Dov’è Pietro? E chi è Pietro? (Con una lettera di don Minutella)
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La pubblicazione dei cosiddetti Appunti di Benedetto XVI dedicati alla questione degli abusi nella Chiesa ha segnato un punto di non ritorno. La decisione di rompere il silenzio ha qualcosa di sconvolgente, soprattutto perché Joseph Ratzinger non solo, derogando alla decisione di vivere nascosto, è intervenuto su un tema caldissimo, ma lo ha fatto sostenendo tesi che sconfessano la posizione sostenuta da Francesco.
Dietro la forma, come sempre, cortese e compassata, il piccolo saggio sulla questione degli abusi ha un contenuto polemico che non può essere ignorato. In pratica Benedetto XVI ha detto: “Guardate che le cose non stanno come vorrebbero farvi credere”. E se ha sentito il bisogno di parlare significa che ha avvertito un pericolo grande.
Naturalmente si può discutere (come in effetti si è discusso) sulle tesi di Benedetto XVI, ma qui il problema è un altro. Il problema è che papa Benedetto ha voluto parlare.
Non credo che, ponendo tali questioni, si possa essere accusati di dietrologia. La questione è sostanziale. Nei fatti, la coesistenza dei due papi continua a dare adito a tensioni sempre più manifeste e a domande che ancora non hanno trovato risposte adeguate, e tutto ciò non può essere derubricato come anomalia temporanea.
Come giustamente ha scritto Sandro Magister, tra i due papi ormai “è frattura”. Non c’è altra espressione da usare. Frattura confermata dalla gelida (per non dire infastidita) accoglienza data agli Appunti dai media vaticani e dal silenzio di Francesco, atteggiamento da lui assunto ogni volta che si sente messo alla prova.
D’altra parte, la reazione stizzita di alcuni commentatori favorevoli a Francesco, secondo i quali la coabitazione dei due papi sarebbe possibile solo se Ratzinger sparisse come morto, dimostra che il nervo è scopertissimo.
E di nuovo torna la domanda: fino a quando sarà possibile andare avanti con la finzione secondo cui questa situazione è normale e tutto sta andando bene?
Aldo Maria Valli
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Gentile dottor Valli, ho appena terminato di tenere tra le mani gli ultimi due libri di Benedetto XVI, da poco usciti nelle librerie. Uno è un insieme di scritti finora inediti che, come si legge nella Prefazione, egli stesso ha autorizzato per la pubblicazione. L’altro è addirittura un insieme di riflessioni su un tema sempre più sensibile, qual è quello del dialogo interreligioso con gli Ebrei. Il primo volumetto, dal titolo Per amore, riporta per intero proprio sulla copertina la firma Benedictus PP XVI. Ovviamente non sfugge che si tratta di una firma papale sotto tutti gli effetti. L’altro volume – quello del dialogo ebraico-cristiano – affronta tematiche assolutamente notevoli con il rabbino Arie Folger, ed è curato da Elio Guerriero, uno dei più quotati conoscitori del pensiero di Hans Urs von Balthasar, definito qualche settimana fa, dallo stesso Benedetto XVI, “il grande teologo”. All’inizio del volume, dal titolo Ebrei e cristiani, si legge una breve dichiarazione di monsignor Georg Gänswein, segretario personale di Benedetto XVI, che scrive: “Papa Benedetto mi ha incaricato di ringraziare”. Non c’è l’aggettivo emerito. In modo solenne e per me sorprendente c’è soltanto Papa Benedetto. In entrambi i casi, sembra quasi che la storia venga ricondotta, come per incanto, a più di sei anni, a prima di quell’annus horribilis 2013.
I due volumi, appena usciti, fanno seguito alla pubblicazione recente, poco più di un mese fa, dei cosiddetti Appunti, che Benedetto XVI ha voluto rendere noti, e che in realtà non solo sono un testo pienamente magisteriale, dopo sei anni di buio profondo, ma costituiscono una lente ustoria per interpretare la situazione attuale della Chiesa. Ratzinger parla di una Chiesa voluta da noi che, in definitiva, è suggestione di satana, e poi di una Chiesa di martiri, indistruttibile, e lo fa citando proprio l’Apocalisse.
Per uno come me che, in Italia, e non più solo, da due anni non smette di dire che siamo in presenza di un’anomalia senza precedenti, quella cioè di un vero papa costretto alle dimissioni e di un altro (il cardinale Bergoglio) eletto invalidamente, in un falso conclave, pilotato da poteri forti, e che per questo passa all’opinione comune come un prete fuori di testa ed eccessivo e che ha rimediato due scomuniche, una sospensione a divinis, la rimozione da parroco, l’isolamento ecclesiale e umano, la derisione mediatica, la condanna unanime, ebbene, per don Minutella queste ultime vicende risultano confortanti.
Perché Benedetto XVI si firma ancora PP? Perché il suo segretario lo presenta ancora come Papa Benedetto, senza più l’inutile e fuorviante “emerito”?
Da due anni mi batto per sostenere le ragioni di un’anomalia che rischia di rovinare per sempre la Chiesa. Non c’è mai stata, infatti, la coesistenza di due papi. È vero che ce ne sono stati anche tre contemporaneamente, ma erano abbastanza intelligenti da squalificarsi reciprocamente, appunto perché Pietro è uno solo e il munus non è mai stato né estensibile né partecipabile, piuttosto, al limite, c’è la collegialità che, però, come Lei sa bene, è un’altra cosa, perché si riferisce al tema del primus inter pares. Il primato personale e non commutabile rimane ancora una volta garantito. Gesù ha detto a Pietro: tu es, non vos estis.
Certo, io appaio ormai come uno che ha radicalizzato la questione, ma le assicuro che l’ho fatto e continuo a farlo, non solo pagando di persona, ma soprattutto perché vedo che il cattolicesimo italiano postconciliare è del tutto impreparato e persino disinteressato alle sorti che la Chiesa di Roma rischia di conseguire.
Così, rincuorato da queste ultime “uscite”, che per me suonano come conferme del mio instancabile girovagare non solo sui network ma anche tra le città di tutta Italia, ribadisco con forza ancora fresca e appassionata che il papa è Benedetto XVI e che la messa è possibile solo in unione con lui, non con l’altro, pena l’invalidità. Anch’io avevo iniziato a celebrare messa una cum Francisco. Non è una colpa il primo biennio trascorso con un finto papa, ma il tempo ha chiarito tutto, per disposizione della Provvidenza che guida la storia. I padri dicevano: ubi Petrus ibi Ecclesia. Dov’è ora Pietro? Soprattutto chi è ora Pietro? E perciò, anche, dov’è la Chiesa?
Se si decide di continuare a chiudere gli occhi, assisteremo alla morte del cattolicesimo romano e alla consacrazione definitiva dello pseudo cattolicesimo postconciliare bergogliano, che significa falsa Chiesa, quella chiaramente profetizzata dal terzo segreto di Fatima. Sant’Ambrogio diceva che la vera Chiesa è quella che riconosce a suo capo il vescovo di Roma. Non si tratta qui di supportare l’idea di un papa eretico. È una direzione incompleta, occorre più audacia profetica. L’istituzione che è arrugginita, ha bisogno di un sisma carismatico, di un sussulto profetico. Occorre dire che vescovo di Roma è e non può che essere ancora Benedetto XVI. Tutto quanto vissuto in comunione con l’altro vestito di bianco è un surrogato scenico, un’impalcatura che, come scrive il medesimo pontefice, alla fine ha come regista il diavolo stesso.
Sono stato più volte invitato a far silenzio, a ritirarmi in monastero, a tacere per sempre. Perché sono divisivo. Tutti lo hanno richiesto. Tutti tranne uno. Proprio quel Benedetto XVI che, se anche non ha speso una parola in favore, non è poco che non abbia neppure detto nulla contro. E sappiamo bene che l’affaireMinutella, per quanto lo si voglia far passare come roba di un Masaniello vestito da prete, in realtà preoccupa non poco le frange bergogliane, altrimenti non sarei l’unico prete addirittura così misericordiosamente raggiunto da due scomuniche. Chissà quali speranze avranno riposto nell’entourage di Benedetto XVI, perché ci fosse anche solo una mezza sillaba di sostegno alle condanne. E invece nulla. Anche se arrivasse qualcosa da quelle parti, bene, suonerebbe quanto meno tardivo e fuori tempo.
Le dirò di più. Sarò disposto volentieri a tirarmi fuori, a tacere per sempre. Ma a condizione che Benedetto XVI
– Dismetta il nome di papa e riprenda quello comune di Cardinale Ratzinger.
– Vada via per sempre da Roma, come Celestino V, e faccia perdere ogni traccia.
– Tolga le chiavi dallo stemma pontificio.
– Rimanga fedele alla promessa iniziale di tacere e pregare, in un munus passivo del ministero petrino!
– Dismetta l’inutile e peregrino aggettivo di Emerito, semplicemente perché non esiste.
– Soprattutto tolga l’abito bianco e indossi nuovamente quello nero o rosso.
Più di qualcuno mi domanda, fra le migliaia di persone che mi seguono, perché Benedetto XVI non sia più chiaro.
Sa che cosa rispondo?
Evidentemente sfugge la questione dell’armadio! Mi riferisco all’incredibile risposta che il papa ha dato al giornalista che, diversi giorni dopo le dimissioni, gli chiedeva come mai non togliesse la talare bianca e non indossasse quella nera. Egli ha risposto che nell’armadio le talari erano tutte bianche. Sono passati sei anni e non mi pare che i sarti di Roma siano tutti morti o che sia terminata dappertutto la stoffa nera!
Questa vicenda, singolare e dal sapore apocalittico, non è affare giornalistico o gusto per il giallo, no! È soltanto amore alla Chiesa, quella che vive dove c’è Pietro. E Pietro, oggi, rimane Benedetto XVI. Speriamo che la congiura massonica possa presto essere nota a tutti!
La ringrazio e, come sono solito dire, avanti con Maria.
Don Alessandro Minutella
Palermo, 5 maggio 2019
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