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martedì 11 giugno 2019

O si è moderni, o si è cristiani.

DIO O MONDO: LA POSTA IN GIOCO


Coscienza storica e coscienza mitica: due facce di una stessa medaglia? La "Rivelazione di Dio" nella storia: quando il mito, è la Verità divina espressa nella forma universalmente comprensibile agli uomini quella del "Simbolo" 
di Francesco Lamendola  

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È opinione abbastanza diffusa che tra coscienza storica e coscienza mitica vi sia una radicale incompatibilità: che l’una esclude l’altra; e che da esse scaturiscano due visioni del mondo diametralmente opposte, e di conseguenza due diversissimi atteggiamenti pratici nei confronti della vita. In realtà, il concetto di coscienza, nell’uso della cultura moderna, è già l’indice di una rottura della coscienza stessa: quando la coscienza si divide, vi è una coscienza che pensa in maniera storicista e una coscienza che sente in maniera mitica. Pertanto la rottura della coscienza è anteriore alla contrapposizione fra mythos e lógos, contrapposizione che trova nell’illuminismo la sua sistemazione teorica definitiva

Per gli illuministi, all’età dei miti deve succede l’età della ragione; la superiorità dei moderni sugli antichi nasce da qui: sommando la visione lineare della storia, mutuata dal cristianesimo, alla visione ottimistica della ragione, vista come eternamente perfettibile. Vico, il grande isolato, pur essendo un pensatore cattolico, rinuncia alla visione lineare della storia e torna alla visione ciclica, propria degli antichi (l’età degli dèi, l’età degli eroi, l’età degli uomini); questo gli permette di rivalutare il passato, e, nello stesso tempo, grazie al concetto dei corsi e ricorsi che non sono mai, però, ripetizione dell’uguale, di conservare l’essenza della filosofia della storia cristiana: il fatto che la storia procede verso un fine e non si limita a girare a vuoto, in una spirale senza fine. È stato osservato che, se Vico fosse vissuto a Parigi o a Londra, e non a Napoli, il suo pensiero robusto, originale, capace di comprendere sia il mythos che il lógos, forse avrebbe fatto sì che l’illuminismo prendesse un’alta direzione, non così nettamente anticristiana e quindi non così nettamente razionalistica, in senso cartesiano. Ciò è possibile, anche se, naturalmente, non si può fare la storia con le mere ipotesi. Certo è che a partire dall’illuminismo la spaccatura della coscienza implicita nel sistema cartesiano è esplosa ed è divenuta un dato permanente dell’uomo moderno; né il romanticismo ha potuto o voluto risanarla, perché esso non ha fatto che riprendere e rovesciare la contrapposizione illuminista di ragione e mito, invertendo il rispettivo giudizio su di essi, ma riproponendo inalterata quella lacerazione.

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Coscienza storica e coscienza mitica: due facce di una stessa medaglia?

Una interessante riflessione su questo argomento è stata svolta da Hans-Georg Gadamer (1900-2002), uno dei maggioro esponenti dell’ermeneutica filosofica, nella sua opera più significativa, Verità e metodo (Wahrheit und Methode, 1960; traduzione dal tedesco di Gianni Vattimo, Milano, Bompiani, 1983, pp. 321-324):
I criteri dell’illuminismo moderno costituiscono ancora la base della mentalità dello storicismo. Naturalmente non in modo diretto, ma attraverso una peculiare rifrazione provocata dal romanticismo. Ciò si esprime in modo particolarmente chiaro nello schema di filosofia della storia che il romanticismo ha in comune con l’illuminismo, e che proprio attraverso la reazione romantica contro l’illuminismo è assurto alla condizione di una premessa indiscussa: lo schema del superamento del mito nel lógos. Il presupposto in base al quale questo schema acquista la sua validità è quello del progressivo “disincantamento” del mondo. Esso pretende di rappresentare la legge stessa di sviluppo della storia, e proprio perché valuta negativamente questo processo, il romanticismo lo assume come ovvio. Condivide quindi il presupposto illuministico, e ne rovescia solo la valutazione, in quanto cerca di far valere l’antico come antico: il medioevo “gotico”, l’unità cristiana dell’Europa, la struttura gerarchica della società, ma anche, d’altro lato, la semplicità della vita campestre e la vicinanza alla natura. In contrasto con il perfezionismo dell’illuminismo, che vede tutto in termini di liberazione dalla “superstizione”  e dai pregiudizi del passato, le epoche primitive, il mondo mitico, l’unità della vita, non scissa e divisa ad opera della coscienza, propria della “società di natura”, il mondo della cavalleria cristiana – tutto questo viene ad assumere un fascino romantico, anzi una vera e propria posizione di più autentica verità. Il rovesciamento dei presupposti dell’illuminismo ha per conseguenza la paradossale tendenza alla restaurazione, cioè la tendenza alla ripresa dell’antico in quanto antico, al ritorno consapevole verso l’inconscio, e culmina nel riconoscimento della superiore saggezza di una mitica epoca originaria. Ma proprio attraverso questo rovesciamento romantico del criterio di valore dell’illuminismo il presupposto illuministico dell’astratta opposizione tra mythos è lógos viene mantenuto e fissato in modo definitivo. Ogni critica all’illuminismo muoverà d’ora in avanti da questa immagine rovesciata di esso che è implicita nel romanticismo. La fede nella perfettibilità della ragione si trasforma in quella della perfezione della coscienza “mitica” e si riflette, rovesciandosi, nell’idea di una condizione originaria paradisiaca prima del peccato originale del pensiero. (…)

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Fra mythos e lógos? Una contrapposizione che trova nel’illuminismo la sua sistemazione teorica definitiva. Per gli illuministi, all’età dei miti deve succede l’età della ragione; la superiorità dei moderni sugli antichi nasce da qui!

Un altro caso di questo rovesciamento speculare operato dal romanticismo è quello del concetto di una “società di natura”, la cui origine dovrebbe essere finalmente indagata. In Marx, tale concetto appare come una specie di residuo giusnaturalistico che limita la validità della sua teoria sociale della lotta di classe, fondata su considerazioni economiche. Si può dire che questo concetto risale alla descrizione rousseauiana della società prima della divisione del lavoro e dell’istituzione della proprietà? In ogni modo, già Platone, nell’ironica descrizione dello stato di natura che dà nel terzo libro della “Repubblica”, ha messo in luce il carattere di illusione di questa teoria. Da questi rovesciamenti di concetti prodotti dal romanticismo scaturisce l’atteggiamento delle scienze storiche del XIX secolo. Esse non misurano più il passato con i criteri del presente come se questi fossero assoluti, ma attribuiscono invece alle epoche passate un autonomo valore e possono addirittura riconoscere loro una superiorità sotto questo o quel punto di vista. Le grandi novità del romanticismo: il ritorno alle epoche primitive, l’ascoltare le voci dei popoli nei loro canti, le raccolte di favole e di saghe, attenzione per il folklore antico, la scoperta delle lingue come visioni del mondo, lo studio della “religione e saggezza dell’India” – tutto questo diede il via a una ricerca storica che a poco a poco trasformò la ricchezza delle intuizioni iniziali in conoscenza storica metodica. Il fatto che la scuola storica si collegasse al romanticismo conferma che la ripresa romantica delle origini ha a sua volta le proprie radici nel terreno dell’illuminismo. La scienza storica del secolo XIX è il suo frutto più superbo e l’ultimo passo e si presenta appunto esplicitamente come il compimento dell’illuminismo, come l’ultimo passo sulla via della liberazione dello spirito dalle prigioni dogmatiche, il passaggio alla conoscenza obiettiva del mondo storico, che si colloca, con pari diritti, accanto alla conoscenza della natura realizzata dalla scienza moderna. Il fatto che l’atteggiamento restaurativo del romanticismo potesse comporsi con la mentalità illuministica nel costituire la base delle scienze storiche rivela soltanto che al fondo di entrambi vi è una stessa rottura della continuità con la tradizione. Se per l‘illuminismo ogni dato tramandato che per la ragione si presenti come impossibile, cioè come privo di senso, può essere compreso solo storicamente, cioè rifacendosi alla mentalità del passato, la coscienza storica che si afferma con il romanticismo rappresenta la radicalizzazione dell’illuminismo.

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La "Rivelazione di Dio" nella storia: quando il mito, è la Verità divina espressa nella forma universalmente comprensibile agli uomini quella del "Simbolo"!

Quel che ci trova d’accordo, in questo ragionamento, è che illuminismo e romanticismo sono due facce di una stessa medaglia, o, per dir meglio, due modi di manifestarsi della stessa malattia, la malattia della modernità, e che perciò sono complementari, più che oppositivi; quello che non ci trova d’accordo, invece, è che la mentalità dell’illuminismo sia essenzialmente storicista, e che il romanticismo l’abbia mutuata, solo capovolgendone il senso, dall’illuminismo. Per sostenere che l’illuminismo sia stato storicista, non basta affermare che per l‘illuminismo ogni dato tramandato che per la ragione si presenti come impossibile, cioè come privo di senso, può essere compreso solo storicamente, cioè rifacendosi alla mentalità del passato, per qualificarlo come tale. Questo non è storicismo, bensì razionalismo esasperato: la ragione strumentale e calcolante è il solo criterio di verità; ciò che per la ragione è impossibile, deve essere “storicizzato”, cioè inserito nel contesto di un’epoca e una società irrazionali. Lo storicismo non è questo, ma il contrario di questo; storicismo è considerare la storia stessa, in sé e per sé, e non la ragione, lo strumento per comprendere e spiegare i fatti umani. Questo, però, non è l’atteggiamento degli illuministi; essi non cercano né di comprendere, né di spiegare ciò che, per loro, non è razionalmente ammissibile: lo etichettano semplicemente come ignoranza e superstizione e ci tirano un rigo sopra. A quel punto, e solo a quel punto, affermano che se cose irrazionali sono state accettate e credute come vere, la sola spiegazione possibile, non dei fatti, ma delle credenze, è che al tempo e nella società in cui l’impossibile era accettato come vero, la mentalità era quella, cioè dominata dal sentimento, dalla immaginazione e da altri fattori non strettamente razionali. Il che ci riporta solo in apparenza allo stesso punto d’arrivo dei romantici, i quali affermano che vero non è solo ciò che la ragione qualifica come verosimile, ma anche ciò che la ragione non arriva a capire, né, tanto meno, a spiegare, ma che tuttavia è dotato di un suo grado, o genere, di verità, diversi da quelli della verità razionale di ordine logico-matematico. Per cui i romantici sono, sì, storicisti, nel senso che riconoscono dignità e valore ad ogni epoca e ad ogni civiltà umana, indipendentemente dal loro grado di razionalità; ma il loro “storicismo” non è altro, in definitiva, che un mezzo per scatenare la lotta contro il predominio tirannico della ragione, accanto ad altri mezzi, come il mito, o il sentimento religioso.

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 I teologi moderni non sono più cristiani, anche se dicono e forse credono di esserlo. Certamente non lo è Karl Rahner e certamente non lo è il signore argentino travestito di bianco: qualsiasi cosa affermino di se stessi, ciò che appare evidente è il loro essere non cristiani e post-cristiani, figli, in tutto e per tutto, della ragione illuminista e del sentimentalismo romantico!

Se i romantici fossero veramente storicisti, allora accetterebbero anche l’autonomia e la pari dignità di una società, quella dominata dall’illuminismo, che rifiuta e condanna ciò che non si sottomette alle categorie della ragione libera e spregiudicata; in altre parole, applicherebbero anche al mondo moderno la categoria della necessità storica e le riconoscerebbero una dignità intrinseca. Ecco il grande paradosso, che illustra come illuminismo e romanticismo non sono altro che due facce della stessa medaglia: gli illuministi sminuiscono e disconoscono il passato, imputandogli un difetto nello sviluppo della ragione critica; i romantici reagiscono contro l’illuminismo, lo contestano, lo disprezzano, per un motivo uguale e contrario: perché gli rimproverano un eccesso di razionalismo, che lo conduce alla totale incomprensione di tutto ciò che appartiene alla sfera extrarazionale. Giungiamo così alla conclusione che l’illuminismo non è stato storicista, perché disprezzava quella parte della storia in cui non si erano ancora affermati i lumi della ragione; ma non lo è stato neppure il romanticismo, perché esso ha visto nella storia l’elemento particolare, in ultima analisi il sentimento, che si contrappone al dominio dell’elemento universale, la ragione: non ha assolutizzato la storia, ma l’ha rivolta contro la tirannia della ragione. Per questo ha creato, o sviluppato, il mito del buon selvaggio: ha creduto che primitivo sia la stessa cosa che mitico, e invece il mito scaturisce da una visione del reale che non è affatto primitiva, se con questo termine a’intende rozza, semplicistica, approssimativa e irrazionale. E qui torniamo al discorso iniziale, quello sulla coscienza.

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Oggi viviamo l'incubo di un pluralismo religioso, glorificato e ufficializzato da Bergoglio col documento di Abu Dhabi: questi signori sono troppo figli dell’illuminismo per avere l’umiltà di riconoscere che il mito non è qualcosa di meno, ma qualcosa di più della ragione; e troppo romantici per ammettere che i miti creati dalla sapienza umana sono una cosa, mentre il mito cristiano è tutt’altra cosa: non prodotto della storia, ma Rivelazione di Dio nella storia! 


Coscienza storica coscienza mitica, la posta in gioco

di Francesco Lamendola
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