ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 30 novembre 2019

In radicale discontinuità con il passato

Resistere in una piaga purulenta

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La mistica Sposa di Cristo, nel corso dei secoli, non fu mai contaminata né giammai potrà contaminarsi, secondo le parole di Cipriano: «Non può adulterarsi la Sposa di Cristo: è incorrotta e pudica. Conosce una casa sola, custodisce con casto pudore la santità di un solo talamo» (Pio XI, Enciclica Mortalium animos; citazione di Tascio Cecilio Cipriano, De catholicae Ecclesiae unitate, 6).


Non è altro che una costatazione obiettiva e spassionata: rispetto all’insegnamento di Pio XI circa l’ecumenismo, perfettamente coerente con tutta la tradizione cattolica e con il magistero degli altri papi in materia, la svolta impressa dalle dichiarazioni Nostra aetate e Dignitatis humanae costituisce una completa inversione di marcia in radicale discontinuità con il passato, il cui effetto è stato, insieme al venir meno dello slancio missionario, la perdita della fede in ampi strati sia del clero che del popolo. Le sottigliezze verbali e dialettiche dei testi in questione non valgono a sanare la loro sostanziale eterodossia, seppur mascherata con un’abilità a dir poco diabolica, ma ben riconoscibile da chiunque abbia una fede limpida e non si lasci confondere dai sofismi. Nonostante tutto, la verità continua a risplendere nelle menti dei cattolici autentici, semplici o istruiti; ciò non toglie che l’assunzione dell’errore da parte della maggioranza della gerarchia sia un fatto di gravità epocale che pone seri interrogativi sulla sussistenza della Chiesa.


L’adorazione degli idoli nei Giardini Vaticani e il loro uso durante la Messa papale nella basilica di San Pietro sono certo atti abominevoli, ma rappresentano soltanto l’apice di una parabola iniziata, sotto la spinta del Vaticano II, con la cosiddetta riforma della Messa, della cui entrata in vigore si celebra in questi giorni il cinquantenario. Proprio nel cuore del rito, al posto delle antichissime preghiere con cui il sacerdote dedica la vittima immacolata del Sacrificio eucaristico, è stata collocata una formula che ricalca la benedizione ebraica del pasto, per giunta con qualche significativo ritocco: «Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo: dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane (questo vino), frutto della terra (della vite) e del lavoro dell’uomo. Lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna (bevanda di salvezza)». Queste poche parole sono gravide di conseguenze catastrofiche di immane portata per la fede e la vita cristiana.


Anzitutto è completamente rimossa l’idea di sacrificio, sostituita da quella di un pasto che non è la consumazione della vittima immolata, bensì una condivisione di offerte di origine vegetale. Anche nei nuovi canti che accompagnano quest’azione liturgica è scomparso ogni riferimento al mistero redentore della Croce, reso presente in modo incruento, a favore di un mero mettere in comune i beni della creazione ai fini dell’accrescimento di una “comunione” concepita in senso puramente socio-psicologico. Cambia la natura dell’offerta: il significato, il motivo, la destinazione e l’effetto. Si ringrazia la divinità per un beneficio fruito dall’uomo, cosa che avrebbe un senso se si fosse a tavola, ma che qui rappresenta un completo capovolgimento di prospettiva: non si sta offrendo a Dio il culto perfetto che il Figlio gli rende per mezzo della Chiesa e che ridonda nella salvazione degli uomini, bensì accogliendo l’erogazione di un prodotto. In attinenza a ciò è totalmente assente anche qualsiasi accenno alla transustanziazione: i doni presentati sull’altare devono diventare un generico cibo di vita eterna e un’imprecisata bevanda di salvezza anziché il Corpo e il Sangue di Cristo, la cui offerta costituisce l’atto più efficace di adorazione, ringraziamento, propiziazione e impetrazione che possa esser compiuto sulla terra.


L’eucologia del nuovo rito di offertorio (o presentazione dei doni, come esigono che lo si chiami) è un’espressione sintomatica di quello spirito del mondo moderno, antropocentrico, immanentistico e consumistico, cui il Concilio per antonomasia ha pensato bene di adattarsi. Tale fatto può esser colto da chiunque a partire da una semplice analisi del testo; i risvolti più nefasti sono però nascosti, giacché sono rilevabili solo mediante un confronto con la preghiera giudaica cui il testo si ispira. Essa si rivolge correttamente al Re dell’universo (melekh ha‛olam), cioè al Creatore, non a un indefinito Dio dell’universo. Quest’ultima locuzione – come ho già segnalato in un altro articolo – proviene dalla Cabala e designa l’Adam Kadmon, l’uomo primordiale identificato con la divinità panteistica dietro la quale si nasconde… Lucifero. I massoni hanno messo a segno un bel colpo, facendo sì che si evocasse inconsapevolmente il loro “dio” proprio nel momento in cui comincia la parte più sacra della Messa, apice del culto cattolico.


Ma non finisce qui. Nella preghiera ebraica si benedice Dio perché fa uscire il pane dalla terra e crea il frutto della vite, con una chiara professione di fede nella Sua potenza; nella nuova Messa, invece, il pane e il vino diventano frutto della terra (della vite) e del lavoro dell’uomo. L’origine del cibo e della bevanda non è più il Creatore, ma realtà create che ne prendono il posto: la Madre Terra (come possiamo chiamarla alla luce degli ultimi sviluppi) e un’attività umana, quella su cui, con un’affermazione filosoficamente priva di senso, si fonda la nostra repubblica. La Costituzione italiana, del resto, fu composta con l’apporto decisivo dei “cattolici” democratici, fra i quali svolse un ruolo di primo piano quel Giuseppe Dossetti che poi, scoperta una vocazione tardiva e propostosi come segretario tuttofare del cardinal Lercaro, uno dei quattro moderatori del Vaticano II, ne prese surrettiziamente la guida unitamente ad altri cospiratori di professione. Quando aveva saputo della sua decisione di farsi prete, l’anziano padre gli aveva replicato smarrito: «Ma come…? Hai fatto la rivoluzione nello Stato; ora vuoi farla anche nella Chiesa?».


Non sono in grado di verificare in che misura l’iniziatore della cosiddetta Scuola di Bologna abbia influito sullo stravolgimento della liturgia, ma si può legittimamente supporre che il suo ruolo non sia stato affatto secondario, visto lo stretto legame con l’Arcivescovo di Bologna di allora, anima della riforma liturgica, costretto poi alle dimissioni dopo un’infuocata predica contro la guerra in Vietnam che all’inizio del 1968 provocò una crisi diplomatica tra la Santa Sede e gli Stati Uniti (e che, guarda caso, era stata composta proprio dallo zelante collaboratore, intento a sbarazzarsi di uno strumento che era forse divenuto ingombrante?). In ogni caso, il culto divino si è di fatto trasformato in culto dell’uomo e della terra. L’esito cui stiamo assistendo è del tutto coerente con queste premesse di uno sviluppo pianificato e giunto a maturazione anche grazie ai ripetuti incontri interreligiosi di Assisi promossi dalla Comunità di Sant’Egidio, che han consacrato al più alto livello proprio quel sincretismo e indifferentismo che con tanto vigore Pio XI aveva denunciato e respinto.


Ora, se è vero – com’è vero – che l’incorrotta e pudica Sposa di Cristo non può adulterarsi (parola di san Cipriano, vescovo e martire, Padre della Chiesa), che cos’è la realtà con cui oggi abbiamo a che fare? I membri della gerarchia eretici o apostati non sono certamente membri del Corpo Mistico, ma finché non siano dichiarati tali conservano la giurisdizione, almeno formalmente. Visto però che, fra di loro, c’è il vertice stesso, come dobbiamo considerare questa struttura di governo? È un quesito a cui non siamo in condizione di rispondere e che, d’altronde, non ci compete affatto: non tocca a noi stabilire ciò che Dio solo conosce, né risolvere un problema che supera le possibilità umane. Siamo di fronte a un caso senza precedenti, a un evento epocale per il quale non ci sono note soluzioni. Dobbiamo pertanto farci una ragione di questo fatto e accettare con santa rassegnazione – ma conservando la fede e la grazia – di vivere in una piaga non curata che si è gravemente infettata. In tal modo l’esercizio eroico della virtù ci consentirà di meritare l’intervento soprannaturale del Medico celeste, l’unico capace di risanare la propria Sposa.


Tale immolazione spirituale, ovviamente, non esclude che ciascuno ricerchi modalità vivibili per poter perseverare in queste condizioni estreme; il Signore non chiede a nessuno l’impossibile. Ciò significa, nella misura delle opportunità concrete, la scelta di un ambiente religioso compatibile, di una liturgia almeno esente da stranezze, di un insegnamento spirituale sano. Non dimentichiamo che l’essere umano è dotato per natura di un’inesauribile inventiva e di straordinarie capacità di adattamento; quanto più chi è sopraelevato dalla grazia! La Rete, oltretutto, offre oggi, a chi abbia un minimo di discernimento, illimitate risorse di studio e approfondimento. Al di sopra di ogni altra ricchezza, tuttavia, rimane la preghiera (specie per la Chiesa), mezzo sempre disponibile a chiunque, in ogni tempo e in ogni luogo. Riflettere sulla Sacra Scrittura, in particolare, è una sorgente di luce e di consolazione senza fine: essa contiene la parola divina, unica chiave adeguata per comprendere la storia. Tanto per cominciare, meditiamo su questo versetto: Ego autem in terra captivitatis meae confitebor illi (Io, nella terra della mia prigionia, gli renderò testimonianza; Tb 13, 7).


Per questo vi ha disperso in mezzo alle genti che lo ignorano: perché voi narriate le sue meraviglie e facciate sapere loro che non c’è altro Dio onnipotente all’infuori di lui. Egli stesso ci ha castigati a motivo dei nostri peccati; egli stesso ci salverà a motivo della sua misericordia. Guardate dunque ciò che ha fatto con noi e, con timore e tremore, rendetegli gloria, esaltando il Re dei secoli con le vostre opere (Tb 13, 4-6).

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