Dal coronavirus al culturalvirus. Ma il pensiero di regime chi lo sconfiggerà?
Cari amici di Duc in altum, ho ricevuto da don Alberto Strumia questa riflessione che volentieri vi propongo.
A.M.V.
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Questo coronavirus è veramente terribile! Si stava così bene in un mondo in cui ognuno poteva fare quello che voleva! E ora sempre chiusi in casa, e guai se fai un passo fuori senza la “giustificazione” (come a scuola dopo un’assenza) aggiornata all’ultima versione del modulo ministeriale, che è soggetto continuamente agli upgrade come le app del cellulare. Quasi tutto giusto, per carità: la pelle bisogna salvarla a tutti i costi; la propria e quella degli altri. Ma a volte si esagera e ti trattano pure male, per strada, se osi dire qualcosa per giustificarti (lo sappiamo bene che succede).
Prima invece nel “paradiso terrestre” del “faccio quel che mi pare”, si poteva trasformare qualunque desiderio – anche quelli non proprio belli agli occhi dei più vecchi ben pensanti – in un diritto sacrosanto da legalizzare al più presto. E poi il bello era che non c’era più nessuna verità da condividere, nessun bene assoluto da riconoscere, nessun canone di bellezza estetica da rispettare, nessuna unione vincolante da mantenere per sempre… che fantastica libertà! Che vita meravigliosa! E invece, adesso, questo maledetto Covid-19 ci ha riportato ad un’arretratezza d’altri tempi, alla peste di manzoniana memoria. Ci costringe, con disgusto e rabbia, a pensare alla morte! Eravamo riusciti a nasconderla, a programmarla in modo così “dolce” (oggi si dice soft).
Siamo riusciti, a dire il vero, almeno a proibire i funerali e tutte quelle cerimonie superstiziose che si facevano in chiesa, ed è già molto. Che se le facciano al chiuso, se proprio ancora ci tengono! Poi passeranno anche loro e i giovani si occuperanno d’altro. Mangiare, bere, dormire, fare la spesa, comprare le sigarette e avere continuamente notizie aggiornate; e poi cantare alla finestra e al balcone: “Canta che ti passa!”. È già qualcosa. Come si stava meglio prima, però! Si poteva fare di tutto.
Però, a pensarci bene, c’è qualcosa che è rimasto uguale, del mondo di prima, del “paradiso terrestre” di prima. Già! Se ci avete fatto caso, in televisione, sui giornali, nei discorsi ufficiali, nelle prediche delle Messe virtuali (in TV o in streaming, come volete), ma anche parlando con gli altri, con le persone “normali”, bisogna dire solo sempre le stesse cose, ripetere il copione ufficiale, il copione di Stato; se abbozzi anche una frase “stonata”, in TV ti accusano di sciacallaggio o ti fermano per dare la pubblicità, e negli altri posti ti guardano male e non ti parlano più.
Ecco, il politically correct, il “pensiero unico”, quello sì, è rimasto identico passando dal “paradiso terrestre” di prima all’“inferno terrestre” di adesso. Immune da qualunque virus, c’è un materialismo di fondo (comprare le sigarette sì, andare a Messa no! Abortire sì, ricevere la Comunione no! L’eutanasia sì, l’Estrema unzione no! E così via) che è obbligatorio per tutti. Non aggiungo altro per non rischiare qualche “legale” sanzione…
Come somiglia a quella del Covid-19 questa immunità del pensiero unico, che lo fa passare indenne e nocivo da un paese all’altro, dal “paradiso terrestre” di prima – nel quale è pur nato il coronavirus – all’“inferno terrestre” di oggi, nel quale prospera. È sempre lui, come è sempre identico il “pensiero unico”: una retorica di regime tipica di un potere culturale dittatoriale, che ha privatizzato da molto tempo anche la fede, dopo aver corroso la ragione. Faremo una Pasqua con un Cristo che si vorrebbe ancora chiuso nel sepolcro, ben vigilato dai soldati dell’impero («Pilato disse loro: “Avete la vostra guardia, andate e assicuratevi come credete”», Mt 27,65).
Passato il coronavirus, rimarrà il “virus culturale” di un pensiero di regime, un “culturavirus”, un materialismo globale, comune a tutti i popoli, che ha sostituito il Dna delle loro culture e ha ormai abbondantemente infettato anche il Dna cristiano. Come il Covid-19, anche il virus delle menti e delle culture sarà mortale per moltissimi, resi incapaci di pensare, come oggi, ammalandosi, si diventa incapaci di respirare.
Chi sopravviverà al Covid-19 senza avere capito il collegamento tra i due virus (quello del corpo e quello della mente; diciamo pure, coraggiosamente, “dell’anima”) cercherà di rifare la vita di prima, se mai sarà ancora possibile, e non avrà imparato la lezione. Come un bambino che non impara niente dal castigo subito dai genitori (e pensare che c’è qualcuno che parla ancora di un castigo di Dio per la conversione e la salvezza degli uomini!). Chi sopravviverà al virus del pensiero unico, della cultura di regime, perché ne era già immune prima, ed è rimasto sano nella capacità di giudicare gli avvenimenti, grazie all’antidoto di un pensiero cristiano non contaminato, continuerà a parlare di verità irrinunciabili comuni a tutte le culture e a tutti i popoli, di principi etici comuni a tutte le culture e a tutti i popoli e, perciò non negoziabili, se si vuole ricreare un mondo vivibile. E continuerà ad annunciare Gesù Cristo come unica via di salvezza ultraterrena e terrena allo stesso tempo. Se sopravviverò, vorrò essere tra quelli!
Questo è l’annuncio della Pasqua! Cristo Risorto è l’unico salvatore dell’uomo!
don Alberto Strumia
LA GUARDIA SVIZZERA DICE: NON ANDATE IN CHIESA! DAVVERO!
Carissimi amici e nemici di Stilum Curiae, un post brevissimo per illustrarvi qualcosa che mi ha colpito davvero come singolare. Sulla pagina Facebook della Guardia Svizzera è apparso un post, che potete vedere, e che mi ha lasciato stupito.
Ho provato ad andare sulla pagina Facebook dei soldati papalini, ma non ci sono riuscito: infatti appare una finestra che dice così:
Insomma, la cosa che mi ha colpito, come potete vedere da questa immagine, in screenshot che un amico fortunatamente mi ha mandato, è che la Guardia Svizzera, nella sua pagina ufficiale invita la gente a non andare in chiesa.
Ora: giustissimo che si invitino le persone a non creare assembramenti, a mantenere le norme di sicurezza in maniera molto precisa, insomma che ci si preoccupi di limitare i contatti e il contagio. Ma mi devono spiegare quale problema di contagio ponga una singola persone che senza toccare o avvicinarsi a nessuno se ne va in chiesa per pregare davanti al tabernacolo, specialmente in un momento in cui la messa è interdetta ai fedeli.
E che questo consiglio poi venga dalle guardie del corpo del Pontefice mi sembra assolutamente straordinario.
Forse non riesco a vedere quella pagina Facebook perché nel frattempo qualcuno si è accorto della gaffe, e l’ha cancellata…Se qualcuno di voi riesce a entrare nella pagina, me lo faccia sapere, per favore. Grazie.
§§§
Marco Tosatti
I cattolici al tempo del coronavirus / 18
Cari amici di Duc in altum, questa nuova puntata della rubrica I cattolici al tempo del coronavirus è monografica, tutta dedicata alle reazioni dopo la preghiera del papa nella piazza San Pietro vuota. Tantissimi i commenti che ho ricevuto. Ne ho selezionati alcuni.
A.M.V.
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Gentile Aldo Maria Valli, leggo che l’antico e prezioso crocifisso miracoloso di San Marcello al Corso, portato in piazza San Pietro per la preghiera del papa, è stato danneggiato a causa della pioggia. Non vorrei ragionare col senno di poi, perché è troppo facile, però devo dire che, mentre guardavo la diretta televisiva, ho subito pensato: “Ma non potevano proteggere questo crocifisso dalle intemperie?”. Sarebbe bastato un piccolo riparo. Devo anche dire che vedere il papa protetto da una tettoia e il povero crocifisso tutto bagnato, come abbandonato, ha suscitato in me una brutta impressione. E poi perché non c’è stata una vera e propria benedizione urbi et orbi con la formula rituale? Sono troppo critica? Non lo so, spesso me lo chiedo.
Lettera firmata
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Caro Valli, la ringrazio per quanto ha scritto ieri nel suo blog, quando ha detto che la sera del 27 marzo piazza San Pietro era infinitamente piena, non vuota.
Partecipare al momento di preghiera con il papa è stata una gioia immensa e dobbiamo ringraziare Francesco per la benedizione urbi et orbi e la possibilità di indulgenza plenaria.
Abbiamo chiesto a Gesù di fermare l’epidemia che sta imperversando nel mondo, come già fece attorno al 1600 con la peste a Roma. Il Vangelo ci ha fatto rivivere quanto successo sulla barca con Gesù e i discepoli, la barca che contiene tutti noi. Gesù ordinò al mare di tacere e di calmarsi e il vento cessò e ci fu grande bonaccia. I discepoli furono presi da grande timore e iniziarono a chiedersi: chi è dunque costui?
Dio non ci abbandona mai e Colui che ci ha creati non ci salva senza di noi, aspetta il nostro “sì” libero, la nostra richiesta di salvezza. Papa Francesco ci ha mostrato Colui che salva il mondo e che dobbiamo pregare, perché ci dia la capacità di riconoscerlo.
Preghiamo affinché non vengano a noi rivolte le domande di Gesù ai discepoli: perché avete paura? Non avete ancora fede?
Ad Jesum per Mariam
Marco Ferrari
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Caro Aldo Maria, sono stato male tutta la sera dopo aver seguito il papa in televisione, per la benedizione nella piazza vuota. Vedo che è un osanna generale, ma a me in realtà, Dio mi perdoni, è apparso un gesto fatto con poco amore. Il discorso mi è sembrato una normale omelia della domenica sul brano evangelico, certamente anche con alcuni passaggi belli, ma, date le circostanze mi aspettavo una forte e accorata domanda di perdono.
Chi dice che è in realtà da parte di Francesco è stato un gesto straordinario e potente sostiene che chi non l’ha apprezzato non ha fede. Ecco, probabilmente non ho apprezzato perché ho il cuore cattivo e poca fede. Ma quei soliti richiami un po’ sociologici e sentimentali alla solidarietà, alla fraternità, all’accoglienza, mi hanno dato fastidio. “Siamo tutti sulla stessa barca, ne verremo fuori solo tutti insieme”. Parole scontate.
Ma se non chiediamo perdono a Dio per gli abomini, per le innumerevoli morti innocenti, per le idolatrie, per i terribili tradimenti anche degli uomini di Chiesa, che cosa potrà cambiare? Cosa ha capito la gente? Solo, temo, che siamo vittime di una terribile avversità giunta chissà perché e che Dio ci chiede di non avere paura perché lui ci aiuterà se glielo chiediamo.
Pensavo che il papa si sarebbe cosparso il capo di cenere, che si sarebbe gettato a terra davanti al crocifisso e al Santissimo, perché tutti lo facessero, invece ha solo genericamente accusato l’umanità di una pretesa di autosufficienza e davanti al Santissimo è rimasto seduto. Lo so, è claudicante e mi ha fatto anche un po’ tenerezza, è un povero vecchio uomo. Il fatto è che probabilmente sono prevenuto e so bene che le mie impressioni possono essere viziate da pregiudizio. Ho la sensazione però che le riprese televisive (immagini, particolari, silenzi e suoni improvvisi) abbiano suscitato delle ondate emozionali che in realtà non aiutano a cogliere il nocciolo della questione. L’umanità e una parte della stessa Chiesa si sono piegate a un male pervasivo come mai prima. L’epidemia è forse un avvertimento, perché i cuori si convertano prima che sia troppo tardi. Questo è quanto dicono in realtà anche tanti mistici e ci ha ripetuto la Madonna nelle apparizioni, da Fatima in poi. Da parte del papa invece è emersa soprattutto una visione ancora una volta un po’ buonista, quasi di una umanità che è immersa nelle tenebre scese improvvisamente e che è preda della paura semplicemente per la sua poca fede, per uno stile di vita improntato a una falsa autosufficienza. Per carità, cose vere, ma mi pare che sia una lettura che non va al cuore del problema. Caro Aldo Maria, credo che siano iniziati i tempi della prova e questa era una grande occasione per fare come fece Ninive. Temo invece che sia stata sprecata.
Un caro saluto in Gesù e Maria.
Lettera firmata
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Caro papa Francesco, posso chiederti perché non ti sei inginocchiato, neppure per un istante, davanti al Santissimo quando hai pregato contro il coronavirus, la sera di venerdì 27 marzo? Mi dicono che hai problemi alle gambe e ci credo. Però altre volte ti sei inginocchiato o prostrato, per esempio per la lavanda dei piedi oppure per baciare i piedi di leader politici. Penso che, con un piccolo sforzo e l’aiuto del cerimoniere, avresti potuto farlo anche davanti al Santissimo. Mi spiace dirlo, ma sento un grande vuoto: avverto che la Chiesa, proprio in un momento così difficile, è senza pastore. Non vorrei dirlo, ma è così.
Lettera firmata
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Caro Valli, conoscevo un anziano parroco che, pur impedito dal male che lo affliggeva, non mancava mai di inginocchiarsi davanti al Santissimo. Negli ultimi tempi per genuflettersi impiegava alcuni minuti, ma voleva farlo, e da solo! Papa Francesco invece, durante l’adorazione nell’atrio della basilica di San Pietro, la sera del 27 marzo, è rimasto seduto. Perché? Perché non ha chiesto al suo cerimoniere di essere aiutato per una genuflessione? Noi cattolici restiamo sconcertati. Scusi lo sfogo.
Lettera firmata
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Caro Valli, avrei due domande. Perché davanti al Santissimo, il 27 marzo, il papa non si è genuflesso neppure per un istante in segno di venerazione e rispetto? E perché il 25 marzo, nel giorno dell’Annunciazione, non ha recitato l’Angelus, che consiste appunto nelle parole dell’annuncio dell’angelo a Maria (cfr Lc 1) e l’ha sostituito con la preghiera del Padre nostro? Forse per non urtare i protestanti? Ma così ha urtato noi cattolici!
Lettera firmata
https://www.aldomariavalli.it/2020/03/29/i-cattolici-al-tempo-del-coronavirus-18/
Fra cosmo, psiche e divini flagelli
di Amicizia San Benedetto Brixia
In data 7 marzo la dottoressa Francesca Morelli, psicologa psicoterapeuta e terapeuta EMDR, ha pubblicato sulla propria pagina Facebook una riflessione sapienziale relativa al Covid-19.
In data 7 marzo la dottoressa Francesca Morelli, psicologa psicoterapeuta e terapeuta EMDR, ha pubblicato sulla propria pagina Facebook una riflessione sapienziale relativa al Covid-19.
In essa la psicologa ricerca un senso nell’epidemia in corso e lo va a ricondurre alla necessità che il “cosmo” intervenga per “riequilibrare le cose e le sue leggi, quando queste vengono stravolte”. Tra le anomalie riportate in equilibrio dalla pandemia Morelli ne individua: inquinamento dell’aria, corretto dal blocco degli spostamenti; sovranismo anti-immigrazionista, corretto dallo scoprirsi discriminati a nostra volta alla frontiera; consumismo, rallentato dall’isolamento domestico. Il virus contribuisce inoltre a ritrovare il valore del tempo e della famiglia, perché ci spinge a passare ore insieme a casa; delle relazioni dirette, perché ce ne fa avvertire la mancanza. Alla luce di tutto questo la dottoressa si interroga: “Quanto abbiamo dato per scontato questi gesti ed il loro significato?” e conclude “Perché col cosmo e le sue leggi, evidentemente, siamo in debito spinto. Ce lo sta spiegando il virus, a caro prezzo”.
Interessante la riflessione, ancor più interessante la ricezione, considerato che il testo sta divenendo virale e incontra il favore direi incondizionato di moltissimi lettori.
Verrebbero però due appunti. Il primo concerne l’interpretazione politica del fenomeno, che di fatto si impone quale impersonale emanazione delle propagande di sinistra. A essere più acuti, il Virus colpisce tutto e tutti, con facilità potremmo accorgerci che attacca anche i luoghi comuni di ogni fazione e schieramento. O forse dobbiamo riconoscere che il Covid-19 non è abbastanza forte, visto che i luoghi comuni del progressismo non pare li abbia scalfiti.
Il problema dei migranti e dell’ecologia va affrontato con lucidità civica e con onestà scientifica, e superando i luoghi comuni strumentali, altrimenti il virus avrà fatto strage inutile e le sfide torneranno tali e quali, mentre noi saremo meno forti per affrontarle.
L’altro appunto concerne l’impressione di dejavu che trapela dal messaggio, cui va ascritto un merito e indicato un rischio.
Il merito è che, grazie alla penna della psicoterapeuta e al riferimento asettico alle energie cosmiche, moltissime persone torneranno a riflettere, almeno in parte, sui temi cari alla vecchia omiletica dei castighi. O non erano i nostri predicatori a intrattenerci un tempo con meditazioni esistenziali alla luce dei castighi che Dio mandava per correggere il suo popolo? Solo che oggi i preti non ne parlano, né i fedeli vogliono sentirne parlare. Per cui quasi ci si compiace con la Morelli, che è riuscita a restituire anche all’uditorio cattolico le antiche verità spesso rigettate.
Il rischio, per cui la restituzione è da considerarsi solo parziale, dipende dall’omissione dell’elemento fondamentale: Dio. A ben vedere stranisce che un castigo possa risultarci più simpatico se attribuito a energie galattiche, anziché se riferito a un Padre misericordioso.
Il monito “a caro prezzo” del Coronavirus è un evento cieco e drammatico, che azzera l’umanità al rango di prodotto della natura. Il richiamo della specialista è, inevitabilmente, a un’interiorità che cerca di darsi risposte confortanti, mentre tutto attorno a sé dice del non-senso della situazione umana, in balia di cosmiche formattazioni.
Il castigo di Dio invece esprime, se inteso nel suo senso teologico e non nel senso generico dei termini, una relazione, che è sempre da leggersi nel mistero di amore della Croce. Dio stesso soffre e compartecipa ai dolori dell’uomo, cui però deve chiedere conversione perché si ristabilisca il corso delle cose e siano tolti i danni prodotti dal decadimento delle condotte temporali e spirituali.
Forse qui sta il bivio. Se accetto il castigo di Dio, devo accettare la mia colpevolezza personale e la richiesta di una conversione radicale e profonda. Se parlo invece di energia cosmica, posso incolpare l’altro – girardianamente – e continuare a intrattenermi tra luoghi comuni, cambiando un poco il modo di pensare o le abitudini sociali, ma non certo scendendo a toccare il cuore del problema che sono io stesso.
Molti sceglieranno quest’ultima interpretazione, virale come il virus che la alimenta, del resto ricordiamo che anche al Faraone servirono dieci piaghe prima di ravvedersi. E forse non si è mai ravveduto.
Interessante la riflessione, ancor più interessante la ricezione, considerato che il testo sta divenendo virale e incontra il favore direi incondizionato di moltissimi lettori.
Verrebbero però due appunti. Il primo concerne l’interpretazione politica del fenomeno, che di fatto si impone quale impersonale emanazione delle propagande di sinistra. A essere più acuti, il Virus colpisce tutto e tutti, con facilità potremmo accorgerci che attacca anche i luoghi comuni di ogni fazione e schieramento. O forse dobbiamo riconoscere che il Covid-19 non è abbastanza forte, visto che i luoghi comuni del progressismo non pare li abbia scalfiti.
Il problema dei migranti e dell’ecologia va affrontato con lucidità civica e con onestà scientifica, e superando i luoghi comuni strumentali, altrimenti il virus avrà fatto strage inutile e le sfide torneranno tali e quali, mentre noi saremo meno forti per affrontarle.
L’altro appunto concerne l’impressione di dejavu che trapela dal messaggio, cui va ascritto un merito e indicato un rischio.
Il merito è che, grazie alla penna della psicoterapeuta e al riferimento asettico alle energie cosmiche, moltissime persone torneranno a riflettere, almeno in parte, sui temi cari alla vecchia omiletica dei castighi. O non erano i nostri predicatori a intrattenerci un tempo con meditazioni esistenziali alla luce dei castighi che Dio mandava per correggere il suo popolo? Solo che oggi i preti non ne parlano, né i fedeli vogliono sentirne parlare. Per cui quasi ci si compiace con la Morelli, che è riuscita a restituire anche all’uditorio cattolico le antiche verità spesso rigettate.
Il rischio, per cui la restituzione è da considerarsi solo parziale, dipende dall’omissione dell’elemento fondamentale: Dio. A ben vedere stranisce che un castigo possa risultarci più simpatico se attribuito a energie galattiche, anziché se riferito a un Padre misericordioso.
Il monito “a caro prezzo” del Coronavirus è un evento cieco e drammatico, che azzera l’umanità al rango di prodotto della natura. Il richiamo della specialista è, inevitabilmente, a un’interiorità che cerca di darsi risposte confortanti, mentre tutto attorno a sé dice del non-senso della situazione umana, in balia di cosmiche formattazioni.
Il castigo di Dio invece esprime, se inteso nel suo senso teologico e non nel senso generico dei termini, una relazione, che è sempre da leggersi nel mistero di amore della Croce. Dio stesso soffre e compartecipa ai dolori dell’uomo, cui però deve chiedere conversione perché si ristabilisca il corso delle cose e siano tolti i danni prodotti dal decadimento delle condotte temporali e spirituali.
Forse qui sta il bivio. Se accetto il castigo di Dio, devo accettare la mia colpevolezza personale e la richiesta di una conversione radicale e profonda. Se parlo invece di energia cosmica, posso incolpare l’altro – girardianamente – e continuare a intrattenermi tra luoghi comuni, cambiando un poco il modo di pensare o le abitudini sociali, ma non certo scendendo a toccare il cuore del problema che sono io stesso.
Molti sceglieranno quest’ultima interpretazione, virale come il virus che la alimenta, del resto ricordiamo che anche al Faraone servirono dieci piaghe prima di ravvedersi. E forse non si è mai ravveduto.
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