(Roberto de Mattei) Un alone di mistero continua ad avvolgere il Coronavirus, o Covid-19, la malattia infettiva che in pochi mesi si è diffusa in tutto il mondo assumendo i caratteri di una vera e propria pandemia. Sulla natura di questo virus ci sono molte ipotesi e poche certezze.
Le ipotesi riguardano innanzitutto l’origine della malattia. Il virus è nato dalla natura, come sostiene la maggior parte dei virologi, o è stato costruito in laboratorio, come ritengono altri? E in questo secondo caso è stato fabbricato a fini terapeutici o a fini di guerra batteriologica? E in quale laboratorio sarebbe stato fabbricato, cinese od occidentale? La fuoriuscita da questo laboratorio sarebbe stata fortuita o deliberata? E’ evidente che l’ipotesi della fuoriuscita volontaria, alimenterebbe la possibilità di una “cospirazione” delle forze segrete, come tante ce ne sono state nella storia. Se invece il virus fosse nato dalla natura, o fosse uscito da un laboratorio per un incidente, si dovrebbe ritenere che queste stesse forze siano state prese alla sprovvista dall’evento. Una delle ipotesi più verosimili sembra essere quella esposta da Steve Mosher secondo cui il virus, fabbricato in Cina, sarebbe uscito, per un incidente, da un laboratorio di Wuhan (LifeSiteNews, 22 aprile 2020). Si tratta appunto di una ipotesi, ma le responsabilità della Cina comunista che Mosher mette bene in luce, sono una certezza.
Il Partito comunista cinese ha infatti taciuto sulla diffusione del virus e ha manipolato le cifre delle infezioni e delle morti. Non a torto, Chen Guangcheng, l’attivista cieco accolto come profugo negli Stati Uniti, dopo essere stato imprigionato in Cina per le sue denunce di aborti e sterilizzazioni forzati nello Shandong, ha affermato che «il Partito comunista cinese (Pcc) è il più grande e più pericoloso virus al mondo» (AsiaNews, 27 aprile 2020).
Il Partito comunista cinese ha infatti taciuto sulla diffusione del virus e ha manipolato le cifre delle infezioni e delle morti. Non a torto, Chen Guangcheng, l’attivista cieco accolto come profugo negli Stati Uniti, dopo essere stato imprigionato in Cina per le sue denunce di aborti e sterilizzazioni forzati nello Shandong, ha affermato che «il Partito comunista cinese (Pcc) è il più grande e più pericoloso virus al mondo» (AsiaNews, 27 aprile 2020).
Perfino un osservatore molto cauto come Paolo Mieli, sul Corriere della Sera del 27 aprile, rileva come le autorità cinesi stiano disinvoltamente «adattando» all’evolversi dei tempi le cifre dei contagiati nel loro Paese. «Come è possibile – scrive Mieli – che un Paese, preso sul serio dall’Organizzazione mondiale della Sanità che per voce del suo direttore generale ne ha lodato il «rigore», faccia ballare i numeri in questo modo? Più passa il tempo, inoltre, più cresce il numero di coloro che, in merito alle origini del virus, ripropongono il dubbio che nei laboratori di Wuhan sia accaduto qualcosa di sospetto».
Anche sulla natura del Covid-19, ci sono soli ipotesi e non certezze. Non solo ancora non si sa come curare il virus, ma non è neanche chiaro se tutte le persone che guariscono dall’infezione acquisiscano un’immunità, e quanto questa possa durare. Gli immunologi dicono che ci troviamo di fronte a un virus “anomalo” che si comporta in modo diverso da quelli della stessa famiglia (Corriere della Sera, 25 aprile); tutti annunciano in autunno una seconda ondata della pandemia, ma nessuno è in grado di prevederne le caratteristiche. Nel dubbio la tendenza dei governi è quella di prolungare le misure di lockdown. C’è chi afferma che esiste una sproporzione tra il numero delle vittime del coronavirus e le misure di “distanza sociale” prese in tutto il mondo. Ma a questa obiezione, si potrebbe rispondere che se il numero delle vittime è basso, ciò è dovuto proprio alle misure di lockdown prese dai vari governi. Secondo uno studio di Deutsche Bank citato il 26 aprile dall’AGI, la pandemia di Covid-19 si colloca agli ultimi posti nella storia per tasso di mortalità. Però, afferma la ricerca, senza le misure di contenimento che hanno fatto scendere il tasso di mortalità allo 0,002%, il tasso di mortalità sarebbe stato pari allo 0,23% registrando 17,6 milioni di vittime su tutto il pianeta. Lo stesso si può dire per il tasso di contagio. L’ipotesi sembrerebbe confermata dal fatto che in Germania, dopo che è stato allentato il lockdown il tasso di contagio è rapidamente risalito dallo 0,7 all’1 per cento, come ha rilevato il Robert Koch Institut per le malattie infettive (La Repubblica, 28 aprile).
C’è chi è convinto che il lockdown sia un piano dei poteri forti per poter esercitare il controllo sociale sull’umanità. Tra questi è il filosofo post-moderno Giorgio Agamben, molto apprezzato dall’ultrasinistra, che sul suo blog si è chiesto, fin dal 26 febbraio, se il «distanziamento sociale», sarà il nuovo principio di organizzazione della società. «Ciò è tanto più urgente, in quanto non si tratta soltanto di un’ipotesi puramente teorica, se è vero, come da più parti si comincia a dire, che l’attuale emergenza sanitaria può essere considerata come il laboratorio in cui si preparano i nuovi assetti politici e sociali che attendono l’umanità» (Quodlibet, 6 aprile 2020).
Ma quale potrebbe essere l’alternativa alla “quarantena” per contenere l’epidemia? C’è chi contrappone ai modelli europei di gestione dell’emergenza sanitaria quelli di Israele, e soprattutto di Taiwan dove, malgrado la prossimità geografica con la Cina, i numeri delle vittime e del contagio sono molto bassi. Tuttavia, se il pericolo che corriamo è quello della “dittatura digitale”, il metodo di Taiwan, basato sul sistema di tracciamento degli infetti (contac tracing) appare ancora più pericoloso del lockdown europeo. Taiwan tiene sotto stretta sorveglianza la sua cittadinanza tramite l’utilizzo delle nuove tecnologie, senza alcuna considerazione per la privacy degli individui. Lo stesso avviene in Israele, dove il sistema di tracciamento dei contatti è stato applicato in modo ferreo, fino a provocare un intervento della Corte Suprema.
Per altri, il vero problema non è il controllo sociale, ma la catastrofe economica. Quali saranno infatti le conseguenze economiche e sociali della pandemia? Un generale impoverimento dell’Occidente, per favorire il controllo sociale da parte dei “poteri forti”, o un crollo del sistema economico-finanziario su cui l’Occidente si regge? In questo secondo caso però, la manipolazione sociale sfuggirebbe agli stessi poteri forti che l’hanno pianificata. Si resta sul piano delle ipotesi. Così, il sociologo sloveno Slavoj Žižek nel suo e-book Virus. Catastrofe e solidarietà (Ponte alle Grazie, 2020), sostiene che siamo intrappolati in una triplice crisi: sanitaria (l’epidemia), economica (un colpo durissimo indipendentemente dall’esito dell’epidemia) e psicologica (relativa alla salute mentale degli individui).
L’aspetto della guerra psicologica, anche nelle sue dimensioni preternaturali, è stato messo bene in luce dall’Istituto Plinio Corrêa de Oliveira in un documento del 27 aprile intitolato A maior operação de engenharia social e de baldeação ideológica da História. L’esistenza di una grande manovra planetaria, lascia però aperte le ipotesi di fondo. Ci troviamo di fronte ad un piano orchestrato dalle forze segrete? Il fatto che avessero preordinato una strategia in vista di una catastrofe sanitaria, già da molti anni prevedibile come oggi lo è una catastrofe economica, non significa che siano state queste forze ad innescare il processo né che siano in grado di controllare pienamente l’evento.
Di fronte a queste ipotesi, su cui è utile discutere, restano le certezze. La prima è che lo scenario mondiale è oggettivamente cambiato dopo il Coronavirus. In meglio o in peggio? Qua entriamo ancora una volta nel campo delle ipotesi predittive. Žižek afferma che per la Rivoluzione comunista, di cui egli è adepto, in questo momento, «ogni cosa è possibile, in qualunque direzione, da quella migliore a quella peggiore». Ciò vale per la Rivoluzione, ma anche per la Contro-Rivoluzione che ad essa si oppone. Certamente esistono ampie e complesse manovre rivoluzionarie per sfruttare la situazione, e questa è un’altra certezza. Ma affermare che queste manovre abbiano successo è un’ipotesi. Vi è invece un’altra certezza: il fatto che di fronte alla pandemia, gli uomini che governano la Chiesa si sono mostrati assenti, o addirittura complici delle strategie anticristiane.
Che cosa dovrebbe fare la Chiesa, e che cosa dovrebbero fare tutti i cattolici, di fronte a una pandemia come quella che ci aggredisce? Bisognerebbe ricordare che tutti i mali dell’umanità hanno la loro origine nel peccato, che il peccato pubblico è più grave di quello individuale, e che Dio punisce i peccati sociali con i flagelli delle malattie, delle guerre, della fame e delle sciagure naturali. Se il mondo non si pente, e soprattutto se gli uomini di Chiesa tacciono, i castighi che all’inizio vengono inflitti in maniera mite, sono destinati ad aggravarsi sempre di più, fino ad arrivare all’annientamento di nazioni intere. Questa è l’essenza del messaggio di Fatima, che si conclude però con la consolante certezza del trionfo del Cuore Immacolato di Maria.
San Giovanni Bosco, la chiesa e la pandemia
(Cristina Siccardi) Immagini simboliche legate ad una Chiesa sempre più in crisi, oltre che di dottrina anche di crescente insoddisfazione di sempre più larghi strati dell’opinione pubblica cattolica e non solo, sono stampate nella mente di tutti: il fulmine che colpì la cupola di San Pietro la sera dell’11 febbraio 2013, quando Benedetto XVI annunciò le sue dimissioni; la cattedrale di Notre-Dame in fiamme a Parigi la sera del 15 aprile di un anno fa; la solitaria preghiera di papa Francesco in una desolata piazza San Pietro, ammutolita dalla pandemia, la sera quaresimale del 27 marzo, quando ha impartito la sua benedizione alla presenza del Crocifisso miracoloso della chiesa romana di San Marcello al Corso, irrigato sul volto e sul corpo dalla pioggia battente. Leggere i segni, per chi ha fede, è una questione normale, in quanto il cattolico sa che il soprannaturale si innesta sul naturale in unità, senza divisioni; diversi richiami mariani, da Nostra Signora del Laus a La Salette a Fatima, e diverse sono state le avvisaglie nella nostra contemporaneità per un reale ritorno, attraverso la conversione al Cristo autentico e alle leggi del Signore, leggi che sono guide certe per l’esistenza terrena ed eterna degli uomini. La pandemia causata dal Coronavirus è un ennesimo campanello d’allarme…
L’uomo di fede crede in Dio e non negli uomini, perciò non vive di illusioni, come, invece, purtroppo accade a molti pastori della Chiesa da cinquant’anni a questa parte, che credono nel dialogo proficuo con il mondo, che per sua essenza si oppone da sempre ai principi divini. Autocensuratasi, la Chiesa degli ultimi decenni si è spogliata della sua identità di paladina della difesa della Verità portata da Gesù Cristo, per allinearsi con i poteri forti e le ideologie del sistema imperante. La Chiesa di papa Bergoglio si stupisce, in questi giorni, di non essere stata presa in considerazione dal Governo Conte sulle nuove direttive di riapertura dell’Italia della cosiddetta fase due. Come un tiro mancino è giunto per l’alta gerarchia ecclesiastica filogovernativa l’annuncio del decreto dell’esecutivo, e allora, con un dialogare non più servile, ha attaccato le decisioni dell’autorità civile, come risulta dalla nota della Conferenza Episcopale Italiana stilata dopo la conferenza del Presidente del Consiglio del 26 aprile: «I Vescovi italiani non possono accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto […] Dopo settimane di negoziato che hanno visto la Cei presentare Orientamenti e Protocolli con cui affrontare una fase transitoria nel pieno rispetto di tutte le norme sanitarie, il Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri varato questa sera esclude arbitrariamente la possibilità di celebrare la Messa con il popolo. Alla Presidenza del Consiglio e al Comitato tecnico-scientifico si richiama il dovere di distinguere tra la loro responsabilità – dare indicazioni precise di carattere sanitario – e quella della Chiesa, chiamata a organizzare la vita della comunità cristiana, nel rispetto delle misure disposte, ma nella pienezza della propria autonomia».
L’autorevolezza e la credibilità della Chiesa, dai connotati sempre più relativistici e sociologici, ha perso consistenza, sia nei confronti dei fedeli che nei rapporti con il mondo stesso. Trascurati i diritti divini per i presunti diritti umani, gli uomini, artefici di leggi contro l’uomo, come l’aborto, e contro Dio, e di contagiosi virus ideologici, guardano verso il basso e non verso il Cielo, così molti pastori non sanno neppure più discernere fra ciò che è male e ciò che è bene. Deconcentrati e smarriti, buona parte dei ministri delle cose sacre, hanno perso la soprannaturalità della fede e, quindi, si fanno scrupolosi esaminatori della cronaca terrena, fuggendo dagli orizzonti mirabili della sovranatura, la sola in grado di dirimere questioni, contraddizioni, fallacità, dissidi terreni. Viene così tralasciato l’essenziale della Religione rivelata del Salvatore per volgere lo sguardo verso il peccato stesso, il nemico per eccellenza delle anime.
La Chiesa ha un gran bisogno di ritornare sui propri passi e di disintossicarsi e lo reclamano a gran voce le anime, sempre più stanche di parole di vita terrena. A tale proposito pare di risentire il messaggio profetico che san Giovanni Bosco comunicò a papa Leone XIII nel 1878, trascritto nel testo «Esordio delle cose più necessarie per la Chiesa»: «Era una notte oscura, gli uomini non potevano più discernere quale fosse la via […] quando apparve in cielo una splendidissima luce che rischiarava i passi dei viaggiatori come nel mezzodì. In quel momento fu veduta una moltitudine di uomini, di donne, di vecchi, di fanciulli, di monaci, monache e sacerdoti, con alla testa il Pontefice, uscire dal Vaticano schierandosi in forma di processione. Ma ecco un furioso temporale; oscurando alquanto quella luce sembrava ingaggiarsi battaglia tra la luce e le tenebre. Intanto si giunse ad una piccola piazza coperta di morti e di feriti, di cui parecchi dimandavano ad alta voce conforto. […] ognuno si accorse che non erano più in Roma. […] furono veduti due angeli che portando uno stendardo l’andarono a presentare al Pontefice dicendo: “Ricevi il vessillo di Colei che combatte e disperde i più forti eserciti della terra. I tuoi nemici sono scomparsi, i tuoi figli con le lagrime e coi sospiri invocano il tuo ritorno”. Portando poi lo sguardo nello stendardo vedevasi scritto da una parte: Regina sine labe Concepta; e dall’altra: Auxilium Christianorum. Il Pontefice prese con gioia lo stendardo, ma rimirando il piccolo numero di quelli che erano rimasti intorno a sé divenne afflittissimo. I due angeli soggiunsero: “Va tosto a consolare i tuoi figli. Scrivi ai tuoi fratelli dispersi nelle varie parti del mondo, che è necessaria una riforma ne’ costumi degli uomini. Ciò non si può ottenere, se non spezzando ai popoli il pane della Divina Parola. Catechizzate i fanciulli, predicate il distacco dalle cose della terra […] I leviti [i sacerdoti, ndr] saranno cercati tra la zappa, la vanga ed il martello, affinché si compiano le parole di Davide: Dio ha sollevato il povero dalla terra per collocarlo sul trono dei principi del suo Popolo». La terra era «pesta come da un uragano» e molta gente era perita.
Il Papa, afferma don Bosco, tornato a Roma con nuove e ferventi leve, si mise a piangere per la desolazione in cui versavano i pochi cittadini rimasti. Rientrato in San Pietro, intonò il Te Deum, cui rispose un coro di Angeli che cantavano: «Gloria in Excelsis Deo, et in terra pax hominibusbonævoluntatis».
Conseguenze della pandemia cinese nella vita religiosa italiana
Il Governo sospende la libertà religiosa
Le restrizioni dovute all’epidemia causata dal “virus cinese” stanno producendo gravi conseguenze nella società italiana, non solo nel campo sanitario, economico e politico, ma anche in quello religioso.
Da oltre due mesi, il Governo ha imposto «la sospensione di manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, di eventi e di ogni forma di riunione in luogo pubblico o privato, anche se svolti in luoghi chiusi aperti al pubblico» (decreto legge n° 6 del 23-2-2020). E’ stata quindi vietata ogni forma di assembramento che non sia richiesta da gravi motivi di cura sanitaria o di alimentazione o di lavoro socialmente indispensabile. Ciò ha comportato la chiusura di tutti gli edifici e locali adibiti a fini di lucro o di cultura o di svago; hanno potuto rimanere aperti solo ospedali, case di cura, ricoveri per anziani, uffici pubblici, negozi di alimentari e… le tabaccherie (lo Stato infatti guadagna sulla vendita delle sigarette e sul gioco del lotto).
Successivamente, il Governo ha precisato che «sono sospese le cerimonie civili e religiose», includendovi processioni, preghiere pubbliche, pellegrinaggi, benedizioni pasquali, perfino Messe e somministrazione dei Sacramenti (decreto dell’8-3-2020, art. 1 let. i, art. 2 let. v). Inoltre, ai sacerdoti è vietato entrare negli ospedali per assistere malati e moribondi. Le attività, i luoghi e il personale dediti al culto e alla santificazione sono stati paragonati a quelli dediti al lucro o alla cultura o allo svago.
L’episcopato si sottomette al Governo
Prima ancora che il Governo glielo chiedesse, la Conferenza Episcopale Italiana (C.E.I.) ha sancito la chiusura dei luoghi di culto e la sospensione delle funzioni liturgiche e cerimonie religiose, manifestando così «la volontà di fare la propria parte per contribuire alla tutela della salute pubblica» (dichiarazione dell’8-3-2020). La Gerarchia ecclesiastica ha così permesso ciò che non era mai avvenuto in passato, nemmeno durante la terribile epidemia “spagnola” del 1918-1920, nemmeno nei periodi di persecuzione violenta della Chiesa.
In questo modo, il divino comandamento “ricordatevi di santificare le feste” è stato implicitamente sostituito dal laico comandamento “restate chiusi in casa”; la “Chiesa in uscita” per impegnarsi nell’“ospedale da campo del mondo” si è ritirata nei conventi e nelle sagrestie; la “pastorale dell’accompagnamento” è stata sospesa dalle preoccupazioni sanitarie; l’“annuncio profetico” si è sciolto in una retorica consolatoria e remissiva.
In un primo momento, il Papa ha confermato la direttiva della C.E.I. e, per dare l’esempio, ha chiuso ai fedeli la basiliche della Città Eterna. Eppure poco dopo, contraddicendosi, egli ha invitato il clero italiano a tenere aperte le Chiese nelle zone meno colpite dall’epidemia; successivamente alcuni vescovi hanno tollerato una minimale ripresa del culto.
Questo parziale cambiamento è stato causato da un duplice fatto. Innanzitutto, il sopruso governativo aveva immediatamente suscitato la protesta di molti fedeli e la contestazione di alcuni giuristi e magistrati, i quali avevano denunciato la violazione della libertà di culto prescritta dalla Costituzione Repubblicana e dal Concordato tra Stato e Chiesa. Inoltre, il cedimento episcopale aveva suscitato critiche alla C.E.I e aveva avviato il fenomeno delle “Messe clandestine” celebrate da non pochi parroci.
Successivamente, alcuni vescovi hanno condannato questa protesta popolare come irrazionale e irresponsabile, perché fa «discorsi astratti sul diritto di andare a pregare in chiesa» (mons. Brambilla su Avvenire, 8-4-2020); altri si sono perfidamente domandati «se essa sia animata dalla fede o non piuttosto da una religiosità da purificare» (mons. Libanori su Avvenire, 29-3-2020). Una quarantina di associazioni cattoliche hanno espresso una “difesa d’ufficio” della Gerarchia, dichiarandosi «impegnate a comprendere e accogliere quanto ci viene e ci verrà chiesto per la salute pubblica» (Avvenire, 17-3-2020. Comunque sia, la C.E.I. ha tenuto una posizione ambigua che ha spinto moltissime diocesi, specialmente del Norditalia, a mantenere la chiusura delle chiese e la sospensione del culto.
Questo cedimento ecclesiastico ha spinto il Governo a osare di più, ad esempio reprimendo e multando i pochi tentativi fatti di celebrare Messe o funerali nelle Chiese o di tenere pubbliche preghiere per poche persone in condizioni di sicurezza sanitaria. In certi paesi, le questure hanno inviato le forze dell’ordine a interrompere Messe, chiudere chiese e disperdere gruppi di preghiera, anche quando onorate dalla presenza di sindaci del luogo. I vescovi del luogo hanno quasi sempre condannato non queste profanazioni ma i sacerdoti che ne erano state vittime.
Di conseguenza, minacciato dalle autorità politiche e abbandonato da quelle religiose, il clero italiano si è quasi totalmente sottomesso a questa complicità tra Stato e Chiesa sancita da una sorta di nuovo patto Molotov-Ribbentrop.
Allora, sentendosi sostenuto dal cedimento ecclesiastico, il Governo se n’è approfittato per umiliare maggiormente la Chiesa. Esso aveva promesso di riaprire le attività sociali, nel contesto di una graduale liberalizzazione permessa dal previsto miglioramento delle condizioni sanitarie. Eppure, nella conferenza-stampa del 26 aprile, il capo del Governo ha dichiarato che, a partire dal 4 maggio, pur permettendo la riapertura di alcune attività commerciali, culturali e ludiche, escluderà quella del culto pubblico, per “motivi di sicurezza sanitaria” avanzati dalla commissione scientifica statale. La delusione subito espressa dalla C.E.I ha potuto solo evidenziare il fallimento della sua abituale strategia del “cedere per non perdere”.
Le cause del cedimento episcopale
La sudditanza ecclesiastica alle imposizioni statali sembra causata da un fattore prossimo che è la paura e da un fattore remoto che è quello ideologico.
Alcuni vescovi hanno infatti ammesso di aver obbedito ai decreti governativi semplicemente per paura. Paura di perdere i vantaggi (soprattutto economici) tuttora ricevuti dallo Stato; paura di essere attaccati da mass-media che accusano la Chiesa di non rispettare le leggi; paura di essere criticati dalla scienza medica ufficiale che accusa la Chiesa di opporsi alla “salute riproduttiva” dei popoli.
Tuttavia, la principale causa del cedimento episcopale sta nella mentalità diffusa nel clero dalla “teologia dell’aggiornamento” alla Modernità, la quale impone di adeguare le esigenze della Chiesa a quelle del potere laicista e di rinunciare ad opporsi alla prevaricazioni statali sui diritti ecclesiastici.
Ad esempio, secondo il vicario di Sua Santità, «la volontà di Dio ci si è manifestata attraverso la realtà del momento storico che stiamo vivendo; è obbedienza alla vita, la quale è forse il modo più esigente con cui il Signore ci chiede di obbedirgli» (card. De Donatis, lettera al clero romano, 13-3-2020). Secondo il vicepresidente della C.E.I., «è lo Spirito Santo che ha permesso e permetterà alla Chiesa di adattarsi alla complessità del nostro tempo: in questo caso, il tempo della pandemia» (mons. Meini su Avvenire, 26-4-2020).
Del resto, la sospensione del culto pubblico non può preoccupare troppo un episcopato che privilegia la “liturgia della parola” rispetto a quella sacramentale e programma il “ritorno all’essenziale” e il “ricupero della primitiva semplicità ecclesiale”. Ne deriva un processo di “spiritualizzazione” (in senso protestante) del Cristianesimo, nella convinzione che la Chiesa debba alleggerirsi da quelle pesanti zavorre istituzionali che sono dogmi, leggi e riti, dunque anche il culto pubblico.
Ad esempio, nel suo messaggio del 16 aprile scorso, il Consiglio Permanente della C.E.I. ha avvertito che, quando si sarà tornati alla normalità sanitaria, «niente sarà più come prima» e bisognerà adottare un nuovo stile di «sobrietà, essenzialità e semplificazione ecclesiale». Lo stesso Papa Francesco ha previsto al riguardo: «Si troverà il modo in cui lo Spirito Santo de-istituzionalizza quello che non serve più» (intervista sul Tablet di Londra, riportata dalla Civiltà Cattolica, aprile 2020).
Difatti, secondo alcuni noti teologi, l’attuale sospensione del culto pubblico costituisce una provvidenziale occasione affinché il clero si disimpegni da tante cure istituzionali e i fedeli ricuperino una spiritualità personale o domestica o comunitaria, libera da una liturgia caratterizzata da “orpelli rituali” e “superstizioni popolari”. E’ la deriva post-moderna verso una “fede autogestita”. Nondimeno, questo discorso risulta pericoloso per lo stesso episcopato perché, in tal caso, perché mai i fedeli dovrebbero obbedire all’autorità ecclesiastica?
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