ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 29 giugno 2019

Lo schiavismo dei buoni

Sea Watch, è la Ong a tenere in ostaggio 42 persone

Non sarà la redistribuzione delle 42 persone a bordo della Sea Watch a costituire una soluzione giusta all'ennesimo braccio di ferro. Di fronte all'illegalità e alla violazione del diritto internazionale si deve rispondere con fermezza. A tutela anche di tutti gli immigrati, non solo dei 42. 


Al momento in cui scriviamo sembra segnato l’esito del braccio di ferro tra la Sea Watch e il governo italiano: tre o quattro paesi europei sembra abbiano dato la disponibilità a prendersi in carico i 42 migranti clandestini a bordo della nave della Organizzazione non governativa (Ong) che batte bandiera olandese. In ogni caso è questa la strada che sta battendo la Commissione Europea per portare a conclusione l’ennesimo caso internazionale creato dalle Ong che circolano nel Mediterraneo. E il governo italiano alla fine abbozzerà, soddisfatto almeno di aver impedito lo sbarco alle condizioni della Ong, della sinistra e dei vertici della Chiesa.

Non è questa però una soluzione giusta; forse è – almeno nell’immediato – un modo indolore per uscirne, ma è una grave stortura nel principio e un cedimento alla prepotenza e all’arroganza ideologica.

Non è lo Stato italiano a tenere in ostaggio 42 persone, ma è la Ong responsabile dell’operazione Sea Watch. Il capitano della nave, se davvero avesse avuto a cuore la sorte dei migranti, avrebbe potuto e dovuto fare rotta verso porti più vicini, certamente la Tunisia dove non ci sono neanche quei problemi di insicurezza presi a pretesto per giustificare la scelta italiana. In questi 15 giorni di zig e zag davanti alle coste italiane avrebbe potuto anche andare in Francia e Spagna, ma è chiaro che c’è una regia internazionale che cerca di riaprire la rotta verso l’Italia, a tutto vantaggio dei trafficanti di esseri umani e di chi, in Italia, sull’immigrazione irregolare ci ha costruito un business. Per questo chiunque abbia davvero a cuore la sorte non solo dei 42 a bordo della Sea Watch, ma delle decine di migliaia di persone ingannate e alla mercé dei trafficanti, non può augurarsi il cedimento dello Stato italiano.

Discorso a parte meritano quei parlamentari italiani, ovviamente di sinistra, che non contenti di tifare per l’illegalità, sono addirittura saliti a bordo della Sea Watch per metterci anche il loro peso in questa vicenda. Ancora più grave che fra di loro ci sia anche un ex ministro, Graziano Delrio, da cui pure - proprio per gli incarichi ricoperti - ci si dovrebbe aspettare un maggiore senso delle istituzioni. Invece no: costoro, pur di piegare il loro nemico politico, sono disposti a recare grave danno all’Italia, alla sua immagine e alla sua autorità, sono disposti a legittimare e sostenere l’illegalità. Purtroppo non è una novità, la sinistra ci ha abituato da tempo alla ricerca di potenze straniere ostili all’Italia per poter andare al governo. Ciò non toglie che questo atteggiamento sia semplicemente vergognoso.

È peraltro pretestuoso e volutamente equivoco riferirsi alla vicenda della Sea Watch parlando di immigrazione in generale o di profughi. La vicenda delle Ong nel Mediterraneo riguarda semplicemente l’immigrazione illegale, l’ingresso in Italia di chi non ha alcun titolo o diritto di essere accolto in un paese terzo. Sicuramente c’è chi vorrebbe abolire nel diritto internazionale la distinzione tra profughi e migranti economici o per qualsiasi altro motivo, stabilendo un generico diritto universale alla migrazione (l’attuale vertice della Chiesa è su questa linea), ma allo stato attuale per il diritto internazionale la distinzione fortunatamente resta. E nessuno Stato accetterebbe l’ingresso libero nel proprio paese di persone di più o meno ignota provenienza, senza documenti e senza nessun titolo a restare. Non per niente la Francia ci rispedisce oltreconfine gli immigrati irregolari che becca sul suo suolo, l’Austria minaccia di chiudere la frontiera con l’Italia e l’Olanda - che pure ha i 42 sul suo suolo essendo la Sea Watch territorio olandese secondo il diritto internazionale - non ne vuole sapere di farsi carico delle persone coinvolte.

Il problema dunque è l’immigrazione irregolare, non l’immigrazione tout court. E favorire l’irregolarità e l’illegalità fa il male anche degli immigrati regolari, i primi ad essere contrari a questo far west degli sbarchi.

Proprio questo ci suggerisce che la soluzione non è la ridistribuzione. L’Unione Europea continua ad affrontare questo problema cercando di risolverlo a forza di quote a cui obbligare ogni paese. Ma non è questa la strada, perché non stiamo parlando di una emergenza temporanea legata a una qualche situazione di crisi destinata ad essere superata in un più o meno breve lasso di tempo. Solo in questo caso una distribuzione avrebbe senso. Qui invece siamo di fronte a un fenomeno strutturale, peraltro indotto e favorito dalla criminalità internazionale.

L’unica risposta di buon senso possibile è il pugno di ferro: soccorrere chi fosse davvero in pericolo di vita, ma impedire lo sbarco in Italia oppure provvedere al rimpatrio immediato. E nel frattempo sequestrare e affondare le navi responsabili della violazione delle leggi internazionali e arrestare gli equipaggi complici del traffico internazionale di esseri umani. Il messaggio deve essere chiaro e non lasciare spazio ad equivoci. Quanto ai parlamentari anti-italiani, segnare i nomi e lasciare che siano i cittadini alle prossime elezioni a provvedere.
Riccardo Cascioli
LA CAPITANA DELLA NAVE PIRATA DELLA ONG ARRESTATA A LAMPEDUSA


Finisce la “sceneggiata” della Sea Watch e della sua capitana, Carola Rackete, divenuta una “eroina” per tutta la sinistra mondialista pro migranti e messa in manette dopo aver forzato il blocco e speronato una nave della Finanza.
La Sea Watch attracca a Lampedusa, la capitana Carola arrestata dalla Finanza
Arrestata il capitano della Sea Watch, Carola Rackete, protagonista della incresciosa vicenda.
La 31enne capo missione della Ong non si è fermata all’alt imposto dalle fiamme gialle“

L’epilogo della vicenda è arrivato nella notte: la Sea Watch, la nave pirata della ONG, ha forzato il blocco ed è attraccata al porto di Lampedusa, speronando anche una nave della Finanza. La tedesca Carola Rackete, che si trovava al comando della nave, ha invocato a gran voce “lo stato di necessità” ma la sua ultma “furbata” non gli ha evitato l’arresto.
Nella sua ultima manovra, la nave della ONG ha rischiato di schiantarsi conto la banchina ed ha anche speronato una delle navi della Finanza che gli impedivano di attraccare,
Quando la 31enne, capitano della Sea Watch è stata fatta scendere dalla sua nave, come una rock star, è stata fotografata ed applaudita da un gruppo di fans, mentre le fiamme gialle la portavano via ed altri la fischiavano. Carola Rackete e l’equipaggio hanno toccato terra dopo 17 giorni di navigazione. La vicenda è arrivata alla fine.
Carola Rackete, si trova adesso nella caserma della Finanza e verrà interrogata dal magistrato, rischia diversi anni di carcere, se verrà applicata la legge.
Fra le altre accuse, vi è quella di violazione dell’articolo 1100 del codice della navigazione, oltre alla resistenza alla forza pubblica e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
In realtà l’accusa più grave per questa donna e per i suoi ipocriti sostenitori, politicanti e pseudo intellettuali della sinistra globalista e pro migrazioni, dovrebbe essere quella di complicità nel traffico di carne umana dall’Africa e nello sradicamento di popolazioni dai loro paesi per finire nelle mani delle mafie e degli schiavisti.
Nel frattempo in vari paesi dell’ Africa, molti bambini continuano a morire per denutrizione e malattie ma, per questi bambini, nessuno farà una colletta e provvederà ad inviare aiuti. Gli aiuti vanno tutti agli africani della piccola borghesia locale che può permettersi di pagare dai 3.000 ai 5.000 dollari ai trafficanti ed ottenere l’imbarco su una nave delle ONG, finanziata dalla Open Society.
Luciano Lago

Il parroco di Lampedusa accoglie i migranti della Sea Watch: "Benvenuti"

La reazione di don Carmelo La Magra all'attracco della Sea Watch 3 nel porto di Lampedusa: "Il Natale quando arriva arriva"


Svolta nel caso Sea Watch 3: la "capitana" Carola Rackete ha deciso di sfidare le direttive del governo italiano e della Guardia di finanza attraccando la nave al porto di Lampedusa.
La ragazza è stata arrestata in flagranza di reato per aver violato l'Articolo 1100 del codice della navigazione: ora rischia di essere trasferita in carcere e processata per direttissima.
Ad accogliere la Ong è stato don Carmelo La Magra, il parroco della città siciliana: "Il Natale quando arriva arriva. Benvenuti nel Porto Salvo di Lampedusa". Anche due fazioni hanno fatto da cornice alla decisione della comandante di forzare l'ingresso: da una parte coloro che hanno applaudito la strada intrapresa da Carola, schierandosi completamente dalla parte della Sea Watch; dall'altra un gruppo di lampedusani che ha inveito contro i volontari dell'organizzazione.

Il battibecco

In particolare si è assistiti a un botta e risposta tra la ex sindaca Giusi Nicolini e la ex senatrice leghista Angela Maraventano subito dopo l'arresto della Rackete. "Non si può venire a fare quello che si vuole, non venite nelle nostra isola se no succede il finimondo. Fate scendere i profughi e poi arrestateli tutti", ha gridato a squarciagola Maraventano, rivolgendosi alla polizia presente. Immediata la replica di Nicolini: "Che vuoi tu, chi sei tu per decidere chi deve venire e chi no?!".
Sulla questione è intervenuto anche Graziano Delrio, capogruppo del Partito Democratico alla Camera, che ai microfoni di RaiNews24 ha dichiarato: "L'autorità giudiziaria farà il suo corso e stabiliranno i giudici se la capitana ha davvero commesso un reato. In caso di stato di necessità si possono anche violare le leggi. Il capitano è responsabile dell'incolumità di tutte le persone che sono a bordo, va rispettata la sua scelta, come il percorso che farà la giustizia".

LO SCHIAVISMO DEI BUONI



Voluntas enim naturaliter tendit in bonum sicut in suum obiectum: quod autem aliquando in malum tendat, hoc non contigit nisi quia malum sibi sub specie boni proponitur“. (Tommaso D’Aquino)
L’immigrazione di massa integra chiaramente un caso di guerra tra poveri. Non solo perché lo è nei fatti, con milioni di persone a contendersi alloggi insufficienti, lavori sottopagati o di bassa manovalanza criminale, periferie anguste e i palliativi di un welfare centellinato dai tagli. Ma anche perché così si vuole che sia – o quantomeno ce la si mette tutta affinché lo diventi.

Nei giorni in cui il Comune di Milano decideva di trasferire 400 euro al mese a chi accogliesse un profugo nella propria abitazione, nella stessa città moriva di stenti Giovanni Ceriani, un disabile di cittadinanza italiana che si manteneva con un assegno di 186 euro al mese e un bonus comunale di 1.000 euro all’anno. Mentre scrivo, a La Spezia l’invalido Roberto Bolleri è in sciopero della fame per rientrare in possesso del suo alloggio popolare occupato abusivamente da una famiglia di marocchini che, fanno sapere, usciranno solo quando il Comune avrà assegnato loro una sistemazione adeguata in deroga alle graduatorie. In Germania l’infermiera Bettina Halbey e la sua vicina di casa stanno per essere sfrattate dal Comune di Nieheim: dovranno lasciare i loro appartamenti ai richiedenti asilo, mentre nel resto del paese si espropriano immobili privati e si evacuano scuole pubbliche, per lo stesso motivo.
Non c’è bisogno di essere leghisti per capire che finirà male, malissimo.
In un sistema di finanza pubblica dove la scarsità di investimenti è postulata come un dogma, è inevitabile che i poveri e gli impoveriti si contendano le briciole e temano l’arrivo di nuove bocche da sfamare. Tanto più se quello stesso sistema predica anche la scarsità dei salari e delle tutele come una virtù e la scarsità di lavoro come una colpa, non lasciando ai deboli altra scelta che un cannibalismo di sopravvivenza in cui l’odio etnico e razziale è solo il pretesto di una guerra per bande.

C’è del dolo o comunque una sterminata irresponsabilità in chi sostiene queste politiche di scarsità e al tempo stesso auspica corridoi umanitari per prelevare gli stranieri alla fonte, chiede la rimozione dei blocchi alle frontiere e sogna di accogliere 300-400 mila persone ogni anno se non 30 milioni in 15 anni. Salvo poi, al delinearsi di una catastrofe umanitaria che colpirebbe tutti – in primis gli immigrati di cui si fanno paladini – sfoderare il ferro vecchio della rivoluzione culturale e rimproverare ai sudditi il vizio della xenofobia lanciando vibranti campagne contro l’odio. Quasi fossero, la xenofobia e l’odio, patologie dalle origini oscure da debellare con la profilassi (nei giovani) e gli antibiotici (nei vecchi) e non un’etologica conseguenza delle politiche da loro stessi create.
C’è del dolo e dell’irresponsabilità in questa filantropia a spese degli altri, ma c’è anche e soprattutto il suo contrario, cioè del razzismo. Che non è il razzismo di cui si lamentano i progressisti: l’islamofobia e il disprezzo di civiltà diverse che, deplorabile e insensato a parere di chi scrive, è già condannato a reti unite e sarà presto oggetto di un’apposita commissione per la schedatura dei reprobi. E neanche l’autorazzismo di cui si parla quando i bisogni degli stranieri sono anteposti a quelli degli autoctoni. Il razzismo dei buoni colpisce invece proprio loro: gli immigrati, che protegge a parole e trasforma nei fatti in strumenti di un piccolo e penoso esercizio di autocertificazione etica e di un più grande disegno socio-economico di sfruttamento degli ultimi.

L’idea che abbiamo bisogno (?) dello sperma di milioni di disperati per ripopolare un continente in stasi demografica, o delle loro braccia per svolgere i lavori che gli italiani non vogliono più fare (cioè quelli sottopagati) non differisce in principio dalle deportazioni degli schiavi africani negli Stati Uniti del sud o dei forzati nelle colonie inglesi da ripopolare. Allora li si prelevava con la violenza, oggi li si costringe con la violenza del debito, della guerra e dello sfruttamento – che i deportazionisti buoni chiamano rispettivamente aiuti (sic) internazionali, missioni di peacekeeping e investimenti diretti esteri, e li sostengono pulendosi la coscienza con un’agile mossa lessicale.
Ritenere normale che alcuni paesi del mondo, i più poveri, siano serbatoi di carne umana da ricollocare alla bisogna dei meno poveri soddisfa i requisiti non solo del razzismo, ma anche dello schiavismo tout court, e tradisce un disprezzo ignaro ma totale del diritto di queste popolazioni a vivere in pace e prosperità nelle proprie terre di origine.
In quanto al ritornello de i-lavori-che-gli-italiani-non-vogliono-più-fare, gira da almeno 20 anni ed è un classico esempio di come si peggiora un problema vero (l’abbassamento dei salari) con una soluzione falsa (l’immigrazione). Se molti mestieri non garantiscono redditi sufficienti per condurre una vita dignitosa nonostante siano richiesti dal mercato e in molti casi indispensabili, c’è evidentemente un problema di allocazione dei frutti del lavoro, che dalla base produttiva si spostano verso l’alto, ai dirigenti e ai grandi imprenditori fino a raggiungere lo stretto vertice degli investitori finanziari e dei loro vassalli. E se il lavoro vale sempre di meno, in ciò non aiuta la velleità di competere a frontiere aperte e a cambio fisso con i paesi che ci hanno preceduto nello sfruttamento in larga scala, condannandoci a una guerra globale tra poveri dove vince chi compra il lavoro, non chi lo svolge.
Per chi si dice di sinistra questi concetti dovrebbero essere pane quotidiano, se non fosse che l’oppio del moralismo gli ha fatto credere che gli italiani sono pigri e viziati e “non vogliono sporcarsi le mani”, mentre invece i migranti sarebbero baciati da una voglia di fare e di migliorarsi attraverso il lavoro duro, umile e senza pretese. Nel raccontarsi questa fiaba si inanellano almeno tre obbrobri: 1) il disprezzo per i propri connazionali che lottano per preservare i diritti e il benessere conquistati con il sangue degli avi, oggi derubricati a “privilegi”, 2) la celebrazione della propria eccezione etica (per la nota Equazione di Scanavacca) e, 3) in quanto agli stranieri, la certificazione del loro status di morti di fame disposti a tutto per un pugno di riso, di selvaggi che tutto sommato possono fare a meno del set completo di tutele e benefici formalmente garantiti a chi è nato nell’emisfero dei ricchi.




Alcuni degli sponsor delle migrazioni: R.Saviano, M. Lucano, L. Boldrini

Se i primi due punti meritano compassione, trattandosi in ultima analisi di autolesionismo, il terzo suscita rabbia e stupore per i modi in cui i concetti antichi di colonialismo, paternalismo e sfruttamento sono riusciti a riciclarsi nei panni dei buoni sentimenti. L’unica, amarissima, consolazione è che chi ammette la deportazione del povero a beneficio del ricco – sia pure con la bonomia della dama coloniale che getta caramelle ai negretti – deve prepararsi a seguirne la sorte mettendosi al servizio di chi è ancora più ricco, come sta accadendo.
Forse un giorno ci si accorgerà che combattere la povertà importando poveri, lo schiavismo importando schiavi e la disoccupazione importando disoccupati non è una buona idea – da qualsiasi parte politica la si guardi. Quel giorno, italiani e stranieri, ovunque ci troveremo, sapremo chi ringraziare.
di Stefano Mantegazza – 

Fonte: Il Pedante

MILIONI DI EURO PER SRADICARE I POPOLI DAI LORO PAESI


Fonte: Franco Nerozzi
Milioni di Euro per sradicare i popoli dai loro Paesi. Coccolata dai soliti servi del sistema entra in scena una “Capitana” da lurido centro sociale: una nuova, scontata marionetta del potere apolide. Agli antipodi, medici e infermieri che pagano di tasca propria le spese delle missioni, che hanno lo scopo di aiutare la gente a vivere sulla propria terra. Qualche decina di migliaia di euro raccolti faticosamente per acquistare farmaci destinati a uomini e donne che non hanno la possibilità di comprare nemmeno un’aspirina.

Qui non ci sono due modi di intendere la solidarietà: perché quella delle ONG milionarie è ben altro. Solo chi è stato in quelle terre può comprendere quanti miracoli si potrebbero realizzare con le risorse utilizzate invece per mettere in mare le navi degli amici di Fratoianni e Orfini, di questi giganti della politica che sbandierano la loro “impresa” (una notte a bordo della Sea Watch) come fosse la beffa di Buccari. Da queste arroganti nullità d’altra parte non ci aspettiamo molto di più.
Però anche l’azione del Governo non ci piace. La mancanza evidente di una preparazione geopolitica e l’assenza totale di una visione internazionale, priva l’esecutivo di una valida azione che possa costituire una reale alternativa al traffico di migranti. Svegliatevi! Investite in operazioni solidali nelle terre di origine dei nuovi schiavi.
Affidatele a gente che crede che aiutarli a casa loro sia un grido di battaglia, e non una nuova occasione per sistemare la famiglia ed acquistare la villetta al mare. Solo Identità, Tradizione e Solidarietà reale potranno farci uscire da questo vicolo cieco.
Il mare delle ONG è inquinato dal denaro e da un’ideologia folle che tra qualche anno farà scoppiare nelle nostre strade una spietata guerra. Nella quale i nostri figli, intossicati da droga, cazzate e programmi educativi incapacitanti, faranno soltanto la parte delle prede.
Fonte: Franco Nerozzi
https://www.controinformazione.info/milioni-di-euro-per-sradicare-i-popoli-dai-loro-paesi/

Sturmtruppen. Di nuovo!

Ancora una volta, nell’esaltazione di questa operazione, affidata nell’occasione a una tedesca che si chiama Rackete (levate la e finale e avrete un nomen-omen come non mai) e che riprende sull’Italia la linea dei fasti tedeschi sulla Grecia annientata, in quella scia spurgata dalla Sea Watch eccelle “il manifesto”.
Non mi voglio addentrare nell’argomento, con lo stomaco appena spianato rischio un travaso di bile che non sarebbe buon viatico per la partenza. Né mi va di dare soddisfazione a quello spudorato campione dell’ipocrisia, all’ordine di tutte le agende dello Stato Profondo Usa, che a vedermi verde (di bile), mi assegnerebbe allo schieramento di quell’altra sua eroina da trapasso dantesco, Greta Thunberg.
Ma non deve sfuggire a nessuno la congiunzione tra queste nordiche signorine e i paladini dei diritti umani centrosinistri, saliti a bordo a celebrare un reato commesso contro il paese di cui si pregiano essere legislatori. Sotto la cosmesi dei buoni sentimenti, falsamente esibiti e ingannevolmente ispirati ad altri, incanalano opinioni e intenzioni di brave persone nelle direzioni volute dai manovratori imperiali,  Sono, questi sicofanti della “capitana, mia capitana”, gli eroi politici della perenne collusione italiota con chi viene a fregarci. Addirittura, come nel caso di Racket(e),  calpestando con scarponi germanici la nostra legge.
Dicono, Del Rio, Faraone, Migliore, Fratoianni, la créme de la créme di quella conventicola, che non scenderanno, se non assieme a tutti i migranti a bordo. Se non fosse per la Procura di Agrigento, lustro e vanto di certa magistratura come l’abbiamo conosciuta recentemente, qualcuno potrebbe ipotizzare un reato di favoreggiamento.
Vedete, cari amici, a questi che trovano le loro soddisfazioni nel giornaletto dei cruciverba, fumetti, arzigogoli culturali e afflati umanitari ove non ostino a chi sovrintende, non è rimasto nulla dopo l’autodafè sociale, morale e ideologico autoinflitto. Se non, appunto i migranti, gli LGBTQI e quant’altro lo fa strano e le donne – tutte, Hillary compresa – vittime degli uomini, tutti, puffi compresi. A questo baraccone ballonzolante tra i flutti dell’antistoria e dell’antipolitica, si sono attaccati con i denti. E mordono. Qualcuno, sul “manifesto” di oggi, è arrivato a chiamare “Antigone” , la capitana della fregata pirata tedesca. Ad Antigone, che intendeva sottrarre i resti del fratello agli avvoltoi convocati da Creonte, sarà parso di essere stata paragonata a Giocasta, dei cui giochi incestuosi con il figlio Edipo era stata il tragico frutto. Chissà se anche Giocasta avesse avanzato proposte di integrazione.
Sulla nave da guerra tedesca sventola la bandiera olandese. Ma come su tutte le altre Ong armate da George Soros e soci, sventola anche quella che dice “Accoglienza e integrazione”. Come per tutte le cose finte, questo vessillo ne sottintende un altro, quello della superiorità dell’uomo bianco che si pretende portatore di civiltà e rivendica il diritto di rapire e schiavizzare integrando. Ma è a quelli che scoprono e combattono il gioco che va dato del razzista.
Quanto alla signorina Rackete e ai suoi corifei, aggiungo un link in cui  un intellettuale africano, leader del Movimento Panafricano, Mohamed Kodarè, risponde per le rime ai colonialisti di “accoglienza e integrazione”.
Fulvio Grimaldi

Sturmtruppen. Di nuovo!

FULVIO GRIMALDI

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