LA “CHIESA IN USCITA” DI BERGOGLIO ESCE DAL CATTOLICESIMO. IL CARD. BRANDMULLER DENUNCIA “ERESIA” E “APOSTASIA” NEL DOCUMENTO VATICANO DEL PROSSIMO SINODO. LA CRISI PIU’ GRAVE IN 2000 ANNI DI STORIA. IL PAPA (BENEDETTO XVI) E’ LA SPERANZA.
Con il documento vaticano per il Sinodo sull’Amazzonia il pontificato bergogliano ha il suo manifesto ufficiale di estrema sinistra. Da “socialismo surreale”.
Dopo Trump e Salvini anche il presidente brasiliano Bolsonaro è oggi fra i nemici: tutti e tre emblemi dell’odiato Occidente dei popoli di tradizione giudaico -cristiana che non rinnegano radici e identità.
Questo “Instrumentum laboris” vaticano – ha scritto José Antonio Ureta – “rappresenta lo spalancamento totale delle porte del Magistero alla Teologia India e alla Ecoteologia, due derivati latinoamericani della Teologia della Liberazione, i cui corifei, dopo il crollo dell’URSS e il fallimento del ‘socialismo reale’, attribuirono ai popoli indigeni e alla natura il ruolo storico di forza rivoluzionaria, in chiave marxista”.
Fra i cattolici c’è sconcerto. Pare che la “Chiesa in uscita” voluta da Bergoglio stia davvero uscendo, ma dal cattolicesimo. Il card. Walter Brandmüller – amico personale di Benedetto XVI – è un insigne storico della Chiesa eppure, contro questo “Instrumentum laboris”, non ha esitato a usare i termini più duri: “eretico” e “apostata”.
Brandmüller parla del sinodo come “un’aggressiva intrusione negli affari puramente mondani dello Stato e della società del Brasile”. Poi condanna le assurdità teologiche del documento (in contrasto con i testi del Concilio vaticano II ) e il “rigetto anti-razionale della cultura ‘occidentale’ che sottolinea l’importanza della ragione”.
Tale “Instrumentum” vaticano – tuona il cardinale – “carica il sinodo dei vescovi e in definitiva il papa di una grave violazione del ‘depositum fidei’, che significa come conseguenza l’autodistruzione della Chiesa o il cambiamento del ‘Corpus Christi mysticum’ in una ONG secolare con un compito ecologico-sociale-psicologico”.
Il prelato conclude“con forza” che il documento vaticano “contraddice l’insegnamento vincolante della Chiesa in punti decisivi e quindi deve essere qualificato come eretico. Dato poi che anche il fatto della divina rivelazione viene qui messo in discussione, o frainteso, si deve pure parlare, in aggiunta, di apostasia ”. Esso “costituisce un attacco ai fondamenti della fede … e quindi deve essere rigettato col massimo della fermezza”.
Quella del cardinale, amico di Benedetto XVI, è la posizione dei cattolici. E si può pensare che sia condivisa anzitutto da papa Ratzinger il quale per anni ha difeso la fede della Chiesa dalla Teologia della liberazione e da tutti i suoi derivati che oggi riempiono il documento vaticano.
Nonostante mille pressioni, la corte bergogliana non ottenne mai da Benedetto XVI una sconfessione dei quattro cardinali dei Dubia (uno dei quali era proprio Brandmüller). Né ottenne mai una sconfessione di monsignor Carlo Maria Viganò, autore di uno storico memoriale sugli scandali.
Anzi, papa Ratzinger, nell’aprile scorso, ha pubblicato un suo testo – proprio sugli scandali – la cui riflessione è in linea con quella dei pastori suddetti e la arricchisce da par suo.
E si può dire che già lì bocci in anticipo il documento vaticano sull’Amazzonia. Infatti egli condanna ogni tentativo di sostituire la Chiesa di Cristo creando “un’altra Chiesa, inventata da noi”, perché una chiesa che – invece della salvezza dell’uomo – si occupa di politica, economia, ecologia (e lo fa secondo le ideologie mondane) è “un esperimento già fatto e
fallito”.
Quel testo di Benedetto esce ora in un volume di Cantagalli insieme ad altri testi di Bergoglio sul problema degli scandali e il coro clericale accredita questa operazione editoriale come un segno della sintonia fra i due papi.
Ma quale sintonia?Oltretutto un certo ambiente bergogliano aveva reagito rabbiosamente, nell’aprile scorso, quando Benedetto XVI rese noti i suoi “appunti”. Ci fu pure chi insinuò che non fossero di suo pugno.
Del resto Bergoglio si era guardato bene dal diffondere il documento, consegnatogli da Benedetto XVI, al summit vaticano sugli scandali a cui era destinato.
Adesso invece contribuisce a questo libro con suoi testi per far dimenticare il suo fallimento in materia (evidenziato da mons. Viganò). Bergoglio si ripara dietro l’autorità di Benedetto XVI. Ma basta leggere per capire le due opposte posizioni.
Papa Ratzinger in questi anni ha un compito drammatico.
Da una parte deve scongiurare strappi bergogliani che portino la Chiesa fuori dalla dottrina cattolica (e la sua stessa presenza è un deterrente che “ammonisce” l’argentino).
Dall’altra deve incoraggiare i cattolici smarriti dal disastro attuale (compresi vescovi e cardinali) e deve invitarli a difendere la fede della Chiesa evitando che si producano però rotture irreparabili.
I segnali che dà sono sempre discreti, ma chiari e confortanti. Non solo con interventi potenti come il documento dell’aprile scorso. Ma anche ricordando che lui – cioè il papa – c’è e i cattolici non devono sentirsi orfani.
L’ultimo (bellissimo) libro che Ratzinger ha pubblicato, “Per amore”, riporta in copertina non la definizione “papa emerito”, ma la firma autografa “Benedetto PP XVI”. Quella sigla “PP” significa “Pastor pastorum” (o Pater Patrum”) ed è il titolo (e la prerogativa) del papa regnante.
E’ l’ennesimo piccolo segnale di una situazione drammatica della Sede apostolica che non può (ancora) essere chiarita, ma che conferma quanto Benedetto XVI disse nella sua ultima udienza del 27 febbraio 2013: “Il ‘sempre’ è anche un ‘per sempre’ – non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero non revoca questo”.
In alcune sue lettere recenti – come quella del 23 novembre 2017 al card. Brandmuller, in cui si mostra molto preoccupato per la situazione della Chiesa attuale – Benedetto XVI saluta scrivendo: “Con la mia benedizione apostolica”. Masolo il papa regnante può dare la benedizione apostolica(direttamente o delegando altri).
Se Benedetto non fosse più papa così facendo commetterebbe un abuso.
Del resto molti altri segni dovrebbero far riflettere.Non solo la veste, il nome, il titolo, lo stemma. Lo stesso Bergoglio lo chiama “Santità” (perché si definisce ufficialmente “Sua Santità Benedetto XVI”).
Sono sei anni che – negli ambienti bergogliani –vorrebbero ottenere da Benedetto XVI una dichiarazione in cui dica che non ha più nulla a che fare col papato ed è solo un vescovo. Ma queste parole Benedetto non le dice.
Un giornalista del “Corriere”ha scritto che anonimi (in circostanze imprecisate) avrebbero sentito Benedetto dire “Il Papa è uno, Francesco”. Ma quello stesso giornalista di recente ha potuto incontrare Ratzinger, porgli delle domande e quella frase Benedetto XVI non gliel’ha detta.
Il pensiero di Benedetto XVI è espresso piuttosto dalle parole che il suo braccio destro, mons. Georg Gaenswein ha pronunciato in una storica conferenza alla Gregoriana:
“Prima e dopo le sue dimissioni Benedetto ha inteso e intende il suo compito come partecipazione a un tale ‘ministero petrino’. Egli ha lasciato il Soglio pontificio e tuttavia, con il passo dell’11 febbraio 2013, non ha affatto abbandonato questo ministero. Egli ha invece integrato l’ufficio personale con una dimensione collegiale e sinodale, quasi un ministero in comune… Per questo Benedetto XVI non ha rinunciato né al suo nome, né alla talare bianca. Per questo l’appellativo corretto con il quale rivolgerglisi ancora oggi è ‘Santità’… Egli non ha abbandonato l’ufficio di Pietro – cosa che gli sarebbe stata del tutto impossibile a seguito della sua accettazione irrevocabile dell’ufficio nell’aprile 2005”.
Gaenswein parla di “pontificato d’eccezione”.
C’è chi ritiene che per un misterioso disegno della Provvidenza la Chiesa sia sottoposta oggi a una prova durissima, il suo venerdì santo, ma che la presenza di Benedetto garantisca che non farà naufragio. Di sicuro Benedetto è oggi centrale nella Chiesa. E un giorno tutto si chiarirà.
Antonio Socci
Da “Libero”, 1 luglio 2019
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