ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 5 marzo 2020

Invece di chiudere le chiese..

Venezia, la peste e le processioni con la Madonna Nicopeia

Quando la peste colpì Venezia nel 1630, invece di chiudere le chiese, si celebrarono messe, furono elevate preghiere pubbliche e si tennero processioni con la Madonna Nicopeia, chiedendo le sue intercessioni per salvare il popolo di Venezia. Nel 1631 la peste era sparita.
Riprendo la storia dal sito sandonatomurano.
Madonna di Nicopeia a Venezia
Madonna di Nicopeia a Venezia

A Venezia, all’imbocco del Canal Grande, troneggia nitida ed imponente sul paesaggio della città, la Basilica della Madonna della Salute. È una delle chiese più belle e grandiose di tutta Venezia e sta a testimoniare l’amore riconoscente dei Veneziani verso la Madonna, per averli liberati dal contagio della peste del 1630. 
Non è la prima volta che essi fanno la triste esperienza di quanto sia terribile la peste: quella del 1348 ha portato via i due terzi della popolazione, e quella del 1575, anche se meno violenta, è così insistente e duratura che la Serenissima ricorre all’aiuto divino e fa voto di costruire la Chiesa del Redentore alla Giudecca. Quella del 1630 è particolarmente violenta, e Venezia presenta uno spettacolo desolantissimo: i lazzaretti sparsi per le isole sono incapaci di contenere gli appestati che pertanto rimangono nelle case, il più delle volte senza medici, essendo insufficienti, quelli rimasti, per un servizio tanto intenso. Le medicine presto si esauriscono, ed anche le riserve di viveri vengono a mancare. Persino i cadaveri non trovano degna sepoltura e rimangono abbandonati per le strade, aumentando il contagio tra i vivi. 
Sono stati i Lanzichenecchi, venuti in Italia per l’assedio di Mantova, a diffondere la peste che in un baleno infetta la Lombardia e quindi l’Italia tutta: è la peste descritta con tanto realismo da Alessandro Manzoni ne I Promessi Sposi. 
Venezia, città di mare e di grandi commerci, forte della esperienza passata, prende ogni precauzione per evitare che il male entri nella laguna, ma il morbo compare improvvisamente in città portato, dicono gli storici, dall’ambasciatore di Carlo Gonzaga Nevers, il marchese de’ Strigis, che si reca a trattare la pace con l’Imperatore Ferdinando II, portando con sé preziosi doni, ed una lettera per il Doge Nicola Contarini. Il Senato della Repubblica lo blocca al suo ingresso in città e lo obbliga ad una quarantena, prima nell’isola del Lazzaretto vecchio e poi, per sua comodità, nell’isola di San Clemente. Ma per inevitabile fatalità, o per imprudenza da parte del falegname che presta alcuni lavori di adattamento della casa, la peste che colpisce l’ambasciatore ed i suoi familiari, compare nella contrada di San Vito, poi in quella di San Gregorio, ed in breve in tutte le contrade. 
In mezzo a tanta sventura, Venezia, ormai incerta e disorientata, si trova impotente a lottare contro il male. Il Patriarca Giovanni Tiepolo, con il Clero ed i fedeli, “versando lagrime di dolore e di compunzione”, guida pubbliche processioni e solenni esposizioni del SS.Sacramento in Cattedrale, ad implorare la clemenza del Cielo. 
Il Doge ed il Senato della città deliberano che per quindici sabati si facciano in San Marco particolari preghiere con processione, portando l’immagine miracolosa della Vergine, seguita da tutte le Autorità. I
l 26 ottobre, primo dei quindici sabati, dopo la processione, sotto le volte maestose di San Marco, davanti alla statua della Madonna Nicopeia, il Doge, a nome di tutta Venezia, con voce che tradisce l’emozione, pronuncia il Voto di «erigere in questa Città e dedicare una Chiesa alla Vergine Santissima, intitolandola Santa Maria della Salute, e che ogni anno, nel giorno che questa Città sarà pubblicata libera dal presente male, Sua Serenità et li successori suoi anderanno solennemente col Senato a visitar la medesima Chiesa a perpetua memoria della Pubblica gratitudine di tanto beneficio». 

Basilica Madonna della salute a Venezia
Basilica Madonna della salute a Venezia

Per l’erezione della Chiesa viene scelta l’area della Trinità, nel posto dell’antica dogana marittima, fino ad allora occupata dal Seminario. Tra i tanti, viene scelto il progetto di Baldassarre Longhena, allora ventiseienne, ed il 1° aprile 1631, nonostante la malattia del Doge, viene benedetta la prima pietra. La costruzione però, che inizia solo nel 1633, si protrarrà a lungo: nel 1653 la Chiesa viene aperta al culto, ma potrà essere solennemente consacrata solo il 9 novembre 1687, a lavori ultimati. L’architetto Longhena, che non avrà la consolazione di vedere l’opera finita, perché muore ottantaseienne nel 1682, crea un vero capolavoro, una delle opere più belle e fantasiose dell’architettura barocca. 
Ideata a forma di corona del Rosario, e preceduta da quindici gradini, quanti sono i misteri del Rosario, è di pianta ottagonale coperta da una grande cupola emisferica, su un alto tamburo. Una cupola minore, affiancata da due campanili, copre il presbiterio. La facciata, preceduta da un’ampia scalinata, si presenta come un grandioso arco di trionfo, nel quale si apre il portale. L’interno, vasto e luminoso, è caratterizzato dall’ampio vano della cupola centrale, delimitato dalle colonne e pilastri che reggono le otto arcate. Nel perimetro della rotonda si aprono sei cappelle ed, in fondo, quella con al centro l’Altare maggiore marmoreo, veramente monumentale. In alto, sulle nuvole, la statua della Madonna, in piedi come una maestosa Signora che regge sul braccio sinistro il Bambino. Sulla destra un angioletto scaccia con una fiaccola la peste, raffigurata da una vecchia strega; sulla sinistra, una nobile signora prostrata in preghiera rappresenta Venezia; ai lati dell’altare le statue di San Marco e di San Lorenzo, patroni di Venezia. Al centro dell’altare è collocata, dal 21 novembre 1670, l’Icona della Madonna detta Mesopanditissa (Mediatrice di pace) portata da Francesco Morosini dopo che l’isola di Creta cade nelle mani dei Turchi.
Di Sabino Paciolla

ANCONA, IL VESCOVO: CHIESE APERTE, MESSE CELEBRATE CON PRUDENZA.

(Antica immagine contro il morbo. Cortesia Radio Spada)
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, il prof. Ettore Gotti Tedeschi ci ha scritto in relazione alla saggia e coraggiosa decisione del vescovo di Ancona, mons. Angelo Spina, per quanto riguarda il Coronavirus e le celebrazioni liturgiche. Pubblichiamo molto volentieri la sua lettera, e i documenti allegati.

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Caro Marco, ti allego alcuni documenti ricevuti dal prof Giorgio Nicolini, ai quali vorrei fare solo due righe di introduzione. Quello che segue è un esempio di “ santa testardaggine “ (del prof. Nicolini) e una dimostrazione di “esemplare carità, coraggiosa, ma anche umile”, da parte dell’Arcivescovo di Ancona e Osimo, mons. Angelo Spina, cui tutti noi dobbiamo riconoscenza per la chiarezza della risposta.
Mercoledì delle Ceneri, il prof Giorgio Nicolini, esempio vivente di “santa testardaggine”, che tutti conosciamo per la sua strenua difesa – contro tutti – della Miracolosa Traslazione della Santa Casa di Loreto, ha scritto una (allegata) lettera ai Vescovi delle Marche implorandoli di tenere aperte le chiese e celebrare le funzioni religiose (con tutta la prudenza necessaria).
E lo ha fatto (lui che si dilunga sempre un pò troppo quando scrive…) in poche righe e una espressione evangelica: – Gesù “non fece molti miracoli a causa della lror incredulità” ( Mt 13,58).
E’ bastata una frase evangelica a muovere un santo Vescovo.
Il 3 marzo SER il Vescovo di Ancona (allegato) emana un comunicato nel quale spiega che ci si deve attenere alle Ordinanze, ma dice anche che “le nostre celebrazioni religiose restano in pieno vigore”.
Invita a tenere le chiese aperte per la preghiera individuale, raccomandando solo la necessaria prudenza.
Su invito di Nicolini, ti pregherei di volerlo pubblicare.
Tuo Ettore Gotti Tedeschi

§§§


Ecc.ze Rev.me
VESCOVI DELLE MARCHE                                                                     Ancona, lì 26 febbraio 2020
Loro Sedi                                                                                                           Mercoledì delle Ceneri
Interpellato da molti fedeli d’Italia e delle Marche, trasmetto una preghiera di tanti Cattolici che chiedono di ripristinare le funzioni religiose, dopo che proprio dall’odierno Mercoledì delle Ceneri, inizio della Quaresima, nelle Marche e in altre Regioni viene impedita la celebrazione delle Sante Messe.
L’attuale emergenza sanitaria è decisamente esagerata alla luce delle informazioni scientifiche e al netto del panico mediatico figlio dell’ignoranza in materia medica. In ogni caso tale emergenza non è tale da determinare la subordinazione della Chiesa Cattolica alle autorità civili e che abbiano la parola decisiva circa le modalità e i tempi del culto della Chiesa Cattolica, sempre ammesso che esistano al mondo motivi per lasciare la decisione al Presidente della Regione Marche, o al Presidente del Consiglio della Repubblica Italiana, che tra l’altro ha impugnato il provvedimento della Regione Marche come immotivato ed illegittimo.
Quando i cristiani avevano la fede, quando gli uomini confidavano in Dio, nei momenti di calamità, di pestilenze, di eventi avversi, i primi edifici ad essere aperti erano le chiese, i conventi, i monasteri. Si lasciava tutto e si correva a pregare, ad inginocchiarsi, a chiedere la grazia davanti alla Santissima Eucarestia, si celebravano Messe, si recitavano rosari, si facevano processioni, si facevano suppliche, si ricorreva ad acqua benedetta e incenso.
Oggi i vescovi, i preti, chiudono le chiese per “sicurezza”, negano ai fedeli Gesù Eucaristia, che è il Farmaco per eccellenza, il Rimedio, la Soluzione, il Salvatore. Che speranza può avere un popolo se così si allontana dal suo Signore?…
Proprio ad Ancona esiste una chiesa, in località Posatora, ove gli anconitani del XVI secolo edificarono una Chiesa dedicata a Santa Maria Liberatrice, perché – mentre la città veniva decimata dalla peste – il senato anconitano e tutti i cittadini andarono in pellegrinaggio fuori città nella precedente chiesina ivi esistente che veniva denominata “Santa Maria in Pusatorio”, perché ricordava il luogo di una delle Traslazioni Miracolose della Santa Casa, e ivi fecero voto che in caso di liberazione dalla peste avrebbero edificato una chiesa più grande e più bella in onore della Santa Casa e della Vergine Lauretana ivi venerata. E la peste cessò immediatamente. Gli anconitani allora soddisfecero subito il voto fatto, edificando e consacrando nel 1545 l’attuale secolare chiesa di Santa Maria Liberatrice, così denominata per la ottenuta miracolosa liberazione dalla peste.
Oggi, neppure i Vescovi e i preti credono alla possibilità dei miracoli?… Ed impedendo a Dio di farli, come gli abitanti di Nazareth, ove – dice il Vangelo – Gesù “non fece molti miracoli a causa della loro incredulità” (Mt.13,58)!
In comunione, perciò, con i Santi di tutte le epoche, con la Fede delle generazioni passate e in particolare con i summenzionati “martiri di Abitene”, tanti fedeli delle Marche e d’Italia chiedono un atto di sereno coraggio e di testimonianza di fede per sbloccare una situazione umiliante, data la realtà della situazione.
In fede.
Prof. Giorgio Nicolini

§§§

Ed ecco il comunicato dell’arcivescovo di Osimo-Ancona, mons. Angelo Spina:

MONS. ANGELO SPINA
Metropolita di Ancona-Osimo
Ancona, 3 marzo 2020
Oggetto: COMUNICATO Arcivescovo di Ancona-Osimo del 3 marzo 2020
Carissimi sacerdoti, carissimi fedeli, di fronte al peggioramento della situazione sanitaria a causa del Covid-19 (coronavirus) il Presidente della Giunta Regionale delle Marche, Luca Ceriscioli, ha emesso una nuova Ordinanza con la quale proibisce nella Regione Marche ogni manifestazione pubblica dalle ore 00,00 del 4 marzo alle 24,00 di domenica 8 marzo. In conseguenza di ciò, anche noi come Chiesa siamo tenuti, nelle parrocchie della Regione Marche all’applicazione dell’Ordinanza, la quale richiede innanzitutto che si adottino le misure igienico sanitarie che sono già state —anche per quanto riguarda le nostre celebrazioni religiose, le quali restano in pieno vigore. Si consiglia agli anziani di non uscire di casa.
Tutte le chiese restino comunque aperte per la preghiera individuale che raccomando caldamente a tutti, soprattutto in questi frangenti.
Le Sante Messe feriali possono essere celebrate raccomandando ai fedeli prudenza ed evitare i contatti ravvicinati. Per le Sante Messe di domenica 8 marzo aspettiamo l’evolversi della situazione.
Per i funerali, poiché prevedono la partecipazione di un numero consistente di fedeli, si raccomanda la Celebrazione con il rito breve e solo con i parenti stretti.
Fino alle ore 24,00 di domenica 8 marzo sono sospesi gli incontri di catechismo e dei gruppi parrocchiali, le attività di oratorio, di dopo-scuola, sportive, teatrali, cinematografiche e ogni genere di aggregazione.
Per quanto riguarda i servizi della Caritas diocesana consultare il sito della diocesi: www.diocesi.ancona.it
Accettiamo queste limitazioni, anche se ci costano molto. Continuiamo a pregare per tutti coloro che sono colpiti dal virus, per coloro che li assistono, per quanti hanno responsabilità pubbliche e di governo e chiediamo al Signore, anche per l’intercessione della Beata Vergine Maria, che ci liberi da questo male.
+ Angelo, Arcivescovo

Marco Tosatti
5 Marzo 2020 Pubblicato da  6 Commenti --

Sulla mano o sulla bocca? Il coronavirus e il modo di ricevere l’Eucaristia

Alcuni sacerdoti cattolici, un vescovo e un gruppo di laici stanno sfidando l’idea secondo la quale vietare la Santa Comunione sulla lingua a favore della Comunione sulla mano diminuirebbe il rischio di diffondere il coronavirus.
Sia i sacerdoti sia il vescovo – scrivono Paul Smeaton e Pete Baklinski su LifeSiteNew – hanno sottolineato che ricevere la comunione sulla mano comporta il rischio non solo di perdere preziosi frammenti dell’ostia consacrata, ma anche di aumentare la diffusione di germi e malattie.
Queste prese di posizione arrivano proprio mente in tutto il mondo le autorità della Chiesa stanno chiedendo di ricevere la Comunione sulla mano, nell’ambito delle misure per contrastare il coronavirus.
La Conferenza episcopale cattolica di Inghilterra e Galles ha pubblicato una guida per le parrocchie nella quale si spiega che nella situazione attuale, con pochi casi di coronavirus nel Regno Unito, “chiunque abbia sintomi di raffreddore o influenza” dovrebbe essere invitato a ricevere l’ostia solo sulla mano, e “dovremmo farlo comunque, a ogni stagione influenzale”. I vescovi dicono inoltre che se la situazione si aggraverà le parrocchie dovranno essere invitate a sospendere la distribuzione del Preziosissimo Sangue dal calice e l’ostia dovrà sempre essere presa sulla mano.
Alcune diocesi francesi hanno già vietato la Comunione sulla lingua. Stessa linea a GerusalemmeSingapore e Filippine, così come in alcune diocesi statunitensi. Ad Abu Dhabi monsignor Paul Hinder, vicario apostolico per l’Arabia meridionale (circoscrizione ecclesiastica che comprende Yemen, Oman ed Emirati Arabi Uniti) ha emanato norme che non prevedono la sospensione delle Messe ma vietano la Comunione sulla bocca.
Il vescovo Athanasius Schneider, ausiliare di Astana nel Kazakistan, sostiene però che “la Comunione in bocca è certamente meno pericolosa e più igienica rispetto a quella sulla mano”. Infatti, “da un punto di vista igienico, la mano trasporta un’enorme quantità di germi. Molti agenti patogeni vengono trasmessi attraverso le mani. Stringendo le mani di altre persone o toccando frequentemente oggetti, come maniglie delle porte o corrimano e maniglioni sui mezzi pubblici, i germi possono passare rapidamente da una mano all’altra; e con queste mani e dita non pulite le persone toccano spesso il naso e la bocca. E i germi possono sopravvivere per giorni sulla superficie degli oggetti toccati”.
Secondo Schneider, qualsiasi divieto di comunione sulla bocca è “infondato”, ed è come se le autorità della Chiesa stessero usando il coronavirus come “pretesto” per rendere più banale il modo di ricevere la Comunione. Sembra, dice il vescovo, che alcuni rappresentanti cattolici mostrino una sorta di “cinica gioia” nel diffondere sempre di più “il processo di banalizzazione e de-sacralizzazione del Santissimo e Divino Corpo di Cristo nel sacramento eucaristico, esponendo il Corpo del Signore a veri pericoli di irriverenza (perdita di frammenti) e sacrilegio (furto di ostie consacrate)”.
Nessuno, afferma Schneider, può “forzare” un cattolico a ricevere il Corpo di Cristo in un modo che “comporta il rischio di perdita dei frammenti e una diminuzione della riverenza”, come succede nel caso della Comunione sulla mano. Piuttosto che ricevere la Comunione in un modo inadeguato, meglio fare una Comunione spirituale, “che riempia l’anima di grazie speciali”. D’altra parte, “quando, in tempi di persecuzione, molti cattolici non sono stati in grado di ricevere la Santa Comunione in modo sacramentale per lunghi periodi di tempo, si sono affidati alla Comunione spirituale con grande beneficio spirituale”.
Il sacerdote statunitense John Zuhlsdorf spiega nel suo famoso blog che in base alla sua esperienza di “quasi tre decenni di distribuzione della Comunione in entrambi i modi”, non crede che la Comunione sulla mano sia più sicura, dal punto di vista igienico, della Comunione sulla lingua.
“Quando distribuisco la Comunione direttamente sulla lingua – dice padre Zuhlsdorf – raramente ho un contatto con la lingua. Quando invece si distribuisce sulla mano, c’è abbastanza spesso un contatto con le dita o i palmi delle mani della persona che si comunica”. Per questo padre Zuhlsdorf pensa che “una corretta Comunione sulla lingua sia più sicura”. Inoltre, un vescovo “non può chiedere di dare la Comunione sulla mano durante una Messa in rito antico”, perché “la legislazione stabilita da Summorum Pontificum per la Chiesa latina ha valore universale e i vescovi non possono ignorarla”.
Altri sacerdoti, come Ryan Hilderbrand e Ray Blake, hanno scritto su Twitter che quando distribuiscono la Comunione sulla lingua, soprattutto se il fedele sta in ginocchio, non entrano mai in contatto con il fedele, mentre lo fanno spesso quando la Comunione è ricevuta sulla mano.
La Latin Mass Society con sede nel Regno Unito, associazione di fedeli cattolici che promuove la liturgia tradizionale nella Chiesa cattolica di rito latino, ha diffuso una dichiarazione in cui si spiega che in “celebrazioni della forma straordinaria e altri riti e usi tradizionali della Chiesa latina… la Santa Comunione non può essere distribuita nella mano, secondo la legge liturgica universale”.
La LMS osserva che le linee guida dei vescovi di ​​Inghilterra e Galles “non hanno la forma di un decreto con la forza del diritto canonico”.
La dichiarazione dell’LMS afferma che se la diffusione del Covid-19 dovesse richiedere la sospensione della distribuzione della Santa Comunione sulla lingua, i fedeli cattolici dovrebbero fare la Comunione spirituale.
Il vescovo Schneider sostiene che qualsiasi divieto di comunione sulla lingua “costituisce un abuso di autorità”.
A.M.V.
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Fonte: LifeSiteNews
Foto tratta da LifeSiteNews

I cattolici al tempo del coronavirus / 10


Cari amici di Duc in altum, nuova puntata della serie I cattolici al tempo del coronavirus. Ringrazio tutti per le testimonianze. Scrivetemi utilizzando la mia pagina Facebook
A.M.V.
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Qui Verona
Caro Valli, sono un prete di Verona. E sono profondamente amareggiato. È uscito l’ennesimo comunicato della Conferenza episcopale del Triveneto in cui si ribadisce il divieto assoluto di ogni celebrazione a causa dell’emergenza coronavirus. Il nostro vicario generale ci ha anche ricordato che vi è il rischio di procedimento penale contro chi fosse sorpreso in flagranza di reato da qualche zelante cittadino che potrebbe avvisare l’autorità. Non so che cosa pensare di questo continuo invito a codardia e pusillanimità. Nel comunicato dei vescovi non vi è nessun riferimento a Dio, in nessun modo. E pensare che stavano agli esercizi spirituali! Chiesa in uscita, sì, di senno! Deus adiuvet nos!
Lettera firmata
Verona
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Qui Milano
Caro Valli, non comprendo una cosa: se le chiese vanno chiuse e le Messe sospese perché occorre evitare gli affollamenti, per quale motivo i centri commerciali sono aperti? E, dato che nessuna risposta può venire, suggerisco di andare a dir Messa al locale centro commerciale.
Se qualcuno lo fa, avvertitemi. Io non sono un frequentatore della Messa quotidiana, ma questa volta ci vado, anche solo per dispetto.
Grazie per il suo lavoro.
Lettera firmata
Milano
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Qui Arluno (Milano)
Io e mia figlia domenica scorsa abbiamo passato il confine regionale e siamo andate alla Messa a Trecate. Mezz’oretta di viaggio.
Abbiamo anche avuto il piacere di vedere un prete con la talare (wow!) che conduceva bei canti con una bella voce.
Se qualcuno conosce Messe clandestine in zona, prego di contattarmi in privato.
Annamaria Zapparoli
Arluno (Milano)
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Qui Trieste
Chissà perché, ma io ci vedo lo zampino del diavolo: chiese chiuse, acqua santa zero, comunione sulla mano obbligatoria. Ma con le mani si tocca tutto e sono sporche, come si fa a ricevere il Santo dei Santi sulla mano? Noi miseri e indegni peccatori, che per Sua grazia la riceviamo sulla bocca, dobbiamo pregare perché tutto si risolva.
Isabella Schiraldi
Trieste
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Qui Piacenza
Caro Aldo Maria, leggendo le cronache dei temerari “transfrontalieri” della Santa Messa nel Canton Ticino, mi è venuta voglia di proporre anche la mia piccola testimonianza. In questo tempo di social media, mezzi che io spesso critico in quanto diseducativi, WhatsApp è venuto in aiuto a me e a mia moglie per donarci una Santa Messa clandestina. Arriva un messaggio: “Oggi, domenica, la Santa Messa si celebra a…”. È il Don che avvisa i fedeli. Eccoci dunque nella campagna emiliana, in vero stile Don Camillo, in una chiesetta isolata. La luce è poca, ma i credenti sono numerosi, ed è presente anche la piccola Chiara, di soli quindici giorni, che prende la benedizione assieme a mamma e papà giovanissimi. Beh, questa sì che è resilienza! Tutto grazie al nostro Don Camillo!
Un caro saluto tramite Duc in altum a tutti i cattolici che non possono fare a meno di incontrare Gesù Eucarestia.
Lettera firmata
Piacenza
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Qui Padova
Sono rimasto letteralmente basito quando ho letto il comunicato dei vescovi del Veneto sull’emergenza coronavirus e relativi provvedimenti.
Si afferma che togliere la Messa ai fedeli sarebbe un gesto di “carità pastorale” (sic!).
Non ho parole. Grazie a Dio, domenica scorsa abbiamo potuto partecipare a una Messa clandestina alle 7:30 di mattina (e i miei meravigliosi figli non hanno assolutamente protestato).
Confido nel Signore perché ci permetta di continuare a farlo.
Amedeo Petrella
Padova

Massimo Viglione e l’epoca della Cristianità

L’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân sulla Dottrina Sociale della Chiesa ha da poco pubblicato la recensione all’ultimo libro di Massimo Viglione, dal titolo “Dal buio alla luce. Civiltà cristiana e Medioevo. Dalle origini al 1303” (Maniero del Mirto, 2019). Di seguito il testo.
Viglione libro: Civiltà cristiana e Medioevo

di Silvio Brachetta

La vecchia scuola, che continua a imporsi come modernità, ha concluso la sua corsa nella storia con un successo planetario. È passata nel pensiero comune la grande sostituzione: la differenza tra bene e male non ha nulla a che fare con l’etica, ma con il tempo. Il passato è il male, il presente è il bene. Il pancronologista attuale è convinto che l’unico fondamento della realtà sia il tempo. E non solo ne è convinto lui, ma è riuscito a imporre una civiltà (che però è una contro-civiltà) alle masse, rieducate forzosamente al pancronologismo vittorioso di cui sopra. Non c’è alcun settore dell’umanità massificata che oggi abbia gli strumenti per rivedere o stroncare l’assioma moderno della superiorità del tempo presente.
Dopo almeno tre secoli di propaganda testarda, il passato più passato tra tutti e, quindi, il male in assoluto dei moderni è il Medioevo. Tutte le grandi epoche remote, benché primitive agli occhi del progressista fanatico, hanno diritto almeno ad un nome – età dell’oro, classicismo, ellenismo, umanesimo, rinascimento, risorgimento (con o senza maiuscole). L’epoca della Cristianità no. Non ha diritto a un nome, poiché secondo la fissazione cronologica della modernità, essa è la sublimazione della barbarie, il punto più basso dell’asservimento dell’uomo alla superstizione, il primitivo in essenza, il peggio che il tempo abbia potuto produrre. Un periodo storico, insomma, da liquidare come età di passaggio tra due periodi ben più importanti – medio evo, appunto.

Massimo Viglione sa che la verità è diversa dall’assioma moderno. E non si limita a saperlo, ma lo dimostra attraverso un grosso lavoro di quasi cinquecento pagine. Non si poteva fare qualcosa di più leggero? No, perché la modernità è costruita sulla leggerezza, sulla povertà o sull’assenza di contenuti, sull’improvvisazione ignorante, sul disimpegno presuntuoso, sulle convinzioni indimostrate, sul nichilismo, cioè sul niente, anche laddove si stampino libri e giornali nell’estensione delle tonnellate e dei milioni di copie vendute.
Non l’unica, ma certamente la più importante, è la proposta della formazione. Viglione intuisce che non ci sarà mai un antidoto alla follia moderna e modernista, se le persone non si riapproprieranno dei contenuti. La via della formazione personale e volontaria è forse una tra le più faticose – nel senso che leggere e studiare edifica, ma impegna – e tuttavia è l’unica propriamente efficace, perché oppone alla menzogna storica il suo opposto, che è la verità fattuale.

Il libro di Viglione non è un manuale di storia, come lui stesso precisa. Nemmeno la verità fattuale è sufficiente, nel senso che non basta elencare gli evangelici «segni dei tempi» per mezzo di un testo. Al contrario, Cristo è sconcertato dai suoi discepoli, che non sanno o non vogliono «giudicare» i tempi (cf. Mt 16, 3). Questa è la ragione per cui è necessario andare oltre il libro di storia classico e cercare di offrire un testo di filosofia o di teologia della storia, ovvero un testo ragionato. È richiesto, da Dio stesso all’uomo, non tanto il semplice conoscere la storia, ma il giudizio su di essa.
Lo storico, che abbia a cuore l’apostolato e che voglia contribuire alla formazione secondo verità, è tenuto non solo a descrivere l’avvenimento, ma a chiedersi quale ne sia il fine teleologico, quale parola eterna venga pronunciata dietro le parole umane, se esista uno scopo o un disegno a  monte delle vicende, se le stesse vicende siano vissute dai protagonisti in modo conforme o difforme alla legge eterna, se si verifichino progressi o regressi di civiltà e come la gloria terrena si rapporti alla gloria di Dio.

Il Medioevo descritto da Viglione è un’epoca tutt’altro che buia, come invece è presentata dalla diffusa storiografia. La luce proviene da Cristo e illumina, per gradi, le azioni umane, per cui s’innesca una crescita spirituale ininterrotta, che si trasforma anche in una crescita materiale, tecnica e scientifica. La civiltà medievale – la Christianitas – si forma attraverso i secoli, con il supporto decisivo del monachesimo, delle riforme cluniacense e gregoriana, come pure degli ordini mendicanti. Ed è un supporto talmente efficace, che seguono a ruota le fondazioni secolari e permanenti della civiltà occidentale: scuola, università, ospedale, banca, città, magistratura, difesa, corporazione, farmacia. L’eterno, cioè, si concretizza e si trasforma in secolo, come mai avvenne in precedenza.
Il male – ieri come oggi, nel Medioevo come nel mondo contemporaneo – è onnipresente e incarnato nella malattia, nella guerra, nella morte, nella sofferenza, nella paura. La differenza sta, però, nella terapia: oggi non c’è un antidoto efficace al male. L’uomo moderno è soffocato dall’insignificanza, dalla morte spirituale e dalla sudditanza, illuso di essere libero e gaudente. La Cristianità, al contrario, si distingue perché vi è l’antidoto più efficace al male, che affranca l’homo viator, pellegrino sulla terra, dalla disperazione. Questo antidoto è la gemma della fede, che produce frutti nell’eternità e nel secolo, come proprio i fatti della storia dimostrano in abbondanza. E in questo clima inedito fiorisce il genio, la cortesia cavalleresca, la letteratura, l’arte, la scienza, l’autentica rinascita spirituale, la vera cura del male, fisico o psicologico.

Viglione presenta l’uomo medievale del tutto dissimile dal cittadino forgiato dalle rivoluzioni. Oggi l’uomo è profondamente solo. È un suddito dello Stato, al quale è richiesta obbedienza e sottomissione. È illuso da una pubblicistica falsa e martellante di essere lui il fine di tutto, quando invece lo Stato moderno pone se stesso come «fine supremo della vita umana». Del tutto dissimili dallo Stato, inteso in senso moderno, erano la Chiesa e l’Impero: non «due entità astratte, “culturali”» – scrive l’autore – «e nemmeno politiche nel senso moderno del concetto, ovvero statali, “leviataniche”».
Chiesa e Impero, cioè, non erano assimilabili a quel Leviatano di Thomas Hobbes dal potere illimitato e dispotico, che sovrasta l’uomo come autorità assoluta, lo schiaccia e gli impone leggi anche in contrasto con il diritto naturale. Chiesa e Impero, viceversa, con tutti i limiti della finitezza e dell’imperfezione umana, incarnavano l’«universalismo vissuto» dei popoli e delle nazioni. L’uomo medievale era, in tal modo, inserito in una «comunità spirituale» (la Cristianità, appunto), che gl’impediva di sentirsi solo o abbandonato. Il singolo – spiega Viglione – rimaneva sempre «il protagonista assoluto», inserito in un «universalismo particolarista» («o particolarismo universalista»), nel quale la realtà individuale era unita in perpetuo alla realtà universale.
Anche nello scontro tra Papa e Imperatore s’intravedeva sempre un minimo comun denominatore, che è l’orizzonte della Rivelazione. Anche nello scontro tra i «due universali», la civiltà non collassava, poiché l’anima aveva la capacità di fissare lo sguardo sull’eterno, a prescindere dalle preoccupazioni secolari.

Al di là, dunque, di tutte le difficoltà onnipresenti nella storia e ascrivibili ai conflitti o alle malattie, l’uomo medievale non fu mai «isolato». Il male era facilmente individuabile, perché non si negava mai l’evidenza. C’era tutta una società concorde con il singolo e tale concordia poggiava sul comune riferimento al Decalogo, tanto del principe, quanto del chierico. L’adulterio, ad esempio, era diffuso, ma a nessuno veniva in mente di trasformarlo in un comportamento lecito come avviene oggi né, tanto meno, nessun parlamento avrebbe legiferato a favore della distruzione della famiglia. L’usura era usura, l’omicidio era omicidio, l’aborto era aborto, il bene era bene, così come il male era male.
Viglione, infatti, parla della famiglia medievale «come cardine dell’intera società». Sono diffusi in tutto il testo ampi riferimenti alla Dottrina sociale della Chiesa, proprio per la capacità dei medievali di realizzarla. Dalla famiglia come fondamento della società alla nascita delle corporazioni di arti e mestieri, dalla costituzione dei corpi intermedi alla carità che pervade le istituzioni, il libro presenta efficacemente anche la Dottrina sociale, non in modalità teorica, ma applicata alla quotidianità del vivere, in quanto opera che tratta di storia. Si comprende, anzi, nella lettura, la genesi e l’attuazione medievale della Dottrina sociale, anche perché l’autore non comincia a trattare dal IV o dal V secolo, ma direttamente dall’inizio della storia della Chiesa, in modo da ottenere un quadro più preciso del dipanarsi degli eventi.

Con la rottura post scolastica dell’unità tra Chiesa e Impero, tra spirituale e secolare, tra fede e ragione (XIV secolo), la Cristianità va in crisi e comincia il traviamento della modernità. L’autorità si trasforma gradualmente in assolutismo e il potere politico scivola nel dispotismo. Si spezza quell’«armonia gerarchica tra sapienza e cultura» che, anche attraverso la teologia, aveva condotto all’esplodere della scienza, della bellezza artistica, del rinnovato ordinamento giuridico. E, tuttavia, nella modernità continua il cammino della scienza, dell’arte e del diritto, tanto il mondo attuale è figlio di quell’epoca.
Nonostante il rinnegamento del Medioevo e, dunque, della Cristianità, l’epoca moderna sussiste in ragione della robustezza delle fondamenta, che i nostri avi sono riusciti a costruire, unendo la fede in Dio all’intelletto. Viglione fa parlare il medievista Jacques Le Goff e dice che «nel Medioevo c’era tutto», tranne l’«ateo». Oggi invece abbiamo l’ateo, il laicista. In apparenza c’è tutto. Manca, a volte, un San Benedetto o qualcuno che sappia restaurare le cattedrali in rovina. A volte, però, non sempre, perché almeno c’è tutta una pubblicistica cattolica in piena attività.
Di Silvio Brachetta

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