NUOVE GRAVI RIVELAZIONI DI VIGANÒ SUI VERTICI DEL VATICANO.
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, l’arcivescovo Carlo Maria Viganò ha reso pubbliche nuove, gravissime rivelazioni che riguardano i vertici del Vaticano e la gestione degli abusi. Sono state pubblicate oggi da LifeSiteNews. In realtà queste dichiarazioni facevano parte dell’intervista che l’ex Nunzio ha concesso qualche tempo fa al Washington Post; ma non erano state pubblicate, in quanto il giornale si era preso del tempo per approfondire l’inchiesta. Per questo motivo Stilum Curiae, pur essendone in possesso, aveva deciso di non pubblicarle fino a quando il quotidiano americano avesse deciso di scrivere un seguito alla prima parte dell’intervista. Questa clausola autoimposta viene meno ora. Vogliamo aggiungere che diversi mesi orsono abbiamo cercato di contattare una persona che è sicuramente informata dei fatti, Gastòn Guisandes Lopez, un collega di Maracaibo, senza fortuna. Ci riproveremo…Ma ci sembra che la Santa Sede non possa trincerarsi dietro l’usuale silenzio, e debba fornire invece chiarimenti credibili e documentati.
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Ecco che cosa dice mons. Viganò:
I segni che vedo sono davvero inquietanti. Non solo papa Francesco non fa quasi nulla per punire chi ha commesso abusi, non fa assolutamente nulla per denunciare e assicurare alla giustizia coloro che hanno, per decenni, facilitato e nascosto i violentatori. Solo per citare un esempio: il cardinale Wuerl, che ha coperto gli abusi di McCarrick e altri per decenni, e le cui menzogne ripetute e sfacciate sono state rese chiare a tutti coloro che hanno prestato attenzione, ha dovuto dimettersi disonorevolmente a causa dell’indignazione popolare. Eppure, accettando le sue dimissioni, papa Francesco lo ha elogiato per la sua “nobiltà”. Quale credibilità può avere il papa dopo questo tipo di dichiarazioni?
Ma un simile comportamento non è affatto il peggiore. Tornando al vertice e concentrandosi sull’abuso di minori, desidero ora sottoporre alla vostra attenzione due casi recenti e veramente orribili riguardanti le accuse di reati contro minori durante il regno di papa Francesco. Il papa e molti prelati in Curia sono ben consapevoli di queste accuse, ma in nessun caso è stata consentita un’indagine aperta e approfondita. Un osservatore obiettivo non può fare a meno di sospettare che azioni orribili vengano nascoste.
1 – Si dice che il primo sia accaduto all’interno delle stesse mura del Vaticano, al Pius X pre-seminario, che si trova a pochi passi dalla Domus Sanctae Marthae, dove vive papa Francesco. Quel seminario forma i minori che servono come chierichetti nella Basilica di San Pietro e nelle cerimonie papali.
Uno dei seminaristi, Kamil Jarzembowski, un compagno di stanza di una delle vittime, afferma di aver assistito a dozzine di episodi di aggressione sessuale. Insieme ad altri due seminaristi, ha denunciato l’aggressore, prima di persona ai suoi superiori pre-seminario, poi per iscritto ai cardinali, e infine nel 2014, sempre per iscritto, a papa Francesco stesso. Una delle vittime era un ragazzo, presumibilmente abusato per cinque anni consecutivi, a partire dall’età di 13 anni. Il presunto aggressore era un seminarista di 21 anni, Gabriele Martinelli.
Quel pre-seminario è sotto la responsabilità della diocesi di Como ed è gestito dall’Associazione Don Folci. Un’indagine preliminare fu affidata al vicario giudiziario di Como, don Andrea Stabellini, che trovò elementi di prova che giustificavano ulteriori indagini. Ho ricevuto informazioni di prima mano che indicavano che i suoi superiori hanno proibito che continuasse le indagini. Egli stesso può testimoniare per se stesso, e esorto ad andare a intervistarlo. Prego che troverà il coraggio di condividere con voi ciò che ha così coraggiosamente condiviso con me.
Insieme a quanto sopra, ho appreso come le autorità della Santa Sede si sono occupate di questo caso. Dopo che le prove furono raccolte da don Stabellini, il caso fu immediatamente nascosto dall’allora vescovo di Como, Diego Coletti, insieme al cardinale Angelo Comastri, vicario generale di papa Francesco per la Città del Vaticano. Inoltre, il cardinale Coccopalmerio, allora presidente del Pontificio Consiglio per i testi legislativi, che è stato consultato da don Stabellini, lo ha fortemente ammonito di interrompere le indagini.
Potreste chiedervi come è stato chiuso questo caso orribile. Il vescovo di Como rimosse don Stabellini dalla carica di vicario giudiziario; l’informatore, il seminarista Kamil Jarzembowski, fu espulso dal seminario; i due compagni seminaristi che si erano uniti a lui nella denuncia lasciarono il seminario; e il presunto violentatore, Gabriele Martinelli, è stato ordinato sacerdote nel luglio 2017. Tutto questo è accaduto all’interno delle mura vaticane, e non ne è uscita una parola durante il summit.
Il summit è stato quindi terribilmente deludente, perché è ipocrisia condannare gli abusi contro i minori e fingere di simpatizzare con le vittime rifiutandosi di affrontare onestamente i fatti. Una rivitalizzazione spirituale del clero è più urgente, ma alla fine sarà inefficace se non c’è la volontà di affrontare il problema reale.
2 – Il secondo caso riguarda l’arcivescovo Edgar Peña Parra, che papa Francesco ha scelto come nuovo Sostituto presso la Segreteria di Stato, rendendolo la terza persona più potente nella curia. In tal modo, il Papa ha sostanzialmente ignorato un terrificante dossier inviato da un gruppo di fedeli di Maracaibo, dal titolo “Quién es verdaderamente Monseñor Edgar Robinson Peña Parra, Nuevo Sustituto de la Secretarîa de Estado del Vaticano?”. Il dossier è firmato da Dr. Enrique W. Lagunillas Machado, nel nome del “Grupo de Laicos de la Arquidiócesis de Maracaibo por una Iglesia y un Clero según el Corazón de Cristo.” Questi fedeli accusano Peña Parra di terribile immoralità, descrivendo in dettaglio i suoi presunti crimini . Questo potrebbe anche essere uno scandalo che supera quello di McCarrick, e non deve essere permesso che sia coperto dal silenzio.
Alcuni fatti sono già stati pubblicati sui media, in particolare sul settimanale italiano l’Espresso. Aggiungerò ora i fatti noti in Segreteria di Stato in Vaticano dal 2002, che ho appreso quando ho servito come delegato per le Rappresentanze Pontificie.
Nel gennaio 2000, il giornalista di Maracaibo, Gastón Guisandes López, ha presentato gravi accuse contro alcuni sacerdoti della diocesi di Maracaibo, tra cui mons. Peña Parra, che comprendevano l’abuso sessuale di minori e altre attività potenzialmente criminali.
Nel 2001, Gastón Guisandes López ha chiesto due volte di essere ricevuto dal nunzio apostolico (l’ambasciatore del papa) in Venezuela, l’arcivescovo André Dupuy, per discutere di queste questioni, ma l’arcivescovo ha inspiegabilmente rifiutato di accoglierlo. Tuttavia, fece un rapporto alla Segreteria di Stato raccontando che il giornalista aveva accusato mons. Peña Parra di due crimini molto gravi, descrivendo le circostanze.
– In primo luogo, Edgar Peña Parra fu accusata di aver sedotto, il 24 settembre 1990, due seminaristi minori della parrocchia di San Pablo, che dovevano entrare nel Seminario Maggiore di Maracaibo quello stesso anno. Si dice che l’evento abbia avuto luogo nella chiesa di Nuestra Señora del Rosario, dove il reverendo José Severeyn era parroco. Il Rev. Severeyn fu poi rimosso dalla parrocchia dall’allora arcivescovo mons. Roa Pérez. Il caso è stato denunciato alla polizia dai genitori dei due giovani ed è stato trattato dall’allora direttore del seminario maggiore, Rev. Enrique Pérez, e dal direttore spirituale allora, Rev. Emilio Melchor. Il Rev. Pérez, interrogato dalla Segreteria di Stato, confermò per iscritto l’episodio del 24 settembre 1990. Ho visto questi documenti con i miei occhi.
– In secondo luogo, Edgar Peña Parra è stato presumibilmente coinvolto, insieme a……….., nella morte di due persone, un medico e un certo Jairo Pérez, avvenute nell’agosto del 1992, sull’isola di San Carlos nel lago di Maracaibo. Sono stati uccisi da una scarica elettrica e non è chiaro se le morti siano state o meno accidentali. Questa stessa accusa è contenuta anche nel suddetto dossier inviato da un gruppo di laici di Maracaibo, con il dettaglio aggiuntivo che i due cadaveri sono stati trovati nudi, con la prova di macabri rapporti omosessuali lascivi. Queste accuse sono, a dir poco, estremamente gravi.
Tuttavia, non solo Peña Parra non è stato costretto a farvi fronte, ma gli è stato concesso di continuare nel servizio diplomatico della Santa Sede.
Queste due accuse sono state segnalate alla Segreteria di Stato nel 2002 dall’allora nunzio apostolico in Venezuela, l’arcivescovo André Dupuy. La documentazione pertinente, se non è stata distrutta, può essere trovata sia negli archivi del personale diplomatico della Segreteria di Stato dove ho ricoperto la carica di Delegato per le Rappresentanze Pontificie, sia negli archivi della nunziatura apostolica in Venezuela, dove i seguenti arcivescovi hanno prestato servizio come nunzi: Giacinto Berloco, dal 2005 al 2009; Pietro Parolin, dal 2009 al 2013; e Aldo Giordano, dal 2013 ad oggi. Avevano tutti accesso ai documenti che riportavano queste accuse contro il futuro Sostituto, così come i cardinali segretari di Stato Sodano, Bertone e Parolin e i sostituti Sandri, Filoni e Becciu.
Particolarmente grave è il comportamento del cardinale Parolin che, come Segretario di Stato, non si è opposto alla recente nomina di Peña Parra come sostituto, rendendolo il suo più stretto collaboratore. Ancor di più: anni prima, nel gennaio 2011, come nunzio apostolico a Caracas, Parolin non si è opposto alla nomina di Peña Parra come arcivescovo e nunzio apostolico in Pakistan. Prima di incarichi così importanti, viene fatto un rigoroso processo informativo per verificare l’idoneità del candidato; quindi le accuse di cui sopra sono state sicuramente portate all’attenzione del cardinale Parolin.
Inoltre, il cardinale Parolin conosce i nomi di alcuni sacerdoti della Curia che sono sessualmente non casti, violando la legge di Dio che si sono impegnati solennemente a insegnare e praticare, e continua a guardare dall’altra parte.
Se le responsabilità del cardinale Parolin sono gravi, tanto più quelle di papa Francesco per aver scelto per una posizione estremamente importante nella Chiesa un uomo accusato di crimini così gravi, senza prima insistere su un’indagine aperta e approfondita. C’è ancora un aspetto scandaloso di questa storia orribile. Peña Parra è strettamente connesso con l’Honduras, e più precisamente con il cardinale Maradiaga e il vescovo Juan José Pineda. Tra il 2003 e il 2007, Peña Parra ha servito nella nunziatura a Tegucigalpa, e mentre era lì era molto vicino a Juan José Pineda, che nel 2005 è stato ordinato vescovo ausiliare di Tegucigalpa, diventando il braccio destro del cardinale Maradiaga. Juan José Pineda si è dimesso dal suo incarico di vescovo ausiliare nel luglio 2018, senza che fosse data alcuna spiegazione ai fedeli di Tegucicalpa. Papa Francesco non ha reso noti i risultati del rapporto che il Visitatore Apostolico, il vescovo argentino Alcides Casaretto, ha consegnato direttamente, e solo a lui, più di un anno fa. Come si può interpretare la decisa decisione di papa Francesco di non parlare o rispondere a qualsiasi domanda su questo argomento se non come copertura dei fatti e protezione di una rete omosessuale? Tali decisioni rivelano una verità terribile: piuttosto che permettere indagini aperte e serie su coloro che sono accusati di gravi offese contro la Chiesa, il papa sta permettendo alla Chiesa stessa di soffrire.
Tornando alla vostre domanda. Mi chiedi se vedo qualche segno che il Vaticano, sotto papa Francesco, stia prendendo i giusti provvedimenti per affrontare i gravi problemi di abuso. La mia risposta è semplice: lo stesso papa Francis sta coprendo gli abusi proprio ora, come ha fatto per McCarrick. Lo dico con grande dispiacere. Quando il re David pronunciò il ricco avido nella parabola di Nathan, degna di morte, il profeta gli disse senza mezzi termini, “Tu sei l’uomo” (2 Sam 12: 1-7). Speravo che la mia testimonianza potesse essere ricevuta come quella di Nathan, ma fu invece ricevuta come quella di Micaia (1 Re 22: 15-27). Prego che questo cambi.
Marco Tosatti
4 Luglio 2019 18 Commenti --
“Così, per me, il seminario è stato il regno dell’ambiguità e dell’errore”
Cari amici di Duc in altum, dopo la pubblicazione della testimonianza del giovane prete sulla sua (mancata) formazione in seminario, eccone oggi un’altra altrettanto significativa. L’autore, che si firma con il solo nome di battesimo, ci aiuta a entrare ancora meglio in un mondo in cui le ombre, ahinoi, prevalgono sulle luci. Se la “formazione” che si riceve è questa, come stupirsi che nella Chiesa si diffondano eresia e apostasia?
Ricordo che per inviare testimonianze sui seminari è attivo il seguente indirizzo mail:
inchiestaseminario@yahoo.it
A.M.V.
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Storia di Alberto
Mi chiamo Alberto, sono un laico, ho studiato cinque anni Scienze religiose per poter insegnare religione cattolica nelle scuole superiori.
Devo confessare, purtroppo, che anche a me l’esperienza in seminario ha riservato più ombre che luci. Da cattolico non avrei mai pensato di arrivare a tanto − e fa molto male riconoscerlo −, ma a quegli amici o a quegli alunni che mi confidano il desiderio di intraprendere gli studi teologici suggerisco molta cautela e soprattutto di non iscriversi al seminario frequentato dal sottoscritto. Meglio una fede intellettualmente semplice ma solida nel cuore e nei fondamenti piuttosto che una fede dottorale imperniata su basi dottrinali ambigue o erronee; meglio rimanere “piccoli come bambini” (Mt 18,4), piuttosto che abbracciare una certa “fede adulta”.
A questa triste conclusione sono giunto perché in seminario ho sentito davvero di tutto.
Naturalmente i professori, almeno quelli più scafati, camuffano il loro pensiero utilizzando un lessico e una fraseologia che non appaiano in esplicito contrasto col magistero. È tutto un fine e strategico giuoco di silenzi, allusioni, avverbi, interrogativi, alchimie etimologiche, citazioni decontestualizzate, analogie e antitesi calate ad hoc nel discorso per veicolare una certa idea, generalmente eterodossa, senza asserirla letteralmente (deve trattarsi di una singolare esegesi di 2Cor 3,6: «La lettera uccide, lo Spirito dà vita»). A parlar chiaro, d’altronde, il rischio è quello di perdere la cattedra e di tornare a fare i normali parroci. Bisogna alludere, non asserire.
Voglio, per esempio, contestare il magistero petrino? Il docente navigato si guarderà bene dal farlo apertis verbis; egli farà semplicemente calare una fitta coltre di silenzio su tutti i documenti magisteriali ritenuti scomodi. Veritatis Splendor? Fides et Ratio? Dominus Iesus? Chi li ha mai sentiti in seminario? Il docente, in genere, non si oppone al papa, lo fa sparire: etsi papa non daretur. Come tutti i giovani studenti, anche i seminaristi e i futuri insegnanti si fidano dei loro professori. Perché mai dovrebbero perdere tempo ed energia per scavare autonomamente tra le pagine del Catechismo della Chiesa cattolica o del Denzinger per verificare la correttezza e la completezza delle spiegazioni ricevute? Poi, però, non dimentichiamocelo, i primi predicheranno da un pulpito e i secondi andranno dietro una cattedra.
In altri casi, quando nemmeno i silenzi o le più ardite acrobazie dialettiche sono sufficienti per inculcare una certa tesi, accade che la bordata teologica venga messa in bocca sic et simpliciter a qualcun altro senza alcuna critica successiva, ed il giuoco è fatto. Dietro un distaccato ipse dixit – l’odierno sentire della società secolarizzata, quel tal teologo protestante, quel tal filosofo agnostico, quella tale pensatrice femminista, ma anche, più semplicemente, attraverso un non verificabile “mi si riferisce che” – si può dare visibilità pubblica e far passare qualsiasi idea senza essere formalmente imputabili di nulla. D’altronde − mi si obietterà − trattasi di prassi accademica: un professore che non cita, che non allarga gli orizzonti, che non si rapporta a ciò che sta attorno… che professore è? E non era forse san Paolo che diceva «esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono» (1Ts 5,21)? Anche Tommaso, poi, nella Summa citava, eccome! Nella mia esperienza seminariale, però, spesso e volentieri è mancata una parte: il momento del dicitur, dell’analisi dei filoni teologici ideologicamente indirizzati, ha fagocitato fino ad annullare il momento della sintesi, ovvero la posizione del magistero cattolico. Con buona pace di san Paolo, poco di buono ho trattenuto perché su tanto di buono si è sorvolato. È mancato il respondeo dicendum.
Cercare di compensare questo gap teologico costruendosi una propria bibliografia di studio è, oltre che un pizzico nicodemita ed estremamente faticoso perché bisogna studiare il doppio, anche particolarmente rischioso. Ero alle prese con una tesi su sant’Agostino e, fra i vari autori, citai Ratzinger, noto conoscitore dell’Ipponate. Il relatore fece pressione affinché lo depennassi, disse che le sue erano posizioni ormai superate sia in sede esegetica che teologica (in quel momento Ratzinger era papa!) e la commissione non avrebbe apprezzato tale riferimento. Io lasciai Ratzinger là dov’era e alla discussione della tesi i commissari si tolsero qualche sassolino dalla scarpa; ma non voglio insistere su questo. Ad una mia brillante compagna di studi, invece, è capitato di citare in bibliografia troppi autori cattolici: in quel caso il suo relatore ravvisò nell’elaborato − testuale − un «deficit ecumenico», ingiungendole di ampliare l’orizzonte. Ad un altro mio compagno che insisteva con troppo acume sui temi della metafisica – lasciando non di rado il professore a corto di argomentazioni − è stato chiesto, con una certa stizza, se per caso non facesse parte di CL.
Esaminate tutto, insomma (1Ts 5,21), ma se esaminate e tenete solo una parte (Bonhoeffer, Heidegger, Bultmann, Lévinas, Lutero, Schillebeeckx…) è meglio.
Ma entriamo un poco in medias res con qualche esempio ancora più concreto.
1) Sulla verginità di Maria. Da un punto di vista “dogmatico” – dicevano i miei professori − sul concepimento virginale di Gesù non si discute; ma un conto è il “dogma”, che deve essere mantenuto tale, un conto è la “storia”. La formulazione dogmatica non necessariamente coincide con la dimensione storica, perché anzi si pongono su due livelli ontologici diversi: astratto e atemporale il primo, concreto-vivente il secondo. Punto, spiegazione finita. Qualcuno può forse essere tacciato di aver contestato il dogma? No. Ma chi ha orecchie per intendere ha inteso bene…
2) Sull’autocoscienza di Cristo. Gesù sapeva di essere Figlio di Dio? Un mio professore sosteneva che Gesù maturò l’“autocoscienza filiale” solo al momento della sua morte in croce. Alla mia obiezione che, forse, ad un certo punto sua madre deve avergli rivelato qualcosa sul suo “strano” concepimento, il prof ha reagito fulminandomi con uno sguardo misto tra l’imbarazzato e il compassionevole, come a dire: poverino, non hai capito nulla ma non posso spiegarti il perché. Del resto, se il “dogma” del concepimento verginale è altro dalla “storia”, la mia obiezione si risponde da sé.
3) Sul magistero petrino. Voglio denigrare la figura del pontefice senza prestare il fianco al richiamo dell’autorità ecclesiastica: come faccio? Quando alcuni miei docenti biblisti facevano esegesi, cioè interpretavano e commentavano la Scrittura, ogni volta che Pietro fa brutta figura – rinnega Cristo (Mc 14,66ss), usa violenza contro Malco amputandogli un orecchio (Gv 18,10), “viene convertito” dal pagano Cornelio (così, sic, i miei professori inquadravano il testo di Atti 10) eccetera − non mancavano di specificare che Pietro era, alla fine dei conti, il primo papa. Qualcuno ha forse contestato il primato petrino? No. Ma se il buon giorno si vede dal mattino…
4) Sul peccato originale. Quando il silenzio tombale su questo tema veniva infranto da qualche docente, era solo per ricordarci che quella (desueta) espressione, “peccato originale”, nella Bibbia non compare da nessuna parte. Punto. Una buona occasione persa per ricordare a noi studenti che il principio del sola Scriptura è luterano, non cattolico. E ancora una volta è passato un messaggio falso (il peccato originale non è verità rivelata) dicendo una cosa vera (l’espressione “peccato originale” non è biblica).
5) Sulla natura dei miracoli. I miracoli non sono “fuochi d’artificio!” tuonavano all’unisono i miei insegnanti, un’espressione camuffata per affermare che essi non sono di ordine soprannaturale (cfr. al contrario DH 4403). Tutti i docenti hanno voluto depotenziare i miracoli martellando sul fatto che essi sono semplicemente semeia, “segni”, come li chiama Giovanni; i miracoli indicano e mostrano una strada ma non sono dotati di un’intrinseca efficacia “prodigiosa” (cfr. al contrario At 2,22).
Ma perché mai dà fastidio che i miracoli possano trascendere le leggi naturali? Primo, perché ciò rimanda ad un Dio “onnipotente” al quale, proprio perché “onnipotente”, è il caso di togliere la camicia nera. Secondo, perché ai miracoli gli adulti non credono. Terzo, perché l’azione di Dio in questo modo sarebbe troppo impattante sulla libertà dell’individuo, estorcendogli l’assenso della fede (falso: cfr. Mt 28,17; CCC, 548).
6) Sul contenuto veritativo del cattolicesimo e sulla metafisica. I miei docenti hanno profuso molte energie nel tentativo di togliere alla Chiesa quella fastidiosa patina di superiorità che le deriva dal fatto di essere «colonna e sostegno della verità» (1Tm 3,15). In questo senso gli interventi dei professori sono stati plurimi e variegati, ma comunque sistematici. La strategia apparentemente più innocua, ma cionondimeno assolutamente strutturale, persegue come primo obiettivo la de-ellenizzazione del cristianesimo, e cioè la volontà di purgare la fede cattolica di tutti quei termini e categorie di derivazione greca che la Chiesa vi ha instillato nel corso dei secoli.
Questo è davvero molto strano. In seminario ci hanno detto in tutte le salse che la Bibbia è uno straordinario testo multiculturale, nel quale confluisce la mitologia babilonese non meno dell’antica sapienza egizia; gli ebrei poi hanno assimilato durante i secoli molti elementi spuri da tutti i popoli confinanti. Questo è bello e deve essere valorizzato – dicevano −, la Parola di Dio riverbera come una polifonia tra varie culture e, come dice anche il salmista, la verità è sempre plurale: «Una parola ha detto Dio, due ne ho udite» (Sal 62,12). Epperò, l’unica cultura che non ha diritto teologico di cittadinanza è, stranamente, quella greca. Per lei i porti sono e rimangono chiusi, con buona pace della Fides et Ratio di san Giovanni Paolo II (§72). Il motivo è semplice: la cultura greca rimanda alla metafisica e metafisica significa fondamento veritativo dell’essere. Tolta la metafisica, si spalancano le porte ad un impianto teologico improntato al relativismo che tutto pone sullo stesso piano; si rinuncia così definitivamente al tentativo di far convergere analogicamente le differenze creaturali verso la verità divina, dalla quale esse sono precedute, fondate e misurate (reductio ad unum).
Non a caso nel seminario che ho frequentato la metafisica è stata completamente ostracizzata nei contenuti, anche se non proprio nella forma (esiste il corso di “Metafisica”, ma si parla d’altro). A lezione, e soprattutto agli esami, il lessico metafisico era vietato: sostanza, ontologia, essenza, accidente, potenza, atto, verità, natura, causa prima, ragione, volontà eccetera erano tutti termini che andavano sostituiti – così dicevano – con un nuovo vocabolario più esperienziale, personalista, fenomenologico ed ermeneutico (il che non è necessariamente da rigettare, ma tutto ciò deve poggiare sulla metafisica, non sostituirla). Il termine in assoluto più abusato, quello che scioglie ogni nodo teologico, è “relazione”. Ironicamente forse nemmeno il docente di Metafisica – che invero si vantava di averla studiata poco – sapeva che anche quel vocabolo, “relazione”, dall’aura così gradevolmente inclusiva, è utilizzato proprio da Aristotele nella sua Metafisica per denotare una delle dieci categorie dell’essere. E così, in seminario, la “relazione” diventa il contraltare dell’ “oggettività”: ciò che è oggettivo, infatti, è in sé e per sé vero universalmente, unico e identico per tutti, e può solo essere riconosciuto e contemplato come tale. All’interno della relazione, invece, c’è tutto lo spazio possibile per la fusione degli orizzonti e la negoziazione dei significati, etici e dogmatici (sic).
Glisserò su molte altre cose ma, almeno in parte, è giusto che vi trasmetta quello che anche io ho ricevuto.
– L’autore anonimo del IV vangelo potrebbe benissimo essere Giuda.
– «Minimo storico, massimo teologico!» (tanti meno fatti storici nella Bibbia, tanto maggiore l’auspicato spazio per l’interpretazione teologica).
– Gesù non ha fatto nessuna previsione, sono stati gli evangelisti che col senno di poi gli hanno messo in bocca previsione corrette.
– Gli evangelisti fanno nascere Gesù a Betlemme perché così aveva predetto Michea (Mi, 5,1).
– I vangeli dell’infanzia sono una proiezione teologica postpasquale che Matteo e Luca hanno elaborato per giustificare ex ante l’evento della resurrezione.
– Satana non esiste.
– La legge morale naturale non esiste.
Vi sono ancora molte altre cose che ho sentito in seminario e che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere.
Alberto
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