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martedì 18 febbraio 2020

Il “metodo di re Salomone”..

Chiose e postille di padre Giocondo / 3


Cari amici di Duc in altum, mi ha scritto di nuovo padre Giocondo da Mirabilandia (pseudonimo dietro il quale, lo ricordo, si cela un religioso vero), e questa volta le sue Chiose e postille affrontano il nodo irrisolto dei due papi. Un’analisi che merita attenzione, specie là dove suggerisce, per sciogliere il nodo, di adottare il “metodo di re Salomone”.
A.M.V.

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Di papa vero ce ne può essere soltanto uno
Caro dottor Valli, le confesso che il tema che più mi appassiona da quattro anni a questa a questa parte (cioè, dalla pubblicazione di Amoris laetitia) è quello dei “due papi”; ma ormai sono stanco di parlarne, perché ciò di cui sono profondamente convinto non può essere dimostrato in maniera inconfutabile: ragion per cui, comincio a preferire il silenzio orante. Torno sull’argomento soltanto perché il pezzo del professor Silvio Brachetta,  del 15 febbraio, mi ha benevolmente provocato.
Per qualche anno anch’io ho sostenuto la tesi dei “due papi entrambi legittimi”; ma adesso, più passa il tempo, più sono convinto – per mille ragioni teologiche e giuridiche – che di “papa vero” ce ne può essere soltanto uno: l’altro è semplicemente “falso”.
E le dico subito che per me il papa vero è Benedetto XVI. Per un motivo molto semplice: perché le sue dimissioni del 2013 sono invalide. E quelle dimissioni sono invalide non tanto per la forma stilistica con cui sono state espresse (questa è la tesi di quei molti che disquisiscono sterilmente sulla differenza tra munus ministerium), ma per le cause sostanziali che l’hanno determinata: egli cioè ha ricevuto in quella occasione pressioni e ricatti tali, che ne hanno limitato gravemente la necessaria libertà di scelta. E in questo preciso quadro dai contorni drammatici, Benedetto XVI – per non fuggire del tutto davanti ai lupi che minacciavano di sbranare sia lui che il gregge – ha escogitato una forma del tutto innovativa di rinuncia (vero caso unico in duemila anni di storia!), così da rimanere ancora sulla scena ecclesiale a difesa della Verità: la rinuncia all’esercizio attivo del papato, senza rinunciare però al papato stesso.
E qui apro una parentesi, a beneficio di molti (Brachetta compreso).
Quando, il 20 maggio 2016, il segretario personale di Benedetto XVI, monsignor Georg Gänswein, ha presentato quella stranissima argomentazione sulla possibile convivenza tra un “papa attivo” e un “papa contemplativo”, la domanda che tutti avremmo dovuto porci non era «Questa spiegazione può sussistere dal punto di vista teologico e giuridico?», bensì «Questa spiegazione è soltanto il frutto della fantasia di monsignor Georg o invece riflette in qualche modo il pensiero e la volontà dello stesso Benedetto XVI?». E se così fosse (se, cioè, con quella esposizione monsignor Georg avesse tentato di esprimere non un parere proprio, ma il pensiero e la volontà dello stesso Benedetto XVI), quale persona vivente potrebbe annullare – o anche solo correggere – una simile decisione, assunta dopo prolungata e sofferta riflessione da parte di un Sommo Pontefice che non ha rivali in terra per quanto si riferisce alla competenza teologica e all’esperienza ecclesiale?
E qui chiudo la parentesi.
Il papa vero, dunque, è soltanto Benedetto XVI che, costretto dalle circostanze avverse, ha inteso fare non “un passo indietro”, ma “un passo di lato”.
Caro dottor Valli, questa è la mia convinzione profonda. Ma mi rendo sempre più conto che, per il momento, una simile tesi non può essere dimostrata più di tanto. Né posso pretendere che sia lo stesso Benedetto XVI a chiarire una volta per tutte le cause sostanziali delle sue dimissioni e i reali intendimenti del suo atto di rinuncia. Se su questi specifici argomenti egli continua a tacere, avrà i suoi buoni motivi. Nessuno di noi gli può contestare i tempi e i modi con cui egli intende resistere a lupi e sciacalli.
Se dopo sette anni dall’avvento del vescovo emerito di Buenos Aires stiamo ancora a discutere sulla reale legittimità dei due papi, allora vuol dire che, dal punto di vista storico e giuridico, il problema è ancora insolubile. Noi però abbiamo bisogno di arrivare il più presto possibile a una certa chiarificazione, perché i danni di questa situazione sono veramente incalcolabili, sia sul piano spirituale che su quello materiale.
Ecco allora un modesto suggerimento: per capire chi tra i due è il papa vero, si potrebbe adottare un criterio mutuato dalla sacra Scrittura: esso è semplice, chiaro ed efficace.
Il criterio infallibile del re Salomone
Si narra nel testo sacro (cf. 1 Re 3,16-28) che un giorno si presentarono davanti al sovrano due prostitute, per fargli dirimere un’aspra contesa insorta tra loro. Entrambe vivevano in una stessa casa, dove da poco avevano partorito ciascuna un proprio figlio. Poco dopo però uno dei due bambini era morto accidentalmente; e ora entrambe asserivano che quello vivo era il proprio, mentre quello morto era dell’altra.
Il re ebbe una intuizione geniale: si fece portare una spada e ordinò alle sue guardie: «Con questa spada tagliate in due parti il bambino vivo, e datene una metà all’una e una metà all’altra!». Davanti a questo terribile responso, la prima donna dichiarò immediatamente di voler rinunciare alla sua creatura, purché non gli si arrecasse nessun danno. La seconda invece disse che era d’accordo con quella soluzione, in modo che quel figlio non fosse né dell’una né dell’altra. Vista la reazione istintiva delle due donne, il re Salomone sentenziò in maniera ormai inappellabile: «Non uccidete il bambino, ma datelo alla prima donna, perché quella è la sua vera madre!».
Il brano va applicato per analogia all’attuale situazione della Chiesa.
Per alcuni il “vero padre” della Chiesa è papa Benedetto, per altri è papa Bergoglio. Come discernere la vera paternità, dato per scontato che essa non può essere duplice? La risposta non è difficile: il “vero padre” dei fedeli è colui che nel corso di questi anni si è opposto più volte all’ipotesi di un feroce squartamento della Chiesa con la spada del relativismo, specie per quanto riguarda la sua unità spirituale e organizzativa.
In altre parole, il papa vero è quello che si è esposto – e continua ancora ad esporsi – con tutte le proprie forze a difesa dell’integrità dottrinale, morale, liturgica e disciplinare della Chiesa. L’altro invece è il papa falso e mistificatore, il classico lupo vestito da agnello, il quale in maniera furbesca e sempre più intollerante cerca in tutti i modi di demolire il Tempio santo di Dio, lasciando in piedi soltanto la sua facciata.
Una riprova di questo discorso l’abbiamo avuta nei giorni scorsi, con la vicenda del libro scritto a quattro mani, a difesa del celibato ecclesiastico: mentre papa Benedetto e il cardinale Sarah si sono sentiti in dovere di alzare la propria voce per illustrare le caratteristiche e le esigenze del sacerdozio cattolico, c’è stato un altro personaggio che si è sentito in dovere di alzare la propria voce per esigere il ritiro della firma di Benedetto XVI dal suddetto libro, in quanto del tutto contrario ai suoi progetti rivoluzionari.
È stato questo un atto di una gravità inaudita, che speriamo metta fine una volta per tutte ai tentativi ridicoli e ipocriti di far apparire i due papi come in perfetta sintonia tra di loro, sia sul piano umano che su quello spirituale. E speriamo che questa vicenda risulti istruttiva, in particolare, per il cardinale Sarah e per mons. Gänswein.
Di papa vero ce n’è uno solo: Benedetto XVI, cooperatore e difensore della Verità, nonostante tutto e fino alla fine!
Padre Giocondo da Mirabilandia

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