ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 12 luglio 2019

Due papi in concorrenza?

OLIM PAPA SEMPER PAPA



Roma, giardini vaticani, 23 giugno 2019:
Foto ricordo: da sinistra in senso orario, il Papa emerito, monsignor Gaenswein,
Massimo Franco ed Emilio Giannelli
 (foto Stefano Spaziani)

Ho letto lo scritto di Giovanni Servodio Il caso curioso del cardinale che vuole essere chiamato papa, in cui si sostiene una tesi non condivisibile perché priva di fondamento.

Innanzitutto non capisco la vena acrimoniosa verso Benedetto XVI, cui pur si deve la coraggiosa [sappiamo tutti bene quanta dura opposizione ha dovuto affrontare prima e dopo il suo Summorum Pontificum] decisione di "liberalizzare" il Vetus Ordo nella celebrazione eucaristica. Io invece ringrazio lui e il Signore per il grande dono fatto alla Chiesa e lo considero un grande Pontefice.
Ma vengo al dunque.

Servodio ha contestato nel suo scritto che Benedetto XVI, dopo le sue dimissioni, possa continuare a essere chiamato Benedetto XVI e quindi anche papa. Quello sollevato da Servodio è un falso problema, perché egli dimostra chiaramente di non far distinzione tra titolo e funzione: come infatti un Abate dimissionario continua ancora ad essere chiamato Abate (Olim Abbas semper Abbas), così altrettanto e a maggior ragione un papa dimissionario continua ad essere chiamato papa. La stessa cosa avviene in ambito civile per il Presidente della Repubblica, che continua ad essere chiamato Presidente anche dopo le sue dimissioni o la scadenza del suo mandato.

D'altra parte che fine ha fatto Benedetto XVI? Morto, non è morto; volatilizzato, non si è volatilizzato, dunque? Ratzinger è diventato papa, prendendo il nome di Benedetto XVI, e tale rimane per sempre. Ora, a seguito delle sue libere dimissioni, Benedetto XVI non è più IL Papa, ma gli rimane il titolo con il quale si indica semplicemente che egli è stato uno dei Successori di Pietro sulla cattedra di Roma. Pertanto quando Ratzinger dice che «il Papa è uno, Francesco», dice la cosa più ovvia e la dice per chi non capisce la lapalissiana verità che il Papa è unicamente chi esercita legittimamente questa funzione, facendolo anche di fatto chiaramente capire, mai interferendo nel ministero petrino di Papa Francesco, ma soprattutto mettendo decisamente alla porta chiunque gli faceva barluginare anche da lontano l'insana idea di porsi come contraltare al papa regnante e farsi paladino dei suoi oppositori.

Ratzinger, dopo le sue dimissioni da Sommo Pontefice, non parla e non può più parlare dapapa, perché Egli ha accompagnato tale atto con l'indicazione del giorno e l'ora in cui le dimissioni divenivano effettive e la santa Sede vacante, con la conseguente necessità di eleggere un nuovo Papa.

Non c'è e non può quindi esserci nessun equivoco e nessuna doppia funzione papale, perché il titolo di papa non conferisce al dimissionario alcuna giurisdizione. Che poi Benedetto XVI, non più felicemente regnante, ma ancora felicemente vivente, continui ad essere chiamato papa e a vestire con l'ordinaria talare bianca (a indicare chi e cosa è stato Lui nella storia della Chiesa), ma a non indossare più le insegne pontificie (a indicare che Lui non è più il Papa), non si vede proprio quale problema possa creare.
Semmai i problemi li crea Papa Francesco con il suo inammissibile e ingiustificabile rifiuto di indossare le insegne proprie del Sommo Pontefice: non è Ratzinger, papa dimissionario, che nel vestire l'ordinaria veste talare bianca, si mette sullo stesso piano di Bergoglio papa regnante, ma è Papa Francesco, unico e a pieno titolo Sommo Pontefice, a mettersi sullo stesso piano di Ratzinger, rifiutandosi di indossare le insegne proprie del Sommo Pontefice.

Se un giorno Papa Francesco si dovesse dimettere, finché vivrà rimarrà sempre papa Francesco, ancorché privo di qualsiasi autorità e giurisdizione. Solo dopo la sua morte sarà chiamato Francesco I.

di Don Francesco Cupello


L'immagine è nostra



OLIM PAPA SEMPER PAPA ?





Presentazione

In seguito all’articolo di Giovanni Servodio: “Il curioso caso del cardinale che vuole essere chiamato papa”, Don Francesco Cupello ha ritenuto di replicare per contestarne l’assunto; replica che abbiamo pubblicato.

Pubblichiamo adesso le precisazioni di Giovanni Servodio, avvertendo che non è nostra intenzione aprire una polemica sulla questione. E’ giusto che ognuno esprima la propria opinione, ma di per sé la polemica è sempre sterile e noi abbiamo sempre evitato di innescarne alcuna; sarà il lettore a trarne le conseguenze, e tanto basta.

Ecco cosa precisa Giovanni Servodio.




La replica di Don Francesco ha una sua legittimità, in quanto è basata sulla sua personale convinzione che un papa continui ad essere tale vita natural durante, nonostante egli stesso abbia deciso di rinunciare ad essere papa.
A noi sembra che questa convinzione sia mal fondata, poiché confonde il dato del Papa regnante fino alla morte, com’è stato consueto fino al 2013, con l’attuale dato di fatto del Papa che ha smesso di essere papa per sua espressa volontà.
Ma andiamo con ordine e vediamo da dove parte Don Francesco.

Egli incomincia col ricordare che l’ex papa Benedetto XVI merita ogni ringraziamento perché ha voluto “ ‘liberalizzare’ il Vetus Ordo nella celebrazione eucaristica”.
Ci permettiamo di fare osservare che mentre da tale “liberalizzazione” ha prodotto dei frutti apprezzabili, ha però sancito una situazione del tutto anomala nella liturgia della Chiesa.
La prima anomalia è di aver declassato a “rito straordinario” il bimilleraio rito della Santa Messa, risalente agli Apostoli, e di aver promosso a “rito ordinario”, quello inventato da Paolo VI, risalente al 1969. Il che significa che la famosa “liberalizzazione” non è stata tale, ma è servita solo per accontentare un piccolo numero di chierici e di laici: dal 2007, anno della “liberalizzazione”, le celebrazioni in Italia con rito tradizionale (detto straordinario) assommano a circa 150, fra celebrazioni settimanali e mensili; cosa invero risibile rispetto alle quasi 50.000 celebrazioni che si svolgono ogni giorno nelle 26.000 parrocchie esistenti.

La seconda anomalia è di aver “liberalizzato” una celebrazione che di per sé è stata sempre “libera”, giusta la Costituzione Apostolica Quo primum tempore di Papa San Pio V, del 14 luglio 1570, la quale stabilisce (n° VII):
«Anzi, in virtú dell’Autorità Apostolica, Noi concediamo, a tutti i sacerdoti, a tenore della presente, l’Indulto perpetuo di poter seguire, in modo generale, in qualunque Chiesa, senza scrupolo veruno di coscienza o pericolo di incorrere in alcuna pena, giudizio o censura, questo stesso Messale, di cui dunque avranno la piena facoltà di servirsi liberamente e lecitamente: così che Prelati, Amministratori, Canonici, Cappellani e tutti gli altri Sacerdoti secolari, qualunque sia il loro grado, o i Regolari, a qualunque Ordine appartengano, non siano tenuti a celebrare la Messa in maniera differente da quella che Noi abbiamo prescritta, né, d’altra parte, possano venir costretti e spinti da alcuno a cambiare questo Messale».
Ora, questa Costituzione Apostolica data in forma di Bolla, è parte integrante del Messale codificato dallo stesso Papa San Pio V, Messale che, secondo il Motu Proprio SummorumPontificum di Benedetto XVI, non è stato “mai abrogato” (Art. 1).
Si tratta quindi di un’anomalia non da poco, anzi di una triplice anomalia: 1) il SummorumPontificum “liberalizza” ciò che non aveva bisogno di essere “liberalizzato”; 2) Il SummorumPonficum obroga ciò che dichiara non essere mai stato abrogato; 3) il Summorum Pontificumriduce il millenario rito liturgico della Chiesa a semplice accessorio liturgico da potersi utilizzare solo in casi “straordinari”.
In altre parole, il Summorum Pontificum avalla la prevaricazione di Paolo VI che aveva proibito il rito della Messa di sempre e trasforma questa proibizione in “permesso speciale” da concedersi a speciali condizioni e a discrezione dei vescovi.

Come si vede, non si tratta di “acrimonia verso Benedetto XVI”, come la chiama Don Francesco, bensì della semplice constatazione che a fronte del poco ringraziamento dovuto a Benedetto XVI sta il molto biasimo che egli merita.
E questo biasimo è confermato da un altro aspetto del pontificato di Benedetto XVI.
Quand’egli era solo cardinale ebbe modo di dichiarare a più riprese che l’adozione del nuovo Messale di Paolo VI si era rivelato un disastro. Ad esempio, nella prefazione scritta per il libro di mons. Klaus Gamber, La réforme liturgique en question (ed. Sainte Madeleine, Le Barroux, 1992), egli scriveva: “La riforma liturgica nella sua realizzazione concreta, si è allontanata sempre di più da questa origine. Il risultato non è stato una rianimazione ma una devastazione. Da una parte si ha una liturgia degenerata in show, nella quale si tenta di rendere la religione interessante con l’aiuto della stupidità, della moda e di massime morali provocanti, con successi momentanei nel gruppo dei fabbricatori liturgici.”.

Nonostante questi suoi convincimenti, quando il cardinale Ratzinger divenne Benedetto XVI non fece alcunché per rimediare a tale disastro, lasciò che le cose proseguissero allo stesso modo; anzi, col Summorum Pontificum prese in blocco la nuova liturgia, comprese le “devastazioni”, e la promosse a liturgia di primo piano, declassando a liturgia di secondo piano quella stessa che, risalente ai tempi degli Apostoli, era stata “devastata” dalla nuova liturgia di Paolo VI.
E’ questo un aspetto non indifferente della personalità di Benedetto XVI, che porta giocoforza a considerare che si tratta di un personaggio che merita più biasimi che lodi.

Per seguire la replica di Don Francesco, noi continuiamo a chiamarlo Benedetto XVI, ma in realtà l’unico titolo che spetta a Joseph Ratzinger è quello di cardinale. Tale titolo è revocabile da parte della massima autorità, che è il Papa, e non risulta che sia mai stato revocato; mentre il titolo di Papa, pur non essendo revocabile allo stesso modo, può essere abbandonato dal Papa stesso quando egli decide di rinunciare ad essere papa, come ha fatto Benedetto XVI.
Nulla impedisce che un papa possa rinunciare ad essere tale, ma  tale rinuncia comporta la rinuncia alla funzione e al titolo di papa: il Papa eletto, infatti, non assume una carica, ma acquisisce una funzione e un titolo, tra loro intimamente connesse; rinunciando al papato egli rinuncia al titolo di papa e torna a riprendere l’ultimo titolo che gli era proprio: nel caso di Ratzinger quello di cardinale.

Secondo Don Francesco, invece, Ratzinger manterrebbe il titolo di papa al pari degli Abati e dei Presidenti della Repubblica. E qui il reverendo commette un errore.
Il titolo di Abate o di Presidente non possono essere mantenuti per sempre, perché gli Abati e i Presidenti vengono nominati a tempo e poi sostituiti, e li si continua a chiamare “Abate” o “Presidente” per una forma di cortesia e di rispetto, mentre di fatto non sono né l’uno né l’altro.
Nel caso di Ratzinger le cose stanno diversamente. Egli è stato eletto papa vita natural durante e quindi può cessare di essere tale o con la morte o con la rinuncia.
La morte del Papa non comporta la scomparsa del suo titolo: allora sì che egli lo manterrà per sempre; ma la rinuncia del Papa porta con sé la relativa rinuncia in vita sia della funzione sia del titolo, perché le due sono intimamente connesse: la funzione è propria del Papa e il Papa è tale perché svolge quella funzione.
Il Codice di Diritto Canonico (canone 332, § 2) parla solo di “rinuncia al suo ufficio”, intendendo con questo la rinuncia alla funzione e al titolo; e lo stesso Benedetto XVI, quando annunciò la sua decisione, il 10 febbraio 2013, parlò anch’egli di “rinuncia”.
D’altronde, anche in termini di semplice buon senso, per non dire di logica, se un papa rinuncia ad essere papa non lo è più d’ufficio e di nome.
Si è verificato invece che l’ultimo atto “papale” di Benedetto XVI è stata la decisione di farsi chiamare “Papa emerito”, di continuare a portare il nome di “Sua Santità Benedetto XVI” e di continuare a indossare la talare bianca; decisione che non è stata neanche presentata e spiegata, in modo più o meno formale, dallo stesso Benedetto XVI, ma è stata resa nota dal Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Padre Federico Lombardi, il 26 febbraio 2013.

Si possono esprimere tutte le opinioni che si vogliono, ma è certo che questa decisione è un inedito in tutta storia della Chiesa.
Sulla base di che cosa o di quale uso della Chiesa o di quale precedente o di quale stato di necessità è stato possibile a Benedetto XVI inventare il titolo di “Papa emerito”? Non lo sappiamo, perché lui che aveva il dovere di spiegarlo non l’ha fatto. Tale decisione ha messo la Chiesa in una situazione imbarazzante e insieme pericolosa: imbarazzante perché dal 13 marzo 2013 la Chiesa ha due papi; pericolosa perché se dovesse capitare che Bergoglio rinunci anch’egli allo stesso modo, la Chiesa avrebbe tre papi.
Ed è inutile che il cardinale Ratzinger continui ad affermare che il Papa è uno solo: Francesco, perché in Vaticano vivono e si incontrano Sua Santità Francesco e Sua Santità Benedetto XVI. E questo per espressa volontà dello stesso Ratzinger.

Com’è potuto accadere tutto questo? Visto che si è trattato di una iniziativa di Ratzinger, è chiara la sua intenzione di ridimensionare l’istituto del Papato, ridotto oggi a qualcosa di simile alle cariche pubbliche mondane.
A noi sembra che Don Francesco confonda la figura del Papa morto con l’attuale figura del Papa vivo che ha rinunciato ad essere papa. I 264 papi che hanno preceduto Benedetto XVI sono morti da papa e continuano a mantenere, da morti, il titolo di papa: lo stesso che è stato loro proprio fino alla morte. Benedetto XVI, che ha rinunciato in vita ad essere papa, morirà da cardinale e non da papa; e l’anomalia da lui introdotta del cosiddetto “papa emerito” pone addirittura un altro problema: come si dovrà chiamare Joseph Ratzinger dopo la morte? E’ possibile che si possa arrivare a dire che la Chiesa ha avuto, fino al 2013, 264 papi e un “papa emerito”; e stiamo ancora aspettando un qualche canonista che ci spieghi il significato di un tale pasticcio.

Per ultimo facciamo notare che Nostro Signore, con l’investitura di Pietro, ha istituito la funzione di capo visibile della Sua Chiesa, e niente autorizza a pensare che Egli intendesse implicitamente che potesse esserci contemporaneamente un papa regnante e un papa “in pensione”, entrambi viventi nella stessa casa. Questa novità introdotta da Ratzinger, quindi, stravolge anche la volontà di Nostro Signore, a dimostrazione del fatto che Ratzinger, fin da giovane, ha rispettato più la volontà degli uomini – oggi la sua – piuttosto che la volontà di Dio.
E anche se sembra che da parte nostra si voglia calcare la mano, il fatto che il cardinale Ratzinger non si sia ritirato a vita privata in un qualche monastero tedesco ed invece abbia scelto di rimanere in Vaticano non perdendo occasione per farsi vedere in pubblico da solo o con papa Bergoglio, entrambi vestiti di bianco, secondo noi è segno o di voglia di protagonismo o di sopravvalutazione di sé.
Gli stessi suoi interventi pubblici, che certo non possono essere annoverati tra gli interventi papali, di fatto assumono tutto il carico psicologico e mediatico legato all’uso della talare bianca, che solo qualche specialista nota essere mancante della “mantellina che copre le spalle”, come l’ha chiamata Padre Federico Lombardi il 26 febbraio 2013; per la maggior parte dei fedeli, Ratzinger continua ad essere visto come un papa, e non è colpa loro se a volte pensano che il vero Papa sia ancora lui, Ratzinger, e che Bergoglio sia un falso papa. Anche questa è una conseguenza della rivoluzionaria novità introdotta da Ratzinger: una Chiesa con, di fatto, due papi in concorrenza.

di Giovanni Servodio


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