ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 16 febbraio 2020

Peiora sequentur..

Bergoglio: Niente preti sposati, niente donne preti: …
abbiamo di peggio da fare!



Basilica di San Pietro - 27 ottobre 2019
Messa di chiusura del Sinodo sull'Amazzonia
Papa Francesco riceve all'Offertorio una coppa rituale della “Pachamama”
che colloca sull'altare

Il 12 febbraio 2020 è stata resa pubblica l’esortazione post-sinodale relativa al Sinodo sull’Amazzonia, “Querida Amazonia”, che porta la data del 2 febbraio, Festa della Purificazione della Vergine Maria e della Presentazione al Tempio di Nostro Signore Gesù Bambino. La data è stata scelta a caso? Abbiamo la fondata impressione che non si sia trattato di un caso: vedremo in seguito perché; adesso facciamo notare che, seguendo la logica di Bergoglio, secondo cui la Verginità di Maria Santissima sarebbe una fesseria, è impossibile  non accostare quest’ultima blasfemia sulla Santissima Vergine con la venerazione della “Pachamama” realizzata da Bergoglio dentro la Basilica di San Pietro, il 7 ottobre 2019.
Contrariamente alle aspettative, nella Querida Amazonia non si stabilisce l’istituzione dei preti sposati, né quella delle donne prete; e questo ha fatto tirare un sospiro di sollievo a molti cattolici preoccupati; alcuni dei quali, peraltro, sono caduti nell’inganno della “marcia indietro” di Bergoglio rispetto al Documento finale elaborato dal Sinodo.
La lettura dell’Esortazione, però, lascia ulteriormente preoccupati, poiché in essa, oltre al richiamo pressante alla ricezione di “tutto” il documento conclusivo del Sinodo:
«Dio voglia che tutta la Chiesa si lasci arricchire e interpellare da questo lavoro» (n. 4),
si trovano tante di quelle aperture alla idolatria che al loro confronto “preti sposati” e “donne prete” diventano delle quisquilie.

Queste note non vogliono essere una sorta di giudizio parziale o totale, dal quale ci asteniamo soprattutto perché ci siamo stancati di esprimere giudizi sulla evidente anticattolicità e sulle blasfemie di Bergoglio; esse note sono redatte per invitare i fedeli a leggere con attenzione questo nuovo documento “papale”, per cogliere i due elementi principali che lo caratterizzano: primo: la voluta esaltazione dei più vieti luoghi comuni correnti, che dimostrano come Bergoglio sia a totale servizio del mondo; secondo: la non tanto dissimulazione di Bergoglio della sua volontà di trasformare il cattolicesimo in una sorta di neo-paganesimo dalle connotazioni tribali risalenti ai vecchi culti amerindi meridionali, infarciti di pratiche e di cerimonie di stampo ctonio (sotterraneo), aggiornate per l’occasione dall’umidore della foresta amazzonica.

Cosa prospetta quindi il supposto capo della Chiesa cattolica, che ha voluto che si svolgesse un Sinodo “sull’Amazzonia” come se questa potesse essere paradigmatica per l’intero mondo ecclesiale?

«Con questa Esortazione […] Desidero solo offrire un breve quadro di riflessione che incarni nella realtà amazzonica una sintesi di alcune grandi preoccupazioni che ho già manifestato nei miei documenti precedenti, affinché possa aiutare e orientare verso un’armoniosa, creativa e fruttuosa ricezione dell’intero cammino sinodale» (nn° 2 e 3).
«Dio voglia che tutta la Chiesa si lasci arricchire e interpellare da questo lavoro» (n. 4).

Chi ha pensato che Bergoglio avesse messo da parte le istanze rivoluzionarie sorte lungo “l’intero cammino sinodale”, deve ricredersi, perché tali istanze (dallo svuotamento del sacerdozio alla mondanizzazione della dottrina e della liturgia) vengono considerate da Bergoglio elementi di arricchimento che devono essere recepiti da “tutta la Chiesa”.
E’ a ragion veduta che Bergoglio non ne citi neanche una, poiché esse devono essere recepite tutte in blocco, con le loro deviazioni e soprattutto con le loro contraddizioni.

Qui viene usata la stessa tattica rivoluzionaria del Vaticano II: si gettano sul campo concetti equivoci e contrastanti, perché in seguito li si possa utilizzare a piacimento a seconda della convenienza: in questo caso a seconda della convenienza dei diversi episcopati che è ormai da due anni che si industriano per distanziarsi quanto più è possibile dalla dottrina e dalla pastorale della Chiesa: si veda il clamoroso “cammino sinodale” intrapreso dall’episcopato tedesco che mira a far sì che da dopo il Sinodo sull’Amazzonia nella Chiesa “niente sia più come prima”; espressione apertamente usata da alcuni vescovi e lasciata passare da Bergoglio che persegue lo stesso scopo.

«Tutto ciò che la Chiesa offre deve incarnarsi in maniera originale in ciascun luogo del mondo, così che la Sposa di Cristo assuma volti multiformi che manifestino meglio l’inesauribile ricchezza della grazia.» (Querida Amazonia, n° 6).

Si tratta di un’affermazione che fa da “quadro” al contenuto del documento: la Chiesa, voluta da Nostro Signore per evangelizzare tutte le realtà che si trovano lontane dal vero Dio e condurle a Lui, secondo Bergoglio deve assumere la “carne” dei senza Dio e farla propria “in maniera originale”, tanto da perdere il volto della “Sposa di Cristo” ed assumere “volti multiformi” che, contrariamente a quando afferma subdolamente Bergoglio, non potranno mai “manifestare”  la “ricchezza della grazia”.
La ricchezza della Grazia si manifesta attraverso i sacramenti e quindi esige che “ciascun luogo” diventi prima un luogo in cui regna Cristo e i suoi comandamenti.

Non è la Chiesa che deve “incarnarsi”, ma sono gli uomini del mondo e del luogo che devono entrare a far parte del Corpo Mistico di Cristo e subire la metamorfosi che li trasformi da infedeli in fedeli: in figli di Dio.
L’affermazione di Bergoglio invita invece ad attuare il processo inverso.
Infatti egli continua dicendo:
«Sogno comunità cristiane capaci di impegnarsi e di incarnarsi in Amazzonia, fino al punto di donare alla Chiesa nuovi volti con tratti amazzonici» (n. 7). 


Affermazione che rivela la precisa volontà di immettere nella Chiesa cattolica gli elementi spuri e dissacranti dell’attuale Amazzonia, per infettare la stessa Chiesa con l’idolatria e i culti cotnici, esattamente come avvenne in Vaticano con l’esaltazione e la venerazione dell’idolo della “Pachamama”.

Nessuna novità, in fondo, perché già da allora si capì che il nominale capo della Chiesa cattolica intendeva promuovere l’adozione e la venerazione degli idoli.
Altro che “incarnarsi in Amazzonia”! L’obiettivo è disincarnare la Chiesa e farne un moderno “Pantheon” dove possano trovare posto tutti i demoni dei popoli non cristiani e, ultimamente tutti i demoni che oggi affollano il moderno mondo senza Dio.

Bergoglio usa parole sentimentalmente seducenti per far passare concetti sostanzialmente dirompenti:
«Sogno un’Amazzonia che difenda la ricchezza culturale che la distingue, dove risplende in forme tanto varie la bellezza umana».

Come se il compito del Vicario di Cristo non dovesse più essere la integra riproposizione dell’intero “deposito della fede” e la “conferma in questa fede” di tutti i fratelli in Cristo.

La “ricchezza culturale” dell’Amazzonia deve essere difesa – afferma Bergoglio – ma non spiega in cosa essa consista e tuttavia sottolinea che il suo punto di vista non è informato dalla “bellezza di Dio”, ma dalla “bellezza umana”.
Quindi, la ricchezza culturale da difendere è costituita dai culti, dalle pratiche e dagli stili di vita indigeni, tutte fondate sulla naturalità e sulla indistinta religiosità naturale il cui centro non è Dio, ma la natura stessa.
La “ricchezza culturale” amazzonica, infatti, non conosce il concetto di Dio trascendente e Creatore, ma solo la radice naturale dell’esistente, con cui i popoli indigeni si identificano e a cui rendono omaggio e culto.

Per quanto possa sembrare paradossale, è come se duemila anni di Cattolicesimo fossero passati invano, con la stessa civiltà cristiana, e oggi si dovrebbe tornare alla venerazione del sole, della terra e delle acque.
E questo – dice Bergoglio - «fino al punto di donare alla Chiesa nuovi volti con tratti amazzonici».

Bergoglio parla di “sogno”, ma la sua è una “esortazione” che induce a mettere in pratica quello che non è un suo sogno, ma il suo preciso intendimento.

Tralasciamo quello che Bergoglio chiama «Sogno sociale», sia perché è la logica conseguenza della visione naturalista espressa prima, sia e soprattutto perché è uno di quei vieti luoghi comuni che oggi neanche i comunisti prospettano più, in un mondo omologato al punto da richiamare nella sua orbita la stessa Chiesa cattolica, facendosi forte del fatto che i moderni uomini di Chiesa hanno mutato la loro visione celeste in visione terrena.

I numeri dall’8 al 14 di questa “esortazione” potrebbero tranquillamente figurare in un programma politico-sindacale di parte, che troverebbe l’interlocutore in un altro programma politico-sindacale di parte opposta.
E questa premessa porta quasi per inerzia alla esplicitazione, al punto 15, di un altro luogo comune: la leggenda nera del “secolo scorso” che pretende raccontare di una Chiesa che non evangelizzava, ma praticava “forme di sfruttamento umano, di prevaricazione e di morte”. Cosa per la quale “bisogna indignarsi” – dice Bergoglio – nientemeno “come si indignava Gesù”.
Ancora confusione voluta e strumentale, poiché, mentre Gesù si indignava perché la casa di Dio veniva ridotta in spelonca di mercanti, Bergoglio si indigna per un “passato vergognoso” in cui sono accadute “storie di ingiustizia e di crudeltà”; passato inesistente nei termini in cui è stato confezionato e propagandato negli ultimi due secoli dai nemici della Chiesa e che qui Bergoglio fa suo.
La prospettiva è ancora la stessa: si guarda alla terra piuttosto che al Cielo, si guarda all’uomo piuttosto che a Dio.

E tralasciamo anche i numeri 16 e 17, che appaiono come tratti pari pari dalle rivendicazioni della “teologia della liberazione”, il cui principale esponente, Leonardo Boff, ha descritto proprio ieri, 13 febbraio 2020, con toni entusiasti, l’incontro privato tra Bergoglio e l’ex Presidente brasiliano Lula, anch’egli simbolo del “riscatto dei poveri” che tuttavia è finito in galera per “corruzione e riciclaggio”.
Ed è per questo che Bergoglio non può fare a meno di sentire vergogna:
«me ne vergogno e ancora una volta chiedo umilmente perdono, non solo per le offese della Chiesa stessa, ma per i crimini contro i popoli indigeni durante la cosiddetta conquista dell’America e per gli atroci crimini che seguirono attraverso tutta la storia dell’Amazzonia».

Volutamente Bergoglio non richiama la missione svolta in quella occasione dalla Chiesa, che portò il Vangelo in mezzo all’idolatria e sradicò i culti sanguinolenti degli amerindi precolombiani, sussistenti ancora oggi in certe zone dell’Amazzonia. E lo fa volutamente per esaltare di fatto tali culti che vorrebbe incorporare nella religione cattolica.

«Di fronte a una tale realtà [lo sradicamento che vivono gli indigeni], bisogna apprezzare e accompagnare tutti gli sforzi che fanno molti di questi gruppi sociali per conservare i loro valori e stili di vita e integrarsi nei nuovi contesti senza perderli, anzi, offrendoli come contributo al bene comune» (n. 21).
«La saggezza dello stile di vita dei popoli originari – pur con tutti i limiti che possa avere – ci stimola ad approfondire questa aspirazione» (n. 22).

Da cui deriva che (n. 26):
«L’Amazzonia dovrebbe essere anche un luogo di dialogo sociale, […] Ma se vogliamo dialogare, dovremmo farlo prima di tutto con gli ultimi. Essi non sono interlocutori qualsiasi, che bisogna convincere, e nemmeno un convitato in più ad una tavola di pari. Essi sono i principali interlocutori, dai quali anzitutto dobbiamo imparare, che dobbiamo ascoltare per un dovere di giustizia e ai quali dobbiamo chiedere permesso per poter presentare le nostre proposte» (neretti nostri).

Bergoglio non prova alcuna vergogna nel chiamare “nostre proposte” il compimento del dovere di insegnare a tutte le genti quello che insegnò e insegna Nostro Signore Gesù Cristo, che comanda di battezzare tutte le genti per permettere loro di salvare le loro anime (Cfr. Mt. XXVIII, 18-20). Anzi, capovolgendo il Vangelo, si permette di affermare, imperterrito,
Essi non sono interlocutori… che bisogna convincere” […] Essi sono i principali interlocutori, dai quali anzitutto dobbiamo imparare, […] e ai quali dobbiamo chiedere permesso per poter presentare le nostre proposte” (n. 26 – neretto nostro).

Da questa convinzione nasce l’altro “sogno” di Bergoglio, che si capisce chiaramente essere una esortazione a conformarsi ad esso, non solo rivolta alla Chiesa in Sudamerica, ma alla Chiesa universale.
«La loro situazione risulta assai fragile e molti si rendono conto di essere tra gli ultimi depositari di un tesoro destinato a scomparire, come se solo si permettesse loro di sopravvivere senza disturbare, mentre la colonizzazione postmoderna avanza. Bisogna evitare di considerarli dei “selvaggi non civilizzati”. Semplicemente hanno dato vita a culture diverse e ad altre forme di civiltà, che anticamente hanno raggiunto un notevole sviluppo» (n. 29 – neretti nostri).

Bergoglio fa finta di non sapere che anche duemila anni fa San Pietro e San Paolo vissero e predicarono il Vangelo in una “forma di civiltà” che aveva “raggiunto notevole sviluppo”, eppure, per ubbidire alla volontà di Dio, sostituirono a quella civiltà romana, la nuova civiltà cristiana. E questo nonostante la civiltà romana fosse di ben altro spessore ed elevazione rispetto alle civiltà amerinde, caratterizzate prevalentemente dai sacrifici umani.

Ed ha ragione Bergoglio quando afferma che non bisogna considerare i popoli dell’Amazzonia come dei “selvaggi non civilizzati”, perché in realtà si tratta di popoli che hanno vissuto un processo di degradazione che li ha condotti a vivere come allo stato animale, piuttosto che umano.
Se certuni, anche vescovi e papi, leggessero con attenzione la Bibbia, apprenderebbero da essa come tanti popoli abbiano seguito una parabola discendente che li ha portati ad inselvatichirsi, fino al punto che per ridare loro la corretta connotazione umana, dopo diversi tentativi, Dio Padre decise di inviare in mezzo a loro il Suo Figlio Unigenito.
Non siamo noi o altri che considerano i popoli amazzonici dei “selvaggi non civilizzati”, ma è la realtà dei fatti che lo dice in maniera irrefutabile.

Ed ha torto Bergoglio quando arriva impudentemente ad affermare che questi popoli sarebbero “gli ultimi depositari di un tesoro destinato a scomparire”; ha torto due volte: primo perché non c’è alcun tesoro da preservare, secondo perché non si può neanche ipotizzare che tale supposto tesoro possa in chissà quale modo “arricchire” la Chiesa di Cristo.

Non si tratta infatti di saggezza alcuna – come afferma Bergoglio al n. 30 – ma di forme di vita che potranno diventare degne di essere vissute se abbandoneranno tale presunta saggezza, fondata sulla terra e sulle acque, per assumere la nuova e vera saggezza che la Chiesa offre loro in quanto fondata sulla Parola e sui Comandamenti Dio.

Ma si faticherebbe alquanto nel cercare in questa “esortazione” un richiamo esplicito e chiaro al dovere primario di portare il Vangelo a questi popoli.

Anzi, troviamo, al n. 32, l’affermazione che Dio sarebbe già in Amazzonia nel sentire e nel vivere dei diversi gruppi umani ivi presenti:
«Attraverso un territorio e le sue caratteristiche Dio si manifesta, riflette qualcosa della sua inesauribile bellezza. Pertanto, i diversi gruppi, in una sintesi vitale con l’ambiente circostante, sviluppano una forma peculiare di saggezza. Quanti osserviamo dall’esterno dovremmo evitare generalizzazioni ingiuste, discorsi semplicistici o conclusioni tratte solo a partire dalle nostre strutture mentali ed esperienze».

E Dio ci sarebbe già non come il vero Dio Uno e Trino, Padre, Figlio e Spirito Santo, ma come il dio panteista che ingombra la mente di Bergoglio: un dio che “si manifesta” ed esprime “qualcosa” della sua bellezza “attraverso un territorio e le sue caratteristiche”. E sarebbe un dio talmente vero che tutti noi veri credenti, che “osserviamo dall’esterno” – dice Bergoglio – “dovremmo evitare generalizzazioni ingiuste, discorsi semplicistici o conclusioni tratte solo a partire dalle nostre strutture mentali ed esperienze”.

Esattamente – diciamo noi – come quelle appena espressi qui da noi, a causa del fatto che siamo veri credenti nell’Unico e Vero Dio che giungono a “conclusioni tratte solo a partire dalle nostre strutture mentali ed esperienze”.

Questo passo dell’“esortazione” deve essere letto, riletto e ponderato come si deve, perché in esso Bergoglio sollecita ad abbandonare la nostra vita e la nostra esperienza di cattolici, per abbracciare quella che lui chiama “una forma peculiare di saggezza”, dove Dio si identificherebbe con la natura del territorio amazzonico.
Un chiaro invito all’apostasia, a favore di un ritorno al più ridicolo paganesimo. Ed un invito che viene immediatamente camuffato con un discutibile richiamo alle radici che sembra essere rivolto ai popoli dell’Amazzonia (n. 33) ed invece è rivolto indirettamente anche ai tutti i cattolici, perché le radici – dice Bergoglio – sono costituite dall’“immensa varietà culturale, che è un tesoro…” e dalla “storia del popolo d’Israele e della Chiesa”.
Non una parola sul vero Dio e su Nostro Signore Gesù Cristo, che sembrano essere estranei al sentire e al pensare di Bergoglio!

Partendo da questa sollecitazione panteista, Bergoglio giunge inevitabilmente alla sollecitazione sincretista:
«A partire dalle nostre radici ci sediamo alla tavola comune, luogo di conversazione e di speranze condivise. In questo modo la diversità, che può essere una bandiera o una frontiera, si trasforma in un ponte. L’identità e il dialogo non sono nemici. La propria identità culturale si approfondisce e si arricchisce nel dialogo con realtà differenti e il modo autentico di conservarla non è un isolamento che impoverisce» (n. 37- neretti nostri).

Tutti, che non siano prevenuti o imbevuti di spirito anticristiano, si rendono conto che l’“identità culturale” cattolica non può approfondirsi ed arricchirsi dialogando con “realtà differenti”, e tanto meno può essere così conservata; anzi, essa finisce col perdersi nell’indifferenziato, come è accaduto in questi ultimi 55 anni a partire dal Vaticano II, da cui Bergoglio ha tratto ispirazione per questo suo convincimento sincretista; e questo nonostante l’esperienza di questi anni insegni che il “dialogo” con le altre religioni ha condotto molti cattolici a perdere la fede e perfino ad apostatare.
E Bergoglio calca perfino la mano, quando, nello stesso n. 37, afferma che
«… l’interesse ad avere cura dei valori culturali dei gruppi indigeni dovrebbe appartenere a tutti, perché la loro ricchezza è anche la nostra» (neretti nostri).

E no!, caro Bergoglio, la nostra ricchezza si chiama Gesù Cristo, e non certo “Pachamama”!

Ma la cultura e la ricchezza della “Pachamama”, piace a Bergoglio, perché gli permette di ricordare l’altro suo chiodo fisso: l’ecologismo.
«La saggezza dei popoli originari dell’Amazzonia “ispira cura e rispetto per il creato, con una chiara consapevolezza dei suoi limiti, proibendone l’abuso. Abusare della natura significa abusare degli antenati, dei fratelli e delle sorelle, della creazione e del Creatore, ipotecando il futuro”» (n. 42 – neretti nostri).

Invero un’esasperazione della nuova moda ecologista, che pretende che gli adattamenti climatici che ci sono sempre stati, sarebbero variazioni generate dall’uomo, e che Bergoglio si permette di riprendere acriticamente, coinvolgendo in modo blasfemo perfino il Creatore.
Salvo venirsene fuori, a mo’ di giustificazione, con una citazione poetica:
«… il mondo soffre per la trasformazione… ecc.… […] Solo la poesia, con l’umiltà della sua voce, potrà salvare questo mondo» (n. 46).
Ma – diciamo noi – neanche la poesia potrà mutare in salvezza il destino di perdizione a cui è votato questo mondo che ha voltato le spalle a Dio.

I numeri seguenti, fino al 54, sono un’apologia di questo ecologismo moderno, ma Bergoglio si riprende al n. 55, dove se ne viene fuori ancora con la storia dell’apprendimento dai popoli dell’Amazzonia:
«Imparando dai popoli originari… possiamo sentirci intimamente uniti ad essa e non solo difenderla, e allora l’Amazzonia diventerà nostra come una madre» (neretti nostri).

E qui ritorna l’elemento che induce a pensare che Bergoglio si sia davvero convertito al culto della “Pachamama”, della “Grande Madre”; quasi a far riflettere che quanto è accaduto nella Basilica di San Pietro sia stato realmente un atto di culto espressamente voluto ed una “esortazione” ante litteram rivolta ai cattolici perché accantonino la venerazione della Madre di Dio e la sostituiscano con la venerazione alla “Madre Terra”.
Un ritorno all’indietro di duemila anni, quando l’evangelizzazione dei popoli dell’Impero Romano rigettò nelle profondità sub-terrene i culti di Cibele e di Candia e fece risplendere la luce di Cristo ricacciando tali culti nell’oscurità da cui provenivano.
Oggi, dopo duemila anni di cattolicesimo, il Signore ci fa subire il malo destino di un tizio che occupa il Soglio di Pietro e che esorta i credenti  con queste parole:
«…noi troviamo nell’Amazzonia un luogo teologico, uno spazio dove Dio stesso si manifesta e chiama i suoi figli» (n. 57).

Signore! Fino a quando?
Solo Lui sa fino a quando dovremo subire questa punizione per i nostri peccati.

Per intanto Bergoglio insiste col paravento di «un’ecologia integrale» che «comprende sempre un aspetto educativo che sollecita lo sviluppo di nuove abitudini nelle persone e nei gruppi umani» (n. 58). Paravento che serve a nascondere le sue mire sovversive:
«La Chiesa, con la sua lunga esperienza spirituale, con la sua rinnovata consapevolezza circa il valore del creato, con la sua preoccupazione per la giustizia, con la sua scelta per gli ultimi, con la sua tradizione educativa e con la sua storia di incarnazione in culture tanto diverse del mondo intero, desidera a sua volta offrire il proprio contributo alla cura e alla crescita dell’Amazzonia» (n. 60 – i neretti sono nostri).
E conclude: «Con ciò prende avvio un ulteriore sogno, che intendo condividere più direttamente con i pastori e i fedeli cattolici».

Si tratta del “sogno ecclesiale” di Bergoglio che intravede una nuova Chiesa:
«una Chiesa dal volto amazzonico» per la quale essa «deve crescere in una cultura dell’incontro verso una “pluriforme armonia”. Ma perché sia possibile questa incarnazione della Chiesa e del Vangelo deve risuonare, sempre nuovamente, il grande annuncio missionario» (n. 61).

Quale annuncio missionario, ci chiediamo, dopo quanto abbiamo visto fin qui?
Ce lo spiega Bergoglio al n. 63:
«Sarebbe triste che ricevessero da noi un codice di dottrine o un imperativo morale, ma non il grande annuncio salvifico, quel grido missionario che punta al cuore e dà senso a tutto il resto». Annuncio che «deve risuonare costantemente in Amazzonia, espresso in molte modalità diverse» (n. 64 – neretti nostri); modalità diverse che Bergoglio camuffa malamente con un richiamo al comando di Gesù Cristo: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15) (n. 64).

E diciamo “camuffa” perché è evidente che le “molte modalità diverse” intraviste da Bergoglio sono una contraddizione rispetto al comando di Cristo, che prevede una sola modalità: «ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt. XXVIII, 16).
Nel comando di Cristo non vi è alcunché di quanto “esortato” da Bergoglio fin qui: non vi è incarnazione, non vi è inculturazione, e non vi è soprattutto né dialogo né venerazione della“Madre terra”.
E Bergoglio conferma la nostra osservazione, dicendo al n. 66:
«La Chiesa, mentre annuncia sempre di nuovo il kerygma, deve crescere in Amazzonia. Per questo, riconfigura sempre la propria identità nell’ascolto e nel dialogo con le persone, le realtà e le storie del suo territorio. In tal modo, potrà svilupparsi sempre di più un necessario processo di inculturazione, che non disprezza nulla di quanto di buono già esiste nelle culture amazzoniche, ma lo raccoglie e lo porta a pienezza alla luce del Vangelo» (neretti nostri).

Chi è che non comprende che in questo “processo di inculturazione” è la Chiesa che, secondo Bergoglio, deve mutare e da cristica deve diventare amazzonica? Da Chiesa di Cristo deve diventare Chiesa di “Pachamama”.
Assurdità che Bergoglio accentua affermando:
«Si tratta dell’autentica Tradizione della Chiesa, che non è un deposito statico né un pezzo da museo, ma la radice di un albero che cresce» (n. 66).
Come dire che il “Deposito della Fede”, affidatoci dagli Apostoli perché lo trasmettessimo integro fino alla fine del mondo, dovrebbe diventare evolutivo e mutevole, a seconda delle Amazzonie che la predicazione della Chiesa incontra.
Cosa mai accaduta in duemila anni e che oggi, con Bergoglio, dovrebbe diventare un imperativo categorico. Al punto che Bergoglio parla di mutazione dello stesso Vangelo:
«Si tratta, in definitiva, di permettere e incoraggiare che l’annuncio del Vangelo inesauribile, comunicato “con categorie proprie della cultura in cui è annunciato, provochi una nuova sintesi con tale cultura”» (n. 68 – neretti nostri).

Il Vangelo di Cristo che dovrebbe subire sempre “nuove sintesi” con le culture che incontra!

In fondo non si tratta di una grande novità, poiché è dal Vaticano II che la neochiesa modernista continua a mutare l’insegnamento di Cristo, sintetizzandolo con la cultura del mondo moderno. Bergoglio non fa altro che continuare sulla stessa strada, stavolta guardando al politeismo, al naturalismo e all’idolatria dell’Amazzonia, per far fare all’insegnamento di Cristo un passo ulteriore verso la “sintesi” con la cultura dell’Anticristo.

E tutto questo secondo Bergoglio perché, bestemmiando, non dobbiamo avere timore, non dobbiamo tagliare le ali dello Spirito Santo.
«“come possiamo vedere nella storia della Chiesa, il cristianesimo non dispone di un unico modello culturale” e “non renderebbe giustizia alla logica dell’incarnazione pensare ad un cristianesimo monoculturale e monocorde”» […]  Occorre accettare con coraggio la novità dello Spirito, capace di creare sempre qualcosa di nuovo con l’inesauribile tesoro di Gesù Cristo, perché “l’inculturazione impegna la Chiesa su un cammino difficile ma necessario” […] a volte la paura ci paralizza troppo e finiamo per essere «“spettatori di una sterile stagnazione della Chiesa”. Non abbiamo timore, non tagliamo le ali allo Spirito Santo!» (n. 69).

E sempre bestemmiando, per non tagliare le ali dello Spirito Santo:
«… la Chiesa ha bisogno di ascoltare la sua [dell’Amazzonia] saggezza ancestrale, tornare a dare voce agli anziani, riconoscere i valori presenti nello stile di vita delle comunità originarie, recuperare in tempo le preziose narrazioni dei popoli. In Amazzonia abbiamo già ricevuto ricchezze che provengono dalle culture precolombiane, “come l’apertura all’azione di Dio, il senso di gratitudine per i frutti della terra, il carattere sacro della vita umana e la stima per la famiglia, il senso di solidarietà e la corresponsabilità nel lavoro comune, l’importanza della dimensione cultuale, la fede in una vita al di là di quella terrena, e tanti altri valori”» (n. 70 - neretti nostri).

Incredibile, ma vero: per Bergoglio tutto quanto da lui qui elencato non verrebbe da Gesù Cristo, ma dalle culture precolombiane e oggi dall’Amazzonia!
In duemila anni di cattolicesimo tutte queste cose sarebbero mancate e la civiltà cristiana non sarebbe esistita!

Bergoglio non è cattolico, è evidente! E’ un imbonitore che racconta assurdità e vorrebbe farle passare per saggezza, perfino per “misteriosa sapienza di Dio”:
«… siamo chiamati “ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro [i popoli indigeni]» (n. 72 neretti nostri).
«va apprezzato lo spirito indigeno dell’interconnessione e dell’interdipendenza di tutto il creato, […] spirito di sacra ammirazione davanti alla natura che ci oltrepassa con tanta vita. […] si tratta anche di far sì che questa relazione con Dio presente nel cosmo diventi sempre più la relazione personale con un Tu che sostiene la propria realtà e vuole darle un senso, un Tu che ci conosce e ci ama» (n. 73 . neretti nostri).

Panteismo allo stato “esortativo”, che di certo non ha a che vedere col cattolicesimo!
E che Bergoglio esprime in maniera egregia al n. 74, lasciando sfogo alla sua indole blasfema trasformando Cristo nel “punto omega” di panteistica memoria Teilhardiana. Sarà un caso che Jorge Mario Bergoglio è un gesuita come Pierre Teilhard de Chardin?

«Allo stesso modo, il rapporto con Cristo, vero Dio e vero uomo, liberatore e redentore, non è nemico di questa visione del mondo marcatamente cosmica che caratterizza questi popoli, perché Egli è anche il Risorto che penetra tutte le cose. Per l’esperienza cristiana, “tutte le creature dell’universo materiale trovano il loro vero senso nel Verbo incarnato” […] Egli è gloriosamente e misteriosamente presente nel fiume, negli alberi, nei pesci, nel vento, in quanto è il Signore che regna sul creato senza perdere le sue ferite trasfiguratee nell’Eucaristia assume gli elementi del mondo conferendo a ciascuno il senso del dono pasquale» (neretti nostri).

Come giustamente ha fatto rilevare Don Anthony Cedaka nel suo libro, il cattolicesimo moderno è “frutto del lavoro dell’uomo”, dove ogni traccia di Dio e della Sua grazia hanno ormai lasciato il posto al culto della natura e dove l’Eucarestia, come conferma Bergoglio, “assume gli elementi del mondo” e abbandona la Presenza Reale e la transustanziazione.

E dalla inculturazione Bergoglio passa alla santità, esprimendo un auspicio che è più di una “esortazione”:
«Immaginiamo una santità dai lineamenti amazzonici, chiamata a interpellare la Chiesa universale» (n. 77).
Un programma prospettato a tutta la Chiesa perché da cattolica diventi amazzonica e dalla santità dei Santi e dei Martiri, fondata su Gesù Cristo, passi alla santità delle popolazioni idolatriche dell’Amazzonia, fondata sulle molteplici “Pachamama”:
«Non abbiamo fretta di qualificare come superstizione o paganesimo alcune espressioni religiose che nascono spontaneamente dalla vita della gente. Piuttosto, bisogna saper riconoscere il grano che cresce in mezzo alla zizzania, perché “nella pietà popolare si può cogliere la modalità in cui la fede ricevuta si è incarnata in una cultura e continua a trasmettersi”» (n. 78 – neretti nostri).
«È possibile recepire in qualche modo un simbolo indigeno senza necessariamente qualificarlo come idolatrico. Un mito carico di senso spirituale può essere valorizzato e non sempre considerato un errore pagano. Alcune feste religiose contengono un significato sacro e sono spazi di riunione e di fraternità, sebbene si richieda un lento processo di purificazione e maturazione. Un vero missionario cerca di scoprire quali legittime aspirazioni passano attraverso le manifestazioni religiose a volte imperfette, parziali o sbagliate, e cerca di rispondere a partire da una spiritualità inculturata» (n. 79 – neretti nostri).

Bergoglio non avrebbe potuto essere più chiaro nell’esprimere l’auspicio che l’intera Chiesa cattolica adotti il panteismo e l’idolatria praticate in mezzo all’intricata foresta amazzonica.
E pensare che i nostri Martiri hanno preferito la morte piuttosto che incensare gli idoli, e i nostri Santi si sono battuti fino allo spasimo e fino al martirio pur di vedere abbattuti i culti idolatrici precristiani!

E  tutto questo, logicamente, deve “incarnarsi” in una nuova liturgia e in nuovi sacramenti:
«In Amazzonia essi [i sacramenti] non dovrebbero essere intesi come una separazione rispetto al creato. Infatti, “sono un modo privilegiato in cui la natura viene assunta da Dio e trasformata in mediazione della vita soprannaturale”» (n. 81).
Una nuova concezione del sacramento, quindi, che da atto sacro che permette di veicolare la grazia (sacramentum), deve diventare “profanamento”: atto profano che impedirà alla grazia di giungere da Dio fino ai fedeli.

«Questo ci consente di raccogliere nella liturgia molti elementi propri dell’esperienza degli indigeni nel loro intimo contatto con la natura e stimolare espressioni native in canti, danze, riti, gesti e simboli. Già il Concilio Vaticano II aveva richiesto questo sforzo di inculturazione della liturgia nei popoli indigeni, ma sono trascorsi più di cinquant’anni e abbiamo fatto pochi progressi in questa direzione» (n. 82 – neretti nostri).

Oggi Bergoglio vuole andare oltre lo stesso Vaticano II e sollecita questa “inculturazione della liturgia” perché venga praticata, non solo in Amazzonia, ma in tutta la Chiesa.
Lutero avrebbe pianto di fronte a questa prospettiva, per non aver avuto una pari intuizione per portare a compimento la distruzione della Messa e dei sacramenti cattolici.

Povero Lutero, non avrebbe ma immaginato che dopo alcuni secoli ci sarebbe stato un Bergoglio più Lutero di lui!

Secondo Bergoglio e la sua particolare concezione del sacro, i sacramenti non sono atti sacri che veicolano la grazia, ma essi servono a mostrare e a comunicare «il Dio vicino che viene con misericordia a guarire e fortificare i suoi figli» (n. 84).
Niente più grazia, quindi, né disposizione del fedele che deve sforzarsi di meritare la grazia che da Dio scende fino a lui.
Per Bergoglio, i sacramenti sarebbero una sorta di sostituti sentimentali di carattere filantropico:
«… la Chiesa deve avere una cura speciale per comprendere, consolare, integrare, evitando di imporre loro una serie di norme come se fossero delle pietre, ottenendo con ciò l’effetto di farle sentire giudicate e abbandonate proprio da quella Madre che è chiamata a portare loro la misericordia di Dio» (n. 84 – neretti nostri).

Si comprende allora che per la messa in essere di questi nuovi sacramenti non servono degli uomini appositamente preparati; e mentre prima, fin dall’inizio del cattolicesimo, era necessario predisporre degli uomini attraverso il potere proveniente da Dio stesso: conferendo loro un carattere indelebile col “sacramento” dell’Ordine sacro, oggi, per i nuovi sacramenti non servono più tali uomini: i sacerdoti, i portatori del sacro; bastano degli uomini qualsiasi che per l’espletamento della loro funzione trovano legittimazione non dall’alto, da Dio, ma dal basso, dagli altri uomini.

«Se si incultura la spiritualità, se si incultura la santità, se si incultura il Vangelo stesso, come fare a meno di pensare a una inculturazione del modo in cui si strutturano e si vivono i ministeri ecclesiali?» (n. 85).
«Occorre far sì che la ministerialità si configuri in modo tale da essere al servizio di una maggiore frequenza della celebrazione dell’Eucaristia, anche nelle comunità più remote e nascoste. […] c’è bisogno di ministri che possano comprendere dall’interno la sensibilità e le culture amazzoniche» (n. 86).

Ora, la celebrazione dell’Eucaristia richiede la disponibilità di uomini a cui è stato conferito il sacramento dell’Ordine sacro, e Bergoglio lo ricorda nei numeri 87 e 88, ma aggiunge (n. 89) che:
«I laici potranno annunciare la Parola, insegnare, organizzare le loro comunità, celebrare alcuni Sacramenti, cercare varie espressioni per la pietà popolare e sviluppare i molteplici doni che lo Spirito riversa su di loro».
«Ma hanno bisogno della celebrazione dell’Eucaristia» (n. 89).
«Questa pressante necessità mi porta ad esortare tutti i Vescovi, in particolare quelli dell’America Latina» a considerare che «è opportuno rivedere a fondo la struttura e il contenuto sia della formazione iniziale sia della formazione permanente dei presbiteri […] Questa formazione dev’essere eminentemente pastorale e favorire la crescita della misericordia sacerdotale» (n. 90 – i neretti sono nostri).

E dopo quanto premesso ci sembra logico, perché per i nuovi sacramenti occorrono corrispondentemente degli uomini appositamente preparati; e Bergoglio distingue due categorie di questi uomini: da un lato “tutti i laici”, che svolgano alcune funzioni, anche sacramentali, e dall’altro “alcuni laici” che assicurino ai primi la celebrazione della sola Eucaristia; e questi ultimi laici, logicamente, non devono avere una preparazione sacramentale, non più necessaria per la mutazione dei sacramenti, ma una formazione «eminente pastorale» in grado di «favorire la crescita della misericordia sacerdotale» (n. 90).

Come dicevamo prima, qui si esortano “tutti i vescovi” a predisporre persone preparate «eminentemente» in maniera «pastorale».
I sacerdoti, come li ha voluti la Chiesa fin dagli inizi seguendo la volontà di Dio, non servono più. Oggi servono solo dei “pastori” intesi alla maniera di Lutero.
Con Bergoglio, la protestantizzazione della Chiesa cattolica iniziata col Vaticano II, fa un altro decisivo passo avanti.

Ecco spiegato perché in questa “esortazione” non si parla di preti sposati né di donne prete: perché non ce n’è bisogno, bastano i laici intesi in maniera generica, a cui i vescovi potranno delegare oggi questa, domami quella funzione.
Bergoglio ha di fatto abolito il sacerdozio cattolico, e lo ha rimpiazzato con funzionari ad hoc a seconda della bisogna.
Chi ha gioito perché non veniva stravolto il sacerdozio, si trova a fare i conti con qualcosa di peggio: l’abolizione del sacerdozio e la creazione di una specie di “profanodozio”.

«C’è necessità di sacerdoti, ma ciò non esclude che ordinariamente i diaconi permanenti – che dovrebbero essere molti di più in Amazzonia –, le religiose e i laici stessi assumano responsabilità importanti per la crescita delle comunità e che maturino nell’esercizio di tali funzioni grazie ad un adeguato accompagnamento» (n. 92 – neretti nostri).
«non si tratta solo di favorire una maggiore presenza di ministri ordinati che possano celebrare l’Eucaristia. Questo sarebbe un obiettivo molto limitato se non cercassimo anche di suscitare una nuova vita nelle comunità» (n. 93 – neretti nostri).

E tutto il n. 94 spiega questa metamorfosi che, partendo dai “volti amazzonici”, deve interessare tutta la Chiesa, tenendo conto delle esigenze dei vari luoghi e dei vari popoli.
«Una Chiesa con volti amazzonici richiede la presenza stabile di responsabili laici maturi e dotati di autorità, che conoscano le lingue, le culture, l’esperienza spirituale e il modo di vivere in comunità dei diversi luoghi, mentre lasciano spazio alla molteplicità di doni che lo Spirito Santo semina in tutti. Infatti, lì dove c’è una necessità particolare, lo Spirito ha già effuso carismi che permettano di rispondervi. Ciò richiede nella Chiesa una capacità di aprire strade all’audacia dello Spirito, di avere fiducia e concretamente di permettere lo sviluppo di una cultura ecclesiale propria, marcatamente laicale. Le sfide dell’Amazzonia esigono dalla Chiesa uno sforzo speciale per realizzare una presenza capillare che è possibile solo attraverso un incisivo protagonismo dei laici» (neretti nostri).

Niente preti sposati, quindi, niente donne prete, ma, da un lato l’abolizione del sacerdozio e dall’altro la possibilità per i diversi vescovi di “ordinare” alla nuova maniera “preti sposati” e “donne prete”, perché occorre “aprire strade all’audacia dello Spirito”, dove per “Spirito”, qui scritto subdolamente e in maniera blasfema con lettera maiuscola, occorre intendere il nuovo “spirito” che soffia nella moderna Chiesa cattolica: “lo spirito del mondo”.

E Bergoglio spiega egregiamente perché non servono “donne prete”: perché le donne avrebbero «tenuto in piedi la Chiesa» per decenni senza alcuna ordinazione, né loro né altrui; occorre evitare – dice Bergoglio – di «ridurre la nostra comprensione della Chiesa a strutture funzionali» (n. 99).
«Tale riduzionismo ci porterebbe a pensare che si accorderebbe alle donne uno status e una partecipazione maggiore nella Chiesa solo se si desse loro accesso all’Ordine sacro. Ma in realtà questa visione limiterebbe le prospettive, ci orienterebbe a clericalizzare le donne, diminuirebbe il grande valore di quanto esse hanno già dato e sottilmente provocherebbe un impoverimento del loro indispensabile contributo» (n. 100 – neretti nostri).

Quindi, le donne prete non servono perché già come sono possono e devono svolgere e svolgono funzioni para-sacerdotali.
Concetto che viene ribadito al n. 103, dove si dà anche facoltà ai vescovi di stabilire un nuovo tipo di “pseudo-ordinazione” delle donne:
«In una Chiesa sinodale le donne, … dovrebbero poter accedere a funzioni e anche a servizi ecclesiali che non richiedano l’Ordine sacro e permettano di esprimere meglio il posto loro proprio. È bene ricordare che tali servizi comportano una stabilità, un riconoscimento pubblico e il mandato da parte del Vescovo. Questo fa anche sì che le donne abbiano un’incidenza reale ed effettiva nell’organizzazione, nelle decisioni più importanti e nella guida delle comunità, ma senza smettere di farlo con lo stile proprio della loro impronta femminile» (neretti nostri).

E a conferma di ciò Bergoglio aggiunge:
«In nessun modo questo significa relativizzare i problemi, fuggire da essi o lasciare le cose come stanno. Le autentiche soluzioni non si raggiungono mai annacquando l’audacia, sottraendosi alle esigenze concrete o cercando colpe esterne. Al contrario, la via d’uscita si trova per “traboccamento”, trascendendo la dialettica che limita la visione per poter riconoscere così un dono più grande che Dio sta offrendo. Da questo nuovo dono, accolto con coraggio e generosità, da questo dono inatteso che risveglia una nuova e maggiore creatività, scaturiranno, come da una fonte generosa, le risposte che la dialettica non ci lasciava vedere» (n. 105 – neretti nostri).

E c’è un altro dono che tutta la Chiesa, e non solo quella in Amazzonia, deve considerare: è il dono dell’ecumenismo e della interreligiosità:
«i credenti hanno bisogno di trovare spazi per dialogare e agire insieme per il bene comune e la promozione dei più poveri. […] Se uno crede che lo Spirito Santo può agire in chi è diverso, allora proverà a lasciarsi arricchire da quella luce, ma la accoglierà dall’interno delle sue convinzioni e dalla sua identità» (n. 106).
«Come cattolici possediamo un tesoro nelle Sacre Scritture che altre religioni non accettano, benché a volte siano capaci di leggerle con interesse e anche di apprezzare alcuni dei loro contenuti. Qualcosa di simile cerchiamo di fare noi con i testi sacri di altre religioni e comunità religiose, dove si trovano “quei precetti e quelle dottrine che […] non raramente riflettono un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini”» (n. 107 – neretti nostri).

Come si vede, Bergoglio ricalca pari pari quello che erroneamente ha prospettato il Vaticano II, di cui si conferma essere, quindi, l’ultimo e il più avanzato dei realizzatori pratici.

«Prestiamo tanta attenzione a quello che ci divide che a volte non apprezziamo e non valorizziamo quello che ci unisce. E quanto ci unisce è ciò che ci permette di essere nel mondo senza che ci divorino l’immanenza terrena, il vuoto spirituale, il comodo egocentrismo, l’individualismo consumista e autodistruttivo» (n. 108).

Strano concetto, che enfatizza una cosa immaginata e che cerca di sviare dalla reale condizione in cui si trova oggi la Chiesa in seguito al Vaticano II; condizione che è proprio quella che qui Bergoglio afferma sia sta evitata (“senza che ci divorino…”); e che Bergoglio conferma essere quella reale:
«Come cristiani, ci unisce tutti la fede in Dio, […] Ci unisce la fede in Gesù Cristo, l’unico Redentore, […] Ci unisce il comandamento nuovo che Gesù ci ha lasciato, la ricerca di una civiltà dell’amore, la passione per il Regno che il Signore ci chiama a costruire con Lui. Ci unisce la lotta per la pace e la giustizia» (n. 109 – neretti nostri).

Non una parola sulla salvezza eterna apportata da Nostro Signore con il Suo Sacrificio sulla Croce. La prospettiva di Bergoglio, al pari di quella dei chierici figli del Vaticano II, è una prospettiva tutta terrena, tutta immanente, dove non c’è più posto per il Cielo e per la trascendenza; e questo nonostante lo stesso n. 109 si chiuda affermando che «siamo chiamati alla festa celeste», dove però non ci sarebbe la contemplazione di Dio Uno e Trino nella beatitudine eterna, ma ancora una volta una conclusione terrena e immanente «dove Dio asciugherà ogni lacrima e raccoglierà quanto abbiamo fatto per coloro che soffrono».

E così si chiude questa rivoluzionaria “esortazione”, che invita i fedeli cattolici a vedere nei diversi modi in cui in Amazzonia si venera la “Madre Terra”, nientemeno che la stessa Madre di Dio, come abbiamo già fatto notare all’inizio nel segnalare la coincidenza della data del 2 febbraio.
Inevitabile conclusione,  che riassume tutta l’esposizione di Bergoglio informata da uno spirito di dissacrazione e di blasfemia.

di Giovanni Servodio

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