ICS AL PAPA: IL PARALITICO A BETSAIDA NON ERA PIGRO IPOCONDRIACO…
Cari amici e soprattutto nemici di Stilum Curiae, ieri sera stavamo finalmente pensando di aver chiuso una lunga giornata di lavoro per e con voi (se pensate che scrivere impaginare inviare articoli e moderare decine e decine di commenti non sia un lavoro, venite a provare…) mi ha scritto monsignor ICS. Non ci siamo sentiti per telefono, mi ha scritto piuttosto indignato. Sapete perché? Perché dopo una giornata tutta curve anche per lui aveva finalmente letto l’omelia che il Pontefice regnante aveva tenuto a Santa Marta la mattina. Ve ne offriamo una parte, il resto potete trovarlo sul bollettino della Santa Sede di ieri. Ha detto il Pontefice:
“Si trovava lì un uomo che da trentotto anni era malato. Trentotto anni lì, aspettando la guarigione! Fa pensare, questo, no? È un po’ troppo… Perché uno che vuole essere guarito si arrangia per avere qualcuno che lo aiuti, si muove, è un po’ svelto, anche un po’ furbo… Ma questo, trentotto anni lì, al punto che non si sa se è ammalato o morto… «Gesù, vedendolo giacere», e sapendo la realtà, che era da molto tempo lì, «gli disse: “Vuoi guarire?”» (v. 6). E la risposta è interessante: non dice di sì, si lamenta. Della malattia? No. «Rispose il malato: “Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi – sto per prendere la decisione di andare – un altro scende prima di me”» (v. 7). Un uomo che sempre arriva in ritardo. Gesù gli dice: «Alzati, prendi la tua barella e cammina» (v. 8). «All’istante quell’uomo guarì» (v. 9).
Ci fa pensare l’atteggiamento di quest’uomo. Era malato? Sì, forse, qualche paralisi aveva, ma sembra che poteva camminare un po’. Ma era malato nel cuore, era malato nell’anima, era malato di pessimismo, era malato di tristezza, era malato di accidia. Questa è la malattia di quest’uomo: “Sì, voglio vivere, ma…”, stava lì. E la sua risposta non è: “Sì, voglio essere guarito!” No, è lamentarsi: “Sono gli altri che arrivano prima, sempre gli altri”. La risposta all’offerta di Gesù per guarire è una lamentela contro gli altri. E così, trentotto anni a lamentarsi degli altri. E non facendo nulla per guarire”.
Ecco. E monsignor ICS ha tenuto a precisare, non senza una certa veemenza…:
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L’omelia del Papa alla messa di oggi, il paralitico, e la piscina. Ho letto quello che commenta Bergoglio. No non è che “non sia normale”, come mi ha detto dopo averla sentita un amico indignato. No, è ignorante e pure un po’ blasfemo.
In tutti i commenti del Vangelo, che io conosco, questo episodio della piscina di Betsaida (Giovanni 5, 1-16) è il simbolo della PERSEVERANZA di questo poveretto che resta lì, sul bordo dell’acqua per trentotto anni nella speranza di guarire, senza mai allontanarsene.
È simbolo anche della pazienza che dobbiamo avere con noi stessi nella lotta interiore contro i difetti dominanti.
Un autore, riferendosi a questo passo del Vangelo, spiegava che il Signore ci può chiedere anche trentotto anni per crescere in una virtù, avendo Egli pazienza con i nostri difetti.
Se il paralitico fosse stato un pigro indolente lamentoso (e un po’ ipocondriaco, sembra di capire…), il Signore non lo avrebbe aiutato.
L’uomo protagonista del Vangelo di oggi PERSEVERA trentotto anni, non PECCA DI ACCIDIA per trentotto anni.
Non solo, sarebbe rimasto li fino alla fine dei suoi giorni, se non avesse avuto il premio di di incontrare Gesù, proprio per la sua costanza.
Sempre questo episodio spiega l’importanza dell’evangelizzazione (proselitismo per papa Bergoglio).
Infatti questo passo evangelico è sempre stato utilizzato per spiegare che nessuno dovrebbe confessare “Signore non ho nessuno”, poiché il passo evangelico si riferisce – e deve essere interpretato come riferimento – agli infermi nello spirito.
L’espressione del paralitico “HOMINEM NON HABEO” (“non ho l’uomo “) è diventata, o forse è sempre stata nei secoli, in ogni commento evangelico, il significato della INDIFFERENZA SPIRITUALE verso il prossimo bisognoso nell’anima.
Significa che tutti sono stati indifferenti davanti i bisogni della sua anima, tranne il Salvatore, e l’esortazione è infatti l’evangelizzazione.
Certo non cure ortopediche o psicoanalitiche (come Bergoglio avrebbe preferito ) per agire da solo, solo con la propria volontà.
Marco Tosatti
Una parola al giorno / Pazienza
Santa pazienza! L’esclamazione faceva parte del repertorio dei nostri nonni, ma è tornata di moda. Ci vuole davvero tanta pazienza in questi giorni segnati da mille restrizioni.
Pazienza (dal verbo patire) è capacità di sopportare il limite che provoca sofferenza. Non a caso il malato è un paziente.
Sant’Agostino scrisse che la pazienza è una virtù dell’anima, un grande dono di Dio. Va dunque richiesta. “I pazienti preferiscono sopportare il male per non commetterlo piuttosto che commetterlo per non sopportarlo”.
Ci può essere anche una pazienza cattiva. In vista del crimine che vuole compiere, il criminale può essere paziente. È il fine che determina la qualità morale della pazienza.
Il cristiano sopporta i mali terreni in vista del bene eterno. La pazienza è componente delle virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza, temperanza.
La pazienza va esercitata in particolare contro il diavolo, che le prova tutte. La pazienza di Giobbe è diventata emblematica. “Dio ha dato, Dio ha tolto: sia benedetto il nome del Signore”. Giobbe è uomo di Dio: la sua pazienza è espressione di fedeltà in ogni circostanza.
La pazienza che guarda a Dio non è passività, non è l’atarassia (ἀταραξία, “assenza di agitazione”), l’imperturbabilità degli stoici. È un mettersi nelle mani di Dio con fiducia e riconoscenza, in vista del bene più alto. In questo senso i nostri nonni avevano proprio ragione quando dicevano “santa pazienza”.
Se in questi giorni ci armeremo di santa pazienza, ne usciremo più forti. Perché più vicini a Dio.
A.M.V.
RVC. QUELLO CHE MANCAVA AL PADRENOSTRO DEL PAPA, OGGI.
Romana Vulneratus Curia (RVC per amici e nemici, e troll, che – sarà il Covid 19 – ci sembrano meno presenti e infestanti, ha partecipato alla recita del Padre Nostro di mezzogiorno indetta dal Pontefice per le vittime del Covid 19, e per quanti stanno combattendo per debellarlo. Ci ha scritto, RVC, e con un intuito formidabile ha anche capito che il vostro povero blogger in questi ultimi tempi di omelie e predicozzi di vario genere ne ha un po’ fin sopra i capelli (ci si è messo pure il Presidente del Consiglio, a istruirci sui nostri stili di vita…pensi al suo, e vada a rendere conto al Parlamento, come si fa in democrazia. Chiusa parentesi). Ma giusto perché è Romana Vulneratus Curia gliela facciamo passare, questa quasi omelia…sperando che arrivi al vero destinatario, all’attico di Santa Marta. Buona lettura.
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Caro Tosatti, non sbuffi la prego, dicendo ecco un‘altro predicozzo. Ho appena ascoltato al TG1 la preghiera del Papa per l’epidemia di coronavirus (un semplice Padre Nostro) letta alle ore 12, comunitariamente ed ecumenicamente con le altre religioni cristiane e, se ho ben inteso, auspicando la preghiera di ogni altra forma religiosa (anche pagana?).
Le propongo una riflessione, brevissima, che vorrei indirizzare al Papa, pregando perché qualcuno gliela faccia leggere.
Queste riflessioni potrebbero aiutarlo, in questo momento, a cogliere una grande opportunità di fare catechesi universale, efficace, degna della massima Autorità Morale al mondo.
E così aiutare tutta l’umanità che sta soffrendo di un grande male: la mancanza di Cristo. Vorrei proporgli due temi di catechesi: – Che succede senza Cristo. – L’importanza del peccato originale.
Che succede senza Cristo?
– Senza Cristo, o lontano da Cristo, la tendenza al peccato, che crea disordine morale e comportamentale, cresce, si diffonde, disorienta progressivamente la creatura umana.
– Senza Cristo, o lontano da Cristo, viene a mancare la luce della Rivelazione, e senza questa luce la creatura arriva a concepire il mondo fine a se stesso, senza alcun riferimento al Creatore, snaturando il senso della Creazione e della Redenzione, ed il conseguente senso della vita delle creature e delle stesse loro azioni.
– Senza Cristo, senza più riferimenti a Dio, si stravolgono le Verità essenziali, ma si stravolge quello che i santi hanno considerato il nutrimento essenziale dell’uomo. Sappiamo che i nutrimenti della creatura umana sono tre: quello corporale (materiale, per nutrirsi e vivere nel mondo secondo il proprio stato), quello intellettuale (razionale, per nutrire la ragione), quello spirituale ( per nutrire l’anima ). Senza Cristo l’uomo si nutre male intellettualmente, zero (digiuno assoluto…) spiritualmente e invece con ingordigia materialmente. Perdendo così l’unità di vita. E senza unità di vita il cattolico, figlio di Dio, non illumina più nessuno ed il mondo resta nelle tenebre.
– L’Importanza di riconoscere il peccato originale, per capire che fare.
Dopo il peccato originale, la cui verità è messa in discussione dalla nuova teologia rahneriana, post Concilio Vaticano II, si infrange l’armonia del Creato e quella della creatura. La sua intelligenza si offusca, si confonde e è pronta a cadere in errore. La volontà si inedebolisce. La libertà si ammala. Non si corrompe è vero, ma l’uomo trova ostacoli a percepire il bene e il male e perseguire il vero bene. Così dopo il peccato originale, i beni materiali e le capacità intellettuali dell’uomo ( che sono doni di Dio) possono pervertirsi, diventando mali per lui stesso. Separandolo da Dio.
Che fare quindi, oggi durante e dopo questa prova che stiamo sopportando con maggior o minor capacità di valorizzarla? Al di la dell’invito generico (anche del Papa ) di trarne beneficio, come si può realmente riuscirci?
Anzitutto riscoprendo il senso del peccato, vera origine della miseria morale e conseguentemente di quella materiale. Poi riscoprendo il famoso Timor di Dio, che non è “terror di Dio”, ma è rispetto dovuto a Dio ed alle sue leggi. Il “che fare” è conseguentemente semplice: l’uomo deve tornare ad essere immagine di Dio Padre. In tal modo santificherà se stesso e tutte le realtà terrene. Questa è la ricetta che ci si aspetta dall’Autorità Morale.
Le parole che abbiamo sentito oggi alle ore 12, pur riconoscendo che sono buone e opportune (essendo stati abituati negli ultimi anni a ben di peggio), non le abbiamo trovate sufficienti; mancando la riflessione di base e l’esortazione.
Oltre al Padre Nostro, abbiamo bisogno di parole dell’Autorità Morale, che riscaldino il cuore, animino l’intelligenza, illuminino. Necessitiamo parole che ci muovano a crollare in ginocchio, e piangendo, a chiedere, implorare, allo Spirito Santo di venire in mezzo a noi e farci intuire “che fare”, come accadde alla Pentecoste.
Un grande santo contemporaneo, San Josè Maria Escrivà, in “E’ Gesù che passa”, scrive che “la nostra fede ci insegna che tutta la creazione, il movimento della terra e degli astri, le azioni rette della creatura e ciò che esiste di positivo nel corso della storia, tutto insomma, viene da Dio e a Dio è ordinato”.
Più chiaro di così! <Adora solo il Signore Dio tuo…>.
Se ciò non avviene, il processo di globalizzazione, di per sé neutrale, si può corrompere. Ciò è quello che è avvenuto quando negli ultimi trenta anni lo abbiamo forzato per fini indicibili, disconoscendo ogni legge naturale e razionale.
Uno dei disordini conseguente è stata questa pandemia. Non punizione, ma conseguenza dei disordini.
RVC
Marco Tosatti
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