ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 24 marzo 2020

Non sarà il caso di aprire gli occhi?

Chiose e postille di padre Giocondo / 11


Tanto per essere chiari
Caro dottor Valli, mi sono divertito un sacco – come dicono a Roma – nel leggere su Facebook i commenti al mio ultimo post Valutazioni papali papali: per alcuni padre Giocondo sarebbe lo stesso Aldo Maria Valli sotto mentite spoglie (ringrazio per l’onore di un tale accostamento, ma la mia povera penna dista anni luce da quella del brillante e profondo vaticanista); per altri invece padre Giocondo non esisterebbe affatto, né esisterebbe il suo convento con i suoi strampalati confratelli.

A conforto di tutti i lettori, benevoli e meno benevoli, mi permetto di precisare quanto segue: 1) io esisto veramente (Cartesio al mio posto direbbe: «Scrivo, dunque sono!»), appartengo a un ordine religioso e sono prete; 2) insieme con me esiste anche il mio convento con i diversi confratelli che vado presentando un po’ alla volta (non ho ancora finito di presentarli tutti); 3) ovviamente, il mio nome – come pure quello degli altri frati – è un semplice pseudonimo (cosa questa che il dottor Valli aveva già specificato fin dall’inizio: ma evidentemente c’è sempre qualche lettore un po’ distratto).
In tempi di coronavirus bisogna pur trovare un hobby o un diversivo per alleggerire la situazione: io ho trovato quello di affibbiare ai miei confratelli nomi impossibili che ne descrivano in breve le principali caratteristiche. E uno di loro ha fatto la stessa operazione nei miei confronti, regalandomi il nome con cui mi sottoscrivo.
E che bisogno ci sarebbe di occultare la propria identità, ricorrendo a un nome di fantasia?
Se qualcuno pone questa domanda, allora vuol dire che non ha capito un fico secco dello stato dittatoriale e inquisitorio in cui è precipitata la Chiesa cattolica da sette anni a questa parte, ed è completamente ingannato dalla patina di buonismo che ancora avvolge la vera identità degli attuali padroni della Chiesa stessa.
Fratelli e sorelle, non sarà il caso di aprire gli occhi una volta per tutte?
Ma passiamo al tema di questo post.
Il miracolo più strepitoso
Caro dottor Valli, in questi giorni ci sono giunte in convento due e-mail importanti: 1) la prima del nostro superiore provinciale padre Adolfo da Furore [1] il quale ci ordina di chiudere le nostre chiese e di evitare qualsiasi contatto con la gente di fuori; 2) la seconda del nostro vescovo diocesano il quale, salvo in ogni caso il rispetto delle recenti indicazioni prudenziali della Cei, ci invita a lasciare le chiese aperte specie durante la celebrazione delle Messe di orario, a rimanere a disposizione dei fedeli per qualsiasi necessità spirituale e a fare in chiesa «tempi generosi di adorazione eucaristica».
È inutile dire che la nostra comunità ha scelto immediatamente di aderire alle richieste del vescovo, riservandoci poi di comunicare la cosa al nostro segretario provinciale, padre Buro da Zagarolo. [2] Si è anche deciso di fare alcune ore di esposizione sia al mattino che al pomeriggio, assegnando il coordinamento del tutto al sottoscritto.
In questo modo mi trovo a trascorre diverse ore al giorno nella nostra chiesa, alla presenza del Signore solennemente esposto: e ne sono felice! Un po’ sto in ginocchio, un po’ seduto, e un po’ passeggio su e giù lungo la navata laterale, in dialogo orante con l’Ospite divino. Mi sembra a volte di assomigliare al don Camillo di Guareschi, che percorreva ad ampie falcate la sua chiesa, dialogando ad alta voce con il grande crocifisso del presbiterio, che puntualmente gli rispondeva. Certo, a me il Signore non risponde allo stesso modo, ma se pongo attenzione non mi fa mancare le sue ispirazioni.
E se la cosa può interessare a qualcuno, ecco che cosa gli dico.
Innanzitutto, lo adoro profondamente. Egli è il tutto e noi il nulla, io in particolare. La sua sapienza è semplicemente strabiliante, specie quando riesce a umiliare la superbia del mondo intero servendosi di una entità invisibile e inafferrabile, prodotta – come tutti sospettano – dall’uomo stesso in qualche laboratorio, per finalità indicibili.
Poi gli ricordo che, certo, sono molto preoccupato per la salute corporale di tante persone in Italia e in molte altre nazioni della terra; ma ciò che mi preoccupa ancora di più è la salute spirituale della sua Chiesa, terribilmente confusa e divisa al suo interno, per colpa di colui che ne regge le sorti a partire dal 19 marzo 2013.
E a tal proposito, con le lacrime agli occhi e il sorriso nel cuore, ringrazio il Signore perché per mezzo di “fratello virus” è riuscito a svuotare in un attimo la basilica e la piazza San Pietro, ridimensionando terribilmente il sovrano, la sua corte e le sue iniziative. E aggiungo ad alta voce: «Signore caro, hai fatto trenta: adesso fa’ trentuno!».
Lui mi capisce a volo, ma i lettori forse no; perciò mi spiego.
Chiedo al Signore che compia un miracolo ancora più strepitoso: cioè che per mezzo di “fratello virus” convinca il pontefice regnante e i guardiani della sua folle rivoluzione ad abbandonare per sempre Roma! Sì, avete letto bene: abbandonare per sempre Roma, la Città Eterna, la Sede dell’apostolo Pietro e dei suoi successori! Sarebbe una grazia incommensurabile, un evento epocale, la fine di un incubo terrificante!
Questa idea non è il frutto di una cattiva digestione notturna, ma lo sviluppo logico di ciò che si veniva vociferando in tempi non sospetti, da parte di persone non lontane dall’attuale dirigenza vaticana: l’ipotesi di un trasferimento di Bergoglio a Guidonia, nell’estrema periferia nord della diocesi di Roma; o addirittura di un suo trasferimento in Messico (il che sarebbe molto ma molto meglio, sotto tutti i punti di vista). La prima voce prese a circolare nel gennaio del 2017, la seconda nel maggio del 2019.
«Signore caro, hai fatto trenta: adesso fa’ trentuno!».
Quanto vorrei che anche altre persone, comprese le numerose monache di clausura che seguono con affetto Duc in altum, si unissero a questa preghiera! Chiedo troppo? Suvvia, reverende consorelle: tra tante intenzioni che deponete quotidianamente nel Cuore sacratissimo del vostro Sposo celeste e nel Cuore immacolato della sua dolcissima Madre, aggiungete anche quella che mi sono permesso di suggerire.
Ci può sostenere in una simile richiesta, che potrebbe apparire un po’ impertinente, un passaggio dei messaggi di Anguera, già citato qualche tempo fa: «Cari figli, verrà il giorno in cui le maschere cadranno e i lupi fuggiranno» (messaggio n. 4556, del 14 novembre 2017).
Vergine santa, corredentrice e mediatrice di grazia, tu sai meglio di noi che cosa può essere utile per la santa Chiesa, e cosa no. Come figli smarriti noi ti manifestiamo i nostri desideri, che a volte hanno un senso e a volte no. Su una cosa, però, non ci dovrebbero essere dubbi: sono passati ormai sette anni dalla rinuncia di papa Benedetto all’esercizio attivo del suo ministero petrino, e le sue forze vanno scemando velocemente. Occorre quindi che nella Chiesa vi sia una svolta, una chiarificazione che allontani i dubbi e le nebbie; una purificazione che separi per sempre il grano dalla pula.
Vergine santa, fa’ presto, perché sono già sette anni che non abbiamo più vino!
Padre Giocondo da Mirabilandia
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[1]          Furore è un comune in provincia di Salerno.
[2]          Zagarolo è un comune in provincia di Roma.

“Ex malo bonum”. Ma il male occorre prima riconoscerlo

Cari amici di Duc in altum, ho ricevuto una lettera dai toni forti e accorati. Ve la propongo qui, come spunto di riflessione su tante questioni che ci stanno a cuore.
A.M.V.
***
Caro Valli, “caritas Christi urget nos” (2 Corinti 5, 14), l’Amore di Cristo mi spinge a fissare in un testo le mie povere riflessioni in questo grave frangente della storia patria e della vita della Santa Madre Chiesa.
Lo stesso amore per la Chiesa, corpo mistico di Cristo e altresì militante nel tempo presente, ha motivato i miei pensieri “in spirito e verità” (Giovanni 4, 23), ben conscio che “non potest Deum habere Patrem qui Ecclesiam non habet Matrem”, non può avere Dio per Padre chi non ha la Chiesa come Madre (San Cipriano, De unitate Ecclesiae, VI).
Increduli, dolenti, smarriti e sgomenti, assistiamo tuttavia all’incapacità di gran parte dei pastori della Chiesa di proporre una parola di Verità che liberi il buon popolo di Dio e l’umanità intera dal timore e dalla paura. “L’umanità ora ha paura di sé stessa […] Sta sacrificando la sua libertà alla paura che ha di sé medesima”, scriveva profeticamente Georges Bernanos.
Oggi, veramente attoniti, vediamo padri e pastori che ai figli che chiedono un pane danno una pietra; o se gli chiedono un pesce, gli offrono al posto del pesce una serpe; o se gli chiedono un uovo, gli danno uno scorpione (cfr. Lc. 11, 11-12).
Abissus abissum invocat, quia iudicia Dei non comprehendentur” (Salmo 42), l’abisso chiama l’abisso, poiché i giudizi di Dio non sono compresi! Padri e pastori della Chiesa si sono zittiti o hanno riservate vacue parole d’igienisti sociali improvvisati e, pertanto, sprovveduti. Sì, osiamo pensarci! Pensiamoci almeno noi, per essere uomini liberi e veri! Dio giudica noi e la Storia, così come salva e perdona, e pare ora compiersi “il tempo in cui il giudizio ha da cominciare dalla casa di Dio; e se comincia prima da noi, quale sarà la fine di quelli che non ubbidiscono al Vangelo di Dio?” (1 Pietro 4, 17).
Un flagello si è abbattuto sull’umanità, ma ancor più gravemente si sta scagliando con tutta la sua veemenza sulla Santa Chiesa e senza che essa se ne renda conto e appaia capace di qualche sensata reazione. Senza che essa abbia il coraggio di “attingere acqua con gioia alle fonti della salvezza” (Isaia 12, 3) e, come Abramo, di «credere, saldo nella speranza contro ogni speranza» (Romani 4,18).
Il giudizio di Dio, anche quando si manifesta in maniera così sconvolgente nel tempo presente – a differenza di quello ultimo e definitivo che Dio pronuncerà su ogni uomo e sull’intera storia dei popoli – è per la correzione dell’uomo e delle comunità. Lo scrive l’apostolo Giovanni nell’Apocalisse: “All’angelo della Chiesa di Laodicèa scrivi: Così parla l’Amen, il Testimone fedele e verace, il Principio della creazione di Dio: Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca. Tu dici: sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla», ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo. Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, vesti bianche per coprirti e nascondere la vergognosa tua nudità e collirio per ungerti gli occhi e ricuperare la vista. Io tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo. Mostrati dunque zelante e ravvediti. Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese“ (Apocalisse 3, 14 – 19. 22).
Di fronte al triste spettacolo che la Chiesa di Dio sta offrendo, da parte di tanti e troppi dei suoi pastori, al mondo intero e alla storia, ritornano alla mente i racconti dello storico ebreo Giuseppe Flavio nel suo De bello judaico. Nel 70 d. C. le truppe di Tito preparavano l’assalto finale a Gerusalemme e i sacerdoti del Tempio il 5 agosto per timore cessarono di offrire i sacrifici rituali davanti al Sancta Sanctorum. Ciò avvenne, come narra lo storico antico testimone oculare di quei fatti, dopo che per sette volte dall’anno 66 a quel fatidico 5 agosto sul Tempio era risuonato un grido misterioso: “Andiamo via da qui! La vostra casa vi sarà lasciata deserta!”.
Parole assai simili a quelle rivolte da Gesù a Gerusalemme, solo quarant’anni prima durante la sua Passione: “Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco: la vostra casa vi sarà lasciata deserta! Vi dico infatti che non mi vedrete più finché non direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!” (Matteo 23, 37-39). Da quel 5 agosto dell’anno 70, il culto e il Tempio, essenza stessa dell’Antica Alleanza della Torah e cuore del popolo ebraico, è cessato e mai più è ripreso: così – come notava Benedetto XVI – cessava la religione ebraica e nasceva il giudaismo.
Il numero sette, mi insegnava da bambino il rabbino capo di Verona, è il numero biblico della creazione ma anche del giudizio di Dio e della distruzione. Forse è un caso che tutto ciò stia accadendo nel compiersi del settimo anno di questo pontificato? Sette anni nei quali la Santa Chiesa di Dio è stata gettata dal suo supremo pastore nello sbandamento, nella confusione; è stata da lui spinta a essere un “campo di battaglia” fra opposte fazioni, a essere un “fronte di guerra” dove i più si agitano fra meschine incursioni alla ricerca del prestigio e del potere. “Un ospedale da campo” – si diceva – che alla bisogna è stato smontato in fretta e furia!
“Una Chiesa in uscita” – si diceva ancora fino all’altro ieri – che nel bisogno non ha avuto neppure necessità d’attendere il suono della tromba, per battere in disordinata ritirata e barricarsi dietro a porte e portoni. Doveva essere il pontificato della misericordia! Dimenticando che la misericordia è solo di Dio, non degli uomini.
Eppure, proprio quindici anni fa, l’allora cardinale Joseph Ratzinger aveva ammonito: “La misericordia di Cristo non è una grazia a buon mercato, non suppone la banalizzazione del male… Il giorno della vendetta e l’anno della misericordia coincidono nel mistero pasquale, nel Cristo morto e risorto”. E ancor più incisivamente continuava: “Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero… La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde, gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via… Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie” (omelia, Missa pro eligendo Pontifice, 18 aprile 2005).
In questi ultimi sette anni, abbiamo assistito attoniti e sgomenti al costante e incessante tentativo di una destrutturazione totale della fede cattolica, al dileggio della sua tradizione apostolica, al vilipendio delle sue istituzioni e al cedimento costante allo Zeitgeist, allo spirito di questo tempo. Abbiamo udito l’inenarrabile, per bontà di Eugenio Scalfari e di Repubblica; assistito all’incredibile, fino a idoli fallici e divinità pagane portate a spalla processionalmente da tronfi vescovi, immemori della sorte di Dathan, inghiottito dal deserto per aver fabbricato un vitello d’oro!
“Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere” (Matteo 7, 16-20).
Appunto dai frutti si riconosce la bontà dell’albero, anche di un pontificato, e le impietose statistiche, di ogni sorta, sono lì a dimostrare che i numeri di questi sette anni hanno tutti segno negativo! Di più, in questi cinquantacinque anni di post-Concilio, di quella tanto decantata assise che doveva essere stata in grado di leggere i “segni dei tempi”, la storia della Chiesa contemporanea dimostra la verità dell’insegnamento rivolto da Gesù ai farisei e ai sadducei: “I farisei e i sadducei si avvicinarono per metterlo alla prova e gli chiesero che mostrasse loro un segno dal cielo. Ma egli rispose loro: ‘Quando si fa sera, voi dite: bel tempo, perché il cielo rosseggia; e al mattino: oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo. Sapete dunque interpretare l’aspetto del cielo e non siete capaci di interpretare i segni dei tempi?’ Una generazione malvagia e adultera pretende un segno! Ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona” (Matteo 16, 1-4).
Ci sembra di assistere a un nuovo e tremendo 5 agosto dell’anno 70. Il culto pubblico è cessato, i templi svuotati e chiusi, i morti che seppelliscono i morti, i morenti lasciati senza alcuna pietas cristiana, i malati e sofferenti senza una parola di cristiana speranza, i credenti trasformati in meri spettatori, la Chiesa in balia di presuntosi e pavidi pastori. “Senza di me non potete far nulla” (Giovanni 15, 5), ammoniva Gesù i suoi apostoli nel congedarsi da loro, per consegnarsi “come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori” (Isaia, 53, 7).
Cari pastori d’anime della Chiesa di Cristo, senza Gesù non siete proprio nulla! Siete “solo un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna” (1 Corinti 13, 1)! “Or dunque – parola del Signore – ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti. Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore vostro Dio, perché egli è misericordioso e benigno, tardo all’ira e ricco di benevolenza e si impietosisce riguardo alla sventura. Chi sa che non cambi e si plachi e lasci dietro a sé una benedizione?” (Gioele 12, 12-14). Così il profeta ammoniva Israele mentre la terra era devastata dai flagelli e così ancora incitava i pastori d’Israele: “Cingete il cilicio e piangete, o sacerdoti, urlate, ministri dell’altare, venite, vegliate vestiti di sacco, ministri del mio Dio, poiché priva d’offerta e libazione è la casa del vostro Dio” (Ibidem 1, 13).
Sant’Agostino diceva: ex malo bonum! Sappiamo che da un male può venire del bene. Sicché combattiamo il male, ma accettiamo con riconoscenza il bene che ne segue, cercando di favorirlo. Per conseguire il bene dal male, tuttavia, è necessario vedere e comprendere l’origine del male; distinguerlo dal bene; e lottare perché il bene si affermi per la Chiesa di Cristo come per il mondo.
Anche per la nostra patria solo riconoscendo il male compiuto, anche quello politico, sociale e civile di scelte scellerate compiute negli ultimi decenni, sarà possibile rinascere i colpevoli, i complici insieme alle colpevolezze e alle complicità! Ad ogni spirito libero e informato i rei e le colpe sono noti. Affrontiamoli, allora!
Il XIV secolo, definito da uno storico il secolo ammorbato, fu un tempo di carestie, fame, guerre e peste. In quegli anni giunse anche la peste nera, ma non fu la sola calamità, con le truppe francesi in Italia giunse anche la sifilide, fu il tempo della Guerra dei cent’anni, delle lotte fra le signorie italiane, delle rivolte contadine, dello scisma d’Occidente e di un’improvvisa glaciazione. Al termine di quel secolo la popolazione italiana né usci dimezzata. Fu anche il secolo di grandi mistici come Brigida di Svezia, Caterina da Siena, Enrico Suso e Tommaso da Kempis.
Proclamando Caterina da Siena dottore della Chiesa, Paolo VI disse: “Ciò invece che più colpisce nella Santa è la sapienza infusa, cioè la lucida, profonda ed inebriante assimilazione delle verità divine e dei misteri della fede, contenuti nei Libri Sacri dell’Antico e del Nuovo Testamento: una assimilazione, favorita, sì, da doti naturali singolarissime, ma evidentemente prodigiosa, dovuta ad un carisma di sapienza dello Spirito Santo, un carisma mistico” (Omelia per la proclamazione di santa Caterina da Siena a dottore della Chiesa, 3 ottobre 1970).
Durante il XIV secolo, tuttavia, la fede restò indenne durante tanti lutti nefasti, e fu alla base dello slancio vitale dell’Italia nel XV secolo, appunto noto come Rinascimento. Ecco, per rinascere dopo questa crisi, alla Chiesa e all’Italia basterebbe ritrovare una fede lucida, profonda e inebriata dall’assimilazione delle verità divine e dei suoi misteri.
All’Italia servirà guardare agli errori commessi, alle tragedie consumatesi negli ultimi decenni ai compromessi accettati in nome d’illusori valori individualistici e relativistici per avere il coraggio, come uscendo dal XIV secolo, di costruire un nuovo Rinascimento, e non il tanto predicato, illusorio nuovo umanesimo, con politiche sagge, ardite, innovative, lungimiranti, e non più supine al mainstream dei Padroni del Caos!
A Dio piacendo, dopo l’attuale crisi, niente sarà più come prima nel mondo, nell’Unione europea, nell’Italia e persino nella stessa Chiesa. Sarà necessaria l’azione di uomini liberi dalle ideologie dei Padroni del Caos e forti in scienza, coscienza e anche fede! Se ne saremo capaci, questa crisi potrà diventare una κρίσις, un giudizio e una distinzione che apre nuovi orizzonti di opportunità. Alla nostra Patria e alla Santa Chiesa di Dio servirà un supplemento d’anima, di fede e carità, ma anche di tanta speranza.
Speriamo e per questo invochiamo san Giuseppe, patrono e protettore della Chiesa universale, amabile sposo della Vergine Maria, custode del bambino Gesù: che tanto male non smettiamo di combattere per godere un giorno, con l’aiuto di Dio, il bene che ne può derivare!
Gian Pietro Caliari
Brescia

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