ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 11 marzo 2020

Tornerà tutto come prima?

L'epidemia che con la fede fa vacillare anche la ragione

Le parole dell'infettivologo che richiamano ad un agire equilibrato. Il divieto di dire Messa che dice di una fede fragile e quindi di una ragione guidata dalla paura, che accoglie i provvedimenti esagerati del governo e crede ad una informazione scriteriata per cui l'Italia sta crollando in ginocchio. Tutto a dire che il castigo non viene da Dio, ma che ce lo stiamo infliggendo da soli, dimenticandoci che "senza di me non potete fare niente".



Di fronte ad un paese immobilizzato, vorrei cominciare con le parole del direttore del dipartimento di malattie infettive dell’Ospedale Sacco di Milano, Amedeo Capetti (clicca qui), il quale, ricordando che l’epidemia italiana di Covid-19 è più seria di quanto si aspettasse, invita anche a non ingigantire il problema.

Il dottor Capetti sottolinea che «non è detto che non ci si possa ritrovare» se siamo in salute e in luoghi non troppo affollati. «Anche l’eccessivo allarmismo - sottolinea - può danneggiare… Mi chiedono: “Dobbiamo avere paura?”. Preoccupatevi di chi è in quarantena che magari ha bisogno che gli facciate la spesa… Chi non riceve l’avviso di quarantena non si deve considerare in quarantena». Eppure, il giorno successivo parte dell’Italia (da due giorni tutta) è stata messa in quarantena.

Ci dicono le cronache che quando l’influenza Cinese colpì il Paese (nel 1968-1969 ci furono 20 mila decessi mentre ad oggi siamo a circa 620 di cui molti già affetti da altre patologie aggravate dall'età) l’Italia non si fermò. A dire che, durante un'epidemia che fu ben più grave di quella odierna, i politici capivano che un blocco totale delle attività avrebbe messo ancora più a repentaglio la Nazione. Non è mai accaduto nulla di simile, nemmeno quando la peste uccideva decine di migliaia di persone o la Spagnola milioni. Inoltre, l'emergenza poteva essere gestita con aiuti economici maggiori al settore sanitario, già in crisi e impreparato a possibili emergenze, prima dell'inzio dell'epidemia.

Penso, infatti, che ci renderemo conto solo più avanti di quanto le misure eccessivamente drastiche adottate del governo (e anche controproducenti), che fa leva su una popolazione più psicologicamente fragile e terrorizzata dalla morte che non quella del passato (dove si usciva dalla guerra, la vita era molto più fragile e i malanni di qualsiasi tipo mietevano molte più vittime), ci stanno danneggiando ancor più che non il virus. L’Italia bloccata, privata di libertà basilari, con molte persone che hanno già perso il lavoro, è infatti alveo pericoloso di un virus più grave di quello che stiamo fronteggiando: la disperazione, alimentata anche dalla diffidenza che si sta generando fra le persone (per non parlare delle accuse di egoismo contro chi mette piede fuori casa).

Non si creda che tra qualche mese tornerà tutto come prima, il sospetto verso l’Italia sui mercati e tra i partner commerciali resterà a lungo, mentre molti eventi internazionali sono stati ormai cancellati con perdite economiche devastanti. Ma pensiamo anche agli anziani e alle persone nelle case di riposo che vivono letteralmente dell’affetto dei loro cari: non mi stupirei se molti morissero di solitudine. Forse valgono meno dei malati di coronavirus?

Che il mondo privo di fede non usi più la ragione non mi scandalizza, ma che dire di noi cristiani? Sinceramente mi aspettavo provvedimenti intelligenti almeno riguardo alle Messe. Ingenuamente mi dicevo: davanti alla morte, la Chiesa finalmente ci richiamerà all’uso della ragione, che nasce dall’affidamento, quindi dalla preghiera, i sacramenti, la penitenza etc. Sono quindi rimasta scioccata di fronte alla sospensione delle Messe. Se la fede rende intelligenti allora, mi dico, avremmo dovuto adottare provvedimenti come la moltiplicazione delle celebrazioni (come la Chiesa ha spesso fatto durante le epidemie), la dispensa per anziani e malati e per chi vive accanto a persone fragili, la possibilità, dove possibile, di celebrare all’aria aperta. Se, infatti, come spiega sant’Antonio di Padova, la Comunione tiene lontane le tentazioni ed alimenta la fede e la devozione, cosa accadrà se un popolo intero, già fragile da questo punto di vista, non potrà più riceverla per un mese o più? Come reggerà questo popolo quando fra qualche tempo pagherà sulla sua pelle la devastazione prodotta dalle durissime misure governative? Chi alimenterà la sua speranza?

Inoltre pensavo che in Quaresima sarebbe stato utile richiamare alla penitenza e al digiuno, ma a quanto pare siamo disposti a rischiare per andare al supermercato e non per andare a ricevere Gesù, pensando che il cibo del corpo sia più essenziale di quello dell’anima. Mi si dice che il punto non è il rischio personale, ma quello delle persone che ci stanno vicine e che è sbagliato, in un momento come questo, parlare di digiuno perché il corpo ha bisogno di essere forte. Ora, il terrorismo psicologico è molto dannoso per il sistema immunitario della gente (per non parlare dell’isolamento) e, fatte salve le dispense, ragionare in questi termini significa non fidarsi di Dio. «Ci sono demoni che solo la preghiera e il digiuno possono scacciare», dice Gesù nel Vangelo. Mentre la Madonna dei Miracoli (apparizione riconosciuta dalla Chiesa) chiese digiuno per nove giorni continui in tutti i villaggi della terra trevisana: chi avesse digiunato con vero pentimento avrebbe ottenuto misericordia e perdono dal Signore, sdegnato per i troppi peccati del popolo.

A Medjugorje la Madonna il 20 settembre del 1982 disse: «Per la guarigione di ammalati gravi, pregate di più e digiunate di più». Il punto è: ci crediamo che sia così? Ci crediamo che digiunando e ricevendo l’Eucarestia il Signore ci fortifica e allontana il male? Se oggi ci dicessero: guarda c’è Gesù presente vivo con il suo Corpo in Chiesa, non saremmo disposti a qualunque cosa pur di gettarci ai suoi piedi e stare con Lui? Se rispondiamo di sì, allora dobbiamo ricordarci che l’Eucarestia è Gesù in persona. Motivo per cui i nostri fratelli nelle zone del mondo in cui sono perseguitati vanno a Messa rischiando non solo la loro vita ma anche quella dei loro figli. Mi vengono in mente, solo per citarne alcuni, gli attentati in Nigeria nel Natale del 2011. I cattolici andarono a Messa anche se l’allarme attentati durante le festività cristiane è altissimo e morirono diversi bambini. Non dico che bisogna cercare il martirio, ma nemmeno evitare ogni rischio. Anche perché la situazione in cui siamo non è nemmeno comparabile quanto a rischio di decesso per chi si reca in chiesa.

Un amico mi ha scritto che il virus non si sconfigge senza Dio e che mancando di fede in Lui i danni saranno peggiori. Non perché Dio si vendichi, ma perché “senza di me non potete fare nulla”, ci ha detto. Insomma, non è vero che Dio ci sta castigando, siamo noi che ci stiamo castigando da soli. “Ma noi preghiamo in casa”, mi dicono. Rispondo con le domande che mi ha rivolto una giovane liceale, discreta, mite, umile, che solitamente parla poco e lo fa sempre a voce bassa: «Come possiamo chiedere a Dio di aiutarci se noi cristiani siamo i primi vigliacchi a chiuderci nelle case (pensando di stare sicuri e non pensando ai danni che questo comporta)? Se siamo i primi ad aver paura ad andare addirittura in chiesa? Mi dicono di non preoccuparmi che Dio non ci abbandona: ne siamo sicuri, ma accettare così passivamente tutto è sbagliato. Che senso ha pregare Dio e non fare né dire nulla davanti a divieti tanto gravi? Se questa è una prova non la stiamo affrontando nel modo giusto. Se ci manca Lui, la Santa Eucarestia, tutto diventa più difficile».

I giovani e i figli ci stanno guardando, mi chiedo cosa penseranno se davanti ad una crisi, nemmeno fra le più gravi, decidiamo di rinunciare al Signore. Chiudo quindi sempre con le parole di Capetti: «Io ai miei pazienti ho sempre detto: "Guardate che la battaglia per la salute è una battaglia persa, prima o poi la perderemo tutti quanti, quindi è inutile insistere così su questa... la salute è semplicemente lo strumento per poter incontrare e riconoscere nella vita Chi ci ha dato la vita! E quindi poter rendere anche la nostra vita grande"… lo dico a maggior ragione adesso, ci si rende conto che siamo fragili ma non ci deve far paura questo, ma ci deve far spostare il tiro su ciò che non è una battaglia persa"... Ci sono pazienti che mi hanno scritto: "Ma dottore io non ho paura di morire, quando il Signore mi chiamerà vorrà dire che sarà arrivato il mio momento e io sarò felice di tornare da Lui"… Tutte le epidemie sono un’occasione in questo senso». Solo questo affidamento e certezza possono darci pace e quindi equilibrio. Ma forse lo riconosceremo solo poi, quando capiremo di essere stati messi in ginocchio dalla psicosi dilagante e di non poterci rialzare con i soli mezzi umani di un mondo che si era illuso di essere quasi immortale.


Benedetta Frigerio


https://lanuovabq.it/it/lepidemia-che-con-la-fede-fa-vacillare-anche-la-ragione
Taiwan, Singapore, Corea: il virus ingabbiato senza perdere la libertà

Si porta sempre più ad esempio la Cina totalitaria per i metodi di contenimento dell'epidemia di coronavirus. E l'Italia, pur volendo restare un Paese democratico, sta provando ad imitarli. Eppure, oltre ad essere un modello più che discutibile, la Cina non è neppure l'unica nazione asiatica ad aver efficacemente contrastato l'epidemia. Altri Paesi, come Taiwan (la Cina democratica) e Singapore sono riuscite a prevenire lo scoppio dell'epidemia. Mentre la Corea del Sud, una delle nazioni più colpite, sta riuscendo a rallentarla come e più della Cina. E nessuno di questi governi ha usato metodi totalitari, ha bloccato intere regioni o interi settori economici come stiamo facendo noi.




La Cina sta diventando una vera ossessione, per chi deve prendere esempi all’estero su come lottare efficacemente contro l’epidemia di Covid-19. Ma oltre ad essere inopportuno (è proprio da quel Paese che è partito tutto e il regime ha le sue grandi responsabilità), è anche un esempio incompleto, perché altri Paesi in Asia hanno finora efficacemente combattuto contro il virus e sono riusciti a contenerlo, con risultati addirittura migliori. Pur non ricorrendo ai costosi e brutali metodi impiegati da colosso comunista.

Contrariamente alla Cina comunista, Taiwan (la Cina democratica) ha applicato metodi molto differenti, per non dire contrari. Mentre Pechino censurava ancora le notizie, prima ancora che lo scoppio dell’epidemia divenisse di dominio pubblico in tutto il mondo, il governo di Taipei si è mobilitato e ha incominciato a diffondere subito informazioni essenziali alla popolazione. Il tutto all’insegna della massima trasparenza. Merito soprattutto della passata tragica esperienza di epidemia di Sars (2002-2003), le autorità dell’isola cinese si sono mosse tempestivamente. Già da gennaio, aiutate da molte iniziative private, hanno fatto in modo che ogni cittadino sapesse come agire, quale comportamento tenere e dove procurarsi le mascherine, con applicazioni di cellulare costantemente aggiornate su dove trovarle in tutta l’isola. Dall’inizio di gennaio il governo di Taipei ha istituito un unico centro di comando e controllo per coordinare gli sforzi sanitari. Dal 31 dicembre, Taipei aveva introdotto controlli per i passeggeri in arrivo da Wuhan, ancora prima che le autorità cinesi dessero la loro conferma ufficiale dell’esistenza dell’epidemia. Da gennaio sono iniziate le quarantene obbligatorie per chi arrivava dallo Hubei, la prima provincia cinese colpita. A febbraio, le stesse restrizioni sono state applicate a tutti i viaggiatori che erano stati in Cina o che vi erano anche indirettamente connessi e la quarantena è stata estesa anche a chi arrivava da Hong Kong e da Macao. La quarantena è stata applicata molto seriamente, con multe equivalenti anche a 10mila dollari per chi la violava, o nascondeva un viaggio in aree di epidemia. La prevenzione ha avuto successo, considerando che (al momento in cui questo articolo va online) a Taiwan si registrano solo 47 casi di coronavirus su 22 milioni di abitanti.

Un’altra storia di successo è la città-Stato di Singapore, che ha impiegato metodi preventivi simili a quelli di Taiwan. Anche in questo caso, l’esperienza dell’epidemia di Sars è servita molto. Il premier Lee Hsien Loong, dopo un discorso esemplare per calma, ottimismo e chiarezza, ha messo in quarantena e poi chiuso le frontiere a tutti i viaggiatori provenienti dalla Cina. Benché un primo focolaio si sia sviluppato ugualmente in casa, le autorità sanitarie locali hanno sviluppato un metodo molto raffinato per tracciare gli infetti e tutti i contatti personali che hanno avuto nell’isola. Anche in questo caso, le punizioni per chi mente alle autorità, sui contatti, sui sintomi o per chi viola la quarantena, possono costare molto caro, anche il carcere. Ad oggi (11 marzo 2020), Singapore ha registrato solo 166 casi, di cui 93 guariti, su una popolazione di 5 milioni e mezzo di abitanti.

Singapore e Taiwan sono isole, benché estremamente connesse con la Cina, hanno comunque avuto la possibilità di chiudersi in difesa sulle loro frontiere. Hanno fatto quel che, forse, anche l’Italia avrebbe potuto e dovuto fare dalla fine di gennaio, quando l'epidemia infuriava solo in Asia. Il caso della Corea del Sud può dunque essere più interessante per noi, perché è una dimostrazione di come si sia riusciti a contenere un’epidemia che si era già rapidamente diffusa.

Benché fosse il secondo Paese al mondo, dopo la Cina, per numero di contagi, con quasi 8mila casi accertati, la Corea del Sud attualmente registra un continuo calo del numero degli infetti. La marea epidemica si è invertita, molto probabilmente, da qui in poi. Anche in questo caso, il governo di Seul, non è ricorso all’imposizione di zone rosse ad intere città e regioni come in Cina (e come si prova a fare in Italia). La libertà di movimento non è mai stata seriamente limitata se non nelle aree più infette, come la città di Daegu. I metodi impiegati, come a Taiwan e a Singapore, sono soprattutto la diagnosi precoce e il tracciamento dei contagiati, oltre alla ricostruzione di tutti i loro contatti. Su una popolazione di quasi 52 milioni di persone, comparabile a quella italiana, tracciare i contagiati e tutti i loro possibili contatti non deve essere stato un lavoro facile, ma è stato possibile grazie alla tecnologia che anche in Italia è molto diffusa, come la geolocalizzazione dei cellulari, la raccolta di dati pubblici e soprattutto una campagna massiccia di diagnosi col tampone. Ad oggi sono stati effettuati almeno 180mila test col tampone. Prima ai viaggiatori connessi alla Cina direttamente e indirettamente, poi a tutti i cittadini che lo richiedevano. Per accelerare i tempi, le autorità coreane hanno allestito delle stazioni sanitarie lungo le strade, dove è possibile effettuare il test senza neppure scendere dalla propria auto. In giornata i risultati arrivano sul cellulare della persona che si è sottoposta al test. Da quel momento, lui e i suoi contatti sono avvertiti e devono rispettare la quarantena.

Per tracciare i casi sospetti, in Corea del Sud sono arrivati per primi degli sviluppatori privati, che hanno creato delle applicazioni per cellulari che mostrano la mappa dei contagiati. Senza rivelare le loro identità personali, le mappe indicano dove si trovano i contagiati, dove si sono spostati, che locali hanno frequentato. In questo modo, i coreani, pur continuando ad essere liberi di muoversi, sanno dove è più pericoloso andare. Il governo è arrivato tardi, proponendo solo nelle ultime settimane una applicazione per Android (la versione per iPhone sarà online solo dal 20 marzo) che consente alla persona in quarantena di ottenere informazioni in tempo reale (ma in cambio fornisce automaticamente la sua posizione alle autorità). L’altra faccia della medaglia di questo sistema è il rischio di caccia all’untore. Benché si tratti di sistemi che rispettano la privacy un privato bravo a investigare sul Web può incrociare i dati a disposizione e risalire all’identità del malato e dei suoi contatti. E purtroppo sono numerosi, ormai, i casi di linciaggio online per chi è accusato di aver tenuto un comportamento imprudente. Anche i locali pubblici che hanno frequentato rischiano di essere disertati, di perdere i clienti.

Ovviamente nessun metodo è perfetto. Ma questi tre Paesi asiatici, contrariamente alla Cina (e contrariamente all’Italia che prova a imitarla) non hanno paralizzato la loro economia, non hanno messo in quarantena intere province e regioni. Il rischio che si corre in Paesi asiatici come Taiwan, Singapore e Corea del Sud, è appunto la violazione della privacy. Ma anche in Italia, per tutti quelli che arrivano da Lombardia, Veneto, Emilia, in generale dal Nord, è già diffuso lo stigma dell’untore. Che essendo collettivo, è pure peggiore. Così come gli abitanti dello Hubei, in Cina, sono tuttora trattati collettivamente come cittadini di serie B, discriminati anche sul lavoro, anche se sono sani, se non altra colpa di essersi trovati nel luogo sbagliato al momento sbagliato.

Stefano Magni

- CONTAGI E MORTI, I CONTI NON TORNANO, di Riccardo Cascioli
CARCERI IN RIVOLTA, EFFETTO DEL GIUSTIZIALISMO di Romano l'Osservatore
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https://lanuovabq.it/it/taiwan-singapore-corea-il-virus-ingabbiato-senza-perdere-la-liberta


IL VIRUS DEGLI ALTRI


Francia.

Il primario dell’ospedale  Emile  Muler di Mulohuse, ha detto in un’intervista che  da una settimana  non sottopone  a test i pazienti sospettati di essere infetti da coronavirus, perché non riceve i tamponi.  Non fare i test, dice, contribuisce alla propagazione del virus perché gli infetti che non sanno di esserlo infettano i loro parenti , colleghi e  le persone con cui hanno rapporti sociali.
E’ una politica di Stato. Macron, che ha rifiutato il test, ha dato ordine di non sottoporre a tampone nessun ministro  e deputato, in assenza di  sintomi. I medici generici  lamentano di non aver  ricevuto  le mascherine.
Cittadini protestano perché il Service d’Aide Médicale Urgente (SAMU) rifiuta sistematicamente di fare i tamponi, salvo che  a chi viene dall’Italia o da Wuhan.  Una ragazza  che ha 39 di febbre da due giorni e tutti i sintomi, ha chiamato il pronto soccorso invano. Circola la registrazione della telefonata con la richiesta di soccorso.


Le disposizioni dell’Eliseo per “preservare la spazio del presidente” (dal virus), attenti alle penne e ai taccuini, nessuna riunione nei suoi uffici, visite pubbliche sospese, gli invitati a pranzo o cena limiatti al minimo…

Macron è andato ostentatamente a teatro con Brigitte per incitare i francesi a uscire come niente fosse,  mentre ha vietato ai suoi collaboratori più vicini (letteralmente, fisicamente) di andare al cinema e a teatro perché non infettino lui. Ha vietato le riunioni  negli uffici;   sono state istituite spaziose sale appositamente designate, con  accurata disinfezione dopo ogni riunione.
Qui un confronto fra i tamponi  fatti in Francia e gli altri

Ora che è  stato colpito da coronavirus il ministro della cultura Franck Riester, i giornalisti satireggiano: visto che ha partecipato al consiglio dei ministri, non è il caso di  mettere in quarantena l’intero governo, compreso Macron? In caso di decesso diventerebbe presidente Gérard Larcher, il presidente del Senato…
Risultano infetti 4 deputati francesi su 577:  pari allo 0,7%. Una proporzione molto superiore a quella dei francesi colpiti, secondo  le informazioni ufficiali:  0,002%.  Siccome questa discrepanza non è ragionevole,  si spiega solo con una enorme sottovalutazione dei casi fra la popolazione generale. Se si applica  la stessa percentuale (0,7%) dei deputati ai 67 milioni di francesi, si avrebbe che i colpiti da coronavirus sono … 450 mila.

Germania

“ Tra  il 60 e il 70% della popolazione tedesca contrarrà il coronavirus”,  ha dichiarato in parlamento  la cancelliera Angela Merkel,  lasciando il parlamento ammutolito.  Poi ha dato la parola al ministro della Sanità Jens Spahn  (“Lavora davvero bene”)  che ha confermato la valutazione, precisando però che l’80%  dei  colpiti avrebbe superato l’affezione senza  sintomi.  Per le persone oltre i 65 anni, che avranno  da fare i conti  con un decorso difficile, sono a disposizione 28 mila posti-letto.


La cancelliera col ministro della Sanità, Jens Spahn.

L’uscita della Merkel ha un motivo.  Molte e autorevoli voci han cominciato a  criticare la sua assenza,  anzi il suo mutismo, davanti ai problemi che la soverchiano: dal  ricatto di Erdogan e il bisogno di dare una risposta alla questione dei “profughi” che premono alla frontiera  ellenica, dalla recessione  incombente al coronavirus, non ha trovato parole.
Anzi: il coronavirus  le è servito come scusa per annullare un suo incontro importante con gli esponenti dell’economia tedesca, per parlare della crisi economica. .”Questo evento avrebbe dovuto svolgersi proprio adesso”, ha protestato Holger Schwannecke, segretario generale dell’Associazione centrale dell’artigianato tedesco (ZDH), a Monaco, giovedì. È importante che la politica e gli affari mantengano  normalmente rapporti”.
Persino il sindacato di polizia (GdP) ha alzato la voce “. In tempi incerti, le persone richiedono informazioni trasparenti, linee guida comprensibili e un linguaggio chiaro dalla loro leadership politica. Dovremmo  aspettarci che il Cancelliere vada avanti ora, mostri forza e mandi i segnali necessari ”, ha dichiarato martedì il vice presidente del GdP Jörg Radek.
Finalmente  sempre  più si accorgono che l’assenza di leadership di Mutti, è stata incapacità  personale e pericolosa.
“Perché il Cancelliere tace quando dovrebbe parlare? Forse non vede il bisogno, forse le manca la forza”,   ha scritto il columnist Gehard Spörl.  “Sarebbe meglio per il paese se fosse partita prima”.
Allude al fatto che la Merkel si aggrappa al potere, mantiene la cancelleria non avendo più la presidenza del partito. “Chiunque dica, come Angela Merkel,   ‘me ne andrò tra un anno e mezzo’,  è già sparito. Chiunque rinunci alla presidenza del partito dimezza il suo potere. Chiunque pensi di poter costruire  il suo successore, si rende presto conto di aver sbagliato. Il doppio vuoto rompe il CDU e danneggia il Paese.  Il vuoto è pericoloso”.
Titolo di Bild dell’11 marzo:

MERKEL AND THE CORONA CHAOS

Nessun discorso, nessuna apparizione, nessuna leadership nella crisi





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