IL RATTO DELLA PACHAMAMA. UN VIDEO DRAMMATICO…:-)))
Carissimi Stilumcuriali, sui social sta girando un secondo video del raid di questa mattina all’alba nella chiesa di Santa Maria in Traspontina, e che ha portato al ratto delle Pachamama. In questi giorni sono fuori Italia, ma la notizia mi ha raggiunto fino a qui, e allora mi sembra giusto offrirvi questo remake dell’avvenimento di questa mattina, e per cui, mi dicono, sembra che sia stata sporta denuncia per furto.
E nei numerosi commenti giunti in queste ore, ci sembra opportuno ricordare quello di Deutero Amedeo:
27] L’adorazione di idoli senza nome
è principio, causa e fine di ogni male.
[28] Gli idolatri infatti
o delirano nelle orge o sentenziano oracoli falsi
o vivono da iniqui o spergiurano con facilità.
[29] Ponendo fiducia in idoli inanimati
non si aspettano un castigo per avere giurato il falso.
[30] Ma, per l’uno e per l’altro motivo,
li raggiungerà la giustizia,
perché concepirono un’idea falsa di Dio,
rivolgendosi agli idoli,
e perché spergiurarono con frode,
disprezzando la santità.
[31] Infatti non la potenza di coloro per i quali si giura,
ma il castigo dovuto ai peccatori
persegue sempre la trasgressione degli ingiusti.
(Sapienza 14,27-31)
§§§
E a commento di questo salmo, un altro lettore ci ha inviato una fotografia esplicativa…
E questo è il momento del tuffo…
Marco Tosatti
La triste storia delle Pachamame in fuga
Mi scrive un lettore: “Aldo Maria, attendiamo un tuo pezzo sul ratto della Pachamama!!! Te lo chiediamo a furor di popolo!!!”.
E vabbè.
Come avrete già capito, l’amico si riferisce alla notizia del giorno: le statuette idolatriche sottratte di buon mattino dalla chiesa di Santa Maria in Transpontina e gettate nelle acque del Tevere davanti a Castel Sant’Angelo, a cospetto dell’Arcangelo Michele dal quale prende il nome l’ex mausoleo di Adriano.
Le immagini che hanno documentato l’azione del commando hanno fatto in poche ore il giro del web, non solo a Roma, e ovviamente le opposte tifoserie si sono divise: ciò che per alcuni è stato un gesto inqualificabile e una vigliaccata, per altri è diventata un’azione eroica e una giusta ritorsione.
Ora, poiché io so esattamente quali sono stati i presupposti di quanto è accaduto, devo rivelarvi che la verità è un’altra. Ed è che sono state le statuette medesime, sì, proprio loro, le Pachamame, a mettere in moto tutto il meccanismo, a chiedere di essere sottratte alla custodia dei bravi carmelitani della Transpontina e infine di essere gettate all’alba nelle livide acque del fu biondo Tiber, oggi alquanto grigiastro e limaccioso.
La verità è che le Pachamame, a Roma, erano tristi. Lo so. I padri sinodali, teneri e misericordiosi, hanno fatto di tutto per distrarle. Le hanno portate in processione qua e là, perfino nella basilica di San Pietro. Le hanno messe al centro di un culto imprecisato nei giardini vaticani. Le hanno venerate, omaggiate, adorate, riverite. Il papa stesso si è scomodato. Ma non è servito a nulla. Un attacco di saudade acutissima, di nostalgia inconsolabile, le ha colte sul più bello, proprio mentre nella Transpontina la gente ballava e cantava attorno a loro, e da quel momento le poverette non hanno fatto altro che desiderare ardentemente una cosa sola: tornare in terra amazzonica.
Vi dirò che l’avevo intuito. Giorni fa, quando andai alla Transpontina per verificare di persona la presenza di una variopinta congerie di oggetti idolatrici, avvicinandomi alle due cappelle laterali nelle quali le Pachamame erano state collocate (non lontano da una perplessa Madonna del Carmine), notai l’espressione corrucciata, dire risentita, delle Pachamame. Restai sorpreso perché pensavo che per loro, per le statuette, un giro festoso nella Città Eterna, nel cuore del cattolicesimo, corrispondesse al non plus ultra, al massimo della soddisfazione possibile. Pensate: una vacanza pagata a Roma, con tanto di partecipazione a celebrazioni alla presenza del papa e tutti gli onori da parte dei padri sinodali commossi. E invece no. Invece le Pachamame l’hanno presa proprio male e, come talvolta accade ai rappresentanti di quei popoli dalle culture imperscrutabili, malinconia e rimpianto si sono impossessati di loro trasformandole in pallide copie delle orgogliose Pachamame che furono. A nulla è valsa la bellezza dei giardini vaticani, e nulla ha potuto la magia della basilica vaticana. Alle Pachamame quei luoghi hanno detto poco. Anzi, i giardini vaticani non hanno fatto altro che rinfocolare la nostalgia per la foresta amazzonica, mentre i marmi vaticani sono apparsi alle Pachamame, abituate al calore dei focolari nella selva, di una freddezza insopportabile.
E così hanno preso la grande decisione. Utilizzando i loro poteri, si sono messe in contatto telepatico con chi di dovere, e costoro, detto fatto, hanno provveduto a sottrarre le Pachamame a quella che esse avvertivano ormai come una prigione. Dorata, ma pur sempre una prigione.
Ora voi direte: ma l’Amazzonia è lontana diecimila chilometri dall’Italia. Come immaginare di fuggire?
In effetti le Pachamame in un primo tempo avevano pensato di imbarcarsi come clandestine sul primo volo da Fiumicino per il Brasile, ma, per quanto i loro poteri occulti siano notevoli, l’impresa è risultata impossibile, anche perché, pare, furono messe in lista d’attesa.
Così decisero per il piano B. Anzi T. T come Tevere, appunto. Il fiume che con le sue acque le avrebbe condotte al mare, e di lì all’oceano e quindi alla salvezza in terra amazzonica.
D’accordo, hanno sibilato le Pachamame, il Tevere non è il Rio delle Amazzoni, ma, come si dice nella foresta, meglio un anaconda oggi che un formichiere domani. Così fu organizzato il rapimento, un finto rapimento in effetti, e alle Pachmamame fu restituita l’agognata libertà tramite tuffo dal Ponte degli Angeli.
Se non che.
Sebbene le Pachamame siano magiche e ne sappiano una più del diavolo, il Tevere non è proprio un ambientino dei migliori, e nemmeno chi è abituato alla selva amazzonica può pensare di cavarsela, là dentro, a buon mercato.
Insomma, per farla breve, le povere Pachamame non fecero neanche in tempo ad assaporare l’acqua del fiume di Roma che alcune pantegane (nome volgare del ratto delle chiaviche) se ne impossessarono. E a nulla valsero i superpoteri pachamamici.
Le statuette idolatriche le tentarono tutte. Una disse: “Ma il papa si è prostrato davanti a noi!”. E un’altra tentò di tramutarsi in un piranha famelico, ma le pantegane, per niente impressionabili, si limitarono a commentare: “Anvedi queste, ma chi se credono d’esse!?”. Dopo di che, senza troppi complimenti, le addentarono e smembrarono, trasformandole parte in dessert parte in stuzzicadenti.
Ecco, questa è la triste storia delle Pachamame, che da idoli serviti e riveriti finirono vittime della saudade, tentarono il gran ritorno nell’Amazzonia ma diventarono pasto per le pantegane romane. E in tutto questo, da qualche parte, c’è sicuramente una lezione.
Aldo Maria Valli
BESTIARIO PACHAMAMA. LA CORREZIONE GESUITICA: NON STATUE MA INTAGLI….
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, so che molti di voi avranno già visto l’esplosione di creatività che sul web ha circondato il ratto delle Pachamama e la loro nuotata – se le pantegane tiberine glielo avranno consentito fino al mare aperto, e di là verso l’America del Sud. Ma a dispetto di questo, mi sembra che l’intera vicenda del Sinodo piumato meriti un Bestiario, e vincendo la mia naturale pigrizia ho raccolto po’ di materiale. Comincio con un tweet interessante. Lo traduco:
“Padre, ci vorrebbe forse spiegare perché @americamag (la iper-progressista rivista dei gesuiti Usa, di cui è editor at large James Martin sj, il noto attivisita LGBT nella Chiesa) ha ‘aggiornato’ (Cambiato) il suo titolo originale relativo all’incidente #Pachamama questa mattina?”.
Il primo titolo diceva: “Ladri rubano statue della fertilità amazzoniche mentre il Sinodo si avvia alla fine”.
Il secondo titolo non parla più di “statue” (cioè di idoli…), e legge:
“Aggiornato: ladri rubano delle intagli di legno usate alla preghiera del sinodo e le gettano nel fiume”.
La parola statue (e molti giornali, in Italia, parlavano di “idoli” offrendo così una forma di giustificazione ai rapitori….) poteva aiutare gli autori del gesto. Che vengono qualificati come integralisti, ultra etc. Chissà come avrebbero giudicato i cronisti storie analoghe di idoli abbattuti da santi e missionari, e l’episodio famoso del tempio con protagonista Gesù…in fondo i cambiavalute che facevano di male? Mica introducevano nel tempio statue di Astarte o Baal…
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E qui dedichiamo qualche riga a Austen Ivereigh, il più scatenato coricante della Bergoglio Press Gang in inglese, che scriveva: “Ho appena pregato qui alla chiesa della Traspontina all’altare dove in un atto di terribile mancanza di rispetto e violenza fanatici, spinti da giornalismo privo di etica hanno gettato nel Tevere figure descritte dai cattolici dell’Amazzonica come Nostra Signora delle Amazzoni”.
A cui ha risposto Nick Donnelly molto giustamente: “Anche se a Austen Ivereigh è stato detto dal vescovo David Martinez, uno dei segretari speciali del Sinodo che l’idolo della Pachamama non era era la Vergine Maria”…Austen Ivereigh naturalmente ha cercato di rovesciare la frittata, affermando qualcosa di palesemente non vero, e addirittura smentito. “Ethics free journalism”, infatti.
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Questa foto invece legge: “Prima classe del seminario dei Viri Probati”, con riferimento all’istituzione proposta al Sinodo di conferire il potere di amministrare i sacramenti a uomini sposati.
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Marco Tosatti
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