ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 27 aprile 2020

Intellegatur ut amoveatur?

Vetus Ordo, un questionario che non sembra preoccupare

Pubblicato su Rorate Coeli un questionario che la Congregazione per la Dottrina della Fede avrebbe inviato ai vescovi: nove domande sull’applicazione del Summorum Pontificum. C’è chi teme un attacco alla “Messa tridentina”, ma dietro dovrebbero esserci solo finalità statistiche. Di questo parere don Nicola Bux, che alla Nuova BQ dice: “L’antico arricchisce il nuovo, non avrebbe senso delegittimarlo”.




L’indiscrezione l’ha lanciata il sito americano Rorate Coeli, ripreso in Italia dal blog Messa in latino: la Congregazione per la Dottrina della Fede avrebbe inviato ai presidenti delle conferenze episcopali un questionario destinato ai vescovi sull’attuazione del “Summorum Pontificum”.

In rete sono finite due pagine di domande datate aprile 2020 insieme a una lettera del prefetto, il cardinal Luis Francisco Ladaria Ferrer, che porta invece la data del 7 marzo 2020. Si tratta di documenti che, a una prima occhiata, presentano alcune anomalie che inizialmente avevano fatto sorgere il sospetto sulla loro autenticità: manca la firma autografa del successore del cardinale Müller e manca l’emblema della Santa Sede in alto a destra. Il testo non è in italiano, né in latino, ma in inglese. L’ipotesi più verosimile è che si tratti di una copia di cortesia inviata a un vescovo anglosassone dalla conferenza episcopale d’appartenenza.

Il contenuto, però, a quanto ci risulta, dovrebbe essere vero e la richiesta d’inchiesta nelle diocesi sarebbe effettivamente partita dall’ex Sant’Uffizio. Ai vescovi - ma non è chiaro se in tutto il mondo o, per ora, soltanto in alcune regioni - è stato chiesto di far arrivare in Vaticano i risultati entro il 31 luglio 2020. Dell’iniziativa non si sarebbe occupato l’Ufficio della Quarta Sezione, competente per le materie un tempo affrontate dall’ormai soppressa Pontificia Commissione Ecclesia Dei.

Il motu proprio Summorum Pontificum, scritto da Benedetto XVI per liberalizzare la celebrazione della liturgia secondo la forma straordinaria del Rito romano, starebbe per finire sotto attacco? Non è proprio così. Intanto, il questionario arriverebbe quasi in contemporanea con i due decreti della stessa Congregazione che hanno aggiornato il Messale del 1962 con l’inserimento di sette nuovi prefazi e dei santi canonizzati dopo quella data (clicca qui), così come richiesto da Ratzinger nella Lettera ai Vescovi uscita nel 2007 insieme al motu proprio. Un tentativo di preparare il terreno ad un’eventuale abrogazione, così come temuto da qualcuno, apparirebbe del tutto contraddittorio con questi recenti provvedimenti.

Anche don Nicola Bux, professore di liturgia orientale e di teologia dei sacramenti alla Facoltà Teologica Pugliese ed ex consultore dell’Ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice, è convinto che il presunto questionario della Congregazione per la Dottrina della Fede sia da ascrivere a non preoccupanti finalità statistiche.

Abbiamo analizzato con monsignor Bux le nove domande presenti nel documento diffuso da Rorate Coeli. Quest’iniziativa, secondo l’esperto liturgista, ricorderebbe quella messa in atto in occasione dei sinodi, con il ricorso allo strumento del questionario per raccogliere dati e confezionare il documento di lavoro, oltre che favorire una conoscenza completa della Chiesa sparsa nel mondo. Allo stesso modo, la richiesta di fornire informazioni circa l’applicazione del Summorum Pontificum all’interno delle singole diocesi dovrebbe rappresentare un tentativo di avere un contributo più corrispondente alla situazione reale. Nel documento comparso in rete si chiede se la celebrazione nella forma straordinaria è dovuta a “una necessità pastorale reale” o all’“iniziativa di un singolo sacerdote”.

Un quesito insidioso? No, secondo monsignor Bux che vi riscontra la volontà di “mettere il vescovo davanti alla sua responsabilità nel dover andare incontro ai fedeli che manifestano questo desiderio pastorale”.  Spiega il teologo pugliese: “È un problema di natura ideologica: dal momento che due forme convivono, chi ha pregiudizio le contrappone, mentre chi non ce l’ha risponderà con onestà”. In Francia e in Italia, come dimostrato da un sondaggio Doxa del 2017, più del 70% dei cattolici intervistati vedrebbe di buon occhio la celebrazione di entrambe le forme dell’unico Rito romano all’interno della propria parrocchia; un dato che segnala - a 13 anni dalla sua entrata in vigore - il buon recepimento del motu proprio di Benedetto XVI nelle comunità di fedeli.

Nel questionario diffuso su Internet, una domanda fa riferimento all’influenza del Summorum Pontificum nella vita dei seminari e degli altri istituti di formazione. Fa notare monsignor Bux: “Se un vescovo è libero da pregiudizi, non priva i fedeli della conoscenza di un atto di magistero; allo stesso modo, lo trasmette anche ai seminari, presentandolo in modo tale da aiutare la formazione completa dei seminaristi perché, se un domani si troveranno davanti dei fedeli che chiederanno la celebrazione nella forma straordinaria, essi potranno rispondere adeguatamente a questo bisogno pastorale”. D’altra parte, l’intenzione di Benedetto XVI era quella di non far sentire esclusi i fedeli legati all’antica tradizione liturgica latina dopo aver constatato, in giro per il mondo, che questa specifica sensibilità era particolarmente viva.

Secondo monsignor Bux, l’indagine che potrebbe esser stata promossa dalla Congregazione per la Dottrina della Fede andrebbe interpretata come un tentativo di “esercitare, in nome del Papa, non una repressione ma una rilevazione per, semmai, rilanciare il Summorum Pontificum, chiedendo ai vescovi di abbandonare posizioni preconcette e appellandosi alle necessità pastorali dei fedeli”. Da parte di un vescovo, manomettere o censurare all’interno della diocesi la richiesta della “forma straordinaria” del Rito romano sarebbe gravissimo e creerebbe un danno non solo all’unità cattolica ma avrebbe ripercussioni anche sul piano ecumenico. Infatti, la cosiddetta forma antica del Rito romano è quella che più si avvicina al Rito bizantino; e la promulgazione del Summorum fu pensata da Benedetto XVI pure nell’ottica di un riavvicinamento con l’Oriente ortodosso.

L’ex Sant’Uffizio, inoltre, avrebbe chiesto ai vescovi se nella forma ordinaria ci sia stata l’adozione di elementi della forma straordinaria per quanto riguarda la diocesi di loro competenza. Una domanda finalizzata, evidentemente, a riscontrare la conferma di quel perfezionamento reciproco tra le due forme preconizzato da Benedetto XVI nella Lettera ai Vescovi. “L’antico - spiega monsignor Bux - arricchisce il nuovo perché lo sostanzia ulteriormente, e infatti molti sacerdoti che hanno ripreso l’antico uso hanno cominciato a celebrare meglio la Messa secondo il Messale di Paolo VI”. D’altra parte, l’edizione del Messale Romano promulgata da san Giovanni XXIII nel 1962 non è mai stata abrogata e il suo uso è stato liberalizzato dal motu proprio del 2007.

Dunque, l’ex consultore dell’Ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice non ritiene realistica la possibilità di una sua futura abrogazione: “La forma antica del Rito romano - ricorda il sacerdote - appartiene alla Tradizione apostolica, ha fatto parte della storia della Chiesa per più di un millennio e delegittimarla significa delegittimare anche la forma ordinaria che si è sviluppata a partire da quella”.

Per la buona riuscita dell’indagine, dunque, è imprescindibile che i vescovi - qualora avessero davvero ricevuto il questionario - si lascino guidare nelle risposte dal sensus Ecclesiae e non dal pregiudizio. Una necessità ribadita da monsignor Bux con una citazione tratta dagli Atti degli Apostoli, ossia l’ammonimento di Gamaliele: “Se quest’opera fosse di origine umana, verrebbe distrutta; ma se viene da Dio, non riuscirete a distruggerli. Non vi accada di trovarvi addirittura a combattere contro Dio!” (At 5, 38-39). E la forma straordinaria del Rito romano, se non fosse sacra, sarebbe già morta e sepolta da tempo mentre, invece, esiste da più di un millennio.

In definitiva, l’iniziativa della Congregazione per la Dottrina della Fede, qualora confermata, potrebbe qualificarsi come una rivelazione statistica circa l’applicazione del Summorum Pontificum. E non dovrebbe destare preoccupazione tra gli abituali frequentatori della cosiddetta “Messa tridentina”.

Nico Spuntoni
https://lanuovabq.it/it/vetus-ordo-un-questionario-che-non-sembra-preoccupare

Sull’“abolizione” del Vetus Ordo

Un’ipotesi sull’espressione “forma ordinaria/straordinaria
Pubblichiamo il seguente articolo che ci è stato inviato dal Rev. Sacerdote Leszek Królikowski, che ringraziamo, perché l’ipotesi proposta possa suscitare tra i nostri lettori una discussione sull’argomento.
                                                          
Alcune osservazioni a margine
del Motu Proprio “Summorum Pontificum

1. Due cose che suscitano sorpresa

Quando il 7 luglio 2007 è stato promulgato il Motu Proprio di Benedetto XVI “Summorum Pontificum”, due affermazioni in esso contenute hanno suscitato la sorpresa, sorpresa che però fu piccola cosa rispetto al pronunciamento generale che costituiva il documento, il quale determinò gioia tra i conservatori, indignazione tra i progressisti.

La prima di queste affermazioni è che la forma straordinaria e la forma ordinaria sono due forme dello stesso rito romano (articolo 1 del Motu Proprio). Chiunque abbia familiarità con queste due forme è sorpreso nel constatare che, nonostante una struttura simile, è difficile parlare di unità di rito. La struttura è simile, ma lo stesso vale per altri riti occidentali (ambrosiano, mozarabico), che nessuno si rifiuta di chiamare “rito distinto”. La Messa di Paolo VI rompe definitivamente con alcune caratteristiche del rito romano, quali la presenza di un’unica anafora (nella Messa di Paolo VI abbiamo una molteplicità di cosiddette preghiere eucaristiche), o l'esistenza delle memorie, cioè una possibile molteplicità di preghiere (orationes) per una sola Messa (nella Messa di Paolo VI la “memoria” ha cambiato il suo significato e determina il rango liturgico di un determinato giorno). Osservando i riti orientali, si può notare che la Messa chiamata “tridentina” ha molti più punti in comune con i riti orientali che con la Messa di Paolo VI, la quale in quanto rito assomiglia piuttosto ai servizi della chiesa calvinista. Possiamo quindi concludere in merito a tale affermazione del Motu Proprio che non si tratta di una descrizione teologica della liturgia, ma di una finzione giuridica, che, per un motivo da determinare, qualifica la Messa tridentina e la Messa di Paolo VI come due forme dello stesso rito, così come l'Unione Europea considera la carota un frutto e la lumaca un pesce. Sono esse delle finzioni giuridiche, basate piuttosto su ciò che è nell’ordine della somiglianza estrinseca.

Un’altra affermazione che sorprende è l'osservazione alla fine dell'articolo 1, che dice, en passant, che la Messa tridentina non è mai stata abolita. Fino ad allora, si credeva che l'intenzione di Paolo VI, nell'introdurre la nuova Messa, fosse quella di sostituire i precedenti riti della Messa solo con il rito da lui stesso promulgato. Questo è indicato, anche se non in maniera assoluta, alla fine della Costituzione Apostolica “Missale Romanum”, che ha introdotto la nuova Messa: “Quanto abbiamo qui stabilito e ordinato vogliamo che rimanga valido ed efficace, ora e in futuro, nonostante quanto vi possa essere in contrario nelle Costituzioni e negli Ordinamenti Apostolici dei Nostri Predecessori e in altre disposizioni anche degne di particolare menzione e deroga”.

Il 31 agosto 1973 Mons. Sustar, segretario del Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa, ha chiesto alla Santa Sede di chiarire che la precedente Messa era vietata. Il Segretario di Stato Jean-Marie Villot ritenne che una conferma ufficiale di tale divieto sarebbe stata contraria all'autorità del Papa, che si era già pronunciato ufficialmente sulla questione. Ha quindi incaricato il segretario della Congregazione per il Culto Divino, l'arcivescovo Annibale Bugnini, l'autore principale della Messa di Paolo VI, di rispondere ufficiosamente. Questa risposta non ufficiale dell'Arcivescovo Bugnini iniziava con l'affermazione che la “Messa di Pio V” era stata definitivamente abolita e che per capirlo bastava leggere la clausola finale della Costituzione apostolica “Missale Romanum”. Tuttavia, a causa della confusione su questo tema, la Segreteria di Stato preparò un documento che fu approvato da Paolo VI il 28 ottobre 1974 e successivamente promulgato con la “Notificazione” della Congregazione per il Culto Divino. Tale documento vieta l'uso del Messale tradizionale nei Paesi in cui la Conferenza Episcopale ha già approvato l'introduzione di un nuovo Messale. Tuttavia, è consentita un'eccezione per i sacerdoti anziani e malati, stabilendo che le Messe che celebrano nel vecchio rito non possono essere pubbliche (Cfr. Annibale Bugnini, La riforma liturgica, Roma 2012, pp. 300-301.)

2. Un testo poco conosciuto del Concilio di Trento

Nei documenti del Concilio di Trento, distinguiamo due parti: l’insegnamento della fede e la successiva condanna degli errori. Queste condanne (i cosiddetti canoni) hanno un rango dogmatico elevato. Chi considerasse vera la tesi condannata sarebbe eretico. Alla fine del documento sui sacramenti in generale, troviamo il seguente canone: “Se qualcuno sostiene che i rituali accettati e riconosciuti nella Chiesa cattolica, che di solito sono usati per l'amministrazione solenne dei sacramenti, possono essere ignorati, o che i ministri possono liberamente ometterli senza alcun peccato, o che qualsiasi pastore della Chiesa può cambiarli per altri nuovi riti, sia escluso dalla comunità dei fedeli”. Nell'originale latino la parte più interessante (l'ultima parte dell'alternativa) è la seguente: “Si quis dixerit receptos et approbatos Ecclesiae catholicae ritus... in novos alios per quemcumque ecclesiarum pastorem mutari posse: anathema sit” (Denzinger-Schönmetzer 1613). Essendo questo canone poco conosciuto, vale la pena soffermarvisi.

In primo luogo, questo è un canone dogmatico e non soltanto disciplinare.

Può succedere che i Papi concedano una sorta di privilegio “per tutti i tempi”, anche se un futuro Papa può sostanzialmente invalidare tale privilegio (cosa che - sia detto en passant - veniva generalmente evitata nel passato e si attuava solo se le condizioni erano cambiate in modo decisivo). Qui però si tratta di una dichiarazione dogmatica e definitiva della Chiesa, valida per sempre, vincolante per tutti, soprattutto per il principale depositario della fede - il Papa.

In secondo luogo, la proibizione di questo canone riguarda i Pastori della Chiesa. Non si fa eccezione per una categoria, ma al contrario con l’utilizzo della parola “quemcumque” (“quale che sia”) come quantificatore generale, si sottolinea l'universalità del divieto. Pertanto, anche i Papi stessi sono soggetti a questo divieto.

In terzo luogo, nella parte che ci interessa, il canone vieta non solo l'introduzione di nuovi riti, ma parla anche di un pastore della Chiesa che potrebbe introdurre un rito talmente nuovo da sostituire “i riti accettati e riconosciuti nella Chiesa (ritus)”.

3. Ipotesi

Benedetto XVI era talmente competente in teologia che è difficile supporre che l'insegnamento del Concilio di Trento gli fosse sconosciuto. Per questa ragione ha dovuto tenerne conto nel suo Motu Proprio Summorum Pontificum”. Prendendo in considerazione tale dato, avanzo l'ipotesi che fu per questo motivo che egli ritenne che Paolo VI non avesse abolito il vecchio rito della Messa e lo avesse sostituito con uno nuovo (ma ne introdusse solo uno nuovo, “ordinario”), per liberare Paolo VI dall'accusa di eresia, che consiste nel proclamare che il vecchio rito può essere abolito e sostituito con uno nuovo.
Se ci sia riuscito, ciò rimane un argomento di discussione a parte.

Don Leszek Królikowski

Il problema della Chiesa è nella Messa, lo dice perfino Satana

«I sacerdoti dicono Messa troppo di fretta», «i preti non capiscono che durante la Messa è presente» la Madonna. Parole sconvolgenti se pensiamo che a pronunciarle è Satana durante un esorcismo. Lo rivela un esorcista italiano in un video che spopola su Youtube.




“I sacerdoti, oggi, hanno fretta quando celebrano la Messa”; “Non capiscono che quando dicono Messa, Lei (la Madonna, ndt) è lì attorno all’altare con gli angeli”. Paradossalmente, qui, a parlare della Santa Messa, è Satana, mentre viene esorcizzato. L’efficace racconto di questo esorcismo, che sta circolando su Youtube in una registrazione (in italiano) dell’esorcista Don Ambrogio Villa, è il resoconto di un’omelia. Malgrado sia stato caricato pochi mesi fa, conta già centinaia di migliaia di visualizzazioni e ha reso “Villa” un nome popolare.

Don Ambrogio era il parroco di una piccola cittadina lombarda, fino a quando non ha cominciato a lavorare a tempo pieno come esorcista per la Diocesi di Milano, nel nord Italia, pochi anni fa. È uno dei tanti sacerdoti in tutto il mondo ad aver risposto al crescente bisogno di esorcisti. Secondo dati del 2018, nello solo Italia, dove ha sede il Vaticano, gli esorcismi sono triplicati: ogni anno ne vengono effettuati circa 500.000.  Imbastire una battaglia spirituale contro il demonio non è cosa per i deboli di cuore, spiega Don Ambrogio. Anche se sei in persona Christi, il diavolo ti sottopone a “volgarità, minacce e violenza”. Tuttavia, come sottolinea don Ambrogio nella registrazione, in certi momenti dell’esorcismo, il diavolo è costretto a rivelare un “vero e proprio Catechismo” che, se preso sul serio, può fare la differenza per le vite e per le anime.

Ciò non deve stupire, è accaduto anche con Gesù. Egli è stato il primo esorcista e l’esorcismo è stato parte integrante del Suo ministero pubblico. Gli incontri di Gesù con gli indemoniati, il Suo potere di scacciare i demoni e le loro confessioni in Sua presenza sono riportati in diversi passi dei Vangeli. In Marco, per esempio, essi sono i soli testimoni a riconoscere pubblicamente in Gesù il Messia. E in Marco, 1:24, uno spirito immondo si rivolge a Gesù con queste parole, “Che c’entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci! Io so chi tu sei: il Santo di Dio”. I demoni si spaventavano alla presenza di Gesù perché sapevano che Egli aveva il potere di cambiare le loro vite attraverso l’esorcismo.

Gli esorcismi, infatti, solitamente trasformano la vita del possessore e del posseduto, ma Don Ambrogio racconta di come la sua stessa vita sia stata radicalmente trasformata dalle rivelazioni dei demoni. Quello che rende unico questo incontro, è la risposta del diavolo quando è sollecitato a parlare dei prete; evidentemente, lui ha dei conti da regolare: “Voi (sacerdoti) avete fretta quando celebrate la Messa, alzate quel pezzo di pane e subito giù, perché avete fretta, avete cose più importanti”.

Parole sconvolgenti che fanno ammettere a don Ambrogio che valgono per sé come per chiunque altro. La sua prima considerazione, confermando che il diavolo ha toccato un tasto dolente, è stata: “Non sono più capace di dire la Messa come prima”. Sono stati scritti interi volumi riguardo alla liturgia, ma evidentemente, continua a esserci un problema. Anche Benedetto XVI ha affrontato l’argomento della liturgia nel libro “Dal profondo del nostro cuore”. Scrive il papa emerito: “la celebrazione quotidiana dell’Eucaristia, implica uno stato permanente di servizio a Dio”, che “indica l’Eucaristia come centro della vita sacerdotale”. Ma, secondo il diavolo, questo privilegiato rapporto sacramentale tra il sacerdozio e la Santa Messa sta venendo sempre più sottovalutato.

Secondo Don Ambrogio, non è esagerato dire che “la Messa non è più valorizzata”. Spiega questo punto: “Noi tutti pensiamo che, andando a Messa, doniamo qualcosa a Dio, invece, essa è il sacrificio di Cristo che perdona i nostri peccati”. Sottolinea altresì che “questa particola di pane azzimo  entra nel nostro stomaco e, prima che i succhi gastrici la disgreghino, passano dagli 8 ai 10 minuti… noi siamo il tabernacolo di Gesù… Il nostro Creatore è in noi e prima di noi … e ancora ci dimentichiamo di rendere grazie per questo sacrificio” prima e dopo la Messa.

Ma c’è di più: il diavolo si rivolge ai sacerdoti con un secondo rimprovero. Stavolta svela qualcosa di straordinario: “Voi non capite che, quando dite Messa, Maria Sua Madre e gli angeli sono radunati attorno all’altare”. È proprio vero, non consideriamo nemmeno che “tutto quanto il Cielo è radunato attorno al sacrificio di Cristo“ sull’altare, continua don Ambrogio. Tuttavia, non è la prima volta che viene menzionata la presenza divina sull’altare durante la consacrazione.

Per esempio, l’allora vescovo di Civitavecchia, Girolamo Grillo, ha ufficialmente riconosciuto tutte le apparizioni e i messaggi di Civitavecchia, compresa la descrizione di Fabio Gregori  della prima volta in cui gli apparve Maria. Questa è la testimonianza di Fabio: “Era il 2 luglio 1995. Ero a una Messa pomeridiana. Erano circa le 18.30. Nostra Signora apparve nel momento in cui il parroco stava per consacrare la sacra Ostia. I Suoi piedi erano posati su di una nuvola, esattamente sopra Padre Paulo e le Sue mani aperte indicavano giù. Stette lì in sacra adorazione fino alla comunione. Dal suo comportamento, era chiaro che Suo Figlio Gesù, il Salvatore, è veramente presente e vivo nell’Eucaristia”.

Cercando una risposta al calo delle presenze a messa e dei giovani soprattutto, che dicono “la Messa non mi dà più niente”, don Ambrogio ha trovato la sua risposta. Se la Messa è celebrata e partecipata con la riverenza che propriamente le è dovuta “la nostra sete sarà soddisfatta”. Quando Dio non viene servito bene e quando il santo sacrificio della Messa viene svalorizzato, la maestà di Dio va perduta e noi con essa.

Ironicamente, in un periodo in cui la Chiesa appare smarrita in uno stato confusionale perpetuo, il diavolo sa di cosa abbiamo bisogno: la Santa Messa.




Patricia Gooding-Williams
https://lanuovabq.it/it/il-problema-della-chiesa-e-nella-messa-lo-dice-perfino-satana

Vescovi italiani si svegliano?




Il presidente del consiglio Giuseppe Conte ha annunciato il 26 aprile una graduale riapertura del paese.

Si prevede di permettere i funerali, ma non assemblee più ampie, come Messe coi fedeli.

In una nota a Conte, la conferenza episcopale italiana obietta, sottolineando che (improvvisamente) "non possono accettare di vedere l'esercizio della libertà di culto compromesso.”

Conte ha risposto che il governo sta ancora pensando a come permettere le celebrazioni liturgiche in condizioni di massima sicurezza "il prima possibile".

Foto: Giuseppe Conte, #newsDafhkcbcuv
it.news
https://gloria.tv/post/7MHJ362SyrNm3mFCGtgU3ANWA

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