così, l'internazionalismo di origine marxista, che avrebbe dovuto aprire la strada all'universalismo comunista, ha aperto la strada, in un certo senso, alla globalizzazione voluta dalle borse e funzionale ai mercati: una strategia simile per giungere a un risultato opposto. Ora si sta attuando il mondo preconizzato dalla canzone Imagine di John Lennon, che tanto piaceva ai ragazzi degli anni '70 del Novecento: un mondo senza frontiere, senza religioni, e quindi senza identità, con la sola differenza che non si direbbe, come recitava il testo, tutto proteso verso l'amore e la pace, perché la caduta delle identità sta aprendo la via al peggiore dei totalitarismi, quello finanziario, foriero di guerre e sconvolgimenti, e che è nemico, oltre che delle identità e del senso religioso, anche della famiglia, del lavoro, del risparmio e, in ultima analisi, della piena coscienza di sé. La globalizzazione, infatti, persegue, incoraggia e alimenta il massimo della frattura, della scissione e della lacerazione dell'io, attaccando la sua identità sino alle radici, ad esempio insinuando negli individui perfino il dubbio circa la propria identità sessuale, e, nello stesso tempo, indebolendo il legane con gli altri io.
La nuova dimensione antropologica dell'uomo moderno: il cittadino-consumatore!
Esistere è metter radici, farsi terra e paese
di Francesco Lamendola
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COSA DICE LA CHIESA
Radici e identità, il "cattosovranismo" è possibile
Sovranismo e cristianesimo sono davvero incompatibili come non pochi settori del mondo cattolico nostrano continuano a sostenere? Da San Giovanni Paolo II che invitava le Nazioni a proteggere la propria sovranità come fosse “la pupilla dei loro occhi” a Benedetto XVI e la rinascita dell'Europa dalle macerie spirituali, passando per l'immigrazione controllata di Biffi, c'è un filo rosso che disegna un'idea ben precisa. E passa dal cattolicesimo.
Sovranismo e cristianesimo sono davvero incompatibili come non pochi settori del mondo cattolico nostrano continuano a sostenere? I cosiddetti “cattolici adulti” sono tra i principali promotori del processo di criminalizzazione in atto contro l'idea stessa di Stato Nazionale. Questa presa di posizione li ha resi, conseguentemente, i più entusiasti alfieri dell'europeismo. Ma basta volgere lo sguardo agli edificanti magisteri di San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI per rendersi conto che parlare di sovranità non è certo un peccato!
Così come non è un dogma l'adesione aprioristica al progetto comunitario per come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi. Ratzinger ci avvertiva che “il processo stesso di unificazione europea si rivela non da tutti condiviso, per l'impressione diffusa che vari 'capitoli' del progetto europeo siano stati scritti senza tener adeguato conto delle attese dei cittadini”. Mentre San Giovanni Paolo II invitava le Nazioni a proteggere la propria sovranità come fosse “la pupilla dei loro occhi”, raccomandandosi di non farla diventare preda di “qualche interesse politico o economico”. E sempre il grande papa polacco sostenne che l'integrazione sovrannazionale può essere consigliabile “a patto che ciò avvenga in un clima di vera libertà, garantita dall'esercizio dell'autodeterminazione dei popoli”. Principio, quest'ultimo, di cui non troviamo menzione nei Trattati Ue.
Per ciò che attiene invece il clima di libertà, tra i tanti episodi che si potrebbero citare vale la pena ricordare la bocciatura a Commissario europeo per la giustizia di Rocco Buttiglione, “colpevole” di aver ribadito l'insegnamento biblico sull'omosessualità. L'affermazione nelle urne delle forze cosiddette sovraniste, se saprà mettere un freno alla piega tecnocratica e laicista intrapresa dall'Ue e molto lontana dal sogno originario dei suoi Padri fondatori – tre cattolicissimi come De Gasperi, Adenauer e Schuman - non solo non sarà un pericolo per la Chiesa, come paventato con enfasi da più di qualcuno, ma rappresenterà un'opportunità storica.
D'altra parte, la rinascita dell'Europa dalle macerie spirituali in cui l'ha condotta l'abbandono forzato della sua identità passa inesorabilmente da un recupero di quelle radici cristiane che, insieme al diritto romano e al pensiero filosofico greco, hanno costituito e devono continuare a costituire l'ossatura della civiltà europea. Questa rivendicazione non sottintende una restaurazione neoconfessionale, ma punta ad affermare con forza la necessità di individuare un bagaglio di valori condivisi, inevitabilmente ricavati dall'eredità cristiana, che stiano alla base del patto costituente della società e che orientino i legislatori europei nel loro lavoro.
Le forze sovraniste, in caso di vittoria elettorale, non possono limitarsi ad archiviare l'attuale modello di Europa, ma devono necessariamente promuoverne l'instaurazione di uno alternativo. A tale scopo, per la direzione da perseguire possono senz'altro attingere al patrimonio sconfinato della Chiesa. Le visioni profetiche sulle sorti del Vecchio Continente di figure esemplari della storia recente della Chiesa offrono alla futura classe politica diagnosi lucide e soluzioni di buon senso alle questioni più urgenti dei nostri tempi.
Pensiamo, ad esempio, alle parole del cardinal Biffi per un'immigrazione disciplinata, che tenga conto della salvaguardia dell'identità nazionale e che chiarisca come “chi viene da noi deve sapere subito che gli sarà richiesto, come necessaria contropartita dell'ospitalità, il rispetto di tutte le norme di convivenza che sono in vigore da noi”.
O alla ragionata contrarietà di Ratzinger su un eventuale ingresso della Turchia in Ue, giudicato antistorico e dettato soltanto da benefici economici, calpestando le rispettive identità culturali. Ma soprattutto, i nuovi legislatori non siano sordi al grido d'allarme più ricorrente su cui la Chiesa, grazie a quel suo diritto-dovere di intervenire nel dibattito pubblico che - su certi temi ma non su altri – viene bollato dai laicisti come ingerenza, ha continuato a richiamare l'attenzione: l'inarrestabile crollo delle nascite che rischia di portare all'estinzione il Vecchio Continente.
Come ha giustamente osservato il cardinal Antonelli, l'inverno demografico dovrebbe preoccupare più del riscaldamento dell'atmosfera! Se riusciranno ad archiviare il modello fallimentare dell'attuale Ue, la speranza è che le forze cosiddette sovraniste siano in grado davvero di dedicarsi ad edificare, citando le bellissime parole di Benedetto XVI, una “nuova Europa, realistica ma non cinica, ricca d'ideali e libera da ingenue illusioni, ispirata alla perenne e vivificante verità del Vangelo”.
Nico Spuntoni
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