La nomina dell’Arcivescovo di Bologna a cardinale salutata con euforia dalla Sinistra e da tutto lo stato maggiore Dem. Perché Zuppi #facose, tutte dalla parte giusta e politicamente corrette: immigrati, Resistenza, primo maggio, diritti Lgbt. E per il Pd è un attimo pensare «questo è dei nostri».
Il primo è stato Pierluigi Bersani: «Zuppi cardinale, ancora una volta papa Bergoglio indica la strada. Non solo per la Chiesa». Poi è stata la volta di Enrico Letta: «Un gran segno di speranza, che bella scelta. La gioia nell’apprendere che il Papa ha nominato Cardinale l’arcivescovo di Bologna Zuppi, quello che per tanti è don Matteo. Grazie Papa Francesco e grazie Comunità di Sant’Egidio».
A questo punto uno spera che sia finita lì e la domenica possa proseguire con il derby capitolino. Invece…
Invece arrivano come una gragnola di frecce Paolo Gentiloni («Mons. Zuppi cardinale un segno dei tempi voluto dal Papa. Una gioia per chi lo ha sempre visto dalla parte della pace e degli ultimi»); Carlo Calenda («Felice per la nomina a cardinale di don Matteo Zuppi») che per l’occasione ricorda di quando, insieme, andarono in Mozambico e lui cadde - ùrka - persino dalla moto. Insomma, come Garibaldi che comanda il battaglion…; E che dire di Monica Cirinnà? La paladina dei diritti Lgbt non riesce a credere ai suoi occhi e cita una frase dell’arcivescovo di Bologna: «Serve una pastorale per i cattolici omosessuali». Ma dopo Padre James Martin che lo eleva a suo cardinale di riferimento non c’è da stupirsi.
L’ex ministro Cecile Kyenge invece sceglie l'aspetto immigrazionista, lo Zuppi amico degli ultimi e degli emarginati mentre Paola Micheli, che in molti danno nella futura squadra di governo non riesce a contenere la gioia.
Poteva mancare l’ex ministra senza laurea Valeria Fedeli? Addirittura si gonfia di orgoglio: «Ho avuto - pensate! - l’onore di conoscerlo!». E poi, dulcis in fundo, Alberto Melloni che - lui è la Storia - non poteva non notare la «commovente staffetta con il cardinal Silvestrini».
Insomma: la nomina di Matteo Maria Zuppi a cardinale ha finalmente riunito la Sinistra, il Pd tanto che quasi quasi, visto l’entusiasmo non sarebbe male portarlo alle consultazioni con Conte questa mattina o inserirlo in un qualche ministero chiave. Aspettate, almeno nella squadretta che affianca Zingaretti quando esce dagli incontri con Mattarella...
Quando ti ricapita di trovare un nome su cui sono tutti d’accordo? Ma forse è soltanto la riconoscenza per quell’ospitata di luglio alla Festa dell’Unità di Bologna. Con la crisi di vocazioni del credo dem qualcuno che li ascolti è già un amico.
Allora Zuppi venne accolto con tutti gli onori e parlò di inclusione, migrazioni e tematiche buone per un direttivo Pd tenendosi ben lontano da quei temi divisivi tipo aborto, eutanasia che li lasciamo poi a quegli altri là. Insomma, l’amicizia era già salda da tempo. Ricambiata, si vede. Nel solco del politically correct che accomuna entrambi.
Infatti Zuppi piace al fu partitone rosso perché - per parafrasare una pagina su Facebook a lui dedicata - fa cose: si fa fotografare coi migranti, è amicone dei politici emiliani che incontra, con la Boldrini poi ci si intende che è una meraviglia, partecipa agli eventi commemorativi della Resistenza, hasta la victoria e dalla parte dei vincitori, parla dal palco del primo maggio che sembra un delegato di base e se ci sono Arci e Anpi poi è una festa. Insomma: è uno Zuppi #chefacose. E tutte dalla parte giusta, quella dove non ti sbagli. In fondo in casa dem c’è da capirli: è un attimo pensare «questo è dei nostri. Finalmente: abbiamo un cardinale!».
Andrea Zambrano
http://lanuovabq.it/it/abbiamo-un-cardinale-che-festa-il-pd-unito-da-zuppi
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- OMOERESIA AI RAGGI X
Equivoci e forzature: il peggior gesuitismo di Martin
La relazione di James Martin a Dublino è veramente del peggior gesuitismo e addirittura oggettivamente diabolica. Inoltre non ha nulla da spartire con sant’Ignazio di Loyola. Per quattro motivi che evidenziano gli equivoci gravi nei quali il gesuita "omoeretico" è incappato al Meeting della famiglia. Vediamo perché.
-GAY PROFESSION: I DATI DI UN DRAMMA di Andrzej Kobyliński
-GAY PROFESSION: I DATI DI UN DRAMMA di Andrzej Kobyliński
Credo di essere tra i pochi domenicani che hanno letto con attenzione gli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola († 1556), di averne tratto ammirazione nonché utili insegnamenti e addirittura di aver sottolineato il testo con matite di diversi colori. Non mi ritengo dunque affetto da “sindrome antigesuitica”, ma proprio per questo so che esiste una perversione di certi elementi che generano poi la caricatura del gesuita in senso peggiorativo.
Questo per dire che la relazione di James Martin a Dublino “Come possono le parrocchie accogliere le persone LGBT?” è veramente del peggior gesuitismo e addirittura oggettivamente diabolica e, mi permetto di aggiungere, non ha nulla da spartire con sant’Ignazio di Loyola. “Oggettivamente diabolica” perché dice cose belle, giuste e pastoralmente praticabili, ma con studiata noncuranza pone qualche affermazione di principio e di metodo che scardina tutto e trasforma affermazioni che in se stesse potrebbero essere intese in senso positivo in affermazioni negative o per lo meno equivoche sia a livello teorico che pastorale.
Presupposta l’analisi Roberto Marchesini, vorrei collocarmi a un livello più pratico individuando alcuni grimaldelli attraverso i quali Martin apre le porte e scardina l’edificio.
PRIMO EQUIVOCO: la Chiesa (cattolica?) ha trattato male e tratta male le persone LGBT. Ecco un’affermazione sintetica: «Negli ultimi anni ho sentito storie aberranti di persone LGBT cattoliche che sono stati respinte dalle parrocchie». Naturalmente Martin porta qualche esempio, ma appunto “qualche” esempio. Ora, una affermazione così deve essere sostenuta da tanti esempi, molti di più di quelli portati, altrimenti siamo nella generalizzazione.
Oltre al numero maggiore di esempi da addurre, si tace sul comportamento di tantissimi preti che non discriminano le persone omosessuali, le trattano bene, indicano loro una via di salvezza nel sacramento della confessione e, quand’anche non le assolvano, non interrompono un buon rapporto pastorale e orante con loro. E poi vi sono iniziative diocesane. Giustizia vuole che si tenga conto di tutti costoro e non solo di qualche comportamento eccedente.
Inoltre non si può valutare il passato con le acquisizioni culturali del presente. Nel passato, certo anche a seguito della dottrina della Chiesa, il comportamento omosessuale era marginalizzato anche dalla società: le ipotesi sulla morte di Tchaikovsky († 1893) avvelenatosi su richiesta per mantenere la buona reputazione di un giovane amante, anche se non documentabili del tutto, testimoniano delle reazioni di allora circa l’omosessualità. La Chiesa viveva in questo mondo e non reagiva né più né meno della società. Anzi, nel caso di abilità tecnica non si andava troppo per il sottile e anche gli ecclesiastici si servivano del pittore Giovanni Antonio de’ Bazzi soprannominato... il Sodoma († 1549), nonché di altri sommi e chiacchierati come un Leonardo da Vinci († 1519).
Oppure di un Michelangelo Buonarroti († 1564), che affrescò la Cappella Sistina tra le proteste di diversi cardinali per quei nudi maschili troppo esibiti - e si sospettava il perché - e senza che il Papa Paolo III intervenisse. Il suo cerimoniere Biagio da Cesena († 1544), infatti, dopo aver litigato con Michelangelo per tutti quei nudi, si trovò - e si trova - dipinto lui stesso nudo, con le orecchie da asino e avvolto da un serpente che, insinuando la testa sotto l’inguine, gli mordeva il membro virile! Dunque andiamoci adagio prima di affermare che la Chiesa ha sempre trattato male le persone omosessuali o non ha apprezzato le loro doti in questo caso tecniche.
SECONDO EQUIVOCO: le persone LGBT «fanno parte della Chiesa tanto quanto papa Francesco, il loro vescovo o il loro parroco. Non si tratta di farli diventare cattolici: lo sono già». Certo che sono battezzate e il carattere rimane. Ma l’appartenenza alla Chiesa non è solo misurabile con un sì o un no: esiste anche una intensità del sì. E le persone omosessuali “attive” sono in una condizione di peccato oggettivo che, a meno di ritenerle tutte ingenue e cretine, nella normalità dei casi è anche un peccato soggettivo. E questo peccato non appartiene alla Chiesa e, considerata la persona nel suo insieme, rende più debole l’appartenenza alla Chiesa. Non si può ascoltare la Parola, cercare Dio, avvicinarsi a Gesù Cristo ecc., come sostiene Martin, restando attaccati a questi comportamenti. Si può invece e si deve supporre che papa Francesco, il vescovo, il parroco, non siano abitualmente in condizione di peccato grave, per cui la frase citata all’inizio del paragrafo, nella concretezza della vita cristiana risulta inammissibile. A meno di sostenere che gli atti omosessuali non sono peccato.
TERZO E FONDAMENTALE EQUIVOCO: «Non riducete i gay e le lesbiche alla vocazione alla castità che riguarda tutti noi cristiani. Le persone LGBT sono più della loro vita sessuale, ma alcuni sentono parlare solo di quella». Se così fosse, viene da pensare che le insistenze sulla castità rivolte a queste persone dalla pastorale di un tempo e di oggi derivano da pastori che non hanno il senso pastorale o addirittura risultano essere dei maniaci sessuali. La verità è più semplice: essendo diversi i peccati e i peccatori, a ogni peccatore si chiede di convertirsi dal peccato concreto in cui è immerso e non da tutti gli altri. Non si può partire unicamente da ciò che è buono e valido nella loro vita perché è appunto “quel peccato” che rischia di compromettere quanto c’è di buono arrestandone o deviandone la maturazione.
Si obietterà: santo cielo, è mai possibile che tutti i peccati si riducano al sesso e su questo sempre si debba insistere? No, ci sono peccati ben più gravi come l’omicidio, il cuore duro verso il prossimo, la superbia della vita, la bestemmia ecc. Ma quello del sesso è il peccato più facile e più diffuso ed è il grimaldello attraverso il quale si apre la porta di una vita difforme al progetto di Dio su di noi; il resto verrà dopo. Sant’Atanasio, nella Vita di Antonio - sono reduce da un trasferimento e ho i libri ancora in scatola e non posso citare con esattezza, ma assicuro che così è - fa parlare il demonio che si lamenta di non aver sconfitto Antonio attraverso le armi che sono “sotto l’ombelico”, armi con le quali ha sconfitto tantissimi giovani. Dunque è “normale” l’insistenza sulla castità e ancora oggi sant’Atanasio lo conferma.
Ma non solo. Un pastore deve sin dall’inizio fare un “coming out pastorale”, cioè chiarire a chi gli sta davanti quale è il senso dell’accoglienza, precisando: “Caro/a, la via della salvezza alla quale Gesù Cristo ti chiama passa attraverso la castità, cioè l’astensione da atti omosessuali. Certo, potrai ricadere per fragilità e verrai a confessarti con il proposito di ricominciare. Gesù Cristo è contento della battaglia che stai iniziando e ti darà l’aiuto. Soprattutto, proibendoti questi atti, Dio non vuole limitare la tua felicità, ma condurti alla felicità vera».
Dunque il consiglio di Martin «Non riducete i gay e le lesbiche alla vocazione alla castità» va rigorosamente ribaltato con la frase appena formulata.
Se si crea questo contesto (ribaltato), allora tante positività che appaiono nella relazione di Martin possono essere accolte in senso giusto e proficuo: i valori delle persone omosessuali, la loro ricerca di Dio, una capacità maggiore di perdonare, doti tecniche al servizio della comunità ecc. Valga per tutte questa considerazione di Martin: «Dio le ama, e dovremmo amarle anche noi, e non di un amore avaro, obtorto collo, pieno di giudizi e di condizioni, solo con una parte del cuore: intendo di amore vero. E cosa significa amore vero? La stessa cosa che significa per chiunque: conoscerle nella complessità della loro vita, festeggiare con loro i momenti belli, soffrire con loro le amarezze, come farebbe un amico. E dirò di più: amarle come Gesù amava gli emarginati: follemente ed eccentricamente». Così come suonano, sono parole pienamente accettabili, ma nel contesto del coming out pastorale sulla castità. Se invece la proposta e l’esigenza della castità non è chiarita, in realtà non amiamo cristianamente le persone omosessuali e annunciamo loro un falso amore di Dio... e Dio ne chiederà conto.
QUARTO EQUIVOCO: qualche allegro stravolgimento della Scrittura. Martin conclude con un’icona evangelica: l’incontro di Gesù con Zaccheo in Lc 19,1-10 pensando «a Zaccheo come a un simbolo delle persone LGBT cattoliche». E qui iniziano una serie di allegorie, alcune delle quali stanno in piedi, mentre altre sono una frana.
Bene sottolineare che Zaccheo cercava di vedere Gesù e Gesù, saltando le persone normali e costituite in autorità, si rivolge a lui che era a suo modo marginale. A dire il vero, se il paragone calza nella seconda parte per la Chiesa, quanto alla prima parte tutti gli omosessuali che “fanno rumore” desiderano vedere Gesù? Ci sono forti dubbi...
Osserva giustamente Martin che «per Zaccheo, convertirsi significa dare ai poveri», perché è il contrario del suo peccato e così facendo non solo vi rimedia, ma esprime la verità della conversione. Applicato a chi pratica l’omosessualità, ci aspetteremmo un proposito di castità.
E invece «Zaccheo scende dall’albero; il testo greco ha un’espressione molto forte, statheis: mantenne la sua posizione»: che cosa significa se non che non ebbe l’intenzione di cambiare? E da qui è ovvio transitare alla considerazione che Gesù non gli propose di certo «terapie di conversione».
Infine Martin interpreta il tutto con una considerazione d’insieme che non ha nessun riscontro nel brano evangelico: «Il modello di Giovanni Battista (...) prevedeva che prima ci si convertisse, poi che si venisse accolti nella comunità. Per Gesù, prima viene la comunità, poi la conversione. L’accoglienza e il rispetto sono prioritari». No, è il contrario e ne fa fede il cammino penitenziale nonché l’attuale sacramento della Penitenza: proprio per essere accolti nella comunità nella quale c’è la salvezza si veniva e si viene perdonati dai peccati e, in antico “assolti” dalla penitenza in quanto le opere di penitenza compiute manifestavano la verità della conversione e dell’appartenenza alla Chiesa.
Insomma, pur non essendo gesuita ho provato a fare un discernimento sulle parole di un gesuita - operazione quasi surreale! - nel senso indicato dall’Apostolo: «Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono» (1Ts 5,21), fermo restando che «se in qualche cosa pensate diversamente, Dio vi illuminerà anche su questo» (Fil 3,15).
Riccardo Barile
Nuovi cardinali tutti di "osservanza" bergogliana
Il coinvolgimento in temi particolarmente cari a questo pontificato - migranti, dialogo con l'islam e lotta alle ingiustizie sociali - sembra essere il filo comune dell'elenco dei 13 nomi scelti per la porpora annunciati ieri da Papa Francesco.
-PER ZUPPI FA FESTA IL PD: “ABBIAMO UN CARDINALE” di Andrea Zambrano
Gli 80 anni compiuti il 16 agosto da Sean Baptist Brady, creato nel Concistoro del 24 novembre 2007 da Benedetto XVI, aveva ridotto la rosa dei cardinali elettori a 118 cardinali elettori. Un numero destinato a ridursi ulteriormente nel corso dell'anno, con altri quattro porporati prossimi a superare i limiti d'età per partecipare ad un eventuale Conclave. Paolo VI, con la "Romano Pontifici Eligendo" fissò a 120 il numero massimo dei cardinali elettori. Ieri Francesco ha annunciato durante l'Angelus la convocazione di un nuovo Concistoro fissato per il 5 ottobre prossimo. Le dieci new entry sono tutte considerate vicine alla sensibilità ecclesiale di papa Bergoglio.
Il coinvolgimento in temi particolarmente cari a questo pontificato - quali migranti, dialogo con l'Islam e lotta alle ingiustizie sociali - sembra essere il filo comune dell'elenco dei nomi scelti per la porpora. C'è monsignor Ignatius Suharyo Hardjoatmodjo, arcivescovo di Giacarta e presidente della Conferenza episcopale dell'Indonesia, il Paese islamico più popoloso del mondo. Sotto la sua guida, l'arcidiocesi locale ha lanciato la campagna Più fedeli al cristianesimo, più coinvolti socialmente nello spirito di fratellanza, più compassionevoli con il prossimo, dedicata a sensibilizzare la comunità cattolica locale sull'impegno da mettere in atto in favore dei migranti provenienti da Myanmar e Bangladesh, tra cui migliaia di Rohingya che arrivano sui barconi e per la cui sorte lo stesso Francesco si è speso più volte arrivando persino a chiedere perdono a nome dei persecutori.
Sarà cardinale anche lo spagnolo Cristóbal López Romero, arcivescovo di Rabat che nel recente passato si è distinto per i duri giudizi sulla politica dei porti chiusi ("atteggiamenti che mi rattristiscono") e la difesa delle Ong ("è triste che si criminalizza quelli che fanno il bene. Ho vergogna della mia Europa"). Sostenitore del motto "cuori aperti, porte aperte" sul fenomeno migratorio, il salesiano iberico ha definito "ipocriti ed egoisti" i giovani europei, mentre è solito predicare una linea più 'aperturista' anche nel dialogo con l'Islam, con il quale - ha sostenuto in un'intervista - "si può costruire insieme un mondo più misericordioso". Una convinzione maturata nella sua già precedente esperienza come direttore di una scuola salesiana a Kenitra nella quale ha introdotto la proclamazione del Corano ogni venerdì alla quale lui stesso partecipava pregando per conto suo. Spagnolo e attento agli stessi temi è anche Miguel Angel Ayuso Guixot, che solo pochi mesi fa Francesco aveva messo a capo del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso.
Il missionario comboniano è uno dei massimi studiosi dell'Islam e da preside del Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica commentò con favore l'avvio delle cosiddette Primavere arabe in Nordafrica; egli è stato, inoltre, uno degli uomini che ha lavorato al Documento sulla Fratellanza Umana di Abu Dhabi. Dopo la recente morte del cardinal Ortega, Cuba avrà di nuovo un suo rappresentante nel Sacro Collegio: è monsignor Juan de la Caridad García, arcivescovo di San Cristóbal de La Habana, considerato dai media locali un "vescovo del popolo" e al centro, all'indomani della sua nomina a capo dell'arcidiocesi, di una polemica su alcune dichiarazioni fatte in cui sosteneva di non volere il capitalismo a Cuba, ma piuttosto "un socialismo che progredisce".
Altra porpora centroamericana sarà monsignor Alvaro Ramazzini Imeri, un altro presule molto impegnato sulla questione migratoria e che non ha risparmiato critiche alla politica della presidenza Trump accusata di provocare "conseguenze inimmaginabili". L'azione pastorale del vescovo del Guatemala si è contraddistinta in questi anni per lo spazio dato all'opzione preferenziale per i poveri, con la continua denuncia delle disuguaglianze sociali esistenti nel suo Paese.
Il prossimo Concistoro vedrà anche la nomina di un cardinale non consacrato vescovo. Anche Giovanni Paolo II aveva elevato a tale rango Leo Scheffczyk e Robert Avery Dulles, privi di consacrazione episcopale, ma si trattava di due teologi molto anziani al momento della nomina. Padre Michael Czerny, invece, entrerà nel Collegio da elettore: il gesuita ricopre l'incarico di sottosegretario della Sezione Migranti e Rifugiati, voluta da Francesco che ha scelto di guidarla in prima persona. Il collaboratore del pontefice si è speso in questi anni in giro per il pianeta per ricordare in incontri pubblici ed in sedi istituzionali come i migranti siano una priorità per la Chiesa ed è stato scelto anche come segretario del Sinodo sull'Amazzonia.
L'altro gesuita della lista di Francesco per il 5 ottobre è monsignor Jean-Claude Höllerich, arcivescovo di Lussemburgo, presidente del la Comece ed autore del manifesto anti-sovranista pubblicato sul "La Civiltà Cattolica" in occasione delle ultime elezione europee.
L'arcidiocesi di Bologna, che lo era stata per cinque secoli fino al 2015, torna ad essere sede cardinalizia con l'elevazione alla porpora di monsignor Matteo Maria Zuppi. La notizia è stata accolta con un tweet entusiasta da padre James Martin, il gesuita che ha scritto “Un ponte da costruire. Una relazione nuova tra Chiesa e persone Lgbt” di cui Zuppi ha realizzato la prefazione alla versione italiana, ma anche dai fedeli di Santa Maria in Trastevere e dei Santi Simone e Giuda Taddeo a Torre Angela di cui fu parroco per molti anni.
L'assistente ecclesiastico della Comunità di Sant'Egidio, anch'egli sostenitore di una "Chiesa aperta e solidale" ma non ostile al confronto con chi coltiva sensibilità diverse dalla sua, è l'unico italiano nell'elenco e sarà anche l'unico cardinale romano del Sacro Collegio; l'ultimo porporato capitolino era stato il cardinal Angelini morto ormai nel 2014.
Gli ultimi due nomi dei cardinali elettori scelti da Francesco sono quelli del congolese Fridolin Ambongo Besungu, arcivescovo di Kinshasa dal 2018 difensore del processo democratico nella Repubblica Democratica del Congo, e del portoghese José Tolentino Calaça de Mendonça, poeta di fama internazionale che Bergoglio volle, elevandolo a dignità episcopale, come Archivista e Bibliotecario di Santa Romana Chiesa nel 2018 dopo aver ascoltato ed apprezzato la sua predicazione degli esercizi spirituali alla Curia.
Oltre ai dieci cardinali elettori, nel Concistoro del prossimo 5 ottobre saranno creati altri tre cardinali ultraottantenni, scelti in base alla tradizionale formula secondo cui si sarebbero "distinti per il loro servizio alla Santa Sede e alla Chiesa". Si tratta dell'italiano Eugenio Dal Corso, vescovo emerito di Benguela e a lungo missionario in Angola, dove ha subito anche un'aggressione in sagrestia a colpi di calci e pugni nel 2005; del lituano Sigitas Tamkevičius, gesuita e vescovo emerito di Kaunas che patì le sofferenze della prigionia negli anni dell'occupazione sovietica; del britannico Michael Louis Fitzgerald, arcivescovo emerito di Nepte.
In merito a quest'ultima nomina, nelle ore successive all'annuncio di Francesco, non pochi hanno fatto notare come l'ex segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso fosse stato sostituito da quest'incarico da Benedetto XVI nel 2006. In un articolo dell'epoca di Andrea Tornielli, ai tempi vaticanista de "Il Giornale"ed oggi direttore editoriale del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede, si interpretava quella del curiale inglese spedito in Egitto nelle vesti di nunzio apostolico senza la porpora fino ad allora prevedibile come una "rimozione" del "vescovo del dialogo con l'Islam" perchè "secondo fonti accreditate, Benedetto XVI non avrebbe gradito una certa gestione del consiglio per il dialogo interreligioso". Ratzinger, infatti, avrebbe di lì a poco accorpato il dicastero del dialogo interreligioso a quello della cultura, lasciando intendere che il confronto con l'Islam lo concepisse solo all'interno dei confini culturali. Nei mesi scorsi monsignor Fitzgerald ha accolto con grande favore la firma del Documento di Abu Dhabi, giudicandolo "in linea con lo spirito di San Francesco". Papa Bergoglio, dunque, ha deciso di "premiare" il suo servizio per la Chiesa con la porpora che l'ex segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso si vide sfumare 13 anni fa.
Nico Spuntoni
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