ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 12 ottobre 2019

Nuovi riti, nuove “Madonne”

Tradizionalismo sì … ma solo per gli indigeni




Papa Francesco preferisce i modelli alternativi al “saturno”

Il disprezzo per il cattolicesimo così come lo conosciamo appare ogni giorno di più forte e violento nelle parole e nei gesti di Papa Francesco. Privo di pudore, egli avanza senza il minimo segno di legittima devozione cattolica, e usa la stessa autorità a favore di tutte le tradizioni indigene e pagane.

Nel suo discorso di apertura dei lavori sinodali, il cardinale Claudio Hummes - che alcuni vogliono demonizzare isolatamente, come se non fosse stato designato a quel posto da Francesco - ha detto che
fin dall’inizio del suo ministero papale, Francesco ha sottolineato la necessità che la Chiesa cammini. Essa non può starsi seduta in casa, preoccupandosi di se stessa, circondata da mura di protezione. Ancor meno, guardando indietro con una certa nostalgia per i tempi passati. Ha bisogno di aprire le porte, abbattere i muri che la circondano e costruire ponti, uscire e mettersi in cammino sulla strada della storia, nei tempi attuali di cambiamento di un’epoca, camminando sempre vicina a tutti, soprattutto a coloro che vivono alle periferie dell’umanità. (…) Questo camminare la rende fedele alla vera tradizione. Una cosa è il tradizionalismo che rimane fermo al passato, un’altra è la vera tradizione che è la storia viva della Chiesa, in cui ogni generazione, accogliendo ciò che le è stato consegnato dalle generazioni precedenti come comprensione e vita di fede in Gesù Cristo, arricchisce questa tradizione con la propria vita e la comprensione di questa stessa fede in Gesù Cristo, nel tempo presente.”

Nello stesso tempo che, con un piccolo calcio, getta tutta la tradizione cattolica nella spazzatura dell’oblio e della banalità, lo stesso cardinale Hummes ci assicura che:
In effetti, l’umanità ha un grande debito con le popolazioni indigene dei diversi continenti della terra e anche in Amazzonia. È necessario che ai popoli indigeni sia restituito e garantito il diritto di essere soggetti della loro storia, protagonisti e non oggetti dello spirito e della pratica del colonialismo di chicchesia. Le loro culture, lingue, storia, identità e spiritualità costituiscono una ricchezza dell’umanità e devono essere rispettate, preservate e inserite nella cultura mondiale”.

Accecati dalla loro ideologia, i promotori del Sinodo non percepiscono la contraddizione evidente: per i cattolici auspicano che superino ciò che considerano i gingilli del passato: per gli indios – alto là! - se qualcuno di essi vuole qualche tipo di progresso. Anche l’infanticidio delle tribù meritava una risposta dura da parte del cardinale Pedro Barreto, che sembra essersi sentito offeso da una domanda posta su di esso da un giornalista.

È assolutamente chiaro che questa non è più una guerra tra conservatori e progressisti, ma tra cattolici e anticattolici, che hanno ormai preso il potere nella Chiesa.

A disagio per qualche risata indiscreta sull’abbigliamento degli indios presenti nell’aula sinodale, Francisco reagisce:
Mi rattrista sentire, proprio qui, un commento sarcastico su un uomo devoto che portava offerte con le piume sulla testa. Ditemi: qual è la differenza tra avere le piume sulla testa e il cappello a tre punte (berretta) indossato da alcuni ufficiali nei nostri dicasteri?

La differenza è semplice: la berretta simboleggia le tre virtù teologali che dovrebbero illuminare il pensiero dei sacerdoti, mentre l’uso della piuma indigena è solo un ornamento rituale e gerarchico, senza alcun riferimento alla religione naturale e pagana.

Durante il suo viaggio in Mozambico, Papa Francesco ha detto:
Il clericalismo ha come diretta conseguenza la rigidità. Non avete mai visto giovani sacerdoti tutti rigidi in tonaca nera e cappello con la forma del pianeta Saturno in testa? Ecco, dietro a tutto il rigido clericalismo ci sono seri problemi.

Verrebbe da chiedersi se ci sono seri problemi, oltre a quelli relativi alla logica e ai doppi principii, anche dietro a tutto il rigido ecologismo…

Il tradizionalismo è valido quando si tratta di adorare Pachammama o intronizzare gli idoli con l’organo maschile eretto e sproporzionato come simboli di culto, il tradizionalismo è lecito quando si deve adottare la nudità e la brutalità dei costumi, il tradizionalismo è accettato quando viene usato come arma per distruggere un’altra tradizione, quella cattolica.

Non ci sono sacerdoti donne nelle tribù indigene. La cultura indigena è patriarcale. Ma questo, per gli ideologi non ha importanza. Vogliono diluire la Chiesa e usare la “tradizione” indigena solo come solvente. Gli indios e il discorso ecologico non sono altro che semplici pretesti.


Pubblicato da Fratres in Unum


http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV3207_Fratres_in_Unum_Tradizionalismo_solo_per_indigeni.html

Hanno portato via il Signore! L'Amazzonia entra in chiesa con un culto pagano

Gesù e la Madonna escono di scena. Al loro posto una statua di un’indigena nuda e incinta adorata abusivamente come Nostra Signora delle Amazzoni, una para-liturgia di avemarie e girotondi tribali, un martirologio con attivisti marxisti come Chico Mendes: il peggio del sincretismo paganeggiante va in scena a pochi metri da San Pietro nella chiesa di Santa Maria in Transpontina con l'imprimatur del Sinodo. Il parroco si chiama fuori: "Ho solo prestato la chiesa". E oggi si tocca l'apice con una messa sacrilega, già proibita dalla Santa Sede, che bestemmia il Battesimo.
- IL DIARIO: VIRATA A SINISTRA E BOLSONARO IRRITATO di Nico Spuntoni
- BESTIARIO SINODALE: PECCATI ECOLOGICI E VOTO AGLI INSETTI, di Riccardo Cascioli
- ALTRO CHE SINODO. IL BRASILE SI 'FERMA' PER LA SUA PRIMA SANTA, di E. Dovico
Una "Pachamama" in carne ed ossa portata in trionfo (Foto @Aci Prensa)
Una statua di un’indigena nuda e incinta adorata abusivamente come Nostra Signora delle Amazzoni, un rito sincretistico fatto di avemarie, danze e girotondi tribali, un martirologio con attivisti marxisti come Chico Mendes. Il tutto sotto gli occhi di Gesù nel tabernacolo della chiesa. Il segretario del Sinodo ha detto che durante l’assise panamazzonica non ci saranno affatto “riti” pagani. Ma forse il cardinal Baldisseri non aveva ancora visto quanto andato in scena martedì e mercoledì scorso non distante da lui.
Precisamente nella chiesa di Santa Maria in Transpontina dove si è svolto un rito completamente alieno alla fede cattolica. Proprio a due passi dal Vaticano, nella chiesa parrocchiale di via della Conciliazione che in questi giorni di Sinodo è stata letteralmente presa in ostaggio da una specie di “Fuori Sinodo”. Amazzonia Casa Comune. Così si chiama il ricco cartellone di eventi collaterali al Sinodo in cui, tra mostre e incontri, si stanno sperimentando le più astruse liturgie - blasfeme, eretiche, sacrileghe? Giudicate voi – nel segno dell’inculturazione amazzonica.
Il parroco si chiama fuori: “Non so, io ho dato solo l’ospitalità. Ci sono dei responsabili del Sinodo che intrattengono rapporti con la stampa”, ci spiega padre Massimo Brogi. Chiediamo un parere sui riti pagani di questi giorni: “Mah… riflettono la loro cultura…”. Sicuro che non ci sia qualcosa di più? E’ quello che la Nuova BQ ha cercato di scoprire seguendo le simbologie rituali e “agiografiche” di un cristianesimo che non è più tale, ma è stato fagocitato da quel tribalismo che secoli di evangelizzazione delle Americhe avevano cancellato.
E Santa Maria in Traspontina è un po’ il cuore di queste iniziative che hanno come centro lei, la statuetta della donna indigena, nuda e incinta, portata in processione in San Pietro e “adorata” nei giardini vaticani su cui in tanti si sono interrogati. Ha rifatto la sua comparsa anche martedì nel corso di una paraliturgia documentata da Aci prensa in un reportage unico e inquietante. E’ lei la nuova divinità: un po’ Pocahontas sulla canoa, un po’ “Venere di Chiozza”, simbolo di fertilità, ma dai lineamenti amazzonici e decisamente più sexy. Un idolo, portato in processione anche questa volta e nobilitato con l’appellativo mariano di Nossa Senhora de Amazonas.
Peccato che in Amazzonia, ma nemmeno in tutto il Brasile, non esista una Madonna venerata con questo nome. E se anche fosse – tentativi sono stati fatti, per concorso – non avrebbe certo queste fattezze. “E’ un idolo inventato, ovviamente non c’entra nulla con la Madonna – ci spiega Julio Loredo di Tradicion Familia y Propiedad, che gestisce il puntuale blog di informazione sul Sinodo, esperto conoscitore del Brasile e della cultura latinoamericana -. In realtà non si tratta neppure di un rito amazzonico, dato che ce ne sono a centinaia, tutti diversi e con lingue incomprensibili anche tra una tribù e l’altra -. Quello andato in scena ha tutta l’aria di essere un para-rito a metà tra il folkloristico e il pagano. Lo dimostra il fatto ad esempio che questa specie di divinità dovrebbe rappresentare – dicono – la Pachamama, la madre terra. In realtà quello della Pachamama è un culto Quechua, quindi delle popolazioni indio-andine e non amazzoniche. Quel che è certo, ovviamente, è che non esiste assolutamente un’iconografia del genere venerata col titolo di Nostra Signora dell’Amazzonia”.
Insomma, sembra proprio che il rito pagano (nella foto @AciPrensa) in realtà non sia altro che una “pagliacciata” folkloristica, una specie di specchietto per le allodole per invasati dal gusto etnico ai quali far bere la sensazione di trovarsi nel bel mezzo della foresta pluviale. Un po’ come i gladiatori che sostano davanti al Colosseo che fa tanto effetto impero romano. Stavolta però l’effetto – tra il kitch e il comico - è di quelli pagani, perché quella di via della Conciliazione è pur sempre una chiesa, con il tabernacolo e il Santissimo Sacramento presenti. Una chiesa che in questi giorni continua la sua vita normale dovendo condividere gli spazi con i nuovi ospiti della Rete Ecclesiale Panamazzonica (REPAM).
Nella puntuale ricostruzione di Aci prensa, tradotta qui da La Fede Quotidiana, si nota come a queste simbologie rituali con adorazione di oggetti come canoe, priapi equatoriali o bombillas da mate, si inframmezzino anche preghiere cristiane. Come è il caso dell’Ave Maria recitata attorno alla statuetta che – c’è da scommetterci – sarà portata ancora a lungo nel corso del Sinodo in giro come una “Madonna Pellegrina”, avendo già occupato lo spazio sacro della Basilica di San Pietro dove il 5 ottobre è entrata addirittura in processione sostenuta da due vescovi.
Nella chiesa non ci sono solo riti alternativi e “divinità” amazzoniche posticce. Ci sono anche i nuovi martiri, come ad esempio Chico Mendes e anche a lui è dedicata la commemorazione periodica che verrà fatta in questi giorni. Accanto a foto per la liberazione dell’Amazzonia compaiono anche immagini di donne Indios che allattano volpi, a significare che il Creato è un tutt’uno, e immagini di liberatori della causa Amazzonica chiamati martiri ma che con il cristianesimo non avevano nulla a che spartire.
Nuovi riti, nuove “Madonne” create ad hoc e senza alcuna traccia di devozione, nuovi martiri. La Chiesa dal volto amazzonico si presenta piuttosto come un prodotto da laboratorio, frutto delle direttive dell’Instrumentum laboris, più che un esito inculturato di un seme cristiano che, immesso nella cultura primigenia, ha portato a un culto e a una cultura cattolica.
Della natura diabolica di queste credenze abbiamo già detto. Ma il peggio deve ancora arrivare. E arriverà oggi stesso con una messa molto speciale, inserita nel calendario dell’evento. E’ la celebrazione di una Misa por la Tierra Sin Males, creata nel 1979 e già condannata dalla Santa Sede. Veniva “celebrata” in Brasile nell’ambito della Teologia india e oggi sarà di nuovo riproposta nella chiesa di Santa Maria in Transpontina in un trionfo di rivendicazioni anticolonialiste e senza alcunché di cattolico. Anzi, si chiede perdono per il battesimo imposto agli Indios come un marchio impresso nel corpo e si loda la terra che è stata saccheggiata. Si tratta dunque di una messa blasfema in cui il battesimo viene bestemmiato e definito come il “marchio del bestiame umano”, ci spiega Josè Antonio Ureta della Tfp francese.
Piccola coincidenza di calendario: oggi è il 12 ottobre, data della scoperta dell’America. Ed è anche la data in cui la Chiesa festeggia Nossa Senhora de Aparecida, la Madonna brasiliana per antonomasia. Ma ormai, si è capito, si guarda ad altre divinità.

- IL DIARIO: VIRATA A SINISTRA E BOLSONARO IRRITATO di Nico Spuntoni
- BESTIARIO SINODALE: PECCATI ECOLOGICI E VOTO AGLI INSETTI, di Riccardo Cascioli
Andrea Zambrano
https://lanuovabq.it/it/hanno-portato-via-il-signore-lamazzonia-entra-in-chiesa-con-un-culto-pagano
   

LA NUOVA RELIGIONE

Al dio albero secco

“Il suffragio non è mai stato veramente universale, perché restavano e restano esseri umani che di fatto non votano – per non parlare degli animali, dei fiumi, degli oceani, degli insetti, delle piante, che subiscono le scelte votate dagli umani” (Editoriale di Avvenire, Conferenza Episcopale Italiana)


(Grazie a Fabio Giuseppe Carlo Carisio per la  foto e notizia di cui sopra:)
(Cristiani in Siria)

Gratta il mito guaranì e trovi la follia comunista

Cari amici di Duc in altum, nell’ambito della sua instancabile opera volta a smascherare la strumentalizzazione degli indios operata da occidentali marxisti, il professor José Antonio Ureta (che i lettori del blog ben conoscono ed è autore de Il cambio di paradigma di papa Francesco, edito dall’Istituto Plinio Corrêa de Oliveira) ha scritto il saggio che qui vi propongo e che va letto con grande attenzione.
Ciò che è triste è che una presunta “messa”, già proibita dalla Congregazione per la dottrina della fede, ora viene rilanciata e tra pochi giorni sarà celebrata.
A.M.V.
***
Sinodo pan-amazzonico: ultima puntata della fiction Terra senza mali
Fra gli oltre centotrenta eventi paralleli al sinodo che la Rete Panamazzonica svolgerà a Roma e in Italia col titolo Amazzonia: casa comune, il 12 ottobre è prevista la celebrazione della messa per la Terra senza mali, composta nel 1970 da monsignor Pedro Casaldáliga, che si autodefinisce “vescovo falce e martello”. Lo stesso dichiara che «la messa rispetta lo schema liturgico», per cui «non è solo un oratorio e meno ancora uno show: è un testo recitato, che adatta e traduce in modo indigeno la celebrazione eucaristica reale»[1].
Dopo la sua prima celebrazione, il 22 aprile 1979, per quasi quaranta vescovi nella cattedrale di San Paolo, tale messa venne proibita dalla Santa Sede, in quanto «la celebrazione eucaristica deve essere solo memoriale della morte e risurrezione del Signore e non rivendicazione di qualunque gruppo umano o razziale»[2].  I tempi cambiano e tra pochi giorni la messa proibita verrà celebrata… a pochi passi dal Vaticano!
Il titolo della messa – Terra senza mali – non è invenzione del vescovo poeta. L’espressione è stata “scoperta” da antropologi della cultura guaranì ed è stata usata e abusata dai seguaci della Teologia india. Ora appare ben due volte nell’Instrumentum laboris per il Sinodo panamazzonico.
Riferendosi al “buon vivere” degli indigeni – in comunione con la tribù e con la natura –, il documento spiega che «alcuni di loro parlano del camminare verso la “terra senza mali” o alla ricerca della “collina santa”, immagini che riflettono il movimento e la nozione comunitaria dell’esistenza» (n. 13). Più avanti dice che «una liturgia inculturata sarà anche una cassa di risonanza per le lotte e le aspirazioni delle comunità e un impulso trasformatore verso una “terra senza mali”» (n.125).
Negli scritti della Teologia india,  la Terra senza mali è un surrogato di quel Regno anelato dai teologi della liberazione e denunciato nella Libertatis nuntio della Congregazione per la dottrina della fede – guidata all’epoca dal cardinale Ratzinger – come una manifestazione di «immanentismo storicistico» che «tende a identificare il Regno di Dio e il suo divenire con il movimento della liberazione umana» all’interno di un «processo di auto-redenzione dell’uomo mediante la lotta di classe»[3].
Con la decadenza della Teologia della liberazione, questo «messianismo temporale» che comporta «la secolarizzazione del regno di Dio»[4] passò dalla lotta politica per i poveri – i quali, voltando le spalle ai “movimenti sociali” liberazionisti,  divennero  in buona parte protestanti evangelici – alla lotta culturale dei popoli aborigeni contro il colonialismo dei missionari europei. Il “regno” diventò la “Terra senza mali” o  “Terra senza male”, indistintamente.
Così è avvenuto, ad esempio, nel IV Incontro-laboratorio ecumenico latinoamericano di Teologia india (Assunción, Paraguay, maggio 2002) e intitolato Alla ricerca della terra senza male: miti originari e sogni dei popoli indios. Nella seduta inaugurale, il gesuita spagnolo Bartomeu Meliá spiegò che il mito guaranì della Terra senza male è una ricerca, ma si tratta di una “terra nella terra, non una terra nel cielo”, che “va cercata a oriente, mai verso l’alto” (o forse verso il basso, viste le sue parole “la famiglia di uno sciamano guaranì realizzò un rituale di purificazione”…)[5].
Dal canto suo, il missionologo tedesco Paulo Suess, principale redattore dei Lineamenta del Sinodo, durante il medesimo incontro ha sottolineato che «non si tratta di un paradiso terrestre o di una illusione, né di una vita felice, senza dolore o di un cielo nella terra, bensì della possibilità di una società strutturalmente diversa per il fatto di essere libera»[6]. La ragione è che «nella vita guaranì non esiste una separazione cartesiana fra tempo e spazio, fra tempo libero e lavoro, fra “terra perfetta” e “terra senza mali”, tra il terreno e il celeste. È un mondo senza frontiere di proprietà»[7].
Sulle labbra di padre Suess e sotto un poncho indigeno affiora, ancora una volta, lo stesso odio verso quanto non è collettivo che il vescovo Casaldàliga, autore della Messa della Terra senza mali, traspose nei seguenti versi: «Maledette siano tutte le recinzioni!/ ¡Maledette tutte le proprietà private / che ci impediscono di vivere e di amare!»[8].
Ciò che più interessa nel caso specifico è che, apparentemente, nella costruzione e diffusione dell’utopia comunista della Terra senza mali è stata superata anche la separazione “cartesiana” fra verità storica e  fake news, attribuendo ai guaranì, come vedremo, un mito sopravvalutato da una serie di antropologi!
La leggenda ha inizio con un tedesco (un altro ancora, in questo Sinodo bagnato più dalle acque del Reno che del Rio delle Amazzoni).
Curt Unckel nasce nel 1883 in Sassonia e a vent’anni sbarca in Brasile, andando ad abitare nell’entroterra. Nel 1906 è adottato da una famiglia guaranì che gli dà il nome di Nimuendajú. La famiglia appartiene al ramo apapocuva dei guaranì, disseminato negli stati di Paranà, San Paolo e Mato Grosso, presso i quali, dopo avere imparato il dialetto, egli conduce ricerche antropologiche.
Sei anni più tardi, Curt Nimuendajú si ritrova ai margini del fiume Tieté, assieme a un gruppo di guaranì molto primitivi e famelici, giunti dal Paraguay e desiderosi di raggiungere il mare camminando verso Est. Li accompagna per tre giorni fino a destinazione e nota la loro perplessità davanti all’immensità dell’oceano. Li convince a stabilirsi in una vicina riserva indigena, dove continua a restare in contatto col gruppo. Due anni più tardi dà alle stampe Die Sagen von der Erschaffung und Vernichtung der Welt (Le leggende della creazione e della distruzione del mondo), dove appare per la prima volta il mito yvy marãey, appunto la Terra senza male. La trama è che il mondo è vecchio e la sua fine vicina, ma gli apapocuva pensano di poter intraprendere il viaggio alla Terra senza male, dove la festa è eterna e la morte non esiste.
La leggenda originale raccolta dalle labbra degli apapocuva viene ripresa da uno svizzero, Alfred Métraux, che la estende gratuitamente a tutto il gruppo etnico dei tupi-guaranì, trasformandola nell’asse centrale della sua mitologia religiosa e nella chiave di lettura di tutte le migrazioni dell’etnia dai tempi precolombiani, specialmente dopo l’arrivo dei conquistadores iberici, quando presero il carattere di fuga e di lotta contro l’oppressore europeo.
Negli anni Cinquanta l’albero mitico si rafforza e sboccia in varie correnti interpretative. Per alcuni la causa ultima di tutti i mali è l’esperienza frustrante del contatto inter-etnico e la religione serve da nucleo di resistenza della cultura tribale (è il caso dello svizzero Schaden). Per altri, il mito si colloca nella cornice dell’antico profetismo dei popoli amerindi in opposizione alle leadership centralizzate in seno alla società indigena dei secoli XV e XVI, che hanno smantellato l’ordine tradizionale ugualitario (Pierre ed Hélène Castres). Dando una lettura più religiosa, per altre correnti ancora (si veda l’ australiano Leon Cadogan, i cui progenitori emigrarono in Paraguay per stabilirsi in una colonia socialista) la saga sprigiona una mistica intrisa di tristezza per i malanni della terra “imperfetta” e per la nostalgia del tempo primordiale degli dei.
Ma ecco che, a partire dalla slovena Branislava Susnik, tra il 1960 e il 1980 il sovradimensionamento della leggenda comincia a incrinarsi e il legame della stessa con le migrazioni passa a essere apertamente messo in discussione con l’arrivo del nuovo millennio.
Nel documentatissimo studio La Terra senza male: leggenda della creazione e distruzione di un mito[9], Diego Villar e Isabel Combès rivelano che autori come Cristina Pompa, Francisco Noelli, Catherine Julien o Charlotte de Castelnau-L’Estoile dichiarano che si tratta di un “mito accademico”, inventato e diffuso da antropologi nel contesto culturalista dell’antropologia degli inizi del XX secolo.
Tuttavia l’ultimo chiodo sulla bara del mito che lega la presunta ricerca della Terra senza mali alle ripetute migrazioni dei guaranì dall’epoca precolombiana fino al XX secolo è stato fissato da Pablo A. Barbosa, dell’Università Federale di Bahia, nel suo lavoro Nimuendajú e la costruzione del mito antropologico della “Terra senza male”[10].
Nel suo studio Barbosa spiega che, verso la metà del XIX secolo, il governo brasiliano, quasi un secolo dopo la cacciata dei gesuiti dalle famose Reducciones, permise l’ingresso dei missionari incentivando al contempo gli indigeni a riunirsi in villaggi (aldeamentos), per costruire strade e linee ferroviarie che attraversassero la regione selvaggia degli Stati di Paranà, San Paolo e Mato Grosso, in modo da garantire la sovranità del Brasile su quei territori.
Fu nel quadro di tale politica di aldeamentos che si verificarono le migrazioni di guaranì romanzate da Carol Nimuendajú nel suo famoso Die Sagen, attribuendo loro motivazioni esclusivamente religioseRiconoscendo la possibilità che le migrazioni verso i villaggi o aldeamentos siano state interpretate dai guaranì a partire da un registro religioso, Barbosa insiste però che forse la principale ragione fu quella dell’esodo verso l’aldeamento, ovvero verso una riserva indigena organizzata dai colonizzatori che, agli occhi di chi scappava dalla miseria, poteva apparire come… una Terra senza male!.
Il paradiso dunque non sarebbe la vita della selva di cui si parla nell’Instrumentum laboris, bensì il suo contrario, la partecipazione ai benefici di un luogo avanzato della civiltà occidentale…
Lo stesso gesuita Bartomeu Melià riconosce che nel primo dizionario del dialetto guaranì, composto nella prima metà del XVII secolo dal gesuita e missionario peruviano Antonio Ruiz de Montoya, l’espressione yvy marãey ha un senso puramente economico, senza alcuna connotazione religiosa: significherebbe soltanto “suolo intatto”, ancora non scoperto. L’ipotesi di Pablo Barbosa è che sarebbe stato Carol Nimuendajú ad aver tradotto la categoria “Terra senza male” per yvy marãey e non il contrario. Pertanto “Terra senza male” sarebbe “un neologismo”, “una categoria antropologica” creata dall’autore di Die Sagen per descrivere una serie di superstizioni sul rapporto che intercorre tra la fine del mondo e l’esistenza di un paradiso che metterà in salvo i guaranì.
Con la Terra senza male sarebbe accaduto qualcosa di simile a ciò che Umberto Eco osservò in Africa nel popolo dei Dogon: «Recandomi nel Mali mi fu dato scoprire il popolo dei Dogon, la cui cosmologia era stata descritta da Marcel Griaule nel suo celebre Dieu d’Eau. I critici dicono che Griaule si è inventato parecchio. Ma se ora si va a intervistare un anziano Dogon sulla sua religione, si noterà che racconta esattamente ciò che Griaule scrisse, il che vuol dire che ciò che Griaule scrisse è diventato la memoria storica dei Dogon»[11].
Nonostante il suo carattere immaginario, il “peccato originale” (l’espressione è di Cristina Pompa) di Nimuendajú, Métraux e della coppia  Castres sarebbe stato ereditato dall’ermeneutica politico-religiosa della sinistra liberazionista latinoamericana. Lo dimostra l’inclusione di yvy marãey fra i principi etici-morali la cui promozione è imposta allo Stato dalla Costituzione boliviana promulgata da Evo Morales. E nel poema Alla ricerca della Terra senza male, del poeta paraguaiano Moncho Azuaga, leggiamo: «La Terra senza mali o paradiso comunista / mi dicono, Ava, che non esiste / mi dicono. / La Terra senza mali o Wall Street imperialista / mi dicono, Ava, che non esiste / mi dicono».
Un’altra vittima della  fiction inventata da Nimuendajú sarebbe stato il vescovo Pedro Casaldáliga con la sua Messa della Terra senza male, in cui, secondo Diego Villar e Isabelle Combès, «gli indigeni sono rappresentati come depositari della Fede nel suo stato più autentico e primordiale, mentre i colonizzatori – e persino i primi missionari – come agenti di distruzione». Nella Messa di monsignor Casaldáliga le migrazioni guaranì vengono spiegate «alla luce dell’Esodo, della fuga del popolo eletto e della sua instancabile ricerca della divinità», la cui applicazione contemporanea è sottolineata nel canto finale: «America amerindia, che vivi la tua crocifissione: / Un giorno la tua morte finirà in risurrezione; / I poveri di questa terra vogliamo scoprire / Quella Terra senza male che nasce ogni mattino».
L’apice della parabola del neologismo di Curt Unckel Nimuendajú sarebbe che fosse adottato come titolo della prossima esortazione apostolica post-sinodale: Quaerens terram sine malo.
José Antonio Ureta
_________________________
[2] Lettera della Congregazione per il Culto Divino a mons. Ivo Lorscheiter – Roma 2 marzo 1982, n. 1649/81” in COMUNICADO MENSAL DA CNBB, n. 354, março 1982, P. 265.
[4] Ibid. n° 6.
[5] En busca de la tierra sin mal: Mitos de origen y sueños de futuro de los pueblos indios, Ed. AbyaYala, Quito, 2004, p. 23-24.
[6] Idem, p. 257.
[7] Idem. p. 259.
[8] Cantares de la entera libertad: Antología para la Nueva Nicaragua, IHCA, Manuagua, 1984, p. 16.
[9]https://www.academia.edu/7361907/La_Tierra_sin_Mal._Leyenda_de_la_creaci%C3%B3n_y_destrucci%C3%B3n_de_un_mito
[10] http://www.berose.fr/?Nimuendaju-et-la-construction-du-mythe-anthropologique-de-la-Terre-sans-Mal
[11] Jean Claude Carriére & Umberto Eco, N’esperéz pas vous debarraser des livres”, p. 130.

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