ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 26 febbraio 2020

Insapientĭbus?

Il Coronavirus, le insipienti accuse all’Arcivescovo di Milano e altro ancora.
La storia ci insegna che quando un popolo è impaurito da guerre,  carestie o calamità naturali spesso cerca un capro espiatorio contro cui scatenare le proprie rabbie e le proprie vendette. Che poi il malcapitato sia responsabile di quanto lo si accusa poco conta, perché se il “personaggio” prescelto ha le giuste caratteristiche per calamitare sopra di sé l’odio di un manipolo di esagitati ben decisi a condannarlo senza giusto processo, usando pure la menzogna si otterrà facilmente contro di lui la rivolta di gente ottusa  e incontrollabile. 
Gli episodi che si potrebbero portare ad esempio sono molteplici e, per restare in tempi recenti, ci sarebbe molto da attingere a partire dalla rivoluzione francese fino all’ultima guerra mondiale.

Però nel frattempo noi occidentali ci siamo inciviliti, non usiamo più la spada o la forca per giustiziare sommariamente il prossimo innocente e nemmeno imbracciamo le armi da fuoco che vendiamo ai Paesi in fiamme per guerre interne o esterne, nossignori, oggi ci avvalliamo di strumenti tecnologicamente avanzati, come internet e i social, mezzi  con i quali uccidiamo il buon nome delle persone e le additiamo al pubblico ludibrio.
Così pure  le tricoteuses dei nostri giorni non stanno più a lavorare a maglia accanto alla ghigliottina esultando a ogni decapitazione, perché adesso invece di muover le dita sugli aghi da calza le pestano sulle tastiere dei computer, divenuti infallibili strumenti di onnipotenza ideologica.
E quale occasione più ghiotta di questa sciagura del virus COVID-19 per far sentire la propria voce e diventare protagonisti di un momento di storia?
Qui ci limitiamo a commentare gli attacchi violenti e sconsiderati che da certa parte di popolo cattolico si stanno abbattendo sulla testa dell’Arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini.
La colpa imperdonabile del presule, secondo un gruppetto di scatenati contestatori, sarebbe quella di aver ordinato la soppressione delle messe e la chiusura di tutte le chiese della diocesi di Milano. Non staremo qui ad elencare tutte le falsità e le sciocchezze che stanno impazzando in rete, ma basti dire che quei tali istigano i parroci alla disobbedienza ed esaltano chi l’ha già messa in pratica.
L’intollerabile è che al coro del popolino si siano uniti anche vari giornalisti e siti cattolici.
Bisogna tuttavia ammettere che, accanto alle paure, ai disagi e alle morti premature, questa epidemia ha anche il merito di svelare il vero volto delle persone, politici, religiosi o persone comuni che siano.
Proviamo quindi a far chiarezza, sempre che certe teste pensanti abbiano l’umiltà di ritirare le loro invettive contro l’ordinario ambrosiano, ma restiamo fiduciosi che qualche bell’anima raziocinante possa trarne un’utilità.
A tale scopo, siccome la Storia non si scrive con i si dice e con l’io penso ma con i fatti accertati,  li elenchiamo:
– Il 23 febbraio 2020, domenica, la Regione Lombardia emana un comunicato con cui informa che il Presidente Fontana, di concerto con il Ministro della Sanità e in ottemperanza al DPCM di pari data, ha firmato un’ordinanza riguardante le misure da adottare per limitare il propagarsi dell’epidemia da Coronavirus. Al punto 1) si ordina: “la sospensione di manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, di eventi e di ogni forma di riunione in luogo pubblico o privato, anche di carattere culturale, ludico sportivo e religioso, anche se svolti in luoghi chiusi aperti al pubblico” (qui)
– Nella stessa giornata l’Arcivescovo di Milano dà disposizione a tutti i parroci della diocesi di sospendere le messe vespertine e ogni successiva celebrazione eucaristica fino a data da definire. (qui)
– Il 25 febbraio 2019 il Vicario generale, mons. Franco Agnesi, comunica i provvedimenti decisi dopo l’ordinanza regionale elencandone i punti, di cui il primo è Che le chiese rimangano aperte (qui)
– Nella stessa data il portale della diocesi ambrosiana fornisce ulteriori informazioni: “la  Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia di prevenzione Coronavirus, proseguirà, fino a nuove deliberazioni da parte delle autorità competenti, con la sospensione dell’ingresso al Complesso Monumentale del Duomo di Milano per i turisti. Come da indicazioni dell’Arcidiocesi di Milano, resta accessibile, come nei giorni precedenti, l’area riservata alla preghiera, con sospensione delle celebrazioni.” (qui)
Bastava andare a leggere sul sito della Chiesa di Milano per non blaterare senza cognizione di causa. Ma i Nostri si sono lanciati anche in spericolate dissertazione di carattere teologico, ecclesiastico e civilistico. E i giudizi temerari su mons. Delpini sono andati a mille.
Proviamo a confutare alcune delle asserzioni dei cattolici intelligenti.
Poteva l’Arcivescovo di Milano rifiutarsi di dare seguito all’ordinanza? No, perché esiste un preciso articolo del Codice Penale, il n. 650, che recita: “Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o d’igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato [337, 338, 389, 509], con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a duecentosei euro.
Poteva dunque tacere e permettere ai sacerdoti di continuare a celebrare le messe e ai fedeli di assistervi? No, perché, sempre che i sacerdoti avessero voluto disobbedire ad un’ordinanza regionale, si sarebbe fatto carico di indurre, seppur tacitamente, la disobbedienza altrui, oltre all’assunzione di responsabilità per un eventuale aumento dei contagi. Quanto poi ai fedeli, le messe della domenica mattina erano già semideserte e i pochi presenti apparivano molto impauriti e si tenevano a debita distanza gli uni dagli altri, quindi, a fronte di un’ordinanza che vietava gli assembramenti, avrebbero certamente obbedito.
Sarebbe perciò stato fruttuoso creare un casus belli tra Autorità civile e religiosa? La risposta è ancora no, sia perché per antica tradizione il Vescovo di Milano mantiene ottimi rapporti con le Autorità cittadine vigendo da sempre la reciproca collaborazione, sia anche perché l’Accordo tra Santa Sede e la Repubblica italiana, sottoscritto nel 1984, stabilisce all’art. 1: “La Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti ed alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese.” (qui), che altro non è che l’evangelico “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” pronunciato da Gesù.  (Mt 22,21)
Premesso quanto sopra, poteva mons. Delpini ispirarsi a S. Carlo Borromeo e indire processioni e messe solenni per chiedere a Dio di liberarci dal contagio? No, perché nel XVI secolo non si studiava la microbiologia,  non erano stati scoperti i batteri e i virus, né tantomeno erano note le modalità di contagio e neppure era scontato che le preghiere sarebbero state accolte. Invero alcuni casi miracolosi si sono verificati e restano nella memoria storica della Chiesa, ma non erano, né sono oggi, degli automatismi. (qui)
Due ultime considerazioni. Come mai i tanti visionari che parlano ogni giorno con “Gesù” e “Maria” e che negli ultimi anni ci hanno ammorbato con minacce di punizioni e di catastrofi, a differenza di S. Giovanni Bosco che conobbe con tre mesi d’anticipo l’epidemia di colera che stava per abbattersi su Torino (qui) non ci hanno avvertito di nulla? O forse questa pandemia planetaria è ancora poco al confronto di quello che il Cielo avrebbe minacciato?
Infine, come mai coloro che dal nord al sud d’Italia schiamazzano per la sospensione delle messe nella diocesi ambrosiana, agli inviti dei volenterosi che propongono preghiere comunitarie in unione spirituale nemmanco appongono un like?
Come dicevano gli antichi col buonsenso popolare, la verità è che non cade foglia che Dio non voglia e se il Signore sta permettendo tutto ciò è sicuramente per i Suoi fini misericordiosi. Ma se non siamo capaci di trarne l’opportunità per santificarci e l’unica nostra reazione è l’offesa ai sacerdoti, dobbiamo almeno sapere quanto a tale proposito l’Onnipotente fece conoscere a S. Caterina da Siena, dottore della Chiesa. (qui).
Paola de Lillo
 26 febbraio, 2020
Coronavirus: se i pastori abbandonano il gregge


A causa del coronavirus in tante chiese del Nord Italia è stata abolita la santa messa. La folla, purtroppo, favorisce il diffondersi del virus. I fedeli che non possono andare a messa, causa eccessivo assembramento, possono però accedere a locali pubblici, metropolitane, autobus, supermercati etc.
C’è un qualche paradosso. Certo, questi ultimi sono servizi essenziali, altro è il più. Resta che forse in qualche fedele potrebbe essere rimasta un’idea, seppur residuale, che anche la messa è cosa essenziale come il pane quotidiano. Tant’è, adeguarsi al paradosso è d’obbligo e va bene così, più o meno.

La messa è finita

La misura discende dalla paura dilagante per un virus che comporta un certo grado di pericolo, più della normale influenza, ma certo non a livello della peste,  (vedi Piccolenote) come invece sembra essere percepito.
Ma al di là dell’allarmismo dilagante, che vince sulla necessaria prudenza, interessa in questa nota accennare appunto al disagio per la cessazione delle messe, abolite per delibera civile alla quale le Chiese locali, a quanto pare, non potevano obiettare (anche se certo definire “folla” le quattro vecchiette che in genere – eccezioni a parte – frequentano le messe feriali potrebbe apparire un tantino esagerato).
Forse c’è stata un’accettazione un po’ troppo condiscendente da parte della Chiesa per una disposizione tanto dura per il piccolo resto del popolo di Dio. Forse si poteva tentare una via intermedia, che garantisse le celebrazioni eucaristiche almeno in alcune aree, osservando la prudenza del caso (come avviene in aree non a rischio, vedi nota a margine).
Ma forse ha prevalso il timore che, in caso di una qualche pur timida opposizione, una chiesa particolare trasformata in focolaio di virus avrebbe suscitato critiche feroci e conseguente fuoco incrociato come già per la pedofilia (vedi The Hill sulla diffusione del virus in un movimento religioso sudcoreano). Così si evitano controversie, che evitiamo anche noi.

L’avviso ai naviganti

Al di là della disposizione in sé, ha suscitato certa perplessità il modo col quale talune diocesi e parrocchie hanno comunicato la serrata delle celebrazioni eucaristiche.
In certi avvisi non si percepiva una nota dolorosa per tale privazione; si notava un certo distacco quasi burocratico, quasi fosse un avviso come altri, con aggiunta, necessaria per distinzione, di qualche benedizione e preghiera del caso.
Il risultato, certo non voluto, è stato che certi comunicati suonassero come un bel “ciaone” ai fedeli.
Così che la Chiesa che ha voluto cambiare il “Padre nostro” inserendo “non abbandonarci alla tentazione” al posto di “non indurci in tentazione” (non è una nuova traduzione, il testo greco è inequivocabile, è una nuova formulazione, ma ci torneremo), sembrasse invece abbandonare i fedeli alla loro sorte.
Tali comunicati apparivano in evidente stridore con la notizia data, ché abolire la santa messa non è nuova da dare come un avviso ai naviganti, a meno di non comprendere, e si spera non sia il caso, quale dramma sia per la Chiesa non celebrare la santa eucaristia, in particolare la domenica; e per i fedeli non potervi partecipare come chiede il loro Signore, per attingervi la “libera, bastevole, necessaria” grazia di Dio, che risana e fortifica, così importante in tempi drammatici.

Affidati a Dio

Negli avvisi in questione, peraltro, poche o nulle le disposizioni a sacerdoti, religiosi e religiose, ai quali si immaginava si chiedesse (lo si farà magari) un di più di carità in tale circostanza.
Certo, nessuno pretendeva cenni di grazia simili a quelli descritti nelle peste manzoniana, quando frotte di religiosi corsero ad accudire gli ammalati, morendo come mosche “in allegrezza”: uno spettacolo di carità rimasto impresso nel cuore nella città di Milano.
Né qualcosa di simile alla chiamata di don Bosco, che mandò i suoi ad assistere i malati delle peste che aveva aggredito il Piemonte, raccomandando agli inviati la via dell’igiene e della fedeltà alla messa e ai sacramenti come pegno per la salvezza anche corporale, tanto che non ne morì nessuno.
Ma si sperava comunque che tali comunicati ricordassero l’importanza per sacerdoti, religiosi e religiose di accompagnare il popolo di Dio privato di un beneficio così essenziale, soprattutto attraverso la preghiera e i sacramenti. E che richiamassero l’importanza della grazia, senza la quale l’uomo nulla può.
Peraltro, Francesco spiegava che il pastore deve puzzare di pecora, olezzo non percepito nell’occasione. Ma va bene così, certo qual grigiore appare specchio fedele di una Chiesa ormai incapace, se non per eccezioni, di parlare agli uomini se non in termini umani, avendo smarrite le vie del soprannaturale.
La messa è finita, non con un pianto, con un avviso…
Al di là della facile ironia, che si spera sia perdonata, per fortuna si registrano cenni di segno opposto. Di grato conforto.

Nota a margine. In aree meno “a rischio”, altre restrizioni: abolizione del segno della pace, eucaristia in mano e acquasantiera vuota. Quest’ultima abolizione, per paradosso, potrebbe rivelarsi una benedizione, perché rammenta una “banale” dispensatrice di grazie tanto spesso ignorata da sacerdoti e fedeli… magari servirà a riscoprirla.

1 commento:

  1. Personalmente ben poco mi interesse che vengano soppresse le "messe"novus ordo una cum un falso papa:sarebbe come se mi preoccupassi se fossero sospese le riunioni, in tutta la diocesi di Milano, dei testimoni di geova;certi sragionamenti tuttavia devono essere contraddetti per evitare di arrivare, col motto "non si muove foglia che Dio non voglia",ad attribuire al Padre Eterno tutte le idiozie che la mente umana degenerata dal peccato riesce a partorire:sopprimere le messe per paura di contagio, ordinanza del prefetto ,guai a disubbidire,ma ristoranti aperti in "tutta la diocesi di Milano"!Ai tempi di San Carlo Borromeo non si conosceva la microbiologia,oggi invece che la si conosce,la dea microbiologia stretta parente della pachamama,non bisogna andare a messa...peccato che chi ha contratto e diffuso il virus,non lo ha beccato in chiesa,ma stando ad affermazioni sempre più attendibili,facendo quello che una volta i veri pastori denunciavano come adulterio!Non si tratta quindi di voler offendere i sacerdoti,ma chi ancora non ha lasciato che il suo cervello sia totalmente condizionato dai media o da chi da la pagnotta,deve constatare che chi è stato così solerte a soprrimere la messa ,è lo stesso che ha trasformato le chiese in ristoranti...forse perchè lì "non c'è pericolo di contagio"?Buon pranzo e buona cena come dice il vostro pastore!

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