A casa del diavolo c’è sempre campo
Poco fa ho dato disposizione di un bonifico in venti secondi usando il cellulare esenza dover mettere piede fuori di casa. Veramente comode queste app, mi sono detto. Poi ho pensato a cosa ho concretamente spostato in quei pochi secondi di efficiente comodità: niente. Non veri soldi, perché quelli nessuno sa più dove siano. Non palpabile ricchezza perché si è risolto tutto nelle scritte “-200 euro” e “-0,50 euro per commissione” comparse sul display dello smartphone. Non l’attenzione di un cassiere preposto a verificare se quei 200,50 euro li avessi davvero in qualche angolo della banca, almeno per darmene soddisfazione. Niente.
Ma non è di economia o finanza che voglio parlare. Mi preme sottolineare come il niente che produciamo con simili operazioni sia allo stesso tempo simbolo ed essenza del niente in cui viviamo. O fingiamo di vivere, perché non è vita quella che passa attraverso le app, gli smartphone o gli iphone.
Fino a poco tempo fa, le persone con due dita di cervello tentavano di ribellarsi al videoteorema secondo cui “è vero perché l’ha detto la televisione”, filiazione diretta dell’assioma catodico “Esiste solo ciò è andato in tv”. È passato poco più di un decennio e siamo già anni luce oltre quelle oscenità che ormai paiono persino ingenue. Oggi esiste solo quanto può essere contenuto dentro un’app. Per il resto non c’è posto nella parodia della realtà che abbiamo davanti giorno e notte, a cellulare acceso o spento.
Non so quante volte ho riportato ciò che Marshall McLuhan scriveva negli Anni Sessanta e Settanta sui pericoli connaturati alla tecnologia elettronica. Ne ripeto un solo passaggio perché non si può dire nulla di ulteriore: “Gli ambienti dell’informazione elettronica, che sono stati completamente eterei, nutrono l’illusione del mondo come sostanza spirituale. Questo è un ragionevole facsimile del Corpo Mistico, un’assordante manifestazione dell’anticristo. Dopo tutto, il principe di questo mondo è un grandissimo ingegnere elettronico”.
È il paragrafo più eloquente di una lettera scritta a Jacques Maritain nel 1969. Ma c’è da credere che il filosofo neotomista francese recepisse tutto dentro il quadro delle magnifiche sorti progressive del suo umanesimo integrale, che non contemplava complicazioni di sorta. L’umanesimo è sempre un gran menzogna, a cominciare da quello cristiano.
Niente, dunque: ecco l’origine e il fine del mondo tecnologico in cui siamo immersi. Un niente confortevole, però. Un niente in cui, quando non riesco camminare o non posso a scrivere perché piedi, ginocchia e mani non fanno il loro dovere, posso utilizzare un’app che pensa a tutto. Un niente così confortevolmente subdolo da riuscire quasi a sottrarmi il senso ultimo e spirituale della malattia, la dura, dolorosa e benedetta consapevolezza di essere qualcosa di reale sottratto al nulla dall’amore di Dio. L’ultimo dei “qualcosa”, ma radicalmente diverso dal “niente”.
Evidentemente McLuhan sbagliò il destinatario di quella lettera, che rimase inascoltata come tutto quanto disse e scrisse sulla questione. Dopo una secolare incubazione, l’occidente cristiano aveva ormai partorito il postcristianesimo tecnocratico di misericordia e di governo oggi divenuto definitivamente adulto. Chierici e intellettuali non intendevano mettere in discussione esiti programmati, approvati e destinati a compiersi di lì a poco. Non lo fece neanche il tardivamente dubbioso contadino della Garonna.
Il teorico del mezzo che si fa messaggio avrebbe trovato sincera comprensione altrove nel mondo spirituale di Basilio di Ivìron. Più o meno negli stessi anni, questo monaco del Monte Athos descriveva l’essenza del monachesimo con termini e concetti che paiono l’antidoto all’incubo profetizzato dallo studioso canadese: “Vero monaco è chi è risorto dai morti, chi è un’icona del Cristo risorto. Egli manifesta che la realtà non è ciò che è immateriale, e che la realtà carnale non è ciò che è corporeo. Spirituale è qualsiasi cosa, materiale e immateriale, che è stata santificata dal mistero della croce e della risurrezione, qualsiasi cosa che è stata trasfigurata dall’energia divina increata. Egli rivela, in tal modo la missione spirituale di ciò che è creato e corporeo. E contemporaneamente manifesta l’esistenza palpabile di ciò che è immateriale e increato”.
Esattamente il contrario degli assiomi del nulla attraverso cui si manifesta il mondo ispirato alla teologia delle app. Un universo popolato da tecno-monaci che contemplano entità spirituali così estranee alla carnalità da perdersi nel niente e manipolano elementi corporei così estranei allo spirito da nascere già putrefatti.
Smarrito il vero senso di ciò che è spirituale e ciò che è carnale, è comparso il regno del nulla in cui gli uomini si avviano gioiosamente a essere non-uomini. Un nuovo Eden in cui la creatura che dovrebbe essere immagine e somiglianza di Dio cede il suo posto a strumenti in perenne e ingovernabile trasformazione, tecnologica immagine e somiglianza del caos. Si instaura così, dolcemente come la buona morte, un gelido reame di non-essenze governato da non-essenze nel continuo mutare di assiomi e di regole assolutamente relativi.
L’inferno, il luogo dove secondo Thomas Mann nessuna parola ha più senso, è già qui e ora. Lo prova il fatto che questo suadente smartphone è il primo strumento di uso comune la cui natura non viene definita da ciò che è, ma, di volta in volta, dalla diversa funzione che esegue. Telefono, videocamera, macchina fotografica, schermo tv, riproduttore video, database, operatore in ogni settore della vita quotidiana dal deposito bancario all’accensione a distanza del riscaldamento di casa… La sua natura è quella di non averne. La sua forza è quella di imporre bisogni che può soddisfare attraverso le sue funzioni. È tutto perché non è niente.
Quando lo sterco del demonio era il danaro, l’uomo accorto sapeva benissimo che cosa teneva in tasca. Oggi che il principe di questo mondo è un grandissimo ingegnere elettronico rischiamo tutti di essere dei santi che, in realtà, si connettono con l’inferno. Laggiù c’è sempre campo.
https://www.ricognizioni.it/a-casa-del-diavolo-ce-sempre-campo/
L'uomo che Papa Francesco aveva individuato per la guida della Segreteria per l'Economia è stato condannato in primo grado a sei anni per abusi sessuali. Quelli che il porporato avrebbe commesso anni fa, quando era ancora incaricato nella sua nazione d'origine, ai danni di due minorenni. Nello specifico, le molestie sarebbero state inflitte a due giovanissimi membri di un coro. Parliamo di episodi che avrebbero avuto luogo negli anni 90'. Trattasi, qualunque sia la verità, dell'ecclesiastico più alto in grado mai coinvolto in una vicenda giudiziaria di questa tipologia. E anche per questo motivo il caso di George Pell è seguito da anni da buona parte dei media internazionali.
Abusi, accolto il ricorso presentato dal cardinale George Pell
La richiesta d'appello presentata dal cardinale George Pell è stata accolta. Si allungano così i tempi processuali. Il Vaticano ha fiducia nella giustizia australiana
La richiesta d'appello presentata dal cardinale George Pell è stata accolta. Si allungano così i tempi processuali. Il Vaticano ha fiducia nella giustizia australiana
Il cardinale George Pell sarà giudicato in appello. Questa è, in sintesi, la conseguenza della decisione che arriva dall'Australia, dove la vicenda processuale del porporato continua a tenere banco.
Per quanto valga però la pena rimarcare come l'accusato, sin dall'inizio di queste vicessitudini, abbia sempre rivendicato la sua assoluta innocenza. Un dettaglio non di poco conto, che è stato anche sottolineato pure dalla Santa Sede nel momento in cui la Sala Stampa ha voluto commentare la notizia sul via libera alla richiesta d'appello da parte dell'Alta Corte australiana. I tempi previsti non sono proprio brevi: si pensa che la prima udienza possa svolgersi entro l'inizio della prossima primavera. La chiarezza giudiziaria, insomma, non sembra essere dietro l'angolo. Ma ci sarà un'altra pronuncia. Quella che dovrebbe stabilire, una volta per tutte, se Pell è colpevole o no.
Nel frattempo, il cardinale, che è anche considerato un convinto conservatore, dovrà con ogni probabilità rimanere all'interno del carcere di Melbourne, da dove, di recente, ha persino tuonato contro alcune scelte fatte, da un punto di vista dottrinale, durante le fasi che hanno preceduto il Sinodo panamazzonico. Il Vaticano, dal canto suo, ha subito rilasciato delle dichiarazioni sulla novità emersa attorno all'appello: "La Santa Sede, nel confermare la propria fiducia nella giustizia australiana, prende atto della decisione dell'Alta Corte australiana di accogliere la richiesta di appello presentata dal cardinale George Pell, consapevole che il cardinale ha sempre affermato la propria innocenza", ha fatto sapere il Direttore della Sala Stampa Matteo Bruni.
Attraverso i medesimi virgolettati, la Santa Sede ha in ogni caso ribadito "la propria vicinanza a quanti hanno sofferto a causa degli abusi da parte dei membri del clero". A riportare questi commenti, tra gli altri, è stata l'Adnkronos. La questione degli abusi in Australia è molto sentita. La nazione oceanica, come il Cile e gli Stati Uniti, è stata colpita da quello che Joseph Ratzinger ha chiamato "collasso morale". Il governo australiano e gli enti intermedi stanno anche cercando di mettere in campo una serie d'iniziative legislative che garantiscano le vittime, prescindendo per esempio dal segreto confessionale.
Giuseppe Aloisi
L'Alta corte australiana consente al cardinale Pell di fare appello contro la condanna per abuso di sesso
Il ricorso alla corte suprema era la sua ultima strada legale.
MELBOURNE, Australia - Martedì l'Alta corte australiana ha annunciato che al Cardinale George Pell è stato concesso il permesso di presentare ricorso contro una decisione di agosto della Corte d'appello di Victoria per confermare la sua condanna per abuso sessuale di minori.
L'appello del cardinale Pell all'Alta corte di Canberra, la corte suprema australiana, è stata la sua ultima strada legale per ribaltare una condanna che ha diviso l'opinione nel paese e a livello internazionale.
Il cardinale è stato condannato l'11 dicembre 2018, con cinque accuse di aver abusato sessualmente di due cori dopo la messa domenicale mentre era arcivescovo di Melbourne nel 1996 e nel 1997.
È stato condannato a sei anni di prigione, di cui deve scontare almeno tre anni e otto mesi prima di poter richiedere la condizionale.
Il cardinale, 78 anni, che rimane arcivescovo e membro del Collegio cardinalizio, è stato rimandato in prigione immediatamente dopo la sospensione della corte. È stato tenuto in isolamento e non gli è stato permesso di celebrare la Messa in prigione.
Il cardinale Pell è stato condannato per essersi esposto e costretto due ragazzi del coro a commettere atti sessuali mentre era completamente vestito con il suo abito da messa domenicale quasi immediatamente dopo la messa nella sacrestia dei sacerdoti nella Cattedrale di San Patrizio nel 1996. Fu anche condannato per aver accarezzato uno dei ragazzi in un corridoio nel 1997.
L'accusa si basava sulla testimonianza di una delle presunte vittime: quella riferita per aver subito due casi di abuso da parte del cardinale Pell. L'altra vittima è morta nel 2014 e non è stata in grado di testimoniare, ma nel 2001 aveva negato a sua madre che si fosse verificato un abuso mentre era membro del coro.
Il cardinale Pell ha mantenuto la sua innocenza, con la sua difesa al centro dell'argomentazione secondo cui i presunti crimini sarebbero stati, in tali circostanze, "semplicemente impossibili".
I difensori del cardinale hanno sostenuto che le accuse di abuso di sacrestia non sono possibili, dato l'elevato traffico dopo la messa e la natura ostruttiva delle vesti della messa.
Il cardinale Pell aveva presentato ricorso alla Corte d'appello di Victoria. Tre giudici hanno esaminato il suo caso e hanno respinto il suo appello procedurale in agosto . I giudici erano divisi sul motivo principale del cardinale Pell, secondo cui la decisione della giuria era "irragionevole".
In particolare il problema era se la giuria che lo aveva condannato avesse adeguatamente valutato tutte le prove presentate in sua difesa, o avesse raggiunto la determinazione della colpa nonostante la dimostrazione di un chiaro "ragionevole dubbio" che avesse commesso i crimini di cui era accusato .
Il giudice supremo Anne Ferguson e il presidente della Corte Chris Maxwell hanno costituito la maggioranza a favore del rigetto dell'appello del cardinale Pell, secondo cui il verdetto della giuria era irragionevole sugli elementi di prova presentati, trovando che era aperto alla giuria trovare oltre "ragionevole dubbio sulla verità del denunciante account."
In un ampio dissenso dalla constatazione della maggioranza, il giudice Mark Weinberg ha osservato che la totalità delle prove contro il cardinale Pell consisteva nella testimonianza di un singolo accusatore, mentre sono stati prodotti più di 20 testimoni per testimoniare contro la sua narrazione.
"Anche la" ragionevole possibilità "che ciò che i testimoni che hanno testimoniato su queste questioni possa essere stato vero abbia inevitabilmente portato ad un'assoluzione", ha scritto Weinberg, concludendo che al cardinale Pell, in effetti, era stato impropriamente chiesto di stabilire "l'impossibilità" della sua colpa e non solo un ragionevole dubbio.
A tutti e tre i giudici è stato concesso un ulteriore permesso di presentare ricorso per irragionevolezza della convinzione della giuria.
I commentatori dei media e i membri della comunità legale australiana hanno espresso preoccupazioni circa il ragionamento dell'opinione della maggioranza dei due giudici e le implicazioni più ampie che la sua argomentazione potrebbe avere per gli standard di prova nei processi penali.
Il direttore dell'ufficio stampa della Santa Sede Matteo Bruni ha risposto alla decisione della Corte d'appello affermando che "la Santa Sede riconosce la decisione della corte di respingere l'appello del cardinale Pell", ribadendo il suo "rispetto per il sistema giudiziario australiano".
Bruni disse allora: "Mentre i procedimenti continuano a svilupparsi, la Santa Sede ricorda che il cardinale ha sempre mantenuto la sua innocenza durante tutto il processo giudiziario e che è suo diritto fare appello all'Alta Corte".
L'appello del cardinale Pell all'Alta corte di Canberra, la corte suprema australiana, è stata la sua ultima strada legale per ribaltare una condanna che ha diviso l'opinione nel paese e a livello internazionale.
Il cardinale è stato condannato l'11 dicembre 2018, con cinque accuse di aver abusato sessualmente di due cori dopo la messa domenicale mentre era arcivescovo di Melbourne nel 1996 e nel 1997.
È stato condannato a sei anni di prigione, di cui deve scontare almeno tre anni e otto mesi prima di poter richiedere la condizionale.
Il cardinale, 78 anni, che rimane arcivescovo e membro del Collegio cardinalizio, è stato rimandato in prigione immediatamente dopo la sospensione della corte. È stato tenuto in isolamento e non gli è stato permesso di celebrare la Messa in prigione.
Il cardinale Pell è stato condannato per essersi esposto e costretto due ragazzi del coro a commettere atti sessuali mentre era completamente vestito con il suo abito da messa domenicale quasi immediatamente dopo la messa nella sacrestia dei sacerdoti nella Cattedrale di San Patrizio nel 1996. Fu anche condannato per aver accarezzato uno dei ragazzi in un corridoio nel 1997.
L'accusa si basava sulla testimonianza di una delle presunte vittime: quella riferita per aver subito due casi di abuso da parte del cardinale Pell. L'altra vittima è morta nel 2014 e non è stata in grado di testimoniare, ma nel 2001 aveva negato a sua madre che si fosse verificato un abuso mentre era membro del coro.
Il cardinale Pell ha mantenuto la sua innocenza, con la sua difesa al centro dell'argomentazione secondo cui i presunti crimini sarebbero stati, in tali circostanze, "semplicemente impossibili".
I difensori del cardinale hanno sostenuto che le accuse di abuso di sacrestia non sono possibili, dato l'elevato traffico dopo la messa e la natura ostruttiva delle vesti della messa.
Il cardinale Pell aveva presentato ricorso alla Corte d'appello di Victoria. Tre giudici hanno esaminato il suo caso e hanno respinto il suo appello procedurale in agosto . I giudici erano divisi sul motivo principale del cardinale Pell, secondo cui la decisione della giuria era "irragionevole".
In particolare il problema era se la giuria che lo aveva condannato avesse adeguatamente valutato tutte le prove presentate in sua difesa, o avesse raggiunto la determinazione della colpa nonostante la dimostrazione di un chiaro "ragionevole dubbio" che avesse commesso i crimini di cui era accusato .
Il giudice supremo Anne Ferguson e il presidente della Corte Chris Maxwell hanno costituito la maggioranza a favore del rigetto dell'appello del cardinale Pell, secondo cui il verdetto della giuria era irragionevole sugli elementi di prova presentati, trovando che era aperto alla giuria trovare oltre "ragionevole dubbio sulla verità del denunciante account."
In un ampio dissenso dalla constatazione della maggioranza, il giudice Mark Weinberg ha osservato che la totalità delle prove contro il cardinale Pell consisteva nella testimonianza di un singolo accusatore, mentre sono stati prodotti più di 20 testimoni per testimoniare contro la sua narrazione.
"Anche la" ragionevole possibilità "che ciò che i testimoni che hanno testimoniato su queste questioni possa essere stato vero abbia inevitabilmente portato ad un'assoluzione", ha scritto Weinberg, concludendo che al cardinale Pell, in effetti, era stato impropriamente chiesto di stabilire "l'impossibilità" della sua colpa e non solo un ragionevole dubbio.
A tutti e tre i giudici è stato concesso un ulteriore permesso di presentare ricorso per irragionevolezza della convinzione della giuria.
I commentatori dei media e i membri della comunità legale australiana hanno espresso preoccupazioni circa il ragionamento dell'opinione della maggioranza dei due giudici e le implicazioni più ampie che la sua argomentazione potrebbe avere per gli standard di prova nei processi penali.
Il direttore dell'ufficio stampa della Santa Sede Matteo Bruni ha risposto alla decisione della Corte d'appello affermando che "la Santa Sede riconosce la decisione della corte di respingere l'appello del cardinale Pell", ribadendo il suo "rispetto per il sistema giudiziario australiano".
Bruni disse allora: "Mentre i procedimenti continuano a svilupparsi, la Santa Sede ricorda che il cardinale ha sempre mantenuto la sua innocenza durante tutto il processo giudiziario e che è suo diritto fare appello all'Alta Corte".
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