Attraverso la sua vita e i suoi scritti, il dissidente ceco Václav Benda ha dimostrato che l’attività politica, nel senso più alto del termine, richiede di aderire con fermezza ai principi morali e di fare in modo che i propri sforzi siano efficaci. Soprattutto bisogna agire con e per la propria comunità: cercare umilmente la comprensione reciproca tra i membri della comunità e, per quanto possibile, lottare insieme per il bene comune.
Un articolo di Elizabeth Goyette, pubblicato su The Public Discourse, tradotto da Riccardo Zenobi.
In questo volume, che segue fedelmente l’edizione Ceca edita dal figlio di Vaclav, Patrik Benda, Flagg Taylor e il traduttore Barbara Day hanno provvisto gli anglofoni un inestimabile accesso agli scritti del dissidente Benda. L’eccellente introduzione di Taylor narra la vita di Benda come dissidente, utilizzando interviste personali con sua moglie, Kamila Bendova, e suo figlio, Patrik. Taylor ha anche sapientemente analizzato alcune delle maggiori tematiche alle quali gli scritti di Benda sono devoti.
Gli scritti di Benda provvedono uno sguardo nel male del totalitarismo e l’esperienza di chi ci ha vissuto ed ha lottato contro la sua oppressione. Inoltre, pensando a come sconfiggere il totalitarismo, Benda provvede un modello generale per la vita politica: responsabilità condivisa per il bene comune.
Attraverso la sua vita e i suoi scritti, Benda ha mostrato che l’attivismo politico, nel senso alto, richiede di aderire fortemente ai principi morali, e prendersi cura che i propri sforzi siano efficaci nella vita reale. Soprattutto, occorre agire con e per la propria comunità: cercando umilmente mutua comprensione tra i membri della comunità e, per quanto è possibile, lottare per il bene comune insieme.
Conoscere il nemico
Benda sostiene che il totalitarismo consiste essenzialmente nel sopprimere la libertà. Diversamente da altri regimi ingiusti ed oppressivi, vuole controllare la vita umana nella sua totalità, e così si oppone a tutte le libertà umane e alla privacy. Altre tirannie attraverso la storia violarono norme che i tiranni in sé stessi sostenevano; ma il totalitarismo non concede nemmeno che possa esistere un’autorità al di sopra di sé, o una qualche sfera della vita umana che non possa essere giustamente controllata. Tale regime è incapace di qualunque riforma; non può esserci speranza per compromessi.
Benda ha inoltre notato che tali regimi reprimono non solo la libertà, ma anche la comunità e la responsabilità. Il totalitarismo raggiunge il suo illimitato controllo sulle vite degli individui “atomizzando” ogni comunità nello stato. Come ha osservato: “La cortina di ferro non esisteva solo tra Est ed Ovest: separava anche le singole nazioni dell’Est, …singole industrie, singole famiglie, e addirittura gli individui in tali entità, dagli altri”. Il totalitarismo ha guadagnato potere su tutti gli affari umani aspirando la vita da ogni associazione umana.
Benda credeva che fosse naïve e pericoloso sottovalutare l’immensa capacità di distruzione di un regime totalitario. Il suo possesso di tutto il potere dello stato gli dava dominio totale sulle vite – sia nel corpo che nell’anima – di tutti i suoi soggetti.
Ma Benda percepiva anche la debolezza dei regimi totalitari, specialmente la loro incapacità sia di soddisfare o di distruggere le naturali brame umane. Ha scritto:
Questa lotta potrà forse essere vinta, se l’umanità non soccombe (che è possibile) o se i principali istinti umani non sono distrutti nei loro fondamenti (che è molto improbabile); presto tutto ciò che rimarrà del potere totalitario sarà un truce e vergognoso episodio della storia.
Il totalitarismo necessariamente distrugge la vita. Ma la vita non può essere mai totalmente distrutta. Attraverso la vita, e i suoi desideri di libertà, cultura, amicizia, e amore, pone un naturale pericolo esistenziale al comunismo. Il governo totalitario della Cecoslovacchia lasciava i suoi ufficiali vuoti e scoraggiati. Nonostante “quasi illimitati nel danno che potevano fare”, essi “non avevano nel loro potere capacità di riuscire in nulla in qualsiasi modo”. Non avevano forza di “fare alcun beneficio”. Tale debolezza provvede terreno per la speranza; nonostante finché il regime esisteva, Benda metteva in guardia, la sua distruzione non è garantita. Era necessario combattere, e combattere strategicamente.
La Polis parallela
Benda riteneva che il migliore modo di combattere un regime totalitario fosse di fornire lo spazio per autentiche vite e libertà che il regime voleva eliminare. Ha proposto la creazione di una “polis parallela”, il suo più celebrato contributo al movimento dissidente.
Benda propose la sua strategia quando la Carta iniziò a perdere potere attrattivo tra la popolazione. Attribuiva tale perdita di trazione al fatto che le sue istanze morali astratte mancavano di un aiuto concreto. L’anima umana non può mantenere entusiasmo per una causa morale senza azione; i principi devono essere vissuti, non semplicemente creduti. Al tempo stesso, riconosceva che non si poteva provare a distruggere il regime, né riformarlo con il compromesso. La prima strategia sarebbe stata suicida, e “non poteva sperare nel sostegno pubblico”. L’altra opzione allo stesso modo non potrebbe guadagnare supporto pubblico: “data l’etica del presente regime, non possiamo aspettarci che le motivazioni morali di simile comportamento venga generalmente apprezzato, o sia in qualche modo moralmente suadente”.
Benda sosteneva che l’azione politica deve avere il supporto del pubblico; altrimenti, sarebbe non effettivo e senza scopo. Occorre non solo lottare per la giusta cosa: bisogna farla efficacemente, e in politiche che richiedono il convincimento delle persone. Per convincere le persone occorre incontrarle dove sono. Molti erano meno inclini dei Cartisti di prendersi il rischio di opporsi al governo, ma occorre almeno accattivarsi la loro simpatia e altro supporto limitato. A quel fine, Benda proponeva che i Cartisti lavorassero con altri per creare e sostenere una struttura sociale parallela, nell’area dell’educazione, cultura ed economia, che potesse “supplire le generalmente benefiche e necessarie funzioni che mancano nelle strutture del regime” e “dove possibile” usare le ultime per “umanizzarle”.
Benda trovava ispirazione dalle già esistenti strutture e attività parallele, come la “Seconda cultura”, una scena artistica e culturale sotterranea, e “Samizdat”, la pratica nell’Europa comunista di diffusione di letteratura dissidente tramite canali segreti. Proponeva di supportare tali istituzioni e creare o aiutare a crearne di nuove, come seminari educativi ed un sistema informativo. Richiamandosi alle represse inclinazioni naturali delle persone per cultura, arte, educazione, e comunità, i Cartisti vorrebbero così invitare altri ad unirsi in una via meno diretta nel resistere le costrizioni di vita del regime. Avrebbero anche dato speranza alle persone e attenuato la loro perdita di comunità e libertà.
Politica come responsabilità condivisa
Mentre il concetto di “polis parallela” risolve i problemi particolari di combattere un governo totalitario, riflette anche uno sguardo nella vita politica in generale. Benda credeva che il cuore della comunità consista nel condividere uno spirito comune, uno che possa unire le persone insieme nonostante discordie su politica, metodi, o addirittura principi. Che una comunità sia particolare o la generale comunità umana, “la sola comunità che può sopravvivere è una con uno spirito comunitario sentito come qualcosa di unificante e condiviso”.
La comunità per Benda consiste più nelle responsabilità condivise tra i membri e verso la verità che in visioni condivise. Perciò, la polis parallela puntava a costituire relazioni umane radicate nella libertà e nella verità in opposizione alla cultura pubblica di menzogne e manipolazioni. Benda usava tale concetto anche per criticare le società liberali occidentali, le quali, riteneva, spesso minano il senso di comune responsabilità dei loro cittadini enfatizzando oltremodo la libertà individuale. Ciononostante, Benda rigettava senza ambiguità ogni tentativo di uguagliare la depravazione del liberalismo occidentale con il male assoluto del comunismo orientale.
La filosofia – specialmente aristotelica – e la religione hanno potentemente formato il pensiero di Benda (era un devoto cattolico), ma lo fece anche la sua esperienza come membro della Carta. La Carta 77 era un’associazione diversa, i suoi membri andavano da ex-comunisti perseguitati e socialisti opponenti al regime, ad artisti e intellettuali, come il famoso Václav Havel, e persone seriamente religiose, inclusi cattolici e protestanti. Per sostenere tale coalizione era richiesta disciplina e cooperazione aperta di mente. Ciò insegnò a Benda non solo l’utilità ma il valore morale del compromesso e lavorare con altre visioni che erano, in molti modi, diametralmente opposte alle sue. Nonostante le differenze, condividevano profonde ragioni morali, come il sostegno dei basilari diritti e doveri umani. Benda con affetto parlava della Carta come “scuola per politici”. L’approccio di Benda di parlare con coloro con i quali discordava manifestava le sue preoccupazioni per lo spirito di comunità. Benda non avrebbe lasciato la verità o concordato con il falso o con idee ingiuste per paura di offendere altri. Ma, nonostante la fermezza delle sue convinzioni, agiva con umiltà, rispetto e apertura verso coloro con cui discordava.
Un grande esempio era la posizione di Benda verso il socialismo. Si opponeva assolutamente al socialismo; considerava “perfino il socialismo con un volto umano” solo “un mostro orribile”. Non vedeva “nemmeno un granello di bontà nelle idee socialiste” e credeva che “più rassomigliavano a qualche altra ragionevole e giustificata idea o sentimento umano in qualche aspetto, più erano inaccettabili e distruttive”. Nonostante tali convinzioni, Benda chiedeva apertura e tolleranza per i socialisti; in effetti, molti dei suoi amici intimi e alleati erano socialisti. Scriveva:
Mi comporterò in maniera considerata e tollerante per quanto possibile con tutti i socialisti, … sempre preparato per incontrarli più che a mezza via, e soprassedere su una dozzine dei loro insostenibili abiti e risentimenti per il singolo momento umano in cui forse sarà possibile trarli dal loro fatale incantamento.
Benda non vedeva alternative al dialogare con i propri opponenti ideologici, sia per il loro bene che per il bene della società:
Non dobbiamo cancellare i milioni e centinaia di milioni di fratelli umani che in un modo o nell’altro sono caduti in questo errore – la lotta per le loro anime sarà meno visibile, ma chiaramente una parte cruciale dei nostri sforzi congiunti. Se non lo intraprendiamo, non ci rimarrebbe altro che imporre le pratiche di disciplina e ordine del nemico.
Col passare del tempo, Benda divenne più confidente che la speranza per terminare il totalitarismo risiede nel far rivivere lo spirito comunitario. Lei ed altri hanno testimoniato il successo di molte struttura parallele, alcune delle quali hanno attirato supporto internazionale. La Carta, per esempio, ha ottenuto pubblicità per la sua causa in tutto il mondo. Benda si è anche rincuorato per il ravvivarsi degli atti pubblici di devozioni cristiane (specialmente cattoliche), come ad esempio due pellegrinaggi di massa, per i quali molti hanno viaggiato lontano con grosso rischio.
Le riflessioni di Benda richiedono la seria attenzione di tutti gli studenti di vita politica. I suoi pensieri sul totalitarismo rivelano profonde verità sulla comunità umana e lo spirito umano. Inoltre, la vita e gli scritti di Benda provvedono un modello per l’attività politica che è prudente, pieni di principi e realistica, e che afferma che tutti noi condividiamo responsabilità per la nostra vita comune.
Di Riccardo Zenobi
https://www.sabinopaciolla.com/il-totalitarismo-vuole-controllare-la-vita-umana-nella-sua-totalita-e-cosi-si-oppone-a-tutte-le-liberta-umane/
Si vede un trend?
(da Repubblica)
Affidi, dodicimila bambini allontanati dalle famiglie in diciotto mesi
Sono stati 12.338 i minori allontanati da entrambi i genitori nel periodo che va dal 1 gennaio 2018 al 30 giugno 2019 e che sono stati collocati in quello che viene definito ‘ambiente terzo’, cioè un’altra famiglia, strutture o comunità, con una percentuale di circa 23 collocamenti al giorno. Nello stesso periodo, 18 mesi, il 12,5% dei bambini allontanati, circa 1540, sono poi rientratelle famiglie di origine.
Sono i dati emersi dal lavoro svolto dalla ‘Squadra speciale di giustizia per la protezione dei minori ‘ istituita dopo l’inchiesta sui presunti affidi illeciti a Bibbiano, presentati al ministero dal guardasigilli Alfonso Bonafede.
Il numero dei collocamenti disposti dei tribunali per i minorenni è il 70% del totale, 8722, il resto è riferibile ad altri uffici.
Il numero dei collocamenti disposti dei tribunali per i minorenni è il 70% del totale, 8722, il resto è riferibile ad altri uffici.
Si tratta di un’operazione verità, in questi mesi sono stati sparati numeri a caso”, ha detto Bonafede: “Quello sugli oltre 12mila collocamenti è un dato che non deve allarmare ma che serve a tranquillizzare i cittadini
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