ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 4 maggio 2019

Ma noi..no!

UN DIABOLICO CONTRO-VANGELO


C’è stato un tempo, ma ora no. Don Carrega: anche noi in Italia abbiamo il nostro padre James Martin? Che se lo tengano il loro "Contro-vangelo" fatto per trascinare le anime all’inferno non c’è dialogo possibile fra noi e loro 
di Francesco Lamendola  
  
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E così, anche noi in Italia abbiamo il nostro padre James Martin; probabilmente non ne abbiano uno, o due, o tre, ma decine e centinaia. Comunque, quanto a visibilità mediatica, abbiamo il nostro James Martin: il nostro bravo prete progressista, inclusivo, senza pregiudizi, aperto, dialogante e missionario, nel senso che va verso gli altri, li comprende, li accompagna, li benedice: in questo caso, gli altri come omosessuali. Ma sono ancora “altri!”, poi? Stando alle cronache di papa Francesco e della sua contro-chiesa, non si direbbe affatto; al contrario; si direbbe che gli “altri” siano i veri cattolici, gli ultimi moicani, circondati, assediati, denigrati, disprezzati, mal sopportati, invitati ad andarsene, a sparire, a nascondersi per la vergogna, loro e i loro biechi pregiudizi, chiusi, egoisti, duri come il marmo, musi lunghisignore e signora piagnisteofacce da sottacetocristiani ipocriti, come li chiama, molto caritatevolmente e molto misericordiosamente, il più caritatevole e il più misericordioso di tutti i neocristiani e neocattolici, il signor Bergoglio, in arte papa Francesco. 

Piccolo particolare, questi ultimi cattolici, che sono “altri” per la contro-chiesa bergogliana, sono anche gli unici verso i quali non val la pena di andare, non è il caso di accompagnarli, tanto meno di dialogare, e per parlare di che cosa, poi? Non val neanche la pena di rispondere, se son loro a parlare e a formulare, pensa un po’ che sfacciati, delle domande. L’esempio vien sempre dal signore vestito di bianco che in arte si fa chiamare papa Bergoglio, quando cioè fa il buffone sulle pubbliche piazze e fin dentro le chiese, quando bacia i piedi agli uomini e protende il deretano in aria, quando lava i piedi ai migranti ma non piega mai le ginocchia davanti al Santissimo: ha forse risposto ai dubia legittimi e rispettosi dei quattro cardinali?

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E così, anche noi in Italia abbiamo il nostro padre James Martin! è don Gianluca Carrega sacerdote della diocesi di Torino, incaricato dall’arcivescovo Cesare Nosiglia della “pastorale per gli omosessuali”!

Ha risposto alla Correctio filialis dei teologi e dei sacerdoti? Ha risposto a monsignor Viganò e al suo documentato dossier? Sta ora rispondendo alle lettera aperta di settanta studiosi che si rivolgono ai vescovi, accusandolo apertamente di eresia pervicace e sistematica? E ha mai spiegato ai Francescani e alle Francescane dell’Immacolata di quale colpa si sono macchiati, di quale delitto si devono vergognare, e per quale ragione era giusto chiudere il loro seminario e trattarli come degli untori, come degli appestati? No, mai: lui non si abbassa  a rispondere; e così fanno i suoi seguaci, i suoi tirapiedi, i suoi valletti e i suoi suggeritori. Insomma, avete capito di chi stiamo parlando, chi è il nostro James Martin, il nostro uomo di Dio che sfida le convenzioni e che, come Gesù non si curava d’esser criticato ad accettare inviti a cena dai pubblicani, così lui non si vergogna di tenere un corso di fedeltà per persone omosessuali: Gianluca Carrega biblista, scrittore, sacerdote della diocesi di Torino, il quale, incaricato dall’arcivescovo Cesare Nosiglia della “pastorale per gli omosessuali” (che roba è?), dopo aver dovuto rinunciare l’anno sorso per la resistenza imprevista degli ultimi moicani, degli ultimi scocciatori, degli ultimi duri di cuore, i quali non vogliono capirla che la dottrina è un optional e che tutto ciò che conta è la pastorale, e che la pastorale è accogliere, ascoltare, medicare, come gli infermieri d’un ospedale da campo in quella perenne battaglia che è la vita (ma non battaglia del bene contro il male: battaglia delle passioni disordinate e lasciate in libertà), quest’anno ce l’ha fatta e ha tenuto il suo bravo corso di fedeltà per fidanzati gay. Ma in fondo, tutto questo è logico ed era prevedibile, se non fossimo stati tutti quanti assonnati, pigri e ben contenti di lasciarci carezzare gli orecchi dalla musica della neochiesa, dolce e cantabile come una poesia di Sandro Penna. È dal Vaticano II che la pastorale vien fatta prevalere sulla dottrina: certo, all’inizio nessuno osava dirlo, però era sottinteso: per quale altra ragione convocare un concilio senza alcuna ragione dottrinale, senza alcuna verità da chiarire, ma solo e unicamente per esigenze di aggiornamento pastorale? Lo scopo era questo, e lo stiamo vedendo ora: cambiare lentamente ma inesorabilmente la dottrina, cioè la fede cattolica, grazie a una pastorale fondata su concetti ingannevoli come dialogo, ecumenismo, inclusione e accompagnamento, uno più falso e strumentale dell’altro perché sprovvisti del requisito essenziale: la verità di Gesù Cristo, la verità che è Gesù Cristo.

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 Per don Carrega Gesù si era sbagliato perché non aveva conosciuto le meraviglie delle coppie omoaffettive!

In un convento di suore (è a questo che servono i conventi? È per questo che le suore ci vanno? ed è per questo che i fedeli li sostengono economicamente con le loro offerte, vedi otto per mille e donazioni private?), nel capoluogo piemontese i fidanzati gay possono frequentare un corso di fedeltà e preparazione alla vita insieme, sotto la guida di Gianluca Carrega, colui che non teme i pregiudizi, il sacerdote che sa andare verso gli altri, sa accompagnarli, sa capirli e si guarda bene dal discriminarli. Qualche perla della sua teologia morale? Eccola, tratta dal suo sito internet:
Nelle città pagane Paolo si trova di fronte a un fenomeno che non ha gli strumenti per comprendere. Lo considera una devianza. Ma non ha mai conosciuto una coppia omoaffettiva: non possiamo giudicare con categorie moderne quello che allora non esisteva”. (…) Paolo e Gesù vivono in un’epoca precisa, non si possono estrapolare testi e non contestualizzarli.

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 Lasciamoli con il loro contro-vangelo diabolico, satanico, fatto per trascinare le anime all’inferno: che se lo tengano, non c’è dialogo possibile fra noi e loro!

Capito? San Paolo era un povero ebreo ignorante, imbottito di pregiudizi, perché non aveva esperienza del mondo delle grandi città ellenistiche, nelle quali la sodomia e la pederastia erano cose bellissime e raffinatissime (il che, fra le altre cose, è falso, perché Paolo era di Tarso, che era una città di medie dimensioni, largamente ellenizzata e nella quale i pagani vivevano come a Sardi, a Efeso, a Nicomedia, a Corinto, ad Atene; e quindi la cultura pagana, lui, la conosceva benissimo, compresi i suoi vizi capitali, dei quali parla con piena cognizione di causa nella Lettera ai Romani). Se fosse stato un po’ meno rozzo e incivile, se fosse stato solo po’ piùviveur, se avesse frequentato qualche volta le palestre e le saune, gli anfiteatri e i mercati, a certe cose avrebbe fatto l’abitudine e avrebbe smesso di essere così bigotto, moralista e contadino. Quanto a Gesù… beh, qui perfino don Carrega ha un attimo di esitazione, non è mica una cosa da nulla dire che Gesù si era sbagliato perché non aveva conosciuto le meraviglie delle coppie omoaffettive; un’ombra di ritegno si è frapposta per un istante, ma solo per un istante, e poi via, superato anche questo scoglio, e via col vento in poppa: le parole di Gesù non si possono estrapolare, vanno contestualizzate, Lui parlava in un’epoca precisa, in un ambiente preciso. Cose già sentite, vero? C’è un’aria di famiglia in questo discorso. E infatti: sono le stesse parole, gli stessi argomenti, gli stessi concetti già espressi gloriosamente da padre Sosa Abascal, il nuovo generale dei gesuiti, il quale se la prendeva con quel bigotto del cardinale Gerhard Müller, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, reo di aver ribadito il Magistero sul tema dell’indissolubilità matrimoniale. Ma Gesù, dice Sosa, parlava a un uditorio preciso, in un contesto preciso: per carità, non si può mica decontestualizzare! E come Sosa voleva arrivare a mettere in bocca a Gesù Cristo la dottrina opposta a quella che riferiscono i Vangeli, cioè che si può benissimo divorziare, così ora don Carrega vuol mettere in bocca a Gesù Cristo un’altra idea diametralmente opposta a quella che i Vangeli gli attribuiscono, sul tema della sodomia. Perché non è vero, come molti credono, che Gesù non ne ha mai parlato; ne ha parlato, invece, là dove ha detto (Mt, 10, 11-15):
In qualunque città o villaggio entriate, fatevi indicare se vi sia qualche persona degna, e lì rimanete fino alla vostra partenza. Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne sarà degna, la vostra pace scenda sopra di essa; ma se non ne sarà degna, la vostra pace ritorni a voi. Se qualcuno poi non vi accoglierà e non darà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dai vostri piedi. In verità vi dico, nel giorno del giudizio il paese di Sòdoma e Gomorra avrà una sorte più sopportabile di quella città.

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 Don Minutella, reo di esser troppo cattolico, o forse cattolico con troppa veemenza!

Il che significa, a meno di pensare che Gesù fosse totalmente privo di logica e che parlasse come un mentecatto, senza saper costruire un ragionamento, che Sodoma e Gomorra, per Lui, cioè il peccato di sodomia, era e restava, come insegnato dalla Legge mosaica, un peccato gravissimo, uno dei più gravi che sia dato immaginare; ma che esiste un peccato perfino più grave di quello, che consiste nel respingere il suo Vangelo, cioè nel rifiuto deliberato della Verità (con buona pace della Dignitas humanae, che leva un inno alla libertà religiosa: perché no, non esiste libertà religiosa nel senso di poter rifiutare deliberatamente il Vangelo, come non esiste la libertà di peccare).

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Il signor Bergoglio, in arte papa Francesco ha mai spiegato ai Francescani e alle Francescane dell’Immacolata di quale colpa si sono macchiati, di quale delitto si devono vergognare, e per quale ragione era giusto chiudere il loro seminario e trattarli come degli untori, come degli appestati?

uperiorità: loro sì che sanno apprezzare la tenerezza dell’affettività omofila; noi, no…
C’è stato un tempo; ma ora no

di Francesco Lamendola

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